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GLI UOMINI DI FINI: IL SEN. STRANO E L’ON. CATONE

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Cronaca, Gossip, Politica | No Comments »

Il neo capo del neo partito del FLI, cioè Fini, a Perugia, come a Mirabello, si è riempito la bocca della parola “legalità“, innalzandola a bandiera del nuovo schieramento. E però ciò non gli ha impedito di arrulare nella sua nuova truppa due personaggi che rispondono ai nomi del sen. Nino Strano e dell’on. Giampiero Catone.Chi siano costoro lo apprendiamo dalle colonne del Fatto Quotidiano, giornale di Travaglio, che li descrive nel modo che segue.

NINO STRANO: DALLE INCHIESTE ALLA MORTADELLA…
Giuseppe Lo Bianco per “il Fatto Quotidiano

Se gli si parla di “bunga bunga” il senatore Nino Strano pensa subito ai bronzi di Riace: “Mi squaglio davanti a una creatura di marmo”. Precisando: “Ma non ho mai avuto un rapporto sessuale con un gay”. In Parlamento lo ricordano con la bocca piena di mortadella celebrare la sconfitta del governo Prodi in un pomeriggio di “bon ton” a palazzo Madama arricchito dall’offesa al collega Nuccio Cusumano, chiamato “checca squallida”.

“A me piace il turpiloquio, mi afferra, mi tira per un braccio” rivelò il senatore che si definisce oggi “esteta fottuto, amico di travestiti, troie e omosessuali”. Chissà se utilizzava lo stesso linguaggio all’inizio della sua carriera politica, negli anni del dopo stragi, quando, sotto l’ombrello della mafia stragista, si candidò, nel ‘94, nel movimento indipendentista Lega Sicilia, fondato da lui stesso e da Nando Platania, quest’ultimo accusato dal pentito Tullio Cannella di cambiare “pizzini” che lo stesso collaboratore avrebbe recapitato a Bagarella.

Una stagione ancora oscura durante la quale il boss corleonese invaghito di separatismo voleva duplicare l’esperimento leghista catanese a Palermo, racconta il pentito, che parla anche della candidatura di Strano alla presidenza della provincia di Catania. L’inchiesta finì in un’archiviazione, lui proseguì l’avventura politica in An: l’anno scorso è stato assessore regionale al Turismo della giunta Lombardo e lanciò tra le polemiche la Sicilia come meta del turismo gay.

Poi tentò la riconferma, ma Lombardo gli negò la qualità di “tecnico”, lasciandolo fuori dalla sua quarta giunta. Si consola con la Film Commission, decidendo di finanziare film in base a criteri turistici, piuttosto che culturali. L’indagine per mafia lo sorprende a Perugia, alla convention di Fli, ma il suo motto ricorda passioni di altri leader: “Frequento con piacere i locali dove ogni desiderio è possibile. Le mie donne sono sempre con me. Vivo dannatamente di contraddizioni”.

2 – GIAMPIERO CATONE: RICICLATO E PLURINDAGATO…
Chiara Paolin per “
il Fatto Quotidiano

Chissà cosa farà nella sua prossima vita l’onorevole Giampiero Catone: già ne ha vissute molte. Napoletano di nascita e abruzzese d’adozione, 54 anni ben portati, uomo Dc devoto a Rocco Buttiglione sin dalla più tenera età, Catone è un virtuoso dello slalom politico-istituzionale.

Mentre la Prima Repubblica cadeva a pezzi, lui riuscì fortunosamente a impossessarsi del simbolo scudocrociato assicurandolo in dote all’amico Rocco, il quale lo premiò nominandolo suo capo di Gabinetto al ministero delle Politiche Comunitarie con delega particolare allo sviluppo economico. Un posto ideale per Catone, ormai approdato a una felice vita Udc: economia, lavoro e relativi fondi lo hanno sempre appassionato moltissimo. Al punto da inventarsi attività inesistenti per cui richiedere lauti finanziamenti al Ministero dell’industria.

Per questo nel 2001 fu arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata. In pratica, due bancarotte da 12 milioni di euro l’una, e 6 milioni di finanziamenti ottenuti a fondo perduto. Dopo una serie di pericolosi rinvii a giudizio, arrivò la manna della prescrizione, ma ancora nel 2003 e nel 2007 la giustizia tornò a occuparsi di lui per bancarotta fraudolenta ed estorsione. Accuse da cui venne assolto, e subito promosso al Pdl: un seggio sicuro in Lombardia, una lussuosa poltrona da deputato che però non gli ha fatto passare la voglia di cambiare ancora.

È infatti entrato in Fli il 24 settembre, nei giorni più caldi del divorzio libertario: in cambio è arrivata la nomina a responsabile del movimento per l’Abruzzo. Ma la base locale ha reagito malissimo, dimissioni a raffica e una domanda: come parlare di legalità con un rappresentante plurindagato? Il 4 novembre il clamoroso dietrofront: Daniele Toto, nipote dell’avioimprenditore (e a sua volta indagato) Carlo, ha scalzato Catone.

NAPOLITANO DICE NO ALLA CRISI, MA FINI SE NE FREGA

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Economia, Politica | No Comments »

