Archivio per la categoria ‘Sport’

IL GUERRIERO DI BARLETTA, di Michele Pennetti

Pubblicato il 22 marzo, 2013 in Sport | No Comments »

Il Corriere del Mezzogiorno dedica l’editoriale di oggi a Pietro Mennea, scomparso ieri a 61 anni.La sua storia, scirve Penneti,  andrebbe raccontata ai ragazzi nelle scuole, potrebbe essere adottata dagli psicanalisti per spiegare cosa significhi avere carattere, tenere duro, non mollare. Per questo lo pubblichiamo, dedicandolo alle nuove generazioni per esortarle a guardare a Menna, alla sua storia, alle sue battaglie, non solo sportive, per trarne insegnamento ed esempio.

Una personificazione del riscatto meridionale, l’allegoria della forza di volontà. Con Pietro Mennea muore un amico – anche del Corriere del Mezzogiorno, per il quale scrisse numerosi articoli durante le Olimpiadi di Atene del 2004 – uno degli uomini del Sud più popolare e amato degli ultimi cinquanta anni, oltre che uno dei più grandi campioni nella narrazione dello sport italiano. La sua storia, trapuntata di fatica e sacrifici, andrebbe raccontata ai ragazzi nelle scuole. La sua esperienza, finita troppo presto, potrebbe essere adottata dagli psicanalisti per spiegare ai propri pazienti cosa significhi avere carattere, tenere duro, non mollare dinanzi alle prime contrarietà. Il suo candore, precisamente palesato dai libri-denuncia e dalle perenni battaglie globali contro il doping, resta un soggettivo strumento di difesa dal mondo (dello sport, ma non solo) che, cambiando per il dio soldo e asservendosi alla tecnologia, oggettivamente regredisce.

C’era sempre tanta semplicità nei gesti del barlettano che, se avesse attraversato un’epoca passata, sarebbe diventato un guerriero. Anche la sua apparente tracotanza, amalgamata alla sottolineatura della propria straordinarietà pronunciata con flebile voce, rivelava la genuinità del personaggio e la sua proletaria origine. Se ha peccato in qualcosa, Mennea, è stato nel volersi spendere troppo dopo aver smesso di correre. Un po’ l’avvocato (nello studio della famiglia di Manuela, la sua dolcissima moglie), un po’ il politico (venne eletto europarlamentare), un po’ lo scrittore, un po’ il dirigente nelle società di calcio (alla Salernitana). Come se fosse indispensabile, a se stesso, stare almeno un centimetro sopra la media. Come se una bulimia di mestieri e di interessi, concatenata alla collezione di lauree, potessero conservare eternamente splendente la sua immagine di eroe dei due mondi, dall’oro di Mosca al primato del mondo di Città del Messico. Non ce n’era, in fondo, bisogno. Perché nessuno, anche un acerrimo nemico, si sarebbe mai permesso di contestare la sua eccezionalità. Si fosse risparmiato, probabilmente Pietro Mennea avrebbe vissuto meglio e più a lungo. Mantenersi di rendita, però, non era nel suo stile. Non apparteneva ai codici comportamentali di un ragazzo spigoloso e irraggiungibile, il più veloce di tutti nei 200 metri per diciassette anni, un fascio di muscoli e nervi che faceva dell’umiltà una leva e della rabbia un biglietto da visita. E poi l’orgoglio, l’altro suo documento di riconoscimento. Non c’era vittoria che non gli impedisse di alzare il dito al cielo, l’indice dell’emancipazione di chi arrivava da dietro e dal basso, un simbolo di tenacia del Mezzogiorno buono e profondamente legato alla sua radice. Non c’era sconfitta che non gli procurasse una feroce percezione di rivalsa, serbata però in rigoroso silenzio. Alla stregua del male che l’ha stroncato con tempi e modi brutali. L’unico avversario che Pietro Mennea, sul traguardo di una vita di successo e di una carriera leggendaria, non è riuscito a battere. di Michele Pennetti, Il Corriere del Mezzogiorno, 22 marzo 2013

PRENDELLI FINGE DI AVER VINTO: NON SI SCUSA, FA IL TROMBONE, ANZICHE’ IL TROMBATO.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Politica, Sport | No Comments »

