Archivi per aprile, 2010

UNGHERIA: STRAVINCONO I CONSERVATORI

Pubblicato il 26 aprile, 2010 in Politica estera | No Comments »

I conservatori dell’ex premier Viktor Orban vincono le elezioni in Ungheria e conquistano due terzi del Parlamento. Il partito Fidesz (giovani democratici) segna così un record senza precedenti nella storia del Paese dal 1989: «È una rivoluzione democratica, abbiamo rovesciato un regime», ha esultato Orban, che torna al potere dopo otto anni di governi socialisti fallimentari. Al primo turno dell’11 aprile il partito aveva ottenuto il 52,7%, un record assoluto, e col secondo turno ottiene 263 seggi su 386 .

Orban, leader carismatico , è stato già primo ministro fra il 1998 e il 2002 e ora, con un consenso di queste proporzioni, potrà realizzare quelle grandi riforme promesse in campagna elettorale: modifica delle leggi sulla radiotelevisione, sulla doppia cittadinanza (estensione del diritto di voto ai tre milioni di ungheresi oltrefrontiera), e riforma della pubblica amministrazione, con taglio del numero dei deputati e dei consiglieri regionali e comunali. Inoltre, il premier neo eletto potrà designare un nuovo capo dello Stato, quando a luglio scadrà il mandato dell’attuale presidente della Repubblica, Laszlo Solyom.

…….Nell’ottobre del 2006 ricorreva il cinquantenario della Rivoluzione di Budapest del 1956 , durante la quale migliaia e migliaia di giovani, sopratutto di giovani, sacrificarono la loro giovinezza per rivendicare libertà e democrazia. Al governo ungherese, nel 2006,  c’erano i socialisti, cioè gli eredi camuffati di coloro che avevano contribuito a soffocare nel sangue nel 1956  la rivolta contro i sovietici i cui carri armati invasero Budapest e la piegarono dopo giorni di strenua resistenza alla resa che tra l’altro costò la vita al primo ministro Imre Nagy, riabilitato dopo il 1989 e la rivoluzione di velluto che precedette di poco la caduta del muro di Berlino.  Proprio gli ex comunisti gestirono le manifestazioni di rievocazione di quella straordinaria pagina di libertà. Chi, come chi scrive, era in quei giorni a Budapest, avvertiva chiaramente la falsità delle manifestazioni oerganizzate dal regime, con il Parlamento, intorno al quale iniziò la rivolta, interdetto a chiunque avesse voluto andarvi a deporre fiori sulla lapide (nella foto)  che ricorda il sacrificio degli studenti ungheresi e sostare dinanzi alla fiaccola che arde  perennemente per testimonaire la riconoscenza del popolo magiaro verso gli Eroi del 1956. Nel giorno della rivolta , il 26 ottobre,   il regime costrinse  il partito conservatore ed il suo leader, Vihtor ORBAN,  a relegare la controcelebrazione della ricorrenza in una piazza angusta, letteralmente circondata dalla polizia in assetto di guerra. Chi scrive, dinanzi a quello spettacolo, si chiedeva, senza potersi dare risposta,  come aveva potuto il popolo magiaro riaffidarsi agli eredi, neppure pentiti, di chi li aveva costretti alla schiavitù sovietica. Quattro anni dopo ci ha pensato lo stesso popolo d’Ungheria a rispondere  con un voto plebiscitario che  haa riportato i conservatori, anzi, gli anticomunisti al governo nazionale. Non ne possiamo essere più felici. g.

L’ANNUNZIATORE

Pubblicato il 26 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Gianfranco Fini e Lucia Annunziata L’Annunziatone è arrivato. Urbi et orbi Gianfranco Fini ha annunciato in diretta televisiva che «la destra sono io». Punto. Lucia Annunziata «In mezz’ora» ha realizzato il suo scoop e Rai Tre ha avviato la sua mutazione genetica da TeleKabul a TeleGianfry. Il presidente della Camera ha iniziato la sua campagna berlusconiana sul piccolo schermo. Ha fatto professione di «lealtà» ma un secondo dopo ha spiegato che non deve esser scambiata per «acquiescenza», ha detto che «abbiamo tre anni di legislatura davanti per fare le riforme» e che «parlare di elezioni è da irresponsabili». Questo passaggio ha confermato la sua paura del voto e fin qui siamo nel copione previsto. Ciò che è nuovo e interessante sul piano politico è il discorso «doroteo» di Fini. Un ragionamento in apparenza da democristiano di centro, moderato, lontano dalla sinistra.