La manovra è un tassello fondamentale della politica di stabilità. Una crisi di governo oggi rischia di trasformarsi nel detonatore di una crisi finanziaria di cui non possiamo prevedere gli esiti. Le parole di Napolitano dovrebbero riportare i marziani di Futuro e Libertà sulla terra.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Mentre Italo Bocchino affermava che «la crisi ci sarà», dal Quirinale giungevano parole che dovrebbero riportare i marziani di Futuro e Libertà sulla terra. Giorgio Napolitano chiede che la Finanziaria sia approvata senza incertezze, che il ciclo virtuoso che ha tenuto saldi i conti pubblici italiani prosegua e la stabilità di governo in un momento di grande fibrillazione dell’economia mondiale sia garantita. Napolitano frena Fini. Niente crisi, please. Proprio ieri su Il Tempo Francesco Damato e Marlowe hanno spiegato le ragioni per cui un intervento del capo dello Stato era auspicabile e la linea del controllo della spesa della finanza pubblica non è una variabile a disposizione dei finiani, ma un impegno continuo preso dall’Italia nei confronti delle istituzioni internazionali. Pochi giorni fa due agenzie di rating – Standard & Poors e Fitch – hanno confermato la loro valutazione positiva per i conti pubblici dell’Italia, ma entrambe hanno anche lanciato un avvertimento: serve stabilità e una crisi di governo può essere letale per il Paese. Sono certo che l’Ufficio per gli Affari Finanziari della Presidenza della Repubblica ha letto con molta attenzione i documenti delle agenzie di rating. E sono altrettanto certo che Napolitano ha tirato un sospiro di sollievo. L’Italia emette titoli di debito che servono a finanziare l’attività dello Stato, sono il nostro ossigeno quotidiano. E la credibilità delle istituzioni è fondamentale per il collocamento di questi titoli.
Come abbiamo ampiamente documentato con i nostri articoli in tutti questi mesi, l’Italia non ha fatto la fine della Grecia e – per ora – non corre i rischi di altri Paesi del Club Med (Portogallo e Spagna in particolare) e in queste ore dell’Irlanda, grazie alla saggia gestione del debito e della spesa da parte del ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il nostro Paese è sottoposto a una vigilanza costante dei mercati e in ogni momento possiamo essere il bersaglio di un attacco speculativo. Basta mostrarsi deboli, far trasparire incertezza. Nelle operazioni finanziarie la dimensione psicologica è dominante e la paura un elemento decisivo per pigiare o no il pulsante della vendita o dell’acquisto. Qualche mese fa più di un tentativo è stato fatto per darci una spallata e farci cadere nel baratro del caos finanziario. Queste azioni sono andate a vuoto perché il governo ha risposto bene, il sistema bancario è ancora solido e il risparmio delle famiglie italiane una certezza che in molti ci invidiano. La manovra economica che in queste ore è in discussione alla Camera è un tassello fondamentale di questa politica di stabilità. Una crisi di governo oggi rischia di trasformarsi nel detonatore di una crisi finanziaria di cui non possiamo prevedere gli esiti. Ma per i falchi finiani tutto questo sembra essere un aspetto marginale del quadro politico, un particolare trascurabile e per niente decisivo. Si tratta di un atteggiamento irresponsabile e viene proprio da quella fazione che vuol presentarsi agli occhi degli italiani come forza di cambiamento. Basta rileggere l’intervento di Fini dell’altro ieri per rendersi conto che l’economia e le tasche degli italiani non sono il primo pensiero di Futuro e Libertà. La motivazione profonda dell’azione degli scissionisti del Pdl non è animata da nobili ideali politici. I finiani hanno in mente solo e soltanto il logoramento costante del governo e del presidente del Consiglio e la sua sostituzione previa lenta e inesorabile consunzione. Il regime change , il cambio di Cavaliere e cavallo sono l’unico vero obiettivo per cui Fini e i suoi alleati hanno aperto la ditta di demolizioni che ha come ragione sociale Futuro e Libertà.
Il Quirinale esprime una giusta preoccupazione e invita le forze politiche alla responsabilità, ma se il buongiorno si vede dal mattino – e dalle parole che i finiani pronunciano in queste ore – non c’è da avere molta fiducia. Sono quasi certo che l’appello di Napolitano cadrà nel vuoto, che le sue parole saranno poco più di una testimonianza. Non viviamo tempi in cui la correttezza istituzionale abita a Palazzo. Napolitano indica una priorità precisa, fissa il suo faro su un punto dell’agenda politica, ma il cono di luce di Fini illumina ben altri soggetti e rivela scenari inquietanti per chiunque abbia a cuore le sorti del Paese. Futuro e Libertà ha attaccato il cuore della politica tremontiana, cioè uno dei capisaldi del governo, e demolendo l’opera del ministro dell’Economia ha innalzato la bandiera della spesa facile e suonato la carica dell’assalto alla diligenza. Come ricordavamo ancora ieri con Marlowe, appena qualche settimana fa l’Italia ha collocato sul mercato 60 miliardi di titoli di Stato, mentre la Spagna era obbligata ad alzare i suoi rendimenti a causa degli scoperti creatisi nelle sue aste. A dicembre per l’Italia scadrà una tranche di titoli di Stato per altri 36,7 miliardi di euro. Tutto questo conta qualcosa per Fini? La sua voglia famelica di crisi, crisi strisciante, crisi latente, crisi mai conclamata, crisi letale come una inguaribile febbriciattola tropicale, crisi senza freni e paletti istituzionali, quella crisi la pagheranno gli italiani. Tutto questo sarebbe ampiamente sufficiente per dire che siamo di fronte a un’operazione che fa impallidire qualsiasi sfasciacarrozze, ma in realtà siamo di fronte a una situazione paradossale in cui l’interesse pubblico è dimenticato, allontanato come un fastidio in nome di un antiberlusconismo di regime che non ha alcuna remora a buttare tutto all’aria per un piccolo calcolo di potere. È un triste Paese il luogo dove pochi giornali hanno l’onestà di ricordare la vera posta in gioco, è un Paese irrimediabilmente malato quello che abbandona l’interesse nazionale e mette a repentaglio la sua stabilità economica. Mentre gli americani stampano moneta senza freni, l’Euro è sottoposto a tensioni fortissime, la Cina e le tigri asiatiche stanno organizzando la contromossa valutaria, il debito sovrano continua ad essere l’oggetto della speculazione degli gnomi finanziari, l’Italia si gratta la testa di fronte a una crisi di governo surreale.
È una corsa folle verso il caos, Napolitano se ne è reso conto e prova a tirare il freno a mano, ma temo che la sua mossa non riuscirà a fermare un’auto impazzita che finirà per carambolare sulla testa dei cittadini ignari di tutto questo. Soprattutto per queste ragioni Berlusconi deve andare in Parlamento e chiedere subito il voto di fiducia. Chi grida alla tirannia del Cavaliere, abbia il coraggio di far cadere il governo e poi spiegare agli italiani che saranno loro a pagare la salatissima bolletta dello scontro finale. Il partito finiano ha addosso le ragnatele di una politica vecchia, sa di anni Ottanta, di spesa galoppante, regime partitocratico e irresponsabilità di fronte al popolo sovrano. Quando tutto questo pasticciaccio brutto sarà compiuto, qualcuno si incaricherà di tirare le somme. Se vince il partito della restaurazione, presto o tardi la storia dipingerà impietosamente il vero scenario e vedremo con orrore quale opera mostruosa sono riusciti a compiere gli sfascisti che guardano al futuro minando la nostra libertà.

IERI SERA A RAI TRE IN SCENA IL TEOREMA DI SAVIANO: INFANGARE BERLUSCONI (PER IL QUALE SCRIVE E INCASSA COSPICUI DIRITTI D’AUTORE ) E IL GIORNALE

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Costume, Gossip | No Comments »

….E INTANTO LA TRASMSSISONE DEL TRIO FAZIO-SAVIANO-BENIGNI, COSTATO 2 MILIONI E MEZZO DI EURO PER 4 PUNTATE, INCASSA  PER TUTTE E QUATTTO LE SERATE, SOLTANTO 810 MILA EURO DI PUBBLICITA’: OVVIAMENTE LA DIFFERENZA LA PAGHERA’ LA RAI, CIOE’ NOI, CON IL CANONE IMPOSTO AI CITTADINI COSTRETTI LORO MALGRADO A SORBIRSI LE TONNELLATE  DI FANGO,  SPARSE SUL CAPO DEL GOVERNO, VOTATO DA MILIONI DI ELETTORI,    DAL SUPER PAGATO FAZIO, DAL GUITTO CHE PIU’ GUITTO NON SI PUO’, DALL’AUTORE DI UN SOLO LIBRO NARRATO COME LO SCRITTORE DEL SECOLO. g.

di Stefano Filippi

Fabio Fazio, l’intervista­tore più morbido di Gigi Mar­zullo, ha trovato un nuovo mestiere: il barman. Il suo Vieni via con me , program­ma costosissimo e strombaz­zato come la grande novità della tv italiana, è un gigante­sco e cos­tosissimo shaker do­ve viene frullato di tutto, dal­la suora- banchiera favorevo­le alla nuova moschea di To­rino al cantante che riesuma i pezzi di Giorgio Gaber, dal­le lettere dei telespettatori al nuovo guru della politica ita­liana, Roberto Saviano. Un cocktail agitato, non mesco­­lato, e scodellato in prima se­rata con un solo obiettivo: screditare Berlusconi e il Giornale.