Prandelli finge di aver vinto:  non si scusa e fa il trombone

Messaggio al commissario tecnico della nazionale di calcio, Cesare Prandelli:  all’indomani di uno 0-4 non si possono dare lezioni. Quella subita dai suoi azzurri è la più umiliante disfatta mai registrata nella storia delle finali degli Europei e dei Mondiali e senso del pudore imporrebbe di scendere dal piedistallo prima di commentarla. Così non è andata però ieri a Cracovia. Rinfrancato dagli applausi con cui i giornalisti lo hanno accolto, Cesare ha gonfiato il petto e dato fiato al trombone: «Grazie, avete capito il nostro sforzo. Sono orgoglioso. In un Paese vecchio come l’Italia, noi abbiamo avuto la forza di cambiare e di portare avanti le nostre idee senza farci condizionare dal risultato».

Eh no, questo è troppo. Intendiamoci, nessuno vuol criticare l’opera del ct: è arrivato alla finale contro ogni previsione e gli intenditori giurano che ha fatto un eccellente lavoro e pertanto merita di restare sulla panchina azzurra.  Però non è un eroe; non è ancora Pozzo, Bearzot, Lippi e neppure Valcareggi, che l’Europeo riuscì a vincerlo. Prandelli ha giocato due partite entusiasmanti contro l’Inghilterra (senza però fare neanche un gol e spuntandola a quella che vien detta «la lotteria dei rigori») e soprattutto la Germania, ma la figura di domenica sera è stata barbina e i toni del giorno dopo devono tenerne conto. Forse Cracovia è troppo lontana per avvertirlo, ma gli italiani si sentono più umiliati che «orgogliosi» di com’è andata con la Spagna. Non dico chiedere scusa; sarebbe, per usare un’espressione dello stesso Prandelli, «vecchio», eccessiva cortesia, ma almeno non parlare come se si fosse vinto, questo si poteva fare.

Anche sull’evocato «cambiamento» ci sarebbe poi da ridire. E non solo perché prima di elogiare i cambi, bisognerebbe almeno averne azzeccato uno sul campo, altrimenti si rischia il ridicolo. Ma anche perché se il cambiamento è giocare senza badare al risultato ma solo alla coerenza delle proprie idee, allora – e solo per questo – vien da chiedersi se in vista del Mondiale brasiliano del 2014 non sia il caso di ringraziare Cesare, rendergli l’onore delle armi e cambiare subito cavallo.

O forse no: basta non prender troppo sul serio quelle parole. O meglio, prenderle per quel che sono: l’autodifesa di un onesto lavoratore di talento portato su dalle sue molte qualità e da un pizzico di fortuna e schiantatosi rovinosamente contro qualcosa di più grande di lui, un avversario e un evento che l’hanno travolto e non gli hanno fatto capire più nulla. Da qui, il «vecchio» vizio italico di cercare di trasformare una sconfitta in una vittoria e di giustificare la debacle con la moralità delle idee. Uno spettacolo più da politici che da sportivi, anche quando Prandelli scarica le sue responsabilità sui giocatori e afferma: «Dovevo cambiare formazione ma avrei mancato di rispetto a chi mi aveva portato fin lì»;  come a dire «avrei saputo cosa fare ma son troppo gentiluomo…». Ma più che da gentiluomo sembrano parole da marpione navigato, che alla vigilia con il vento in poppa detta le condizioni e minaccia: «Non so se resto» ma quando il sogno è finito raccoglie i cocci e scivola sulla palta come nulla fosse: «Fatemi lavorare, ho rivoluzionato il calcio italiano». Un’incoerenza, un gioco di parole, una finzione, come quella della Nazionale etica che ci ha venduto per due anni ma che sul campo schierava uno scommettitore  in porta, un indagato in difesa e due svitati in attacco che prima di arrivare a Varsavia ne hanno combinate di ogni. Poco male, non è certo per questo che Prandelli è da cacciare; a patto che da domani smetta di pontificare e di voler rieducare l’Italia attraverso il calcio e inizi a inseguire il risultato almeno quanto le sue idee. Libero, Pietro Senaldi, 3 luglio 2012