Fateci caso: durante l’intervista con l’Annunziata – giornalista che stimo – non una volta Fini ha toccato gli argomenti che hanno contribuito in maniera determinante a creare il patatrac nel Pdl. Tanto per citarne qualcuno, cittadinanza e voto agli immigrati sono spariti, il tema della tutela della vita, dell’aborto e il diritto della Chiesa a dire la sua sui temi etici sono eclissati. Niente. Fini s’è presentato in televisione con l’abito grigio della terza carica dello Stato e il sorriso beffardo di chi sta covando qualcosa. Utilizzando la storia della Balena Bianca, possiamo dire che Gianfranco ha interpretato il ruolo del Mariano Rumor che cercava di recuperare i consensi persi a causa dello sbilanciamento della Dc a sinistra. Così è per Fini: lui è la destra e non può che presentarsi così se vuole ripescare se stesso dal limbo in cui s’è cacciato. Destra e Sud sono le due parole che ho segnato nel mio taccuino di cronista mentre parlava. E quando scrivevo Sud pensavo, per opposizione, al Nord e a Giulio Tremonti. Il discorso finiano sottotraccia (e neanche tanto sotto) era una rasoiata continua alla riforma federale della Lega e all’asse con Giulietto.
Fini ha chiesto di incontrare Bossi anche per provare a fare il gioco del blocco su Tremonti. Gianfranco non vuole le elezioni, ne ha una fifa blu, perché il suo obiettivo è di medio periodo e per coglierlo è necessario sopravvivere, arrivare al 2013 in piedi e tagliare la strada ai piani tremontiani per la successione a Palazzo Chigi nel caso in cui Silvio punti al Quirinale. Tutto questo sarebbe legittimo se il Pdl fosse un partito organizzato in correnti e Fini non rivestisse la non trascurabile carica di arbitro di Montecitorio. Il partitone che guida il governo però nello statuto esclude le correnti e durante la direzione in Rugantino style ha ribadito il concetto in un documento ufficiale; il presidente della Camera rivendica un ruolo politico ma trascura il fatto che Sandro Pertini e Amintore Fanfani – non proprio due piccoli calibri della nostra storia politica – una volta saliti sullo scranno di Montecitorio sciolsero le loro due correnti di partito. Lo statista Fini – tale si ritiene, a giudicare dal tono e dalla posizione che assume quando parla – invece lavora alla costituzione di una corrente organizzata dentro il partito. Domani Fini vedrà i suoi fedelissimi e in serata andrà a ribadire la sua nell’altro «salotto intelligente» di Rai Tre, il «Ballarò» di Giovanni Floris, completando un filotto che passerà per un incontro – toh! i casi della vita – con Luca Cordero di Montezemolo, uscito dal garage della Fiat e iscritto di diritto tra le «riserve della Repubblica» (e di Repubblica), il serbatoio dove l’establishment pesca quando la situazione precipita, non si vuol votare e si mettono in piedi governicchi. Fini s’è tenuto a lunghissima distanza dalla nitroglicerina ideologica che in questi mesi ha affastellato contro Silvio. Gianfranco non ha alcun interesse ad accendere la miccia in questo momento. Se tocca la polvere da sparo, salta dentro il bunker che ha costruito.
Sul brevissimo periodo sa di essere perdente. Ha evocato ogni spettro possibile tutte le volte che dalle labbra gli affiorava la parola «elezioni». E s’è premurato di porre all’orizzonte il tesseramento e il congresso del partito. Anche in questo caso sa di non poter ribaltare la situazione: è stato lui a spiegare che la quota di spartizione tra An e Forza Italia (30 a 70) dopo la direzione è saltata (a suo sfavore) ma questo gli farà guadagnare tempo per organizzarsi al meglio e lanciare un’offensiva, sempre di minoranza, ma più efficace e insidiosa. Se Fini rinunciasse alla carica istituzionale che ricopre, questa strategia avrebbe ragione e nobiltà politica. Ma vestire la maglia dell’arbitro e pretendere di indossare anche quella dell’attaccante è imbarazzante. Repubblica, come previsto, ha cominciato a incensare Fini. Visti gli illustri precedenti di geni della politica adottati dal giornale-partito e poi finiti in cantina, al suo posto mi preoccuperei. Fini sente di rappresentare la vera destra? Faccia un giro non edulcorato nelle sezioni del suo ex partito, Alleanza nazionale. Allora s’accorgerà che quel pubblico dalla tribuna non applaude. Fischia. Mario Sechi, IL TEMPO

25 APRILE: UNA CELEBRAZIONE AL DI SOPRA DELLE PARTI

Pubblicato il 25 aprile, 2010 in Il territorio | No Comments »

Ricorre oggi il 25 aprile, anniversario della fine della guerra civile che per 20 mesi, tra il 1943 e il 1945, insanguinò il nostro Paese, sacrificando migliaia di govani vite, dell’una e dell’altra parte. Molti non caddero sul campo di battaglia, molti furono vittime della ferocia  e delle reciproche vendette che le guerre fratricide provocano più che le guerre tra nemici. Durante gli anni che sono trascorsi da allora, ormai 65, sono state pubblicate le lettere toccanti e commoventi che le vittime di tanta fratricida ferocia scrissero nell’immediata vigilia della morte. Desideriamo pubblicarne due, una di un Caduto delle formazioni partigiane  e una di un Caduto della RSI, perchè testimoniano che entrambi caddero avendo sulle labbra e nel cuore il nome d’Italia e perchè riteniamo, così,  di celebrare la ricorrenza non rievocando le ragioni dell’odio ma auspicando le ragioni della riconciliazione nazionale.

GUIDO MARI di Milano , soldato  della RSI

è studente universitario quando nel ‘44 viene chiamato alle armi. nella RSI. Nell’aprile del ‘45 si trova col suo reparto a Milano. Il giorno 25 fa parte della colonna che a Nerviano viene bloccata dai partigiani. Vengono tutti portati  davanti a un tribunale del popolo e  tutti sono condannati a morte. Portati davanti alle mura del cimitero, una folla vi si raccoglie ed osserva i condannati che si confessano serenamente dal parroco del luogo accorso in fretta. Dopo la confessione, i condannati consegnano al sacerdote oggetti personali e affidano i saluti per le loro famiglie. Guido Mari, che è un semplice soldato e non ufficiale, non trova grazia. La sua straordinaria fedeltà gli è costata la vita.

