Il governo di centro sinistra ha annunciato l’impegno a produrre un disegno di legge sulle unioni civili, riconfermando il carattere ipocrita di iniziative che puntano in modo esclusivo ad accreditare una forma alternativa di famiglia. Gli esponenti del governo e dei partiti che lo sostengono asseriscono che si affronterà il tema dei diritti individuali e che la famiglia resterà una sola, quella tradizionale, che alcuno desidera porre in pericolo. Si tratta di menzogne.
È insensato discutere di diritti individuali di soggetti ai quali viene riconosciuto uno stato di coppia e non solo di diritti che hanno uno spiccato carattere pubblico, come quelli inerenti i temi previdenziali ed assistenziali. La constatazione è talmente immediata da far temere che chi espone siffatte argomentazioni abbia un discutibile rispetto per la vera famiglia e, direi, un non apprezzamento per gli uditori.
È evidente che, quali che siano le regole da introdurre in quel disegno di legge, il tutto andrà a rappresentare una legislazione parallela a quella del diritto di famiglia, che rischierebbe di divenire, come nell’istituto del matrimonio, un istituto relativo. Coloro che favoriscono le coppie di fatto, etereo o omosessuali, soventemente asseriscono anche che riconoscere queste unioni non cagionerà nessun danno alla famiglia. Anche questa è una, non si sa quanto irresponsabile, menzogna. La famiglia eterosessuale, fondata sul matrimonio, diviene inesorabilmente un fenomeno relativo: uno dei tanti fenomeni sociali, una delle diverse forme di accoppiamento. Il passo che si vuol fare verso la completa equiparazione dei diritti tra coppie di fatto e quelle sposate è corto. Avrebbe, in aggiunta, qualche possibilità di essere resa vincolante dalla stessa Costituzione. D'altra parte di doveri nell’ambito delle coppie di fatto, ancora si parla ben poco. È come se si volesse dare un riconoscimento pubblico ad uno stato del tutto momentaneo e nell’immediato revocabile in forma privata. Le ipocrisie e le contraddizioni, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. Giuseppe Paccione, 18 dicembre 2006