Archivi per aprile, 2010

REGALIAMO UN PALLOTTOLIERE A SCHITTULLI

Pubblicato il 7 aprile, 2010 in Il territorio, Politica | No Comments »

Dice un proverbio popolare che non c’è matrimonio dove non si pianga e non c’è funerale dove non si rida. E’ avvenuto anche all’indomani della sfortunata campagna elettorale di Rocco Palese  e del centro destra pugliese, sconfitto da Vendola. Mentre tutti si dolevano per una sconfitta dolorosa e lacerante,  e dinanzi, come si suol dire, al cadavere ancora caldo di una battaglia perduta,  benchè non sia  mancato il valore ma non non ha fatto capolino la fortuna, c’è stato chi ha trovato modo di far ridere a crepapelle chiunque abbia una sia pur minima capacità di osservazione. Autore di siffatta impresa è stato tal Schittulli, presidente della Provincia di Bari, il quale, grosso modo,  ha dichiarato alla stampa che il suo “movimento” (se ci aggiunge un “i” tra la emme e la e lo si potrebbe scambiare,   Schittulli,  per il mago Herrera)  avrebbe vinto, dimostrandosi, è sempre Schittulli che parla,  l’unica novità del centro destra,  “perchè avrebbe avuto uno straordinario consenso elettorale” (cfr. La Gazzetta del Mezzogiorno del 3.4.2010).  Forse Schittuli avrebbe bisogno di un buon pallottoliere con cui trastullarsi insieme ai suoi “bravi”  e con cui, sopratutto, fare un pò di conti. Intanto la lista del cui “successo” si attribuisce merito è la “Lista dei Pugliesi per Palese”,  cioè la Lista del Presidente che il PDL ha messo in campo in tutta Italia e,  in Puglia,  in tutte le sei provincie.  Solo per  quella di Bari la responsabilità della gestione è stata assegnata alla troupe di Schittulli mentre le liste delle altre cinque provincie pugliesi  sono state organizzate, preparate, e gestite da altri soggetti diversi da Schittulli.  Schittulli e la sua troupe invece hanno usato  in provincia di  Bari la Lista del Presidente per far la stessa cosa che hanno fatto in Provincia di Bari  dal minuto successivo alla elezione  di Schittulli ( il cui merito, è bene ribadirlo,   è solo ed unicamente  del centrodestra che lo ha votato sia pure turandosi il naso),  cioè  spradoneggiandovi e  usandola unicamente come supporto per la elezione del pupillo di Schittulli, Bellomo, il cui unico merito politico, sinora,  è di essere figlio d’arte,   chiamato da Schittulli  prima a far l’assessore in Provincia, e  poi destinato, nei piani della troupe di  Schittuli,  a trasferire in Regione il “verbo” del presuntuso anzichèno Schittulli che si atteggia ad ispirato della politica ma è solo un piccolo satrapo che arrivato, dopo lunga e spasmodica anticamera,   nelle stanze del potere,  ne fa un uso strumentale e personale.   L’intento di eleggere Bellomo  è stato raggiunto,  sacrificando senza scrupoli quanti candidadandosi in quella lista non avevano neppure lontanamente immaginato che sarebbero stati solo cinicamente  usati per rastrellare i  voti necessari per consentire il raggiungimento di questo traguardo, che, d’altra parte, è stato raggiunto solo grazie ad una manciata di voti che ha fatto superare di poco, appena lo 0,81%,  la soglia del 4% necessario perchè la lista  potesse partecipare alla attribuzione dei seggi e per  ottenere questo risultato determinante  sono stati i voti conseguiti  dalla Lista del Presidente della circoscrizione di Lecce, senza i quali Schittulli e Bellomo sarebbero calati a picco. Perchè in provincia di Bari il risultato è stato mediocre. Infatti la lista  di cui Schittulli si attribuisce la paternità ha ottenuto nella circoscrizione di Bari 38.981 voti, pari al 6,39%. Appena otto mesi addietro, la cosiddetta Lista Schittulli ottenne in provincia di Bari 59.987 voti, pari al 9,47% dei voti. Quindi Schittulli in otto mesi ha lasciato sul campo ben 21.006 voti e il 3,09 %, insomma ha perduto circa un terzo dei voti che la “sua” lista aveva ottenuto alle Provinciali. E questo sarebbe il successo di cui mena vanto e  sul quale con incredibile mancanza di stile e di rispetto per le lacerazioni provocate dalla sconfitta elettorale  ha cantato vittoria mentre l’intero centro destra si spargeva mestamente il capo di cenere e il Minisro FITTO rassegnava le dimissioni?   Senza dimenticare sia i voti ottenuti dai singoli candidati che nulla hanno a che fare con il suo “movimiento” sia  le squallide operazioni di trasformismo targato vecchia repubblica che Schittulli ha posto in atto, con molta superficialità e altrettanta arroganza,   senza peraltro ottenere  vistosi successsi,  passando senza alcuna remora sulla dignità delle persone. Se  questo  è il nuovo che avaza, “arridateci” il vecchio ma non quello di via Fratelli Rosselli.

