Archivi per novembre, 2010

BERLUSCONI: MEGLIO LE BELLE DONNE CHE I GAY; SGARBI: UNA BATTUTA ENTUSIASMANTE CHE APRE LA CORSA ALLE URNE

Pubblicato il 3 novembre, 2010 in Costume | No Comments »

di Vittorio Sgarbi

L’improvvisa, ma non imprevedibile, uscita di Silvio Berlusconi (parlo dell’uomo, prima che del presidente del Consiglio, trattandosi di dichiarazioni relative a gusti e inclinazioni personali) arriva al culmine di una vicenda che ha drammatizzato la situazione politica in maniera spropositata rispetto alla sostanza dell’episodio. Nel crescendo oratorio, Berlusconi prima avvisa quanti lo ascoltano, e li rassicura: «Non leggete i giornali, vi imbrogliano, non c’è nulla di grave perché hanno male interpretato la mia disponibilità ad aiutare chi abbia bisogno, per una ragazzata com’è nel caso di cui tanto si parla.

Vedrete, finirà nel nulla, essendo una tempesta di carta». Al culmine di questa affermazione, la battuta fulminante, così spontanea da sottrarsi a ogni prudenza imposta al «politicamente corretto»: «Meglio essere appassionato di belle ragazze che gay».
Ma gli è scappata o l’ha fatto apposta? Io mi sono entusiasmato, e sono convinto che, nella battuta, vi siano insieme spontaneità e calcolo. Spontaneità perché quello che Berlusconi ha detto è vero, intendo vero per lui, come per mio padre e per tanti italiani che si sono formati prima della liberazione sessuale, cresciuta all’inverosimile se si pensa alla diversa percezione che si ha dell’omosessualità rispetto a venti o trent’anni fa. Lo stesso Berlusconi, candidamente, chiosa: «È quello che ci hanno insegnato i nostri genitori». Di più, è quello che ci dice la Chiesa, indicando i rapporti fra uomo e donna come base della famiglia e respingendo, senza condizioni, le proposte di legittimazione delle unioni gay.
Berlusconi è nato nel 1936, e sembra voler ribadire il primato della eterosessualità come condizione «naturale». Il dibattito è ancora aperto, ma l’omosessualità è stata per lungo tempo considerata trasgressione o devianza. Un’analoga posizione ha assunto recentemente Rocco Buttiglione parlando di sessualità rispettabile ma sbagliata, di «errore», ovvero di «peccato», arrivando a paragonare l’omosessualità all’adulterio. Nella dottrina cristiana ci siamo.

Berlusconi ha quindi espresso una posizione semplice, e soprattutto personale. Ma non è escluso che ci sia stata intenzione e che, in questo continuo sconfinamento tra questioni pubbliche e questioni private, abbia, con quella battuta, voluto aprire la campagna elettorale. In che senso? Molti hanno visto semplicemente l’atteggiamento omofobo, e hanno osservato che Berlusconi avrebbe commesso l’imprudenza di alienarsi le possibili simpatie del mondo omosessuale coltivato e blandito, persino più che a sinistra, dalla ministra per le Pari opportunità Mara Carfagna. Troppo semplice. In realtà Berlusconi, forse inconsciamente ha indicato uno spartiacque, una scelta di campo per le (prossime) elezioni politiche, che egli afferma di non desiderare: il suo più probabile antagonista, infatti, è Nichi Vendola, paladino dell’orgoglio omosessuale, in maniera altrettanto naturale (anche se, fino ad oggi, più militante) quanto quella manifestata convintamente da Berlusconi con le sue dichiarazioni di orgoglio eterosessuale. Proviamo dunque a ribaltare la situazione senza privilegiare l’una o l’altra in nome dei diritti delle «minoranze» (?). Se Nichi Vendola avesse dichiarato: «Meglio essere appassionati di bei ragazzi che eterosessuali», chi si sarebbe stupito? D’altra parte Berlusconi parlava a un pubblico convenuto a una fiera del ciclo e del motociclo, con molte belle ragazze immagine. Perché dirlo «malato»? Visto l’argomento di cui parlano i giornali da una settimana, egli sta sul pezzo, manifesta la sua natura esuberante, continua a scherzare come quando, nello spirito di Amici miei, fa balenare al capo di gabinetto della Questura che Ruby possa essere la nipote di Mubarak. Puro Adolfo Celi, anche se è Berlusconi più affine all’inarrivabile conte Mascetti di Ugo Tognazzi (ma non ha perso tutto). D’altra parte egli è consapevole di essere come un fenomeno naturale, come un luogo di villeggiatura: da visitare, non da occupare. Come la Grotta Azzurra, come Taormina.