…………….Peggio di Prandelli solo un altro trombettiere, cioè il Presidente della Repubblica che prima ancora dellla partita aveva fissato per lunedì sera il ricevimento al Quirinale per i reduci da Kiev.  In cuor suo Napolitano,   che è ormai diventato un alfiere della retorica più bolsa, suggestionato dal risultato con la Germania, aveva di certo sognato di ricevere i campioni di Europa, invece ha ricevuto i birilli che nel campo di Kiev se le sono fatte dare di santa ragione senza neppure tentare di opporsi. E siccome la retorica, benchè, orrore!,  retaggio fascista,  è l’ultima a morire, Napolitano li ha ricevuto ugualmente, i birilli, al Qurinale per dir loro che “essi sono come l’Italia…. da rifare”, facendo il verso a Prandelli che a sua volta, ha accusato l’Italia di essere vecchia. Proprio come Napolitano che a 87 anni suonati  vuole apparire un ragazzino di primo pelo. g.

MONTI, MENAGRAMO, E’ ANDATO A KIEV PER NON CANTARE L’INNO NAZIONALE. PERCHE’ NON E’ RIMASTO A CASA?

Pubblicato il 2 luglio, 2012 in Politica, Sport | No Comments »

La gioia non si addice a Mario Monti. Il premier ha voluto essere a Kiev pur essendo notoriamente allergico al pallone, e qui giunto non ha dovuto nemmeno indossare il sorriso trionfale portato per l’occasione.

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei
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Chi era curioso di conoscere la versione esultante del professore dovrà aspettare un’altra occasione. E per il poverino la sentenza sui social network è già scritta: porta sfiga. Una condanna che Monti si è anche andato un po’ a cercare senza ribellarsi al suo destino. Seduto vicino a Michel Platini, presidente dell’Uefa, il Prof ha ascoltato l’inno senza cantarlo, ma muovendo un po’ la bocca tanto per, poi ha assistito alla disfatta degli azzurri con l’aria cupa del prozio invitato al battesimo del nipotino che rimugina su chi glielo ha fatto fare e su quanto gli è costato il regalo.

Il medagliere di Euro 2012 è questo: alla Spagna l’oro,all’Italia l’argento, agli esponenti del governo italico il bronzo delle loro facce. Perché se avessero avuto mezzo etto della coerenza mostrata nei due anni da ct da Cesare Prandelli, Monti e il suo ministro Piero Gnudi allo stadio Olimpico di Kiev non avrebbero dovuto mettere piede. Monti è l’uomo che al termine del match con la Spagna ha accettato in dono la maglia di Balotelli, ma è lo stesso che il 29 maggio, dopo gli arresti di calciatori invischiati nel calcioscommesse, propose uno stop al calcio di due o tre anni, confessando di trovare «inammissibile che vengano usati soldi pubblici per ripianare i debiti delle società » e meritandosi la piccata replica del presidente della Figc Giancarlo Abete: «Il calcio professionistico non riceve un euro di fondi pubblici». Monti, che nel suo smunto curriculum di tifoso vanta solo una tiepida militanza milanista nella immaginiamo turbinosa giovinezza, è sempre quello che il 15 giugno, per dimostrare il suo sovrano disprezzo per le sorti azzurre, non si preoccupò di sovrapporre il vertice bilaterale con il presidente francese François Hollande alla partita Italia- Croazia e si infastidì non poco al sommesso boato dei giornalisti alla notizia del gol di Pirlo che interruppe per pochi secondi la successiva conferenza stampa, porgendo imbarazzate scuse all’inquilino dell’Eliseo. Monti è di nuovo quello di cui la ministra Elsa Fornero alla vigilia di Italia-Germania disse che non sapeva per chi avrebbe tifato. Una battuta. Forse.