Al sacerdote che l’ha assistito ha consegnato questa lettera:

Miei cari,

muoio senza rimpianti, perché so di avere la coscienza pulita e so di avere compiuto il mio dovere verso la Patria.

Mai come ora sento di amarvi e vi sento vicini. Non piangete troppo su di me e ricordatemi sempre nelle vostre preghiere.

So di aver sempre fatto il mio dovere di figlio e di avervi sempre amato con tutto me stesso, anche se forse non ve l’ho saputo sempre dimostrare.

Perdonatemi se qualche dolore vi ho dato. Iddio vi protegga e vi dia la forza di sopportare questo grande dolore.

Che il mio sangue frutti almeno qualcosa di buono per l’Italia che tanto ho amato Vi abbraccio e vi bacio forte forte.

Viva l’Italia.

Guido

ACHILLE BARILATTI  di Gilberto della Valle, partigiano del CVL

Di anni 22 – studente in scienze economiche e commerciali – nato a Macerata il 16 settembre 1921 -. Tenente di complemento di Artiglieria, dopo l’8 settembre 1943 raggiunge Vestignano sulle alture maceratesi, dove nei successivi mesi si vanno organizzando formazioni partigiane – dal Gruppo ” Patrioti Nicolò ” è designato comandante del distaccamento di Montalto -. Catturato all’alba del 22 marzo 1944, nel corso di un rastrellamento effettuato da tedeschi e fascisti nella zona di Montalto – mentre 26 dei suoi sono fucilati immediatamente sul posto e 5 vengono salvati grazie al suo intervento, egli viene trasportato a Muccia (Macerata) ed interrogato da un ufficiale tedesco ed uno fascista -. Fucilato senza processo alle ore 18,25 del 23 marzo I944, contro la cinta del cimitero di Muccía.  Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Mamma adorata,

quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilato per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l’Italia sarà di nuovo grande. Da Dita Marasli di Atene potrai avere i particolari sui miei ultimi giorni.

Addio Mamma, addio Papà, addio Marisa e tutti i miei cari; muoio per l’Italia. Ricordatevi della donna di cui sopra che tanto ho amata. Ci rivedremo nella gloria celeste.

Viva l’Italia libera!

Achille

LA SOLITA STORIA: FINI, UN LEADER SEMPRE FUORI TEMPO, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 24 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Non ho voglia di infierire su Gianfranco Fini che ha scelto di aprirsi uno studio di libero professionista in pieno centro, alla Camera, offrendo supporto e consulenza agli avversari del governo. Ho un rispetto antico e insopprimibile per i perdenti, anche se faccio più fatica a conservare il medesimo rispetto verso chi ha calpestato le ragioni dei vinti. Fini fu commissario liquidatore dell’Msi, poi della destra e di Alleanza nazionale, infine di se stesso, almeno dentro il centrodestra. Di lui si ricordano più gli affondamenti che le fondazioni, più le bandiere che stracciò che le bandiere innalzate.
Tu ce l’hai con Fini, ripeteva qualcuno fino a ieri; ma era un giudizio politico e umano, il mio, non un fatto personale; frutto di conoscenza ed esperienza. Semmai ho scontato gli effetti personali di quel giudizio. È normale che poi lui si regolasse di conseguenza e cercasse di chiudere gli spazi a chi la pensava diversamente da lui. Dico normale dal suo punto di vista, conoscendo la sua indole. Chi ha ucciso prima la libertà di critica intorno al suo partito, poi dentro il suo partito, infine ha suicidato il partito stesso, dopo avere ucciso il precedente, non ha ora i titoli per invocare contro Berlusconi la libertà di dissenso. Chi giudicava metastasi il dissenso interno ed esterno al suo partito, non può poi lamentarsi di vedere applicato il suo giudizio contro di lui. Chi ha votato e sostenuto una legge elettorale per nominare i parlamentari dall’alto, anziché lasciarlo fare ai cittadini, per soffocare sul nascere il dissenso, ora non può lamentarsi. La carriera politica di Fini nacque all’insegna del parricidio e così continuò, collezionando uccisioni simboliche di coloro a cui doveva gratitudine. Fini non è stato ostracizzato ma storacizzato, subisce quel che lui ha fatto agli Storace di turno, ma anche ai Gasparri, alle Poli, ai Musumeci, ai Bontempo e tanti altri.
Ma provo a mettermi nei panni di Fini medesimo e del suo dissenso. Fini ha sbagliato tempi e modi per venire allo scoperto. Ha sbagliato i tempi perché il suo dissenso è avvenuto troppo tardi o troppo presto. Fini avrebbe dovuto far pesare il suo ruolo di leader della destra quando aveva ancora una destra alle spalle e quando si era formato il primo governo Berlusconi. Aveva allora due possibilità: o restare alla guida del suo partito e tentare di farlo crescere mentre Berlusconi era al governo, o assumere allora la carica di presidente della Camera, al posto di Casini, e ottenere così piena legittimazione politica e insieme presentarsi come autonomo, indipendente da Berlusconi.
All’epoca quando decise di entrare nel governo, senza portafoglio, assumendo il ruolo di vicepremier che Tatarella aveva saputo usare con maestria di regista consumato, io suggerii una cosa all’apparenza stravagante: assuma almeno un ministero all’apparenza marginale ma centrale per l’Italia, rifondi il ministero per la Famiglia e lo carichi di tutto il peso e il significato che poteva dare lui, da leader e numero due dell’alleanza. Promuova leggi e interventi a tutela della famiglia italiana, e cresca lì nel cuore del nostro Paese. Chi parla alla famiglia dalla Casa delle libertà assume un peso formidabile.
Invece per anni Fini restò al fianco di Berlusconi come inerte guardaspalle, lasciò marcire il suo partito, non differenziò le posizioni della destra da quelle di Forza Italia, non bilanciò la posizione della Lega. Preferì la vita sommersa, fu subacqueo anche al governo. Compì solo qualche sciagurata emersione, qualche dannosa ripicca, come la cacciata di Tremonti dal governo, ma non si avvertì la sua presenza al governo, salvo l’appendice in verità un po’ sbiadita agli Esteri, che fu apprezzata forse in Israele ma non in Italia. Intanto visse con crescente fastidio il suo stesso partito, fino a considerarlo una palla al piede per la sua crescita personale.