Così Ruby è passata, ha visto ed è andata via. Mentre, in altre situazioni, Elisabetta Tulliani si è insediata, ha occupato la sede vacante ed è rimasta con il fratello e con la famiglia presso il suo prescelto. Berlusconi, diventato libero, dopo la rivolta di Veronica, intende rimanerlo, e ha espresso la propria convinta posizione. Di chi contempla la bellezza femminile. È la posizione anche di Saffo. Mentre Pasolini preferiva i bei ragazzi. Ma la differenza è appunto tra «appassionarsi» ed «essere». La condizione gay impone una diversa visione del mondo che sconfina con l’ideologia. Berlusconi, cristiano, cristianissimo, esprime una visione pagana, di puro piacere, non ideologica. Difficile non condividere quel punto di vista. E se avesse detto: «Preferisco la carne al pesce?». Non diverso da: «Meglio essere appassionato di belle ragazze che gay». Il resto potrebbe essere il copione di una ribellione del compagno di Vendola che scrive a Repubblica dopo aver scoperto che il suo amato lo ha tradito. Scoppierebbe un Vendola-gate?
Allo stato quello che è accaduto in questo giorni, anzi, in questi mesi da Noemi in avanti, attiene alla sfera privata, come la frequentazione di giovani disposti a prostituirsi non ha in alcun modo riguardato il pensiero e l’impegno di Pierpaolo Pasolini. La differenza, rispetto al mondo omosessuale, è il clima di allegria, di divertimento, fin qui frainteso. La vicenda di Ruby, come oggi le dichiarazioni apparentemente scorrette hanno tutto l’aspetto di una burla, di un gioco. E Bersani e Di Pietro soffrono, per questa volta, di non essere fra i protagonisti di questa edizione di Amici miei. Niente di più, niente di tragico. Battute che Achille Campanile avrebbe apprezzato. Ma oggi abbiamo il triste Travaglio.

OBAMA, ADDIO

Pubblicato il 3 novembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

I pronostici della vigilia hanno avuto clamorosa conferma. Nelle elezioni americane di medio termine che prevedevano la elezione di tutti i 435 rappresentanti del Congresso, di 37 governatori e di un terzo del Senato,  i repubblicani che solo due anni fa erano stati letteralmente spazzati via dal ciclone Obama, hanno ottenuto una clamorosa vittoria. E’ stata ribaltata la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti dove i repubblicani a spoglio non ancora concluso hanno conquistato la maggioranza dei seggi ottenendo sinora 62 seggi in più di quelli che avevano,  conquistando 240 seggi contro i 183 dei democratici che naturalmente perdono il posto di  speaker della Camera, occupato sinora dalla sofisticata ultramiliardaria italoamericana Nancy Pelosi, che toccherà ora ai repubblicani. Al Senato la corsa dei repubblicani, benchè vincente,  si è fermato a più sette senatori rispetto ai dieci di cui avevano bisogno per conquistare anche la Camera alta americana, ma la maggioranza democratica è ora assai risicata per cui risulterà assai difficoltoso per i democratici tenere la barra delle decisioni politiche e sopratutto economiche senza concordare la linea con i repubblicani.  Anche per i governatori il risultato premia i repubblicani che hanno conquistato sette stati in più e cioè ben 20 dei 37 in palio. La sconfitta di Obama dopo appena due anni dal suo enorme successo  è catastrofica, benchè taluni mass media tentano di mitigarla, e dimostra che quella di Obama era stata una vittoria provocata e sostenuta da una straordianria discesa in campo di strumenti propagandistici che hanno creato un mito che si è dimosttrato d’argilla, incapace di trasformare in fatti concreti le promesse elettorali che gli avevano guadagnato uno dei più grandi trionfi di tutti i tempi per un candidato presidente alle prime armi. Ora per Obama tutto sarà più difficile e secondo molti analisti indipendenti la sua stella è destinata a spegnersi per sempre. Insomma, ha ballato una sola estate. g.