Saviano è un Celentano meno sconclusionato e più ideologizzato, un telepredi­catore più lungo e infinita­mente più monotono, ma più feroce. Fazio vuol fare il brillante, con il solito sorrisi­no sfottente cita un vasto campionario di luoghi co­muni sull’Italia, definizioni di Churchill, Prezzolini, Mussolini. Ma subito dopo fa l’elenco delle prostitute che esercitavano a Pompei prima dell’eruzione, dalle «tope» di bettola fino a quel­le «colte, più raffinate, che si prostituivano per influenza­re la politica. Poi Pompei crollò e il crollo continua an­cora oggi». È l’aperitivo di benvenuto del più ricco bari­sta Rai. L’«elenco»dovrebbe essere uno degli elementi ca­­ratterizzanti il programma, tra i cui autori ci sono Miche­le Serra (firma di Repubbli­ca ) e Francesco Piccolo (del­l’ Unità ). Ma è soltanto una noia. Compreso il catalogo delle definizioni di omoses­suale letto dal governatore pugliese Nichi Vendola, gay dichiarato ma non proprio un fine dicitore cui è stata re­galata la passerella.

Il pezzo forte è lo show di Saviano. Lo scrittore di Go­morra entra sulla scena tri­colore, ma in realtà domina­ta dal rosso, alle 21.17 e parla per oltre mezz’ora. Come ha ampiamente spiegato su Re­pubblica , si dedica a smonta­re la «macchina del fango», la sua «ossessione». «Sento che la democrazia è letteral­mente in pericolo, se ti poni contro questo governo ti aspetta l’attacco della mac­china del fango», sentenzia come un oracolo. Riconosce che «non siamo né in Cina né in una dittatura fascista», bontà sua. Spiega che «una cosa è fare un errore, un’al­tra farsi corrompere»: viva la banalità. «La privacy è sacra, un pilastro della democra­zia: nessuno ha il diritto di fo­tografarti in bagno perché perdi credibilità»: sembra di sentire Berlusconi. Invece no: «Un conto è la riservatezza, un conto è sce­gliere le amiche da candida­re ». Ed ecco che nel frullato­re finisce anche il Giornale, le cui prime pagine su Mon­tecarlo e Boffo giganteggia­no sullo sfondo ( come aveva­mo rivelato giorni fa). Così il fango ha nome e cognome, senza possibilità di contrad­dittorio, senza difesa, senza appello.

Per tenere fede alla sua fama di bastonatore del­la malavita organizzata, Sa­viano rispolvera farraginosa­mente la tragedia di Giovan­ni Falcone. Come dire: que­sto è il destino di chi è bersa­gliato dalle macchine del fango. E l’equazione del teo­rema- Saviano è facile da fa­re: il governo Berlusconi è co­me la mafia. Ecco dunque il program­ma partorito da Rai3 dopo il lungo braccio di ferro con i vertici aziendali che stenta­vano a firmare i contratti. Avevano ragione, non foss’altro che per la quantità di sbadigli. Trasmissione an­nunciata da Fazio, cancella­t­a da Masi perché troppo co­stosa, poi tornata in auge con partecipazioni gratis, in­fine riammessa perché ­sembrava- i problemi di sol­di erano spariti.

Alla fine l’unico ad appari­re senza gettone è stato Ro­berto Benigni, e nel suo mo­nologo l’ha ricordato a ogni pie’ sospinto. E anche lui si è occupato di prostitute, «fur­ti con spasso», martellando ossessivamente su Berlusco­ni. Da Ruby alla P3, da Ghedi­ni al figlio Pier Silvio, fine al­la prole di La Russa e ai diret­tori del Giornale , Feltri e Sal­lusti, «che hanno dossier e informazioni certe che la Co­stituzione è gay, frocia, omo­sessuale »: un guitto senza freni. E per fortuna non vole­va parlare di gossip ma sol­tanto di politica. In realtà, quanto ai soldi, i curatori avevano proposto alla Rai un budget di 2.816.000 euro per quattro puntate, di cui 2.400.000 per i conduttori. Settecentomila euro a settimana. «Un’invenzione» si scan­dalizzò Saviano ad Annoze­ro e l’ha ripetuto ieri su Re­pubblica . Le prenotazioni pubblicitarie però non sono state all’altezza: 810mila eu­ro. Con una perdita prevista di due milioncini. Il numero di Tv sorrisi e canzoni in edi­cola rivela che soltanto la scenografia di Vieni via con me negli studi milanesi di via Mecenate è costata 500mila euro mentre i micro­foni, telecomandati e di ulti­ma generazione, sono costa­ti 50mila euro ciascuno.

LA SINISTRA ITALIANA…RIVOLUZIONARI SNOB (SENZA POPOLO)

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

È rivoluzione di casta, non di popolo. I fatti concreti smentiscono il luogo comune che il berlusconismo sia in balia del vento che nasce dalla pancia del Paese quando le classi sociali più deboli si sentono minacciate e si adoperano quindi per cambiare il proprio futuro. Si tratta piuttosto di un refolo che si è formato, non da ieri, nei salotti mondani, intellettuali, televisivi, e che viene amplificato da un sistema di comunicazione politicamente schierato. L’analisi dei flussi elettorali non lascia dubbi. Elezione dopo elezione i ceti medi e bassi si sono spostati costantemente verso il centrodestra. Nel 2008 (Berlusconi contro Veltroni), è avvenuto il sorpasso del Pdl sul Pd nelle preferenze dei lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati (la sinistra mantiene un vantaggio, sempre minore, solo tra gli insegnanti).

L’elettorato operaio è sempre più con Berlusconi e Bossi (58 per cento). Lavoratori autonomi e liberi professionisti restano saldamente a maggioranza centrodestra. Se a questo aggiungiamo che i giovani neo elettori ingrossano più le file del Pdl che quelle del Pd, risulta misterioso tanto allarme sulla imminente caduta della seconda Repubblica per volere popolare. E cresce il sospetto che tanta tensione sia provocata ad arte da una manovra di palazzo, e quindi di potere, che poco ha a che fare con la situazione reale. Del resto, tutti i sondaggi lo confermano: le ondate di fango che periodicamente vengono rovesciate sul premier non spostano le intenzioni di voto degli italiani.