Ora che Berlusconi governa con un pieno mandato popolare, e ha superato anche la prova delle amministrative, ora che ha tre anni di governo davanti, Fini esce fuori luogo e fuori tempo con questa sparata. A me pare insensato, altro che intelligente, finire a rappresentare neanche il dieci per cento del partito dal trenta che aveva prima. Ma i leaderini di sinistra lo incoraggiano a continuare nel ruolo di spina nel fianco. E ci credo, dal loro punto di vista… Ma i tempi sono sbagliati. O si manifestava allora, non rimarcando il dissenso ma la diversità e l’autonomia, o doveva aver pazienza di aspettare la conclusione del ciclo di governo per svettare al tempo giusto. Allora avrebbe potuto presentarsi come l’erede di Berlusconi.
Ma la verità è un’altra: lui alla guida del governo non ci vuole andare, si lavora troppo e sa di non avere i numeri per farlo. Allora gioca la partita del Quirinale, più adatta a un oratore come lui. E al Quirinale il suo concorrente più tosto è appunto Berlusconi. Da qui la mossa contro di lui e la sua guerra plateale. Ma se permetti, Fini, questa è una partita tua personale, non ci sono contenuti, progetti e idee ma c’è solo la tua carriera, non puoi coinvolgere un mondo e un partito. Che difatti sei pronto a svendere all’avversario pur di salire sul Colle. Ricordo per la storia che sulla battaglia per il Quirinale s’infranse il Caf, l’alleanza tra Andreotti e Craxi.
Oltre i tempi, dicevo, sono sbagliati i modi. In tutti questi anni di dissenso, prima strisciante (dagli embrioni congelati in giù) e poi manifesto, Fini non ha contestato Berlusconi nel nome e per conto dei suoi elettori, ma assumendo posizioni diverse se non contrarie a chi lo aveva votato. I serbatoi da cui aveva preso voti erano due: missini e democristiani. È riuscito a scontentare entrambi. Capisco l’idea di chiudere con il passato ma Fini è riuscito a chiudere anche con il presente; non ha chiuso solo con il neofascismo e nemmeno solo con la destra ma con una larga fetta dell’elettorato cattolico, moderato, antisinistra. Lasciando alla Lega un campo immenso. Così scrivevo quasi in solitudine già nel millennio scorso, ai primi accenni di questa sciagurata strategia (l’Elefantino fu il primo effetto maldestro). Oggi quella strategia è scoppiata e Fini è veramente approdato nella terra di nessuno. O se preferite, nell’isola dei famosi, dove già ci sono Follini, Casini, Rutelli, forse Montezemolo, e non so chi altri. Qui finisce la Ventura.