ULTIMATUM DEL PDL A FINI: O DENTRO O FUORI

Pubblicato il 2 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

L’aut aut è chiaro: se Gianfranco Fini vuol mandare a casa Berlusconi deve assumersene la responsabilità, e compiere materialmente il fatidico gesto tante volte evocato, «staccare la spina».

A mettere sul tavolo l’ultimatum sono i capigruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, ma l’ispirazione è arrivata direttamente dal Cavaliere. «L’onorevole Fini dovrà fare le sue valutazioni: o confermare l’appoggio al governo o prendersi la responsabilità di una crisi», dicono Gasparri e Cicchitto. Il tempo dei giri di parole è passato, e il messaggio è ormai assolutamente esplicito. Tanto da costringere i finiani ad una replica pressoché immediata, giusto il tempo di consultare il presidente della Camera e di battere al computer la dichiarazione. Ovviamente firmata dagli omologhi di Cicchitto e Gasparri, ossia i capigruppo Fli Italo Bocchino e Pasquale Viespoli: «Futuro e Libertà ha sempre detto con chiarezza che non intende staccare la spina al governo ma, anzi, di volerlo sostenere per l’intera legislatura», sottolineano i due, e ricordano di averlo dimostrato anche recentemente nel dibattito sulla fiducia al governo. Ciò detto, aggiungono, «il problema non è la nostra presunta volontà di far cadere Berlusconi, ma la reale volontà altrui di dar vita a una nuova stagione di governo».

Se qualcuno sperava in uno show-down in tempi rapidi nella maggioranza, deve ricredersi: il gioco del cerino è ancora in pieno corso. Non che Fini abbia alcun residuo amore per il governo Berlusconi, e anzi nelle ultime ore il tam tam che arrivava da Futuro e Libertà era quello di un redde rationem ormai prossimo; di un Fini ormai deciso a dare lo scrollone decisivo al traballante edificio della maggioranza; di uno “sparo di Sarajevo” pronto a esplodere il prossimo weekend dalla convention finiana di Perugia. «Questa sarà una settimana decisiva», annunciava il viceministro Adolfo Urso.
Ma di qui ad assumersi l’onere di premere il grilletto ce ne corre. «Dobbiamo stare attenti alle reazioni che può avere l’elettorato di centrodestra, bisogna essere prudenti perché Berlusconi aspetta solo il pretesto per poterci additare come traditori», è il senso del ragionamento che il presidente della Camera ha affidato ai suoi. D’altronde però per Fini è ormai difficile anche resistere al pressing opposto, di tutti coloro che lo incalzano perché porti a termine l’opera invece di restare in mezzo al guado. La speranza di incrinare l’asse con la Lega grazie al caso Ruby, e di costringere il premier alle dimissioni lasciando il posto ad un altro esponente Pdl si è infranta ieri davanti al niet del Carroccio ai «golpe». Il sospetto che Casini possa sfilarsi e non appoggiare eventuali governi “tecnici”, aprendo la strada al voto, è forte. Bocchino rilancia la palla a Berlusconi: «In ogni parte del mondo», dice, una vicenda come quella di Ruby «porterebbe alle dimissioni» del premier.

A conferma del fatto che l’incertezza tattica è forte, i messaggi dei “falchi” e delle “colombe” di Fli hanno continuato ieri a divergere. Con i primi che, sull’onda della richiesta di uscire dall’esecutivo e di passare all’appoggio esterno avanzata da Fabio Granata, premevano sul presidente della Camera: «Basta con i tatticismi, di fronte all’evidenza bisogna agire – dice Angela Napoli – Berlusconi ha detto che è il presidente della Camera a dover fare un passo indietro. Fini invece deve fare un passo in avanti». Il sottosegretario Antonio Buonfiglio conferma: «Non si può escludere a priori l’appoggio esterno».

Assai più prudenti invece gli esponenti moderati: «Il Paese ha bisogno di continuità – avverte Silvano Moffa – una crisi di governo metterebbe l’Italia in pericolo a causa della speculazione finanziaria». Lo stesso Moffa riconosce che dentro Fli le opinioni sulla tenuta dell’esecutivo siano diverse, ma «avere pensieri differenti è positivo». Anche se a volte la differenza di opinioni politiche può trascendere, se come raccontava ieri il Corriere della Sera tra Moffa e lo scatenato Granata qualche tempo fa si è arrivati alle mani.