…………

A Toritto il pupillo del presidente Schittulli, Bellomo, ha ottenuto appena  130 voti fatti affluire su di lui dai noti  mercenari che per l’occasione si sono arruolati con Schittulli , in cambio, chissà,  di future prebende,  promesse   da Schittulli in nome, ovviamente,  di una continua conclamata e per nulla reale  diversità morale.  I voti invece  che  complessivamente la Lista del Presidente  ha ottenuto sono stati  1.076 voti,  tutti, o gran parte ( meno,  naturalmente, i 130  voti di Bellomo) sottratti al PDL dal candidato Quarto (anche lui  si è candidato per far da supporto a Bellomo e per fare un “piacere”  a Schittulli?) che come tutti i candidati “paesani”  ha goduto della regola del “vantaggio” che deriva da questo  particolare status nonostante la assoluta impossibilità di successo,  visto che questa volta non poteva ripetere, come i fatti si son presi la briga di dimostrare, quanto accaduto per mero fatto fortuito e irripetibile alle provinciale dello scorso giugno ( a Grumo,  Quarto  ha ottenuto 276 voti rispetto ai 2700 voti elle provinciali del 2009!). A sostanziale  conferma di ciò,  v’è la circostanza, accertata,  che su circa il 60%  delle schede che nelle sezioni elettorali  di Toritto riportavano la preferenza a favore di  Quarto  era crociato il simbolo del PDL ,  ma il voto di lista, per effetto della legge elettorale, è stato   “trascinato”  a favore della lista di appartenenza di Quarto, cioè la lista dei Pugliesi. Invece non appartenevano di sicuro  al PDL i voti, una ventina, che portavano il voto di preferenza  a Quarto accanto al simbolo dei Pugliesi e il voto disgiunto a favore di Vendola!

E’ LEGGE IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO: NAPOLITANO HA FIRMATO

Pubblicato il 7 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Via libera dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alle norme sul legittimo impedimento, che terranno il presidente del Consiglio lontano dalle aule giudiziarie per i prossimi 18 mesi. Secondo quanto si è appreso da ambienti vicini al Quirinale, la firma del presidente della Repubblica è arrivata in vista dell’”apprezzabile interesse” ad assicurare “il sereno svolgimento di rilevanti funzioni” istituzionali, interesse “che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto”.

Insomma, il legittimo impedimento è stato visto dal Presidente Napolitano  come l’inizio di una leale collaborazione tra politica e giustizia.