…da Il Giornale del 24.4.2010

FINI: IL CAMALLO CHE NON MUGUGNA

Pubblicato il 23 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

L’avevamo detto, l’altro ieri, che il “meglio” doveva ancora venire e così è stato. Purtroppo non il meglio, ma il peggio. Nemmeno l’on. Bocchino,  sarebbe riuscito ad essere altrettanto maldestro e altrettanto cattivo quanto lo è stato l’on. Fini che ieri ha smesso i panni dell’equilibrista per indossare quelli del gladiatore, scendendo nell’arena della polemica all’interno del PDL, con una una virulenza che meritava ben altri scenari e ben altri contradditori. Perchè Fini, che da mesi è assai tenero, quasi affettuoso,  quando interloquisce con gli avversari, anzi, diciamolo papale, papale, con i nemici del PDL e del centro destra, anzi della Destra, ieri ha usato nei confronti dei suoi stessi “commilitanti” toni, gesti, linguaggi che di solito si usano nei confronti degli avversari, anzi, ripetiamolo, nei confronti dei nemici. A vederlo,  a sentirlo, e poi ancora a vederlo,  mentre inveiva contro Berlusconi, gli agitava contro l’indice accusatore, gli chiedeva arrogante e provocatore se  volesse “cacciarlo” dal partito, il partito che qualche settimana prima,  in piena campagna elettorale, aveva detto di “non piacergli” fornendo armi al nemico, che alla vigilia del voto aveva abbandonato, accampando come pretesto la terzietà della carica rivestita,  come fanno i disertori fuggendo dalla trincea per viltà, o, peggio, per connivenza con il nemico, quel partito che si è salvato solo perchè il “capo” è rimasto in prima linea, sulla linea delle pallottole,  per dare l’esempio alla truppa, come sanno fare i grandi generali, a sentirlo e a vederlo,  quel  Fini mostrava tutti i suoi limiti e la sue debolezze. Prima fa tutte la ingratitudine mescolata  alla doppiezza, che ieri  tentava  ipocritamente di nascondere dietro strumentali dichiarazioni di lealtà che anticipavano solo fiumi di accuse a Berlusconi e al PDL che al più provano quanto di argilla siano le ragioni del dissenso di Fini. Che non sono politiche, ma solo personali, di rivendicazioni che hanno sapore di prima repubblica, come di prima repubblica sono stati i metodi e i riti che Fini ha messo in campo prima, durante, e forse, anche dopo la riunione di ieri della direzione del PDL. Dove vuole andare Fini, ci si chiedeva nei mesi scorsi, sino a ieri, senza che nessuno sapesse dare una risposta, forse perchè nemmeno lui lo sa. La stessa domanda ci si pone anche dopo ieri, perchè ancora non lo ha detto, forse perchè davvero non lo sa. Quel che si sa è che nel PDL Fini conta poco, e che Berlusconi,  rotti i ponti della diplomazia che sinora aveva in qualche modo evitato le collisioni più violente,  non farà sconti consapevole che ogni ulteriore sconto fatto a Fini è un passo indietro sulla strada della riforma delle Istituzioni e dello Stato contro le quali si muove Fini per motivi che attengono alle sue ambizioni e ai suoi obiettivi, sul cui altare è pronto sacrificare anche la faccia. Lo ha fatto anche oggi, dichiarando, in materia di riforma istituzionale, che l’unico sistema elettorale che gli va a genio “perchè adatto all’Italia è l’uninominale”, cioè il sistema che varato nel 1994  fu abrogato nel 2006. E chi ne volle l’abrogazione contro la volontà di Berlusosconi nel 2006? Fini, di concerto con Casini, insieme al quale impose in quella tornata elettorale,  perduta dal centro destra per soli 24 mila voti, il famoso “tridente”. Ebbene, se si fosse votato nel 2006 con il sistema uninominale, contro il quale alzarono barricate Fini e Casini, il centrodestra avrebbe vinto le elezioni politiche e non ci sarebbe stata la nefasta parentesi di Prodi. Del resto,  tutte le scelte che Fini ha fatto dopo il 1994 per prendere le distanze dal suo “benefattore” politico (ma Berlusconi è stato solo l’ultimo)  e magari surclassarlo,  si sono rivelate sempre infelici e improduttive. Sarà così anche questa volta. E rischia per lui di essere l’ultima. E noi saremo gli ultimi a dolercene. g.

IL DIRITTO AL “MUGUGNO” DEL “CAMALLO” FINI

Pubblicato il 21 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

“Chiederemo a Berlusconi che ci conceda il diritto al dissenso, altrimenti questo sarebbe il partito del predellino”. Così, stando alle cronache giornalistiche, avrebbe argomentato l’on. Fini, ieri, alla riunione dei “finiani”. Proprio così, i “finiani”, come un tempo si diceva i ” morotei”, i “demitiani”, i “fanfaniani”, i “craxiani”, etc. etc. Insomma la prima repubblica è morta ma quanto al lessico…viva la prima repubblica con  Fini che ne rinverdisce i riti e i metodi. I metodi, appunto. Fini, cofondatore del PDL,  come si affannava a sottolineare il ministro Ronchi l’altra sera da Vespa, ha chiamato presso di sè “gli amici” (non i camerati, per carità) per fondare la “sua” corrente all’interno di quello stesso partito di cui egli sarebbe stato il “cofondatore”.Intanto, non più  un altro partito, come i più esagitati dei “finiani” avevano chiaramente minacciato, anche in TV, per bocca, pardon, per lingua  di Bocchino e di Urso, neppure più gruppi autonomi alla Camera e al Senato, come aveva minacciato lo stesso Fini nel corso del burrascoso colloquio di giovedì scorso con Berlusconi, ma solo una corrente, a cui avrebbero aderito circa 50 parlamentari ex AN, cioè un terzo dei 140   parlamentari eletti in virtù del famoso 70/30 tra ex F.I.  ex A.N. nel 2008. Pochini, in verità, anche se in numero sufficiente sulla carta per mettere alle corde il governo e la maggioranza, sulla carta…perchè a passare dalla carta alla penna ce ne vorrà e allora si vedrebbe che in verità ben pochi di quei cinquanta,  che hanno sottoscritto un documento, “confuso ed annacquato”, più per non dispiacere troppo il povero Fini che per predisposizione al suicidio politico, sarebbero disponibili ad andare oltre, cioè a seguire Fini nè nella formazione di gruppi autonomi in Parlamento, nè tanto meno ad una scissione per andare incontro all’ignoto. Insomma un bel pasticcio quello in cui si è ficcato Fini il quale dopo aver tanto tuonato, alla fine, dopo aver  aver ricordato  con Ezra Paund (dedicandolo evidentemente a se stesso) che “chi non sa combattere per le sue idee, o non vale niente lui, o non valgono nulla le sue idee”, ha chiesto a Berlusconi di concedere….il diritto al dissenso. Se non l’avessero riportato tutti, ma proprio tutti i giornali, di ogni tendenza, non ci avremmno creduto. Insomma, l’on. Fini sarebbe montato su tutte le furie, avrebbe fatto aggredire in TV da parte di Bocchino e Urso il suo vicepresidente della Camera on. Lupi, si sarebbe messo a telefonare, lui che sembra un Budda che cammina, altero e algido, ai parlamentari ex AN per indurli a seguirlo, lui che così facendo  ha indotto altri 75 parlamentari ex AN a prendere formalmente le distanze da lui, lui che da due anni a questa parte non fa altro che dissentire da Berlusconi, raccogliendo, manco a dirlo, elogi ed applausi a sinistra e all’estrema sinistra, lui che dinanzi alle preannunciate farneticanti dicharazioni di tal Spatuzza, assassino reo confesso anche dello sciogliento nell’acido di un bambino,  non si è risparmiato un “fuori onda” a dir poco squallido,  lui che ogni giorno che Dio manda sulla terra non ci risparmia il suo eloquio vaniloquente su tutto e il contrario di tutto, lui vorrebbe far credere, ma solo dopo aver constatato di aver imboccato una strada senza uscite , vorrebbe far credere che (quasi)  tutto si aggiusta purchè Berlusconi gli riconosca il diritto a parlare, anzi al dissenso? Ma via. Sarebbe bastato ricordare a Berlusconi un eclatante precedente storico-politico. Mussolini, che era Mussolini,  vigente il reazionario divieto di sciopero, concesse   ai “camalli” del porto di Genova, storica compagnia di lavoratori portuali ora estinta, il “diritto al mugugno”. Vuoi che Berlusconi, richiamatogli tanto precedente, e per il “piacere”  di essere “accostato” a Mussolini,  non lo avrebbe concesso immediatamente a Fini?  Sicuramente,e così  Fini, se fosse vera la storiella del “diritto al dissenso”, e non lo è,  si sarebbe risparmiata l’ennesima giravolta che è la sua specialità e  per la quale rischia di essere ricordato,  più che per le presunte doti politiche e di statista (attributegli dal solito Ronchi) che anche in questa occasione hanno avuto difficoltà ad emergere. Ma il meglio, ne siamo certi, lo vedremo nelle prossime ore. g.