Il Giornale 2 novembre 2010

VITO LATTANZIO, UN SINCERO AMICO DELLA NOSTRA COMUNITA’

Pubblicato il 2 novembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

La scomparsa l’altro ieri dell’on. Vito Lattazio, politico insigne della nostra terra, uomo di partito, uomo di governo, interprete attento e puntuale dei problemi dei cittadini pugliesi, ha suscitato grande e generale cordoglio fra quanti lo hanno conosciuto, seguito, stimato  ed eletto a loro rappresentante. Se ne è fatta interprete, per tutti,  la Gazzetta del Mezzogiorno, il quotidiano di Bari i cui archivi possono testimoniare il grande impegno profuso da Lattanzio nel corso della sua quasi cinquantennale attività politica al servizio di Bari e della Puglia, allievo prima e concorrente poi, sempre leale e corretto, di Aldo Moro. Se ne è reso interprete sopratutto il condirettore della Gazzetta, De Tomaso, che all’illustre scomparso ha dedicato un ritratto straordinariamente sincero e testimone di una vita spesa al servizio della democrazia e della libertà, talvolta disconosciuta e spesso contraccambiata da manifestazioni di ingratitudine che la politica spesso riserva a chi la vive con passione e vigore. Lo ha ricordato Rino Formica, socialista, che di Lattanzio fu nemico politico ma anche estimatore sincero. Lo ha ricordato il ministro Fitto che oggi rappresenterà il Governo alle esequie di Lattanzio, che ne ha sottolienato la grande capacità di “sentire” gli altri, fisicamente, è il caso di sottolineare. Tutti ricordano che la sua segreteria in via Fratelli Roselli, a Bari,  era un un porto aperto a chiunque volesse parlargli e Lattanzio ascoltava tutti e per tutti aveva modi gentili e cortesi. In quelle stanze si affollavano in tanti, potenti e uomini della strada,  che Lattanzio trattava allo stesso modo, senza distinzioni di sorta, manifestando concretamente il suo essere cristiano praticante che se è vero che frequentava parroci e suore per raccoglierne il consenso, non evitava l’altare dinanzi al quale, a differenza di altri, di tanti altri, si genufletteva con sincera contrizione. In quelle stanze si affollavano gli amministratori locali che in tempi assai difficili sollecitavano provvidenze per i propri enti, Comuni, Provincie, la stessa Regione che lo ebbe sempre sollecito  e solerte sostenitore. Fu uomo di partito, del suo partito, la Democrazia Cristiana, nella quale sempre si collocò a destra, interpretando i sentimenti di tanta parte dell’elettorato del sud che alla DC talvolta guardava con sospetto e che in Lattanzio sapeva riconoscersi più che in altri;  nel suo partito ricoprì incarichi prestigiosi,che lo proiettarono anche in dimensioni sovranazionali consentendolgi di divenire vicepresidente del Partito Popolare Europeo, ancora non inquinato da ingressi di forze eterogenee come sarebbe avvenuto negli successivi. Fu  uomo di Governo, attento, meticoloso, rigido. Con gli altri e con se  stesso, come in occasione della fuga del criminale nazista Kappler di cui lui non era di certo responsabile ma che lo indusse a dimettersi da Ministro della Difesa con la dignità e la signorilità che gli apaprtenevano. Nel Governo ricoprì numerosi incarichi, ministro della Difesa, poi dei Trasporti e della Marina Mercantile, e poi della Protezione Civile, quando questa ebbe  rango di Ministero autonomo. In tutti gli incarichi mostrò capacità, sensibilità, onestà, offiuscata da un improvvido interrvento della Magistratura militante che ai tempi di Tangentopoli lo scalfì con una accusa infamante che si rivelò poi, e non poteva essere altrimenti,  falsa e infondata. Dopo Tangentopoli si ritirò dalla vita politica attiva e sebbene non mancasse di “sentire” gli amici che mai lo hanno lasciato, l’on. Lattanzio ha vissuto con discrezione e riserbo gli anni che trascorrevano, sino a due giorni fa, quando ha cessato di vivere, nel suo piccolo appartamento di piazza Sorrentino, a Bari, quasi a rimarcare la sua mai tradita baresità. Anche noi ci uniamo al generale c0rdoglio e lo ricordiamo come un grande e sincero amico della nostra comunità. Nella foto che pubblichiamo Vito Lattanzio, Ministro della Protezione Civile,  il 5 agosto del 1989, partecipa alla inaugurazione del Monumento all’Emigrante in Largo Croci, in una grande manifestazione di popolo che gli tributò una grande manifestazione di affetto. La meritava l’on. Lattazio che dei problemi della nostra comunità sempre si era interessato, sempre vicino agli amministratori comunali che si susseguivano alla guida del nostro Comune, avendo certezza di poter contare su di lui. Il Comune di Toritto deve a Lattanzio,  tra l’altro, nel 1988, il varo del progetto che doveva portare alla realizzazione della tanto attesa e necessaria  variante esterna alla statale 96. In tempi in cui c’è chi si vanta di aver procurato a favore della nostra cittadina milioni di euro che nessuno ha mai visto, va ricordato  che Vito Lattanzio fece stanziare a favore della nostra comunità 45 miliardi di vecchie lire, circa 23 milioni di euro di oggi, proprio per realizzare quella variante. Chi scrive ricorda  benissimo una sera di ottobre del 1988, era il 10 ottobre, nell’ufficio di ministro, allorchè Lattanzio alzò la cornetta del telefono per chiamare il ministro dei lavori pubblico Prandini e  riferirgli della necessità di accogliere la richiesta del Comune di Toritto  che da anni  giaceva nei cassetti dell’ANAS. Il successivo 12 ottobre, due giorni dopo, il Consiglio di Amministrazione dell’ANAS, presieduto da Prandini, approvava il progetto di realizzazione della variante che sarebbe stato appaltato due anni dopo, cantierizzato e realizzato tra il 1994 e il 1996. Altri tempi e altra politica, ha scritto Enzo Selvaggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno. E’ vero, altri tempi e altra politica, ma anche altri Uomini. Come Vito Lattanzio. g.