Chi vuole fare una rivoluzione si affida a leader a sé simili. Quando Umberto Bossi iniziò la sua cavalcata destinata a cambiare la faccia della politica italiana non aveva una lira in tasca ed era inseguito dai creditori. Più o meno nelle stesse condizioni erano i leghisti della prima ora. Per questo risultarono credibili quando promisero alla loro gente, quella padana, il riscatto dal giogo economico di Roma ladrona. Poi venne la rivoluzione di Berlusconi, e la borghesia liberale si affidò volentieri all’uomo più ricco d’Italia. Del suo patrimonio il Cavaliere non ha mai fatto mistero, anzi lo ha sempre esibito con vanto, biglietto da visita e garanzia delle sue capacità.

Che la presunta rivolta antiberlusconiana non sia invece cosa seria lo si è capito anche ieri sera guardando «Vieni via con me», ennesimo contenitore Rai di pattume vario ma, ovviamente, d’autore. Come possono interpretare i bisogni della gente uno scrittore miliardario (Saviano), due conduttori televisivi strapagati (Fazio e Littizzetto, due milioni all’anno di reddito a testa), un direttore d’orchestra con la puzza sotto il naso (Abbado), il solito Benigni più furbo che bravo (4 milioni di reddito per sparare battute) e l’immancabile Vendola, comunista da 16mila euro mese? Cosa c’entra gente così con i cassaintegrati, gli alluvionati, i terremotati? I cittadini cercano leader politici credibili e soluzioni concrete.

La sinistra (e Fini) si consegnano, e pure a pagamento, a un gruppetto di miliardari snob, maestri d’arte quanto faziosi. Anche Papa Sisto chiamò alla sua corte Michelangelo ma gli affidò gli affreschi della Cappella, non certo i destini del cristianesimo. Con uno scrittore, comici e ballerini si farà anche ridere ma non si soddisfa nessuna esigenza reale. La sinistra ci aveva già provato con Biagi, Benigni, Luttazzi e Guzzanti, buttati nella mischia elettorale su tutte le reti Rai nelle politiche del 2001. Vinse Berlusconi: prometteva di non alzare le tasse e costruire nuove strade.

IL GIORNALE 9 NOVEMBRE 2010

DIMISSIONI DI BERLUSCONI? CHE SPUDIORATO QUEL FINI, E’ LUI CHE DEVE DIMETTERSI PERCHE’ ABUSIVO

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

di Giancarlo Perna

Con la kermesse di Bastia Umbra sono emerse le caratteristiche di fondo di Futuro e libertà, il nuovo partito di Gianfranco Fini.
Innanzitutto, il culto per la poesia espresso con la lettura «artistica» del Manifesto del Fli da parte di Luca Barbareschi che si è pure commosso al suono della propria voce. Inoltre, una spiccata tendenza al plagio poetico da parte di Fini che per galvanizzare la platea non solo ha preso in prestito un brano di Antoine de Saint-Exupery, ma addirittura lo stesso brano già usato tre anni fa da Walter Veltroni nel discorso fondativo del Pd al Lingotto: «Se vuoi costruire una barca, non (…)
(…) radunare uomini per tagliare legna e non impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito».
Un’altra peculiarità è l’impostazione cesaristica del nuovo partito che fa impallidire il modello berlusconiano. Mentre Gianfry saliva sul palco, il fedelissimo, Adolfo Urso, ha urlato fuori di sé: «Il leader che l’Italia aspetta! Il presidente!». Ha poi dovuto aspettare due ore che Fini terminasse la sua arringa di dimensioni fidelcastriste prima di correre da lui e rimettere nelle sue mani il mandato di sottosegretario. Altrettanto hanno fatto, con eguale entusiasmo, gli altri componenti finiani del governo, Menia, Buonfiglio e Ronchi. «Basta una tua parola e noi ci dimettiamo», gli hanno detto piegando il capo e le ginocchia. Per cui, alla faccia della Costituzione, anziché vedersela loro col capo del governo di cui fanno parte sarà il ras del partito a decidere le sorti del gabinetto. Questa plateale sceneggiata di tipo medievale, con cui i valvassini si inchinano al dominio del principe, è inedita nella storia repubblicana. Come è senza precedenti che sia il presidente della Camera – potere neutrale per eccellenza – a tenere lui in mano il boccino sul futuro del governo. Di questo però parliamo dopo.
Altra tipicità del neopartito, già evidente in passato ma ingigantita a Bastia Umbra, è la petulanza con cui i pappagalletti finiani chiedono, a turno o in coro, le dimissioni di questo e di quello. Fini ha ingiunto al Cav di togliere il fastidio e di farlo alla svelta. Nei mesi scorsi, aveva fatto altrettanto con Verdini, Cosentino, Bertolaso. Fabio Granata ha chiesto le dimissioni di Sandro Bondi, ministro della Cultura, per il crollo del monumento pompeiano. In precedenza, aveva preteso l’allontanamento dal governo e dal Pdl di chiunque avesse ricevuto un avviso di garanzia. Carmelo Briguglio ha chiesto le dimissioni di tutti i finiani dal governo. Italo Bocchino, ripetendo le ingiunzioni già fatte dal capo, ha nuovamente invitato il Berlusca a uscire di scena, ferme restando le richieste di fare fagotto, già avanzate tra luglio e settembre, per Matteoli, Fitto, Bertolaso, Cosentino e altri malcapitati di cui si è perso il conto.
Ora, in questa orgia di ipotetiche cacciate, brilla per insuperata capacità di fare lo gnorri il solo che dovrebbe sparire per reale incompatibilità, ossia Fini. Ma lui, con straordinaria faccia di bronzo, continua a sedere sul seggio di presidente di Montecitorio che da mesi non gli spetta più. Per due precise ragioni. La prima è la decenza. Dopo la vicenda della casa di Montecarlo, Gianfry non ha più la statura morale per occupare una carica istituzionale. Oggi abbiamo un presidente della Camera che, tradendo la fiducia di una signora in punto di morte, ha lasciato incamerare al cognato un bene che gli era stato affidato a maggior gloria del partito. Un atto di destrezza come il gioco delle tre carte nei baracconi in fiera. È peggio di un reato perché viola i sentimenti e la civile convivenza. Come far sparire il portafoglio dato in custodia. Di fronte a questo gesto diventano veniali – ma non vanno dimenticate perché completano il quadro – le raccomandazioni in Rai per la suocera casalinga che si improvvisa produttrice tv. Il tutto appesantito dalla spocchia con cui Fini si intestardisce a non riconoscere la gravità della situazione in cui si è cacciato. Anzi, più sprofonda e più si riempie la bocca – lo ha fatto anche a Bastia – con appelli alla «legalità, al rispetto delle istituzioni, al senso dello Stato». O non capisce, e sarebbe grave, o ci prende per i fondelli. Questo getta su di lui – e sulle truppe che gli tengono bordone – una luce sinistra sull’apporto che insieme si accingono a dare alla già tanto scombiccherata politica. Ce n’è, comunque, quanto basta a ritenere Fini inidoneo al ruolo che ricopre.