Nel dettaglio, quella promulgata oggi è una ‘legge ponte’, pensata per arrivare all’approvazione di una modifica costituzionale che porti al ripristino del cosiddetto lodo Alfano, ossia lo ’scudo’ per le quattro più alte cariche dello Stato, o la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Insomma, una ‘leggina’, scritta per garantire “il sereno svolgimento” delle attivita’ di governo, con un carattere di legge-ponte. Le disposizioni, in pratica, consentono agli esponenti del governo (esclusi i sottosegretari) di ‘congelare’ i processi per un periodo di sei mesi continuativi, che potranno essere prolungati, di rinvio in rinvio, fino a un massimo di circa un anno e mezzo (i 18 mesi), sempre per ‘motivi istituzionali’. La sospensione vale solo quando premier e ministri sono imputati. Ma mentre veniva diffusa la notizia della firma della legge da parte del Capo dello Stato, due PM miulanesi ta tempo impegnati sul fronte della “guerra” a Berlusconi  hanno già reso noto di aver impuganto la legge, votata dal Parlamento e firmata dal Capo dello Staro, dinanzi alla Corte Costituzionale eccependo la costituzionalità della norma. Insomma siamo alle solite:  il Parlamento legifera e i Pm tentando di vanificarne il potere che deriva dal Popolo. A quando la riforma della Giustizia?