FINI SE NE VA? BUON VIAGGIO

Pubblicato il 16 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Se ne andrà davvero Fini dal PDL, seguito da un manipolo di volontari della “bella morte”? C’è chi, come i direttori del Giornale, Feltri, e di Libero, Belpietro,  non nascondono nè la certezza dell’avvenimento, nè la gioia che si verifichi; ci sono invece i dubbiosi, quelli che  invece scommettono che alla fine Fini rimarrà e i volontari della “bella morte”, non quella vera, quella che toccò a ben altri Volontari nelle “radiose giornate” di un altro Aprile, quello del 1945, non saranno costretti all’estremo “sacrificio”  (perdere la medaglietta e il relativo lauto stipendio) per un capo cui  la sorte, solo la sorte,  ha assegnato un ruolo ben al di sopra delle sue capacità. Sia come sia, che Fini se ne vada, o che Fini rimanga, la spaccatura,  e i guasti che essa ha provocato e ancor più potrà provocare nel futuro, rimane tutta. Del resto l’ennesimo scontro che si è consumato nelle ultime ore tra Berlusconi e Fini è la conseguenza di mesi di polemiche più o meno note fra i due co-fondatori del PDL, con un Fini sempre più corrucciato nel ruolo di comparsa che egli stesso si è ritagliato, sia pure nella dorata posizione di terza carica dello Stato, che, è bene ricordarlo,  mai nessuno gli avrebbe pronosticato pochi anni addietro. Corrucciato e sempre più preoccupato che gli eventi lo superino e lo restituiscano nelle nebbie della sua Bologna, nonostante la “superiorità” di cui si sente investito rispetto a tutti e sopratutto rispetto a quel Berlusconi, “eterno fanciullo”, lui che è invece un “precoce vecchio” secondo la definizione che ne ha dato Alessandro Meluzzo, psicoterapeuta che sui due ha condotto uno specifico studio approfondito. Le prossime ore e i prossimi giorni diranno cosa accadrà davvero ma una cosa è certa: Fini ha perso una buona occasione per prendere atto che la sua “fuga” alle elezioni regionali dello scorso marzo non ha provocato la sconfitta del centro destra, anzi il centrodestra, comunque configurato, ha vinto un duro scontro contro i suoi avversari e in primo luogo Berlusconi ha raccolto il premio della vittoria non solo perchè vincitore ma perchè caparbiamente convinto delle sue ragioni. Questo successo,  tanto più significativo quanto più da tanti considerato impossibile,  ha messo il centro destra italiano, per la prima volta nel dopoguerra, nelle condizioni di modificare strutturalmente il Paese, di promuoverne in maniera sostanziale il rinnovamento, di dotarlo di strumenti istituzionali al passo con i tempi, di porre fine alla egemonia culturale della sinistra che ha occupato ogni spazio della società italiana, corrodendola come un cancro e sfinendola. E’ questa la grande sfida che attende il centro destra nell’immediato, non coglierla sarebbe non solo un errore, sarebbe un delitto, tanto più se a ciò dovessero costringerlo non le opposizioni ma le miserabili mene personali dell’on. Fini che a  vorrebbe anteporle agli interessi nazionali. Per questo, se Fini se ne va….buon viaggio. g.