A questa ragione etica se ne aggiunge, adesso che è diventato formalmente capo partito, una di ordine costituzionale. È inevitabile, a breve, una crisi di governo. Ci saranno le consultazioni al Quirinale. E allora, sentite a quale paradosso andremo incontro. Fini sarà ricevuto da Napolitano una prima volta come presidente della Camera. Ci andrà in pompa magna con la limousine e la scorta dovuti al rango. Nel colloquio dovrebbe esprimere il suo punto di vista volando alto come si conviene a un’autorità super partes. Diamo però per scontato che non lo faccia e che – visto il tipo – tiri l’acqua al suo mulino a piene mani. Si alza e se ne va, ma torna qualche ora dopo in veste di neo capo del Fli. Non come tutti gli altri, con l’auto di partito, ma con la solita limousine tirata a lucido di Montecitorio. Napolitano, rosso in viso per la vergogna di dovere stare al gioco, ascolta per la seconda volta lo stesso discorso di qualche ora prima. Un’insopportabile manfrina che calpesta ogni regola, dalla Costituzione alla logica. Umilia la Camera e il Quirinale. Fa di Fini un privilegiato figlio dell’oca bianca che – a differenza degli altri capi partito – può raddoppiare la sua interferenza nella soluzione della crisi martellando allo sfinimento il povero Napolitano con le sue rabbie e i suoi rancori. Questo avremo se non si dimette: uno spudorato Fregoli che recita tutte le parti in commedia. Con buona pace delle virtù repubblicane di cui straparla con la stessa improntitudine dell’evasore che inneggia alle tasse.

APPALTI, GAY, IMMIGRATI, SINISTRA: TUTTE LE BUGIE DI FINI DALL’A ALLA Z

Pubblicato il 8 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Professa trasparenza a dispetto del contratto Rai alla suocera, predica moralità nonostante l’affaire Montecarlo, su intercettazioni e legge elettorale si smentisce

Roma «Comprereste un’auto usata da quest’uomo?». Si può rivolgere al democratico Gian­franco Fini la stessa domanda che i democratici Usa posero a Nixon nel 1974. La risposta è articolata. Troppe volte Gian­franco ha cambiato bandiera e opinione, mentito, taciuto, bri­gato perché si possa dargli cre­dito. No, un’auto usata non si può comperare e nemmeno un appartamento a Montecar­lo perché l’ha già venduto.
Appalti. «Bisogna cambiare le regole per gli appalti in modo da garantire legalità e traspa­renza ». Come dar torto a Fini? Peccato che l’ottimo presiden­te della Camera abbia fatto ot­tenere alla suocera un contrat­to in Rai ( cioè un appalto)inge­rendo direttamente nell’azien­da e che abbia procurato an­che qualche minuscolo affare al «cognatino» per il quale ave­va cercato un «minimo garanti­to » pur se non iscritto all’albo fornitori Rai.
Casini-Crisi. «È impensabile im­maginare che l’Udc arrivi gau­dente » a sostenere la maggio­ranza, il premier deve «aprire la crisi» ed «evitare una logica mercantile». È la contraddizio­g ne più evidente: Fini rinfaccia a Berlusconi di volerlo sostitui­re coi centristi, ma è il primo a voler mercanteggiare un go­vernicchio pur di archiviare il Cavaliere.
Etica. «Credo che questo deca­dimento morale sia la conse­guenza della perdita di decoro e ri gore di quelli che sono i comportamenti di chi è chia­mato a essere di esempio», ha rimarcato il presidente della Camera riferendosi al caso-Ru­by. Belle parole ma vuote, so­prattutto, se a pronunciarle è colui che ha svenduto un ap­partamento di Montecarlo di proprietà del suo partito a una società off­shore che fa indiret­tamente riferimento al «cogna­to Giancarlo Tulliani. E che continua imperterrito a resta­re sullo scranno più alto di Montecitorio nonostante sia acclarata l’illiceità del compor­tamento.
Falchi & Colombe. «Non ci sono falchi e colombe», ha ripetuto ieri.I fatti lo smentiscono. Il po­vero ministro Ronchi s’è sgola­to a rivendicare «quanto di buono ha fatto il governo» e a sottolineare che «bisogna raf­forzare il bipolarismo». Per «duri» Briguglio, Bocchino & C bisogna «cogliere l’attimo» per uccidere politicamente il Cav. No, non ci sono falchi e colombe. Sarà stato per qual­che altro motivo che qualche giorno fa Granata e Moffa so­no venuti alle mani durante un pranzo.
Gay. «Rispettare la persona vuol dire che non si possono di­stinguere etero e omossessua­li ». Ormai gli italiani lo sanno Fini combatte a favore dei dirit­ti della comunità gay. Quello stesso Fini che nel 1998 aveva affermato che «un omosessua­le dichiarato non può fare il maestro».
Immigrati. «In Europa non c’è movimento politico così arre­trato come mi sembra il Pdl, al­levato alla peggior cultura le­ghista ». Certo, oggi Gianfry è il teorico della cittadinanza bre­ve. Ma quando raccolse l’eredi­tà almirantiana si proponeva come obiettivo «preservare l’identità culturale e razziale dell’Italia» contro un certo «sindacalismo comunista», contro Confindustria e «qual­che prete trafficone».