E Gnudi? Anche il ministro del Turismo e dello Sport avrebbe fatto miglior figura a restare a Roma. L’11 giugno visitando il quartier generale degli azzurri a Cracovia, valutando l’improbabilità di una controprova, fece il duro e puro: «Chi offende la democrazia, offende i cittadini», disse a proposito del governo ucraino che tiene in galera l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. E quindi scolpì nel marmo delle agenzie queste improvvide parole: «Quanto alla partecipazione alle partite che l’Italia potrebbe giocare in Ucraina, io sono intenzionato a rinunciare». Ops. Del resto Gnudi avrebbe preferito evitare questa patata bollente. Lo si arguisce da una lettura psicanaliticamente piuttosto elementare di una sua dichiarazione-lapsus rilasciata alle televisioni alla vigilia della semifinale con la Germania: «Stiamo facendo un bellissimo europeo e sono sicuro che stasera lo concluderemo nel migliore dei modi». Concluderemo? Ariops. In attesa all’ultima fermata del carro dei vincitori poi soppresso, Monti e Gnudi hanno smentito loro stessi e sono saliti su quell’aereo per Kiev. Mal gliene incolse: hanno dovuto parlare di «magnifica avventura» e di un secondo posto «che all’inizio avremmo sottoscritto al buio». Poi certo, c’era da salvare un po’ la faccia.

Così Monti ha escogitato un viaggio lampo (come se le gaffe si misurassero con l’orologio) e soprattutto si è inventato con il collega spagnolo Mariano Rajoy una lettera al presidente ucraino, Viktor Yanukovich, per trasmettere«il continuo sostegno sia dell’Italia che della Spagna alle aspirazioni europee dell’Ucraina» con tanto di richiesta di «visitare la signora Tymoshenko».

Dopo la partita, il Prof ha spiegato che «non c’era ragione per non venire a Kiev: è stata l’occasione per richiamare l’Ucraina a doveri di civiltà». Per non sembrar troppo maleducati, Monti e Rajoy hanno ringraziato nella loro missiva «il popolo ucraino per la calorosa accoglienza riservata alle nazionali e ai tifosi». Il Giornale, 2 luglio 2012

Riceviamo da Toronto:

Chi e’ stato l’idiota che ha invitato Monti allo stadio. Appena l’hanno inquadrato subito dopo l’Inno Nazionale mi sono reso conto che avremmo perso. Infatti i nostri hanno giocato con una totale mancanza di riflessi. Pareva fossero stonati cosi come Monti pareva di esserlo.

Quando tutti applaudivano il nostro Inno,  lui e’ sembrato come un pesce fuori dall’acqua. Un becchino qualsiasi avrebbe fatto una piu’ bella figura.  Carissimi, la prossima volta tenetevelo a casa.

Indubbiamente gli Spagnoli hanno meritato di vincere anche se in campo, dall’altra parte,  non c’era nessuno!

Nick Pinto

BALOTELLI PREMIER

Pubblicato il 28 giugno, 2012 in Sport | No Comments »

Balotelli, il centravanti italiano ha distrutto la Germania con due super gol che hanno portato l’Italia alla finale degli Europei di calcio 2012. Dopo di chè, proponiamo  Balotelli come  miglior premier possibile per una Italia che voglia mettere a posto la Germania…altro che quello stoccafisso di Mario Monti, supermolle quanto Balotelli è superduro.

E’ MORTO ENZO BEARZOT

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Cronaca, Sport | No Comments »

E’ una foto storica. Sandro PERTINI, presidente della Repubblica, abbraccia euforico Enzo Bearzot dopo la trionfante vittoria dell’Italia contro la Germania Ovest ai campionati del mondo del 1982, vinti dall’Italia guidata appunto da Enzo Bearzot. Notte magica e indimenticabile per una vittoria sudata, conquistata e meritata dagli atleti,  in primo luogo, che non erano solo caricature di se stessi, come è accaduto di recente, e poi da quel grande allenatore, Enzo BEARZOT, appunto, un commissario tecnico che nei circa dieci anni in cui guidò la Nazionale italiana seppe conquistare il cuore dei suoi uomini e quello di tutti gli sportivi italiani. Che oggi si inchinano alla sua memoria, tributandogli l’omaggio che merita, che ha meritato, e  il suo ricordo rimarrà scolpito per sempre nella storia dello sport italiano. Addio, grande Enzo.

ITALIA NEL…PALLONE, CHE TRISTEZZA!