INTERVISTA A STORACE: LA FACCIA TOSTA DI FINI

Pubblicato il 1 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Roma - «Ma che faccia tosta». Francesco Storace è saltato sulla sedia quando ha letto i resoconti della convention di Generazione Italia con Gianfranco Fini, al teatro Adriano di Roma. E non per la folla. «Erano pochi – assicura il leader della Destra – noi faremo una manifestazione e saremo molti di più». Il fatto è che lui avrebbe voluto qualche parola di chiarezza su Montecarlo e invece ha sentito solo l’indignazione di Fini per il caso Ruby.

E lei non la condivide?
«Fini ha una faccia tosta incredibile. Insomma, alla fine a Berlusconi si rimprovera solo questa famosa telefonata. Se non ci fosse stata, sarebbe stato tutto tranquillo? E come si fa a mettere sullo stesso piano una cosa del genere e il contratto del cognato? Tutti sanno della telefonata in questura, nessuno saprà mai se ce ne sono state a piazzale Clodio (sede del tribunale di Roma, ndr)».

Non è normale che il presidente del Consiglio abbia i riflettori puntati addosso?
«Lui è il presidente della Camera. Fino a qualche minuto fa era anche capo del partito al quale era stato donato un appartamento per la giusta battaglia».

A adesso cosa è?
«Mi sembra un qualunque estremista dell’altro schieramento. Dice che vuole cambiare la legge elettorale che lui ha voluto, arriva a dire che non sarebbe uno scandalo il governo alternativo ed è terrorizzato dalle elezioni. Ma che differenza c’è con D’Alema? Sabato facciamo una grande manifestazione a Roma all’Eur, dimostreremo che abbiamo più militanti e simpatizzanti noi e spiegheremo all’Italia cosa vuole dire essere di destra».

C’è poca destra in Italia?
«Al contrario, è una moda. Tutti si dicono di destra. Persino Fini».

Parlerete di Montecarlo?
«Ci sarà Roberto Bonasorte. E spiegheremo, con un video, la nostra posizione che è contro l’archiviazione».

Cosa ne pensate della sentenza?
«Gli hanno fatto una cortesia iscrivendolo nel registro degli indicati un secondo prima della richiesta di archiviazione. E gli hanno fatto un favore anche sentendo solo Pontone. Che a leggere le carte mi sembra sia stato messo in mezzo».

Le sembravano veramente pochi i militanti finiani?
«La sala ne tiene seicento con quelli in piedi, facciamo mille. Hanno scelto una sala piccola, ma non è questo il dato significativo. Il fatto è che non hanno nulla da dire di coerente con la loro storia. Contraddicono quanto hanno detto e fatto negli ultimi sedici anni».