L’amara Pasqua del furbo Casini

Pubblicato il 3 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Pasqua amara per il povero Casini dopo il risultato elettorale dell’Udc: un risicato cinque virgola. Pierferdy, che aveva pomposamente riesumato la craxiana politica dei due forni con l’ambizione di essere l’ago della bilancia tra Pdl e Pd, si è scoperto politicamente irrilevante.
Dove si è presentato da solo ha perso il confronto con tutte le forze intermedie, dai dipietristi ai grillini. Per tacere della Lega che l’ha surclassato. Quando si è alleato, secondo criteri arlecchineschi, a volte con la destra, altre con la sinistra, ha mostrato la sua inutilità. Salvo rari casi, chi doveva perdere ha perso nonostante l’appoggio di Casini. Chi doveva vincere, ha vinto a prescindere da lui.
Ma la cosa peggiore è che l’Udc ha perso la propria identità. Reperto della vecchia Dc o embrione della nuova, secondo i punti di vista, era comunque il partito dei cattolici. Non è più niente. A furia di allearsi col diavolo e l’acquasanta, Perferdy si è messo in urto con la Chiesa. L’Avvenire, quotidiano dei vescovi, lo ha più volte bacchettato. Preti e monache gli hanno voltato le spalle.
Se l’è cercata. Ha fatto il furbo con l’occhio fisso alle poltrone. Si è così trovato dalla stessa parte dei rifondaroli, di De Magistris, il sodale di Di Pietro che vuole portare in tribunale il Papa per inchiodarlo sui preti pedofili, di Mercedes Bresso, la pasionaria torinese. Ed è proprio in Piemonte che Casini ha perso più che altrove la faccia. La Bresso, presidente regionale uscente, è una bestia nera dell’episcopato. Laica, dura, femminista e grande sostenitrice della pillola abortiva (Ru486), Mercedes era il classico tipetto da cui un leader cattolico doveva stare alla larga. Non solo per rispetto delle proprie convinzioni ma per rinsaldare il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche. Casini non ha fatto né l’uno né l’altro. Passi per le convinzioni che, nel suo caso, sono elastiche. Imperdonabile, invece, la sottovalutazione della reazione cattolica.
Vediamo la storia da vicino perché rappresenta forse il punto di non ritorno della parabola casiniana. Pierferdy aveva in Piemonte tre alternative: allearsi col centrodestra, col Pd o andare per conto proprio. Con la destra non ha voluto perché il candidato era Roberto Cota il quale, gradito alla Chiesa, era però sgradito a Casini che detesta i leghisti per principio. Da solo non gli conveniva perché non se lo sarebbe filato nessuno. Ha scelto la Bresso pensando che avrebbe vinto e che lui, mettendosi a rimorchio, avrebbe raccattato qualche poltrona. Un calcolo, come si vede, in cui non hanno minimamente inciso le sue sbandierate convinzioni religiose. Sui principi ha prevalso l’interesse spiccio.
Anche più grave la circostanza che a consigliargli l’alleanza perdente con Mercedes sia stato Michele Vietti, plenipotenziario torinese dell’Udc. Michele è della stessa pasta di Pierferdy. Ossia – sulla carta – un supercattolico tradizionalista, nei fatti un furbacchione. A denunciare la doppiezza di Vietti è stato suo cugino, Massimo Introvigne, uomo pio ed esponente dell’Udc che, indignato per la faccenda, ha abbandonato il partito e mandato all’inferno il parente. Pare – stando a Introvigne – che Vietti, attivo nel settore della Sanità regionale, avesse un consolidato rapporto con la Bresso. Di qui la scelta – in nome degli affari – di appoggiare la madamina laica e filo abortista, piuttosto che affrontare l’incognita di Cota, nonostante l’affinità cattolica. È andata male e ha perso. Ha vinto il leghista. Resta, scolpito nel marmo, l’atteggiamento poco commendevole di Vietti che – aggiunto all’opportunismo di Casini – ha irrimediabilmente deturpato l’immagine dell’Udc come partito dei valori cristiani. Se infatti – lì dentro – sono tutti come loro due, meglio perderli che trovarli. La riprova è che la Chiesa preferisce oggi la Lega a Pierferdy. Il distacco si sta consumando in queste ore. Appena i due neo governatori di Piemonte e Veneto – Cota e Zaia – si sono detti contrari alla Ru486, i vescovi si sono schierati con loro entusiasti. Il presidente della Pontificia accademia della vita, Rino Fisichella ha espresso «plauso», il vescovo di San Marino, Luigi Negri, si è detto «grato», soddisfatto il presidente della Cei, cardinale Bagnasco. È tutto un lodare la Lega e ignorare l’Udc.
Casini è stato soppiantato nelle simpatie ecclesiastiche da quelli che più detesta. L’ironia è che ha sempre combattuto i leghisti in nome dei valori cristiani. Aveva preso sul serio gli slogan pagani sul dio Po, le chiacchiere sui Celti, le cerimonie druidiche e le diverse baggianate mitologiche del bossismo delle origini. Così come le esagerazioni sugli extracomunitari, le fiaccolate, le ronde. Si è crogiolato in un’immagine stantia del leghismo senza accorgersi che, sempre più pragmatici quanto più avevano consenso, i «padani» hanno progressivamente abbandonato il folklore per governare sul serio. Pensava di potere vivere di rendita con l’antileghismo e nel frattempo curare sfacciatamente gli affari suoi. Dirsi vicino ai preti a parole e allearsi di fatto con chi li disprezza. Mai Casini ha corso rischi per difendere quelle che la Chiesa considera le sue priorità: il no ai matrimoni gay, all’eutanasia, alle fecondazioni di ogni tipo, all’aborto e il sì alla scuola e all’educazione cattolica. Mai ha condotto vere battaglie contro il laicismo, limitandosi a educati dissensi che non gli hanno impedito di trescare con D’Alema, Bersani, Fini, con gli atei di ogni provenienza e i cattolici adulti. Ma la Chiesa bada al sodo e vuole i Fanfani che per contrastare il divorzio hanno speso ogni energia, perduto la guida della Dc, accettato di cadere in disgrazia. Così ha messo l’occhio sulla Lega e lo ha distolto da Casini, un uomo né carne né pesce, che chiede solo di sopravvivere un giorno puntellandosi alla destra, l’altro intruppandosi a sinistra. I nodi sono venuti al pettine e la rendita di posizione cattolica dell’Udc stilla le ultime gocce. Con le elezioni 2013, se tanto mi dà tanto, la vena sarà secca del tutto.
DA IL GIORNALE – 3 aprile 2010