Intercettazioni. Il governo «non ha preso coscienza delle priorità nell’agenda degli ita­liani, altro che il ddl intercetta­zioni ». Oggi Gianfry è un idolo dei giustizialisti e delle toghe rosse, ma quando con la magi­­stratura ebbero a che fare la ex moglie Daniela Di Sotto e il fe­dele ex portavoce Salvo Sottile nel 2006 il presidente della Ca­mera non fu così leguleio. «Posso capire l’intercettazio­ne di una persona già indaga­ta, ma quando ci sono persone che non c’entrano nulla che hanno solo la colpa di essere mia moglie… È una questione p che riguarda la civiltà di un Pa­ese ». Oggi Fini non è più chia­mato in causa e, quando lo è, fioccano le richieste di archi­viazione dei pm, perciò la rego­l­amentazione delle intercetta­zioni non è più una priorità.
Legge elettorale. «Non c’è pat­to di legislatura se non si ha il coraggio di cancellare una leg­ge elettorale che è una vergo­gna ». Questo è il Fini di Bastia Umbra, ma basta andare indie­tro di cinque anni e si ritrova il vicepremier Fini Gianfranco difenderne la riforma. «La leg­ge elettorale proporzionale ­affermava- è garanzia della di­fesa della sovranità dei cittadi­ni nelle urne perché se cade la maggioranza, si torna subito al voto». L’esatto contrario del semi-ribaltone prospettato al­la convention di Fli.
Personalismo. «Altro che ranco­ri personali. Gli uomini passa­no, le idee restano. Per questo non vi chiederò mai di cantare “Meno male che Gianfranco c’è”». No, il signor Tulliani non fa una politica personali­stica. È contrario al culto della leadership. Anche per questo si è fatto un partito a suo imma­g­ine e somiglianza nel cui sim­bolo più della metà dello spa­zio è occupata dal suo nome.
Regole. «Creare un partito di centrodestra che si caratteriz­zi per un maggiore rispetto del­le regole, delle istituzioni», ha pontificato ieri sul Welt am Sonntag. Certo, un partito co­me An dove tutti i temi erano decisi e stabiliti dal presidente e dove tutti gli «incarichi» dei colonnelli furono azzerati nel 2005 perché sorpresi a critica­re privatamente il gerarca Gianfry.
Sinistra. «Non saremo mai su­balterni alla cultura della sini­stra». Eppure è proprio a sini­stra che ieri Gianfranco ha tro­vato i principali estimatori a cominciare da D’Alema pas­sando per il veltroniano Toni­ni («È un nuovo Lingotto») per finire con Di Pietro che gli chi­e­de di appoggiare una mozione di sfiducia. E pensare che qual­che anno fa bacchettò le inte­merate Udc dicendo che «se una dichiarazione di Casini crea entusiasmo nel centrosi­nistra, forse è sbagliata».
Zattera. «Fli non sarà certo An in piccolo, ma non sarà nem­meno una sorta di zattera del­la Medusa pronta a accogliere naufraghi di ogni stagione. Porte aperte a tutti esclusi affa­risti e carrieristi ». Quando si di­c­e predicar bene e razzolar ma­le. In Parlamento Fli ha accol­to tra i suoi ranghi Giampiero Catone, ex Udc con alle spalle un arresto per associazione a delinquere finalizzata alla truf­fa, mentre tra i consiglieri be­neventani recentemente ar­ruolati ce n’è – a detta della pi­diellina Nunzia De Girolamo­«uno condannato per insol­venza fraudolenta, uno con una serie di rinvii a giudizio e uno che ha illuso un sacco di lavoratori con una fabbrica che era un bluff». Ma, per favo­re, non chiamatela «zattera della Medusa».

FINI, L’EXTRAPARLAMENTARE

Pubblicato il 8 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Da Mirabello a Bastia Umbra: Gianfranco Fini uno e due (presidente della Camera-uno e leader di un partito-due) ha messo pirandellianamente in scena uno spettacolo inedito nella nostra democrazia. Quello della terza carica dello Stato (Fini uno) che sale sul palco di una convention di partitanti stile Prima Repubblica e annuncia via tv e internet che basta, il premier Silvio Berlusconi si deve dimettere: vada dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, apra la crisi per fare un Berlusconi bis che imbarchi l’Udc di Casini e Fli. Di più, sigli un nuovo patto di legislatura alle condizioni dettate dal palco futurista proprio da Fini uno e due (leggi l’articolo).

Già perché la scena è questa: il presidente della Camera (capo di un neo-partito)  chiede al presidente del Consiglio di dimettersi… per di più minacciando l’appoggio esterno. Insomma, una bella crisi extraparlamentare, con uno stile che ricorda i tempi di Dc, Pci, Psi ecc. ecc.

Altro che centralità del Parlamento. Per Fini uno e due, l’extraparlamentare,  è sufficiente un comizio per dare il benservito al premier, al Pdl e alla Lega. Roba da cronache politiche marziane se si considera l’annuncio (anche questo irrituale) che la delegazione dei futuristi al governo ha rimesso nelle mani di Fini uno e due il proprio mandato… Chissà – mi chiedo – cosa stia pensando Giorgio Napolitano sul punto.

Ovvia la risposta di Silvio Berlusconi: io vado avanti, votateci contro in Parlamento. Tradotto in soldoni: Fini uno e due si prenda la responsabilità davanti al Paese della caduta del governo. Altro che crisi extraparlamentare. E, aggiungo io, il Fini uno (presidente della Camera) lasci il posto al Fini due (capo partito) per rispetto del ruolo istituzionale che ricopre e per rispetto di quel Parlamento che lui ha detto a più riprese di rispettare.

L’equivoco (voluto) è durato già troppo a lungo, si dimetta, lascia la comoda terza carica, così sarà libero di fare tutti i comizi che vuole quando e se si andrà al quel voto anticipato che dice di non volere ma di non temere (come se nel Pdl e nella Lega le leadership di Berlusconi e Bossi fossero già tramontate…) potrà dimostrare quanto valgono davvero il Fini due e il Fli. Agli elettori il giudizio.

….Intanto, il primo affondo contro Berlusconi è andato a vuoto. Il tentativo di Fini di dividere i destini del premier da quello di Bossi è naufragato già oggi, quando al termine del colloquio Berlusconi-Bossi entrambi hanno annunciato che si “va avanti”, mostrando così di avere a cuore il messaggio del Capo dello Stato che a sua volta in un comunicato ha richiamato tutti alla necessità di approvare la Finanziaria. Ora Fini l’extraparlamentare se vuole stacchi la spina e raccolga le lacrime del povero Ronchi che suo malgrado dovrà lasciare la poltrona di ministro per non rivederla mai più. g.

FINI: A PERUGIA E’ SBARCATO UN MARZIANO, di Mario Sechi

Pubblicato il 8 novembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

La migliore analisi, la più realistica e anche la più approfondiata, delle incredibili baggianate raccontate ieri da Fini a Perugia, è di Mario Sechi, direttore de Il Tempo di Roma, il giornale che fu di Renato Angiolillo, che da sempre intepreta i sentimenti dei  moderati italiani, in primo luogo quelli di Roma che, prima al MSI, poi ad A.N., infine al PDL, hanno tributato vasti e convinti consensi. Nessuno meglio di Sechi, poteva, come ha fatto, svestire il discorso di Fini delle “belle parole” e indicarne gli oggettivi limiti, anzi la totale vuotezza politica, insieme al disperato ritorno ad un passato della politica, l’unico nel quale Fini riesce a nuotare. Ma questo è il primo, principale limite della svolta finiana, l’uomo che ha sbagliato sempre e dopo avera sbagliato pretende che a pagare siano gli altri,. Questa volta non solo e non tanto Berlusconi, ma l’intero Paese del quale in due ore di discorso Fini ha elencato i mali ma non ha indicato una terapia, anche perchè lui è uno dei medici che, ove tutti i mali elencati fossero veri, sarebbe il primo a dover salire sulla sedia degli imputati per rispondere quanto meno di omissione di soccorso. g.