A volte la politica è solo tattica. E se la guerra la vincessero loro?
«Io penso che il rischio di un governo alternativo sia reale. La sovranità non è più un valore di riferimento, se è vero quello che ho letto nei retroscena».

Cosa?
«Che c’è un gruppo di parlamentari che non vuole andare a casa. È il colmo se si pensa che sono tutti parlamentari nominati…».

Fini ha sferrato un attacco durissimo a Berlusconi sulle leggi ad personam.
«Ha evocato l’ostruzionismo ed è il presidente della Camera. Ha preso il posto di Diliberto e Ferrando. E poi cosa ha detto per sedici anni se quelle erano leggi ad personam?».

Cosa vuole fare Fini?
«Un altro governo da portare a fine legislatura per poi fare una legge che impedisca a Berlusconi di candidarsi».

FINI, IL GIORNO DELLO SCIACALLO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 1 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Traggono profitto dalle difficoltà al­trui. Sono gli scia­calli. Agiscono da soli, al massimo in cop­pia ma in alcune rare oc­casioni si riuniscono in un branco, ad esempio per nutrirsi di una preda particolarmente grande. Ce ne sono di varie specie ma tutte presentano note­vo­li somiglianze morfolo­giche. In politica ce ne so­no di destra, di sinistra e pure di centro. In queste ore stanno braccando e accerchiando Silvio Ber­lusconi su una vicenda privata che si cerca a tutti i costi di trasformare in uno scandalo pubblico. Non danno tregua, gli sciacalli.

Fallito il colpo del «bunga bunga» (non c’è reato nella frequenta­zione di Arcore da parte della giovane Ruby, il cui primo racconto, spaccia­to dai giornali come veri­tà assoluta, tra l’altro è sta­to smentito dai fatti e da lei stessa), ora ci si attacca coi denti a due telefona­te. Quelle fatte prima dal premier e poi dal suo ca­poscorta alla Questura di Milano la notte in cui la ra­gazza marocchina venne fermata per furto. Dagli atti e dalle testimonianze risulta che nessuno fece pressioni o chiese corsie preferenziali. Palazzo Chigi diede soltanto la di­sponibilità a trovare una persona che, così come prevede la legge, fosse di­sponibile a farsi carico di un collocamento tempo­raneo. Cosa che avvenne. Tutto qui. Anomalo, strano? Può essere, ma si­curamente nulla che ab­bia a che fare con il codice penale.

L’occasione però è troppo ghiotta per chi da 18 anni cerca di disar­cionare il presidente del Consiglio. La macchina sinistra-magistrati-gior­nali si è messa in moto a pieno regime. In tre gior­ni è stata commessa una serie di reati (violazione del segreto istruttorio e della privacy di una mino­renne, diffamazione) sui quali ovviamente nessu­no indagherà, a differen­za di quanto succede per articoli pubblicati da gior­na­li dell’area di centrode­stra. Questa volta, novità ri­spetto al caso Noemi (ov­viamente finito nel nul­­la), il solito branco degli sciacalli ha un nuovo ca­po. Si chiama Gianfranco Fini. Ieri ha giurato che in Parlamento farà ostruzio­nismo a qualsiasi legge che piaccia al Premier e che questa vicenda sta fa­c­endo fare all’Italia una fi­gura imbarazzante.

Il pre­sidente del Consiglio che si occupa di collocare in affido una ragazza è così grave? A nostro avviso è eticamente, e anche giu­diziariamente più grave, quello che Fini ha fatto ne­gli ultimi mesi. E cioè rac­comandare alla Rai la suo­cera per un contratto da un milione e mezzo di eu­ro (abuso d’ufficio, no?), oppure svendere un be­ne del partito, la casa di Montecarlo, al cognato via società offshore (cosa per la quale è indagato an­che se nessuno pone il problema). Per di più, a differenza di Berlusconi, abbiamo un presidente della Camera che sul pri­mo caso ha taciuto e sul secondo ha mentito.

Queste sono le cose che imbarazzano gli italiani. Cioè usare il proprio pote­re, per di più derivante da un ruolo istituzionale, per dare soldi pubblici (o di una comunità) ad ami­ci e parenti. Imbarazza che la magistratura lo pro­tegga e che i grandi gior­nali facciano finta di nien­te. Dopo il tradimento, lo sciacallaggio. Al momen­to è l’unica cosa coerente vista fare dal Fli.