Pubblicato il 24 giugno, 2010 in Sport | No Comments »

L’Italia del pallone è finita…nel pallone. Quella scritta oggi dalla nazionale italiana di calcio contro la Slovacchia  è una delle pagine più tristi (e anche più squallida) della storia calcistica del nostro Paese. Ha scritto questa mattina  L’Avvenire  che Lippi avrebbe fatto bene a ricordare ai suoi giocatori la nazionale del 1934 e del 1938: allora, ha scritto L’Avvenire, c’erano coraggio e voglia di vincere, ora invece c’è solo paura e terrore. E  il quotidiano cattolico l’ha “azzeccata”: i nostri giocatori scesi in campo contro la Slovacchia, la Slovacchia!, erano innazitutto paralizzati dalla paura e dal terrore, sin dall’inizio della partia. Poi erano demotivati, incapaci di fare squadra, timorosi di avventurarsi contro l’avversario in una battaglia che doveva vederli gagliardamente coraggiosi. Insomma, uno sfacelo di partita, con giocatori che non riuscivano neppure ad azzeccare un passaggio, che non riuscivano ad oltrepassare la difesa slovacca, che non hanno saputo neanche reagire con orgoglio e passione al primo gol slovacco, quasi disperatamente pronti al peggio,  rassegnati alla sconfitta, la più umiliante delle sconfitte. E sullo sfondo l’inebetito commissario tecnico, il sig. Lippi, che sfoggiava una sgargiante divisa rossa ma a sua volta inacapace di dare direttive, indirizzare i suoi giocatori, tentare di rivializzare i cadaveri che avendo vinto 4 anni fa, pensavano e lo ha di sicuro pensato lo stesso Lippi, per il solo fatto di essere stati i campioni del  mondo   nel 2006 a Berlino, che i palloni sarebbero entrati nelle porte avversarie quasi per magia. Invece no. Invece è accaduto che per la prima volta nella storia dei campionati del mondo l’Italia  non è approdata neppure agli ottavi di finale, nonostante la fortuna, diciamo così, di un girone che sembrava costruito apposta per favorire l’approdo agli ottavi. Ovviamente ora tutti si cospargono il capo di cenere, i giocatori, tra cui Gattuso che a metà partita se ne è ritornato mogio mogio a bordo campo e lo stesso Lippi. Il quale Lippi neppure un questa occasione ha smesso gli abiti del grande condottiero. “La colpa è mia, ha detto, solo su di me la responsabilità della sconfitta”. Troppo tardi! Doveva pensarci prima a vestire gli abiti dell’umiltà. Quando gli è stata contesta la scelta sbagliata di lasciare a casa fior di giocatori e sopratutto “la meglio gioventù calcistica2 del momento ha fatto spallucce ed è arrivato a minacciare che i suoi critici “non sarebbero saliti sul carro dei vincitori”.  Perchè lui si sentiva un pò Napoleone e un pò Helenio Herrera. Si è rivelato solo uno con la mosca al naso. Ora si dispiace per i tifosi. I tanti, i milioni di italiani, che specie in questi tempi grami di crisi e di difficoltà economiche, nel calcio e nella “nazionale” , avevano riposto speranze di riscossa.  Lippi con la sua incredibile e sfrontata testardaggine è riuscito a deluderli. Ora chiede loro scusa. Pittosto il sig. Lippi sganci i tre milioni di euro  all’anno che ha sgraffignato  in questi anni, quattrini che alla luce dei risultati paiono rubati. Come rubati sono stati i nostri sogni, i sogni del Tricolore che alla faccia di Bossi avrebbe potuto sventolare nella terra di Mandela. Avrebbe potuto, ma non è stato. Grazie (a) Lippi.