Gianfranco Fini Gianfranco Fini vuole distruggere il berlusconismo, ma il suo discorso ieri è riuscito a ridargli vita e un senso. Anni fa scrissi che il berlusconismo come fenomeno sociale e politico era pre-esistente a Berlusconi, faceva (e fa) parte del carattere degli italiani. Lui è stato il leader che l’ha meglio interpretato. Il discorso di Fini invece immagina un popolo e un Paese forgiati e cresciuti da Berlusconi, il grande fabbricatore del golem italiano. Fatto fuori lui, il grande seduttore di Arcore, tutto cambia. È un errore di prospettiva storica e di analisi politica che Fini condivide con la sinistra. E questo spiega due fatti: 1. l’incapacità cronica del presidente della Camera di proporsi come successore ideale del Cavaliere; 2. l’inadeguatezza della sinistra a rappresentare un’alternativa di governo credibile.

Questo svarione storico continua a perpetuarsi e nel caso di Fini ad ampliarsi con conseguenze che vanno ben al di là della limitata immaginazione dei futuristi di nome ma non di fatto. Sedici anni al fianco di Berlusconi sono evaporati dalla memoria, ma presto i finiani si renderanno conto che il Paese da loro narrato non esiste; che l’elettorato berlusconiano è una realtà che prescinde dal Cavaliere; che la destra lib-lab è una contraddizione che non sta in piedi; che il conservatorismo è più vivo che mai; che l’Europa – lo spazio geopolitico di riferimento – va in una direzione opposta; che la storia sta frantumando inesorabilmente tutta la mitologia che abbiamo visto sbandierare a Perugia. I limiti culturali e politici di Fini e dei suoi personaggi in cerca d’autore sono emersi con una forza disarmante.

Dopo sedici anni di centrodestra berlusconiano, Fini ha abiurato completamente tutto ciò che è stato e ha rappresentato. È la certificazione del fatto che l’ex segretario del Movimento Sociale, l’erede di Giorgio Almirante, l’ex presidente di An, l’ex cofondatore del Pdl, è un contenitore vuoto in cui può entrare di tutto e si aziona come un juke-box. Non mi era mai capitato di ascoltare un discorso politico così lontano dalla biografia e dalla storia di chi lo pronunciava. Fini scende dal pianeta Marte, alza il sopracciglio e dipinge come un alieno piovuto dall’iperspazio il disastro di un’Italia che lui ha contribuito a creare. Stratosferico. Vederlo affermare il suo primato di uomo nuovo, di padre padrone di un altro centrodestra, di impeccabile rappresentante delle istituzioni, mi ha confermato tutto quel che penso di questa fase della storia italiana: è una tragica barzelletta.

Faccio questo mestiere da ventidue anni, seguo la politica fin da quando ero un ragazzino, ho mosso i primi passi da cronista mentre la Prima Repubblica tirava le cuoia sotto i colpi di una rivoluzione giudiziaria che dava fendenti a senso unico, ho visto nascere la Seconda, piena di speranze, e ora ho di fronte la sua agonia mentre l’idea di una Terza Repubblica non c’è e i presunti leader che si propongono per il futuro sono uomini che vengono dal passato e non brillano di luce propria.

Il discorso di Fini è stato un indietro tutta colossale, una demolizione perfino delle poche conquiste che gli italiani si sono presi sul campo di battaglia della politica. Se diventasse realtà quel che immagina il Presidente della Camera, il voto degli elettori sarebbe una formalità concessa con fastidio. Se andasse in porto questo putsch restauratore avremmo di fronte a noi uno scenario in cui la forza centrifuga della Lega sarebbe tale da spaccare il Paese in due, senza bisogno di fucili e rivoluzioni, basta e avanza il dito medio alzato di Bossi.

Tutta la retorica finiana è un pasticcio politico frutto di letture ben confuse, scarsa conoscenza del Paese reale e una disinvoltura istituzionale ben più grave dei “fatti di mutande” del Cavaliere. Quel che s’è visto ieri a Perugia è un deragliamento politico che in un altro Paese sarebbe tragico ma in Italia è solo ridicolo. Un presidente della Camera che dice al capo del governo di dimettersi e apre una crisi extraparlamentare, un manipolo di ministri che rimette il mandato nelle mani della terza carica dello Stato e non del capo del governo, fanno strame di qualsiasi principio del diritto costituzionale e parlamentare. E questi sarebbero quelli che hanno tuonato contro il “partito proprietario” e il “cesarismo” del Cavaliere. Fini non si è assunto fino in fondo le sue responsabilità politiche: se uno tuona contro il governo di cui fa parte, la logica vuole che sia lui ad aprire la crisi. Dica ai ministri di Futuro e Libertà di lasciare l’esecutivo, la poltrona e l’indennità di carica, faccia cadere Berlusconi in Aula e affronti il voto. Lasci perdere i penultimatum e il tono da statista di carta e si dia invece un po’ di coraggio. Il cerino che ha tentato anche ieri di passare nelle mani di Berlusconi in realtà si sta spegnendo tra le sue dita.

Con buona pace dei sognatori di governi tecnici, alla fine saranno gli elettori a decidere chi governa, a loro spetta il compito di decretare l’uscita di scena di Berlusconi. E saranno sempre loro a decidere chi sarà il capo del governo nel 2013. Fini se ne faccia una ragione, le autoincoronazioni funzionano in salotto, ma il voto è un’altra storia. Se ha buone idee da esporre sullo scaffale della politica, tiri giù la serranda del suo negozietto da baratto di Palazzo e vada sul mercato elettorale. Fini ha offerto a Berlusconi un’occasione unica, è rimasto in mezzo al guado ma è troppo avanti per tornare indietro. Il ponte levatoio s’è già alzato e nel fossato ci sono i coccodrilli. Da questo momento il Cav può giocare carte pesantissime, ma per essere di nuovo vincente deve rimettersi a fare politica e per cominciare dare al partito un volto e una sostanza che non siano quelli degli attuali coordinatori. Sono condizioni minime senza le quali non si gioca in attacco. Berlusconi tenga ben presente che il berlusconismo viene prima di lui e se è vero che non sceglierà mai e poi mai Fini è altrettanto vero che un outsider – come fu il Cavaliere nel 1994 – è sempre dietro la porta della Storia.

In politica la categoria amico/nemico coniata da Carl Schmitt – nonostante quel che ne pensano i parrucconi del regime del politicamente corretto – determina il successo o la sconfitta di un movimento politico. Il discorso di Fini ha restituito un senso al berlusconismo e allungato la vita a Silvio. Se fino a ieri al popolo che ha scelto di esser guidato per sedici anni dal Cavaliere mancava un nemico per assenza tecnica di avversari degni di nota, oggi quel blocco sociale se ne ritrova davanti agli occhi uno per il quale vale la pena andare di nuovo a votare. Mario Sechi, Direttore de Il Tempo, 8 novembre 2010

ALCUNI COMMENTI ALLO SHOO DI FINI

Pubblicato il 7 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Rinviamo a domani un commento più articolato sulle sciocchezze che l’on. Fini ha pronunciato oggi, come al solito senza che nessuno gli possa replicare sul momento.