IL GIORNALE 1° NOVEMBRE 2010

….Alessandro Sallusti non ci fa rimpiagere Feltri alla direzione del Giornale. Questo suo editoriale che condividiamo dalla prima all’ultima sillaba lo dimostra ampiamente. g.

LATTANZIO: IN PUGLIA FRONTEGGI0′ MORO, ricordo di Giuseppe De Tomaso

Pubblicato il 1 novembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Ci fu un periodo in cui i mega-inviati dei giornali padani così raccontavano il Monòpoli del Potere dc in Puglia: Aldo Moro comanda a Roma, Vito Lattanzio comanda a Bari. Erano gli anni della Prima Repubblica. La Democrazia cristiana, partito perno dello Stato, sembrava più infrangibile di un pezzo di granito. Il sistema pareva più longevo di Matusalemme. Naturalmente le grandi firme del Nord calcavano la mano sulla contrapposizione, in Puglia, tra il Professore (giurista) e il Dottore (medico) della Dc.

Non era vero che Moro fosse influente soltanto a Roma, così come non era vero che Lattanzio fosse il capo assoluto dello scudocrociato barese. Sta di fatto che dopo lo statista assassinato dalle Brigate Rosse, il personaggio più importante della storia democristiana nel tacco d’Italia è stato Lattanzio, Vito Lattanzio. Generoso con tutti, assai meno con se stesso, Lattanzio non incontrò la generosità della pubblicistica mediatica che, sull’onda del caso Kappler (il macellaio nazista evaso dall’ospedale militare romano), emise una sorta di preventiva condanna senza appello nei confronti dell’allora ministro della Difesa (1977).

Lattanzio ha smesso di vivere, in silenzio, ieri, il giorno del suo 84mo compleanno. Ma, per certi versi, aveva iniziato il suo cammino verso l’appuntamento con il Signore molti anni fa, all’indomani dell’eutanasia della Prima Repubblica. Lattanzio era incompatibile sul piano antropologico, oltre che politico, con la cosiddetta Seconda Repubblica.

Non era un tribuno televisivo. Non sapeva urlare. Non offendeva gli avversari. Era l’opposto del prototipo di tele-successo in voga oggi. Figlio della legge elettorale proporzionale (da lui sempre rimpianta), Lattanzio era più lontano di Plutone dalla logica della democrazia maggioritaria. A tal proposito, la pensava come Moro che, a chi gli prospettava l’ipotesi del passaggio dal sistema proporzionale (fondato sulla mediazione- mediazionismo) al sistema maggioritario (basato sulla decisione-decisionismo) rispondeva con parole dagli effetti clamorosamente profetici: «Se si abbandonasse la proporzionale, la Dc farebbe la fine di un cristallo che si frantuma in mille pezzi». Infatti. L’antica Balena Bianca era sopravvissuta a marosi politici e giudiziari. Aveva navigato tra le due mega-armate di Est e Ovest. E probabilmente avrebbe superato persino lo scoglio di Tangentopoli, se non si fosse imbattuta nell’ostacolo più perfido e insidioso: l’avvento della democrazia dell’aut aut, che subentrava alla democrazia dell’et et.

Attilio Piccioni (1892-1976) amava ripetere che per essere ammessi nella Democrazia cristiana non era necessario essere né democratici né cristiani. Come dire, secondo l’esegeta Francesco Cossiga (1928-2010), che la morale non era di casa e quel che contava era la politica. Invece. Moro e Lattanzio erano diversi come possono esserlo due gemelli eterozigoti. Ma erano profondamente democristiani: di pelle più che di tessera.

Moro propendeva per la riflessione. Lattanzio per l’azione. Fino al 1968, il leader storico della Dc e il suo promettente corregionale militavano nella stessa corrente, anche se l’anticomunismo di Lattanzio era più accentuato. Fu dopo il ‘68, con lo strappo di Moro nei confronti del vecchio corpaccione doroteo e susseguente collocazione nella sinistra interna del partito, che le strade dei due amici-rivali pugliesi cominciarono a divaricarsi profondamente. Il divorzio giovò a entrambi: Moro perfezionò la sua immagine di leader di spessore internazionale, Lattanzio passò dal rango di capo regionale allo status di big pluriregionale e nazionale, approdando nel 1976 a un dicastero di serie A, qual era la Difesa.