VALDITARA: PROIBIRE I DOPPI INCARICHI

Pubblicato il 2 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Il sen. Valditara del PDL ha detto una cosa giusta, oseremmo dire santa! Prendendo spunto dalle sconfitte elettorali subite a Venezia e a Lecco da due esponenti del PDL, il ministro Brunetta che era candidato a sindaco di Venezia, e del viceministro Caastelli che era candidato a sindaco di Lecco, il sen. Valditara ha rilevato che “forse la sconfitta di entrambi debba essere letta come una non condivisione degli elettori del doppio incarico che i due, se avessero vinto, avevano dichiarato di voler mantenere, al governo e in Comune”. Non sappiapo se l’analisi del senatore pidiellino è giusta, ma è senza dubbio giusta la sua proposta. Cioè di inserire nelle ormai prossime, speriamo, riforme istituzionali il divieto di  doppie e talvolta triple cariche pubbliche accentrate nella stessa persona. Sarebbe, lo ripetiamo, cosa buona e giusta che tale divieto fosse istituito e operasse ad ogni livello. Non si chiede di gungere come accadde al crepuscolo della prima Repubblica che addirittura i ministri si dimettano dall’incarico parlamentare ma è davvero inaccettabile che chi ricopra una carica pubblica che ad ogni livello necessita di intensa attività assorbente l’impegno di chiunque, di cariche ne possa ricoprire due e talvolta anche di più di due. E francamente siamo rimasti di stucco che il sindaco di Roma, Alemanno, che peraltro stimiamo e ammiriamo,  rispetto alla proposta del suo compagno (pardon,  camerata!) di partito,  abbia difeso l’attuale situazione sostenendo che l’accentramento di più cariche nella stessa persona possa “essere un risparmio”. Non vogliamo giungere a sostenere che anche in famiglia una carica pubblica è più che sufficiente ma almeno che lo sia per una stessa persona.

ELEZIONI REGIONALI: FITTO, LEZIONE DI STILE

Pubblicato il 1 aprile, 2010 in Politica | No Comments »