LIPPI FA IL FENOMENO MA E’ SENZA CAMPIONI

Pubblicato il 21 giugno, 2010 in Cronaca, Sport | No Comments »

Che cosa volete sia battere la Slovacchia? Un gioco da ragazzi. Da ragazzi per l’appunto, non da azzurri. Perché dopo due partite abbiamo la miseria di due punti e non abbiamo affrontato squadroni irresistibili, il Paraguay prima e la Nuova Zelanda dopo. Al momento del sorteggio qualcuno aveva detto che meglio di così non poteva capitarci. In verità nessuno poteva sapere e immaginare in che condizioni saremmo arrivati a questo torneo e soprattutto quali sarebbero state le scelte di formazione e di esclusione di Lippi. E così anche la Nuova Zelanda ha fatto il suo figurone, è andata in vantaggio, con un gol in fuorigioco e comunque provocato dal panico consueto della nostra difesa, è stato raggiunto da un rigore abbastanza generoso, per non dire inesistente, concesso dall’arbitro guatemalteco.

Per il resto una delusione totale, una confusione dovunque, dietro, in mezzo, davanti, errori tattici ripetuti dall’allenatore, il ruolo di Marchisio imbastardito sull’out di sinistro, poi riportato a destra e quindi spedito nello spogliatoio alla fine del primo tempo, Pepe bocciato non si sa bene perché ma con evidenti limiti tecnici (il dribbling resta un mistero della fede), giro di attaccanti, anzi tutti in campo con uguale risultato, zero gol su azione, molta generosità, molta passione ma niente qualità, niente lucidità di gioco. Contro un avversario tutto fisico sarebbe stato logico giocare sulla tecnica, sulla velocità di scambi, insomma sul gioco «latino». E invece, con il passare dei minuti, la Nuova Zelanda si è rinchiusa nella sua metà campo e gli azzurri hanno tenuto il pallone, per paura e depressione, sviluppando azioni a ritmo lentissimo, con rarissimi uomini pronti a smarcarsi e a muoversi in senso orizzontale. Lampi di broccaggine in momenti di noia mortale. Totale: quali uomini finora hanno dimostrato di essere da mondiale: tre, quattro al massimo, Chiellini, De Rossi, Montolivo che non avrebbe giocato, se Pirlo non si fosse infortunato. Potrei aggiungere Criscito e l’orgoglio di Zambrotta, ma siamo all’acqua tiepida. Poi c’è la doccia fredda di quelli che sono al tramonto o alla frutta, come già evidenziato durante il campionato, Cannavaro e Camoranesi, fra questi, entrambi «tagliati» dalla nuova Juventus di Delneri ma promossi dalla vecchia Italia di Lippi che ieri ha mandato in gioco cinque juventini reduci da una stagione fallimentare.

Non si può vivere di rendita, il campo sta dando altre risposte e, purtroppo, come accade puntualmente quando mancano i risultati, gli assenti hanno ragione. Balotelli, Cassano, Totti avrebbero sicuramente dato qualcosa di più, almeno un’idea, una giocata imprevista e imprevedibile ma Lippi ha scelto la strada della riconoscenza e del puntiglio, seguendo il proprio carattere presuntuoso, ha allestito la «sua» nazionale e non la nazionale del campionato. Ieri ha ribadito di non aver lasciato a casa «fenomeni». Non pensi di essere lui un «fenomeno».

I latini dicevano che la fortuna aiuta gli audaci ma qui non c’è nemmeno l’ombra del rischio, dell’azzardo e non si può nemmeno sperare che sia sempre la sorte con la «c» maiuscola a risolvere i nostri problemi. Lippi pensa a Berlino e ricorda l’Italia del 1982, trionfante dopo i tre pareggi iniziali, ma finge di ignorare che in Spagna si trattava di campioni veri, figli del campionato e del mondiale argentino e quattro anni or sono la squadra era composta da nove giocatori che provenivano dalle prime quattro squadre in classifica, 5 della Juventus, 2 del Milan, 1 dell’Inter e 1 della Fiorentina. Oggi Lippi schiera titolari 2 soli uomini, De Rossi e Zambrotta, delle prime quattro squadre in classifica. Qualcosa nel calcio significa, al di là dell’arroganza e dei capricci del cittì viareggino. È una squadra con un passato sicuro, un presente incerto e un futuro senza speranze. Non ci resta che pregare. E segnare un gol. La cosa più logica del football. Sembra la più difficile. TONY DAMASCELLI, IL GIORNALE, 21 GIUGNO 2010.