I PRETI PEDOFILI SONO SOLO UN PRETESTO, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 13 aprile, 2010 in Costume | No Comments »

La pedofilia di alcuni preti c’entra niente. Ogni occasione è buona. Benedetto XVI è insidiato dal «chiacchiericcio», cioè dall’opinion. Scritta nella lingua dei Lumi, alla francese, l’opinione pubblica è quel pensiero unico che tutto intende omologare nelle magnifiche sorti e progressive di un tempo dominato dalla Ragione: intesa come brutale strumento di scristianizzazione e di critica corrosiva, distruttiva della religione e del suo basamento, la fede nella trascendenza e nel mistero. Ecrasez l’infâme! era il grido di guerra di Voltaire.

Il pericolo massimo, da scongiurare con le buone o con le cattive, è che la Raison si renda docile al proprio limite, che è il mistero, e si allei con la fede, senza dunque disprezzarla, e con l’istituzione terrena, che si pretende anche divina, nella quale la fede da millenni è custodita insieme con i grandi tesori che sappiamo della cultura artistica, filosofica, spirituale. Benedetto è il Papa-filosofo, il teologo che ha dialogato con Jürgen Habermas in nome della autolimitazione della ragione e della fede, il vero tema del massimo illuminista, lo scettico e trasparente Immanuel Kant; un’autolimitazione riconosciuta come preziosa dai due spiriti più affinati e significativi del mondo di lingua tedesca, la lingua della filosofia. Con scandalo per intellettuali e media di tutto il mondo. Sempre lì stiamo.

Il pensiero oggi diffuso e caratterizzante è sostanzialmente questo: c’è una sola etica, quella della libertà. La libertà è individuale e il suo contenuto è vuoto, è puramente negativo, consiste nell’osservanza di una regola secondo cui la libertà non deve invadere la libertà degli altri, ma non esprime nulla che non sia privato, questa libertà non ha potere sull’etica civile, sull’amore, sulla carità, sul pensiero.

Il nichilismo contemporaneo si esprime poi in modi e mode i più vari, tra i principali l’impostazione freudiana della vita, il rilievo primaziale dovuto alla sessualità, la caratterizzazione positivistica del piacere corporale, che è benessere, potenza pura, divinizzazione della carne nel sepolcro della coscienza liberata.

Non dobbiamo salvarci, come dicono i preti cattivi; dobbiamo solo curarci, come dicono i medici faustiani che pensano di poter usare i bambini come farmaci per curare altri bambini, i biologi che vogliono liberare le donne dal fardello della malattia e fabbricare per loro figli sani e belli, à la carte. È questa brutalizzazione degli aspetti sacrali della vita la vera critica moderna della religione, il vero progetto laicista, che tende a una redenzione terrena dell’uomo dall’infamia della credulità celeste; è questa l’apologetica del neopaganesimo contro l’umiliazione moralistica del Cristianesimo che bandisce la buona vita e rende l’uomo, orrore per i nicciani de noantri, creatura umile e spiritualmente immortale.

Dan Segre, l’ebreo che ancora sa stupirci con pensieri degni di un grande protagonista della storia del Novecento, ha scritto genialmente nel Giornale che una segreta solidarietà collega il Vaticano aggredito e l’Israele assediato. Ed è la solidarietà di due luoghi simbolici in cui si coltiva eroicamente «la pretesa di dimostrare agli altri l’incapacità di vivere secondo i valori e gli scopi che proclamano». Essere virtuosi, forti, duraturi e tuttavia prosternarsi eucaristicamente o inchinarsi nel canto della sinagoga, due scandali insopportabili per il secolo, quando il secolo diventa ideologia secolarista e dispoticamente reclama per sé tutto il proscenio della vita e della storia.

Ecco perché attaccano il Papa teologo e filosofo, il Papa magisteriale, l’uomo che non accetta di piegare la schiena, e soprattutto la sua grande intelligenza delle cose, agli idoli del nostro tempo.

…..da Panorama

    LA MALEDIZIONE DI KATYN: MUORE IL PRESIDENTE POLACCO KACZYNSKI

    Pubblicato il 10 aprile, 2010 in Politica estera | No Comments »