Il presidente Berlusconi ha respinto le dimissioni di Raffaele Fitto da Ministro per gli Affari Regionali, dimissioni che il Ministro Fitto aveva rassegnato all’indomani dell’esito sfortunato delle elezioni regionali in Puglia. Si sa, ed è sempre stato così:  le vittorie hanno tante madri, mentre le sconfitte hanno un solo padre. E Fitto senza attendere un solo minuto si è identificato nel ruolo di “padre” ed ha addossato   le responsabnilità della sconfitta solo su di sè, benchè ciò non sia vero.  Non si è curato nè delle squallide  ironie con cui da una parte la signora Poli e dall’altra il velenoso Vendola hanno commentato le sue dimissioni, nè che le sue dimissioni sarebbero divenute inevitabilmente la cartina di tornasole di quanti da tempo scalpitano nel centrodestra contro la sua leadership. Ha compiuto, come è nello stile che lo contraddistingue da sempre,  un atto responsabile e coraggioso in un Paese in cui nessuno dà le dimissioni, semmai solo le annuncia. Fitto, invece, le ha rassegnate e ciò  torna  a suo merito, come torna a merito del presidente Berlusconi averle respinte e, sopratutto, averle respinte nella sede più appropriata, cioè il Consiglio dei Ministri, perchè era quella, la sede istituzionale,  e non quella politica, il luogo dove le dimissioni potevano esserer accolte o respinte, e ciò spiega  anche il “ritardo”  (su cui taluni hanno fondato la “speranza” che le dimissioni fossero accolte) di poche ore con cui ciò è avvenuto. Ed è avvenuto non solo fra gli applausi corali del Governo,alla cui riunione, peraltro,  Fitto non è intervenuto,  ma anche con il riconoscimento esplicito da parte di Berlusconi delle qualità di uomo di governo del Ministro Fitto. Naturalmente la conferma della fiducia di Berlusconi nel suo Ministro non può evitare che sulla sconfitta delle regionali si discuta, e molto,  nelle sedi politiche appropriate, cioè negli organismi dirigenti e nelle assemblee di partito . Era sbagliato invece  iniziarne a discutere  sulla testa di Fitto che in verità si è speso nella campagna elettorale come forse non aveva fatto neppure nella sua campagna elettorale, quella del 2005, girando la Puglia e soprattuto il barese palmo a  palmo e non solo perchè ha voluto pagare un tributo di affetto e di solidarietà a Rocco Palese, ma perchè ha avvertito giustamente  su di sè la responsabilità del leader, quella che invece non ci pare abbiano avvertito altri, su cui pure incombe la  corresponsabilità della scelta,  ampiamente condivisa,  del candidato e forse anche la strategia della campagna elettorale. Sia chiaro, quella di Palese, a nostro avviso,  era non  l’unica scelta possibile, ma era la scelta migliore e quella più corrispondente agli interessi della Puglia. Certo,  con il senno di poi, si può discettare sul fatto che Palese fosse poco “comunicativo” o non “bucasse il video”, come si suol dire (ma contro Vendola e le sue doti di affubalatore chi avrebbe potuto far meglio? il giudice D’ambruoso o la stessa Poli Bortone? andiamo……), ma resta,  quella di Palese,  la scelta migliore, e condivisa da tutti, visto che tutta la classe dirigente del partito pugliese (e chi altri doveva compiere la scelta?) l’ha scelto e  indicato ai vertici nazionali del partito. D’altra parte non si deve ignorare che il partito del Popolo della Libertà si è confermato il primo partito di Puglia ed ha conquistato  20 dei 26 consiglieri regionali della coalizione di centro destra  (sugli altri sei e sull’origine dei voti attribuiti alle due liste che li hanno espressi preferiamo far scendere il velo del silenzio,  anche per non dover parlare di un neo macchiettista  “provinciale” della politica che anche in queste ore, sulla pelle del povero Palese e fingendo di solidarizare con Fitto, rivendica,  per sè e per i suoi bravi di  manzoniana memoria,  ruoli e poteri senza meriti e consensi).  Non è stato sufficiente questo indiscusso primato  per vincere perchè, come ha sostenuto qualcuno con il senno di poi,  la coalizione non era “completa”. Ecco il punto. Di chi è la colpa se la coalizione non era completa? Di Fitto? Andiamo,  Fitto si è speso in tutti i modi per ottenere che l’UDC, come in Campania, in Calabria e nel Lazio,  stringesse alleanza con il centrodestra. Ma Casini non ha voluto essere della partita, prima stringendo i noti accordi con  D’Alema e poi nascondendosi dietro la Poli Bortone la cui candidatura era ed è stata solo di bandiera ed utilizzata cinicamente, non dalla ormai irriflessiva Poli Bortone, ma proprio da Casini, contro il quale ora anche la stessa Poli, ormai alle corde sul piano morale e politico,  lancia accuse di “voto disgiunto”. La verità è che la Puglia è stata scientemente  usata  dal partito degli assessori e degli affaristi per tenere in piedi una manovra  che guarda lontano, guarda al 2013 e alle  future elezioni politiche. Naturalmente tutto ciò non esime comunque il Popolo della Libertà dall’obbligo di aprire una seria e approfondita riflessione sul voto delle regionali, sulle sue conseguenze e, diciamolo con franchezza,  sulla necessità di una rivisitazione politica e organizzativa che restituisca fiato e concretezza alla sua presenza sul territorio, anzi la ricostruisca, sottraendo spazio e terreno ad avventurieri vecchi e nuovi, che sulle falle  del PDL, che ci  sono e sono vistose,  tentano di inserirsi per costruire inedite lobby di potere neppure suffragate dal consenso popolare. g.