Ma, nonostante la rottura, determinata dalla diversità di vedute sul rapporto con il Partito comunista, quelle tra Moro e Lattanzio rimarranno «divergenze parallele». L’Allievo non mancherà mai di rispetto al Maestro. E, quando quest’ultimo, quella tragica mattina del 16 marzo 1978, venne sequestrato dal commando brigatista, Lattanzio dimenticò le diatribe e i dissapori del passato prossimo per schierarsi nella sparuta, ma inascoltata, pattuglia di trattativisti impegnati a fare l’impossibile pur di salvare la vita dell’ostaggio.

Le cose andarono come andarono. Da quel giorno Lattanzio rimase pressoché l’unico dc pugliese in ballottaggio per un incarico ministeriale (infatti, dopo i Trasporti e la Marina Mercantile approderà anche alla Protezione civile e al Commercio con l’Estero). Ma lo spegnimento di un faro come Moro non giovò alla sua stella, che trovava nuova luce proprio nella dialettica regionale con il Numero Uno.

Poi sopraggiunsero alcune vicende giudiziarie, dalle quali l’ex ministro uscì senza macchie e a testa alta. Ma era già cominciata un’altra storia, quella del rientro dietro le quinte. Se il valore di una persona si vede anche o soprattutto da come essa sa uscire di scena, allora bisogna convenire che Vito Lattanzio era un uomo vero, non un viso pallido a caccia di ogni minima nicchia pur di non sparire dalle pagine dei giornali.

La Gazzetta del Mezzogiorno 1° novembre 2010

E’ MORTO VITO LATTANZIO, UOMO D’ALTRI TEMPI E D’ALTRA POLITICA

Pubblicato il 1 novembre, 2010 in Il territorio | No Comments »


E’ morto ieri, nel giorno del suo 84° compleanno, l’ex ministro democristiano Vito Lattanzio. La morte è avvenuta intorno alle 15 a Bari, nella sua abitazione in piazza Sorrentino, circondato dall’affetto della figlia, Titti, del genero, Antonio e dei nipoti, della sorella e dei famigliari tutti. È morto senza sostanze. Nel senso che nel corso del suo strapotere non si è arricchito per nulla. E questa è la prova di moralità che ci ha lasciato, la misura di ciò che fu, di quel che è oggi e di ciò che è stato. Incarnazione dell’ideologia associata a un esercizio scientifico del potere, Vito Lattanzio ha lasciato sulla sponda dei vivi 84 anni di vita democristiana. I funerali si terranno domani, alle 15, nella Basilica di San Nicola, a Bari.

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO  31 ottobre 2010

Fitto: con lui comunanza ideali e amicizia
BARI – “La morte di Vito Lattanzio colpisce me personalmente e la mia famiglia. Il nostro dolore va ben oltre quello per la perdita di una personalità con la quale si è condiviso un lungo percorso politico”. Lo sottolinea in una nota il ministro per i Rapporti con le Regioni e la Coesione, Raffaele Fitto, dopo aver appreso la notizia della morte dell’ex ministro democristiano Vito Lattanzio.

“La comunanza di ideali e di sensibilità – sottolinea Fitto – è stata segnata da un rapporto di amicizia profondo che in nulla è stato scalfito dall’evolversi delle nostre scelte politiche e culturali”. “Con Vito Lattanzio – aggiunge Fitto – scompare l’esponente più interessante e vivace di un tempo della politica che aveva portato la nostra regione ad assumere ruoli di primo piano sulla scena nazionale, sia sul piano del dibattito politico che sul piano dei ruoli di governo”.

“Tra l’altro va ricordato di Lattanzio lo stile con il quale – ricorda il ministro – ha attraversato una lunghissima stagione di impegno, dalle organizzazioni sociali e di categoria fino a ruoli parlamentari e di governo elevatissimi. Nel suo tragitto non dismise mai l’assoluto disinteresse personale, il distacco del professionista e l’ironia del gentiluomo che molto lo soccorse quando si cercò persino di infangarne l’onorabilità che, come era assolutamente prevedibile, gli venne resa intatta dalla stessa magistratura”.

“Esempio raro ma che è stato e resta – conclude Fitto – fondamentale punto di riferimento per quanti, cattolici e laici, sentono il richiamo dell’impegno politico”.