    Il presidente della Polonia, il fervido anticomunista Lev Kaczynski, è morto ieri insieme alla moglie e ad un numero ancora imprecisato di altre personalità polacche, a  seguito di un incidente aereo in Russia dove il presidente polacco si stava recando per la commemmorazione ufficiale delle vittime di Katyn. La maledizione di Katyn sembra quindi mietere ancora vittime nella Polonia anticomunista. A Katyn, una foresta nei pressi della Bielorussia,  nel 1940, subito dopo l’nvasione della Polonia da parte dell’Armata Rossa che se l’era  spartita con la Germania nazista, per ordine di Stalin  circa 10 mila ufficiali polacchi (altri documenti indicano il numero in 22 mila!) furono trucidati e sotterrati. L’intento era di decapitare per sempre l’esercito polacco e insieme ai vertici dello stato già distrutto dalla spartizione russo-germanica. Tra il 1943 e il 1944 fu ritrovata la fossa comune e si conobbero i dettagli dell’eccidio la cui responsabilità da parte della propaganda sovietica fu attribuita alla Germania hitleriana. Menzogna questa che  per decenni è stata diffusa, sino alla perestroika di Gorbaciov il quale, sia pure a mezza voce, iniziò a riconoscere la compartecipazione russa nella responsabilità, sino alla scoperta della verità e alla piena, unica e indiscussa responsabilità di Stalin nell’eccidio, un crimine che può essere paragonato all’eccidio di Cefalonia dove trovarano la morte i diecimila fanti della Divisione Acqui, questa volta ad opera della Germania. A raccontare la vicenda di Katyn, ultimamente, il film KATYN, diretto dal regista polacco Andrzey Wajde, figlio di una delle vttime dell’eccidio, che ha narrato con crudezza e straordinaria umanità la vicenda che ha profondamente segnato la storia recente della Polonia anticomunista. Nelle ultime settimane, poi, è stato l’attuale premier sovietico Putin, uomo forte della Russia postsovietica, a riconoscere la piena responsabilità dell’Armata Rossa e a promuovere la commemorazione  ufficiale a cui avrebbe dovuto partecipare oggi il presidente polacco. Invece, l’incidente aereo che provoca dolore e sgomento e decapita ancora una volta la nazione polacca della sua migliore dirigenza.

    BERLUSCONI, FINI E LE RIFORME

    Pubblicato il 9 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

    Il risultato straordinariamente positivo delle regionali del 28 marzo sembravano aver finalmente indotto il presidente della Camera, Fini, eterno bastian contrario, a rivedere il suo atteggiamento e quello dei suoi ormai sempre più pochi fedelissimi. Invece no. Non è così e la cosa in verità non ci stupisce. Che Berlusconi abbia vinto è un dato da tutti riconosciuto, sinanche da Di Pietro che con il suo linguaggio di chi è poco avvezzo alla grammatica e alla sintassi non ha perso tempo, anche per proprio tornaconto interno, a riconoscerlo; che la vittoria di Berlusconi sia il risultato del suo personale impegno è altrettanto chiaro a tutti; che Berlusconi abbia vinto anche la più difficile delle sfide, quella del Lazio, regalando proprio  alla candidata di Fini, Renata Polverini, una vittoria che sembrava un sogno inseguire è altrettanto noto a tutti;  che in tutto ciò l’on. Fini abbia svolto un ruolo da comparsa, per sua scelta e, forse, per sua tattica, sbagliata, è altrettanto certo. Tutto ciò sembrava, nei giorni che sono seguiti ai risultati elettorali e all’euforia che ha invaso il centrodestra (salvo quello pugliese…) dover consigliare a Fini di rivedere le sue posizioni e “riposizionarsi” all’interno del partito del quale ancora qualcuno continua a definirlo  “cofondatore”. Ebbene,  la riflessione è durata poco. E’ bastato che Berlusconi,  con la  sua tabella di marcia che nulla ha a che vedere con i riti della politica avviasse con il solito pragmatismo da impresa la effettiva stagione delle riforme perchè Fini ritornasse al gioco che gli viene meglio (ma che gli produrrà poco), cioè a fare il bastian contrario. Berlusconi e gli organi politici del PDL si sono incontrati con Bossi e gli organi politici della Lega Nord per mettere a punto il programma delle riforme,disegnando a grosse linee il cammino da fare, al termine del quale c’è la riforma istituzionale dello Stato, e in primo luogo la trasformazione della Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale. Vecchio cavallo di battaglia del MSI quella della repubblica presidenziale,  da Michelini sino ad Almirante e allo stesso Fini,  prima che costui approdasse alle sponde del cerchiobottismo che pare essere diventato la sua  nuova bandiera. Basterebbe spulciare le cronache dei giornali e quelle parlamentari per ritrovare dichiarazioni, documenti, programmi elettorali del MSI, del MSI-DN e anche della stessa Alleanza Nazionale che indicano nella Repubblica presidenziale l’obiettivo politico dirimente tra la Destra e il resto del mondo politico italiano. Ma ora che questo obiettivo è stato sposato da Berlusconi e anche dalla Lega, ecco che Fini, pur dicendosi d’accordo,  nella sostanza non ci sta, neppure al semipresidenzialismo alla francese che Berlusconi indica come alternativa al presidenzialismo puro. Fini, bastian contrario, con l’aiuto della sua fondazione “farefuturo” si dice si d’accordo  con il semipresidenzialismo alla francese ma a condizione che si riformi la legge elettorale e si voti per il Parlamento con il sistema uninominale a  doppio turno. E’ evidente che questo sistema elettorale svuoterebbe d’un colpo il risultato che il presidenzialimo e/o il semipresidenzialismo  intende raggiungere, perchè con il sistema del doppio turno si ritornerebbe alla pratica degli accordi e dei pastrocchi  pre e  postvoto. Fini lo sa, ma ci marcia,  per tentare di fermare il cammino delle riforme,  perchè si è reso conto che i risultati elettorali del 28 marzo lo hanno,  di fatto, emarginato, ridando smalto e vigore  a Berlusconi ( un trapassato remoto direbbe chi  misura  gli uomini in base all’età anagrafica ) proprio a suo discapito,  perchè  si è disarticolato  dalle sue origini per incamminarsi lungo una strada  di cui nessuno, forse neppure lui, conosce la fine.  g.