LIPPI: TRE MILIONI DI EURO ALL’ANNO PER RACIMOLARE DUE PAREGGI CONTRO DUE SQUADRETTE

Pubblicato il 21 giugno, 2010 in Costume, Sport | No Comments »

Il c.t. della nazionale italiana di calcio, Marcello Lippi, quello che quando parla sembra  essere disceso dal cielo per elargire al mondo le sue ascetiche (e banalissime!) considerazioni, guadagna 3 milioni di euro all’anno, qualcosa come 250 mila euro al mese, cioè 8333 euro per ogni giorno che Dio manda sulla terra. Di contro il c.t. della nazionale paraguaiana ne guadagna “appena” 300 mila; non sappiamo quando ne guadagni il c.t. della nazionale neozelandese, ma di sicuro molto, ma molto meno di Lippi. Ebbene il pagatissimo Lippi,  nelle prime due partite della nazionale al mondiale sudafricano,  è riuscito a racimolare due soli modestissimi pareggi, dopo aver incassato in entrambe le due partite, quella con il Paraguay e quella con la Nuova Zelanda,  due gol  iniziali, uno per partita, che a parere di Lippi, ultramilionario commissarrio tecnico della nostra nazionale,  sarebbero stati solo frutto della malasorte che incombe sulla nostra nazionale, mentre i due gol poi infilati tra i pali delle due squadre avversarie per conquistare un sudatissimo pareggio, quelli invece sono dei capolavori di finezza tecnica, frutto, manco a dirlo dei suoi insegnamenti ai giocatori che Lippi ha selezionato e portato in Sudafrica, dopo aver lasciato a casa fior di mezze calzette, da Totti a Cassano, a Balotelli. Diciamoci la verità. I tifosi italiani, quelli (pochi!) che sono andati in Sudafrica al seguito della squadra e i milioni che hanno addobbato di tricolori i balconi delle nostre cittò, dei paesi, dei più piccoli villaggi della penisola, e che piazzati dinanzi ai televisori ore prima che iniziassero le partite, si sono visti gonfiare il fegato prima per l’attwsa e poi per la rabbia, ebbene questi tifosi meritavano qualcosa di più. Tutti erano convinti che ci era andato bene  il girone di qualificazione e le “squadrette” che ci erano capitate, e tutti erano convinti che si sarebbe trattato di una passeggiata superare le prime prove e poi, di gol in gol, arrivare in finale e magari bissare il successo di 4 anni addietro.  I primi due risultati sono stati una delusione, cocente e terribile. Ma non sono bastati a far abbassare la spocchia di Lippi, la cui arroganza è pari alla sua testardaggine, oltre che alla sua innata prosopopea. Che magari poi sfocia nella squallida tentazione di addossare agli altri ai giocatori le sue responsbailità.  Così, all’indomani della deludente prova con la Nuova Zelanda, spiega la uscita dal terreno di gioco di Pepe “perchè non faceva quello che gli avevo chiesto di fare”. Andiamo! A che serve buttare la croce sul solo Pepe se è tutta la squadra che non va? E non è andata la squadretta di Lippi  sia con la Nuova Zelanda che con il Paraguay. E ciò sia  per la inadeguatezza delle scelte tattiche che sono di Lippi , sia perchè i nostri “soldati” come  ha definito i giocatori  Lippi (che forse si sente un pò Napoleone) non giocano per passione e con valore, ma si sono modellati sulla lunghezza dìonda del loro “capo” e anch’essi si sentono padreterni e non riescono a capire che la vittoria la si conquista sul campo, ogni volta che si gioca. Ma loro pensano al portafoglio, come hanno dimostrato quando il ministro Calderoli ha chiesto di abbassare i loro guadagni, che sono vertiginosi, diciamolo. In quella occasione hanno messo fuori la grinta ed uno di loro ( e non è il caso di farne il nome perchè sono tutti uguali!) ha dichiarato che “l’Italia non è un paese serio”. Infatti, manda in campo “signorine” in luogo di giocatori. Però fanno in tempa a riguadagnare l’onore e il rispetto. Almeno con la Slovacchia, giochino a pallone e non pensino nè alla faccia, nè alle gambe. g.