Nel frattempo pubblichiamo alcuni commenti che esponenti del PDL hanno rilasciato sul discorso dell’ex missino, ormai transitato,  armi, bagagli e famiglia al seguito, dall’altra parte del fiume, cioè a sinistra, a dar man forte a quelli che il potere lo conquistano con i giochi e le congiure di palazzo e poi lo tengono, come accaduto nei “paradisi”  sovietici, con la forza e la violenza.

Il primo commento, laconico e scheitto è stato quello di Berlusconi: SE FINI VUOLE LA CRISI DEL GOVENRO, VOTI  CONTRO IL PARLAMENTO.

A SEGUIRE:

BONDI-CICCHITTO: Fini si e’ assunta una responsabilita’ gravissima

“Il discorso pronunciato oggi da Fini getta alle ortiche con una spregiudicatezza imbarazzante un impegno comune di quasi vent’anni, liquida una parte cospicua del patrimonio della destra italiana, tenta di distruggere alcuni punti fondamentali dell’impianto riformista del governo e risponde con la richiesta di una crisi al buio alla prospettiva positiva indicata dal presidente Berlusconi.

In questo modo Fini si e’ assunto una responsabilita’ gravissima di fronte al Paese e di fronte agli elettori di centro destra. Il governo tuttavia deve tenere fermo il suo impegno nell’interesse del paese”. Lo hanno affermato in una nota congiunta Sandro Bondi, coordinatore del Pdl e Fabrizio Cicchitto capogruppo del Pdl alla Camera

CAPEZZONE: Le dimissioni necessarie sono quelle di Fini

“Le dimissioni che sarebbero necessarie sono quelle di chi, come Gianfranco Fini, usa la terza carica dello Stato per condurre una battaglia di fazione e contraria alla volontà popolare”.

Lo ha dichiarato Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. “E’ incredibile che proprio il Presidente di un ramo del Parlamento proponga una crisi extraparlamentare, oltre che al buio. E questo sarebbe il ’futuro’ di cui parlano i finiani? Roba da preistoria della prima Repubblica”,

O.NAPOLI: Fini voti la sfiducia altrimenti sono solo chiacchiere

“Il presidente della Camera Gianfranco Fini disprezza lo stesso ramo del Parlamento che presiede. Egli crede di essere un segretario di un partito di maggioranza nell’Italia degli anni ’60. Fini sbaglia luogo e tempo. Il governo non sta in piedi a dispetto di Fini.

Berlusconi siede a Palazzo Chigi perche’ li’ lo hanno voluto gli italiani e la sua permanenza e’ legittimata dalla fiducia che ancora il 29 settembre gli e’ stata votata dal Parlamento. Fini faccia sfiduciare il governo in Parlamento e dopo, ma solo dopo, salve le prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato, si vedra’ il da farsi. Fino a quel momento, consideriamo quelle di Fini solo chiacchiere. Chiacchiere senza alcun valore”. Lo ha dichiarato il vicepresidente dei deputati del PdL, Osvaldo Napoli.

MATTEOLI: Berlusconi deve andare avanti

Berlusconi non si dimetta e vada avanti. Vedremo in Parlamento se sui provvedimenti concreti il governo sara’ bocciato”. Cosi’ si e’ espresso il ministro per le infrastrutture, Altero Matteoli. “Il premier non ha alcuna intenzione di aprire una crisi al buio che avrebbe risvolti davvero drammatici per il Paese.

Sta di fatto che non e’ pensabile ci possa essere un altro governo senza la guida di Berlusconi che e’ stato designato largamente dagli elettori. Nel discorso di Fini colpisce molto che egli abbia quasi parlato anche a nome dell’Udc, come se Casini gli avesse dato una delega. Non credo che questa circostanza sia possibile considerato che Casini e l’Udc hanno rischiato presentandosi agli elettori da soli e registrando consensi, mentre Fini e i suoi seguaci sono stati eletti con e nel Pdl e non hanno una legittimazione popolare tutta da verificare in futuro”.

.…L’on. Fini, ha ragione Capezzone, prima di chiedere le dimisisoni altrui, dia le sue, da presidente della Camera, carica alla quale è stato eletto grazie alla “vergognosa” legge elettorale da lui voluta e votata, grazie ai voti ottenuti dal presidente Berlusconi, grazie agli elettori italiani che hanno votato PDL perchè affascinati dall’idea di un unico, grande partito di centro destra. Fini non vuole stare più a destra, o scopre ora che destra e sinistra non esistono più (ma  D’Alema, Bersani, Vendola, etce, etc, non la pensa così), bene se ne vada dove vuole, ma non tenti di interpretare i sentimenti degli italiani di centro destra: anzi, uno lo interpreti pure, è il disprezzo per il suo tradimento. g.

STING E STEVEN MERCURIO IN CONCERTO A ROMA

Pubblicato il 6 novembre, 2010 in Il territorio, Musica | No Comments »

Steven Mercurio, noto direttore d’orchestra italo-americano di musica lirica e sinfonica, insieme a Sting, da decenni celebrata  pop star della musica leggera.

E’ stata la novità musicale dell’anno che ha raccolto successi eccezionali durante tutta la tournee che sinora ha toccato 80,  fra città americane ed europee,  e che mercoledì sera, 10 novembre, farà tappa a Roma, l’ultima italiana,  all’Auditorium del  Parco della Musica.

La tournee è stata l’occasione per  Sting, per presentare il suo ultimo album, Symphonicities, inciso con accompagnamento dei musicisti della Royal Philharmonic Concert Orchestra diretti da Steven Mercurio.

Anche mercoledì sera, alla  bacchetta di Steven Mercurio  risponderanno Jorge Calandrelli, David Hartley, Michel Legrand, Rob Mathes, Vince Mendoza, Bill Ross, Robert Sadin e Nicola Tescari. Sting sarà accompagnato anche da un quartetto composto da Dominic Miller (suo chitarrista da lungo tempo), David Cossin (specialista in diverse percussioni in campo di musica sperimentale, oltre che membro della Bang on a Can All-Stars), Jo Lawry (voce) e Ira Coleman (basso). Il vantaggio di guardare al passato è quello di puntare su brani che hanno fatto la storia della musica pop-rock.
E l’applauso del pubblico è assicurato. Specialmente quando si mette mano a un repertorio ricco come quello di Sting. Si possono allora prevedere cori insolenti per la sala Santa Cecilia che accompagneranno le arcinote melodie di «Roxanne», «Next To You», «Every Little Thing She Does Is Magic», «Every Breath You Take», oltre naturalmente ai brani più famosi della carriera solista, «Englishman in New York», «Fragile», «Russians», «If I Ever Lose My Faith in You», «Fields of Gold», «Desert Rose», «I Burn for You», «Why Should I Cry for You» e «She’s Too Good For Me».