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ECCO COS’E’ LA DESTRA, mentre Fini ne calpesta i valori

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cultura | No Comments »

di Gennaro Sangiuliano per Il Giornale, 27 novembre 2010

«Quante sono le destre»? «Sono tre, trentatré o trecentotrentatré” affermò rispondendo ad una domanda Giuseppe Prezzolini. La battuta arguta, come nel suo stile, è contenuta in uno dei classici del pensiero del grande scrittore, Intervista sulla Destra, che insieme al Manifesto dei conservatori, fissa i contenuti filosofici e politici di quella che affermava essere la «destra che non c’è». Qui Prezzolini esprime un concetto cardine della sua visione della destra conservatrice, quando afferma che il «progressista è l’uomo di domani, ma il conservatore è l’uomo di dopodomani». Fa sorridere la circostanza che nella trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano si citi Giuseppe Prezzolini, l’uomo che negli anni Settanta, quando tutta la cultura italiana era appiattita a sinistra, scriveva libri sulla destra ed elogiava il sistema democratico americano perché combatteva in Vietnam contro i comunisti. Prezzolini è stato per cento anni, tanto è vissuto, il campione dell’anticonformismo, un nemico giurato di quello che chiameremmo oggi il «politicamente corretto», a cominciare dalla straordinaria esperienza de La Voce che arruolò giovani intellettuali di rottura delle convenzioni paludate. Furono i vociani, ad esempio, ad inventare il termine «baroni universitari». Saviano è, invece, un campione di conformismo, spesso megafono di affermazioni che non vengono sottoposte ad alcun vaglio critico. Non ha nulla del coraggio dell’andare controcorrente che segnò il fondatore de La Voce.
Prezzolini pagò un prezzo per le sue idee, dopo l’ascesa del fascismo, nonostante fosse amico e benvoluto da Mussolini, emigrò negli Stati Uniti, perché non soffriva il regime, attirandosi le antipatie dei fascisti che lo ritennero un traditore e degli antifascisti che lo giudicavano l’inventore del Duce. Anni dopo, in visita al Quirinale, quando era andato a vivere in Svizzera, esortato dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a tornare in Italia, Prezzolini gli rispose: «Stia tranquillo presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì a comprare la verdura». E aggiunse: «Piuttosto venga lei a farmi visita in Svizzera, visto che è anche più giovane di me di quindici anni».
Più complesso il discorso su Futuro e Libertà: il suo decalogo sulla destra, enunciato nella trasmissione di Fazio e Saviano, da Gianfranco Fini, è palesemente «ispirato» al Manifesto dei Conservatori di Prezzolini. Ma esso non appare assolutamente coerente con il sostrato ideologico che sembra alimentare questa nuova formazione. Alcuni esponenti del Fli anche in vista di inedite alleanze con Vendola e il Pd si sono affrettati ad affermare che per loro le nozioni storico-ideologiche di destra e sinistra sono da ritenersi categorie superate, affermazione rafforzata dall’ipotesi di presentarsi in caso di elezioni anticipate non con lo schieramento di centrodestra ma con Casini e Rutelli. Dunque, proclamano apertamente di non essere più di «destra», perché giudicano superata questa categoria di riferimento. Posizione coerente con la scelta di chiamarsi Futuro e Libertà, perché, se le parole hanno un senso, sono stati del tutto eliminati i riferimenti ai termini destra e nazione, da sempre elementi fondanti del conservatorismo. A ben vedere Futuro e Libertà richiama, nel lessico come nella sostanza, il Partito d’Azione, la formazione politica ispirata a Giustizia e Libertà, nata nell’immediato dopoguerra e destinata a vita breve per un’insanabile frattura tra la corrente liberaldemocratica che finirà nel Pri e quella socialista che approderà all’ala lombardiana del Psi. Come l’azionismo voleva essere un punto di convergenza fra laicismo e comunisti, il Fli punta ad essere il punto di sutura fra post-comunisti e altre correnti della sinistra.

I fillini, impropriamente chiamati futuristi, perché il movimento di Marinetti era un’altra cosa assolutamente diversa, non sono di destra, semplicemente perché, legittimamente, non si sentono tali. Appaiono qualcosa simile al vecchio azionismo con spruzzate di veltronismo benpensante. La nozione politica di destra, in verità, è molto di più di una categoria partitica, essa rappresenta un’ispirazione filosofico culturale che in Italia affonda le radici – come sostenuto da Giovanni Gentile, Augusto Del Noce e anche da Norberto Bobbio – nel realismo politico di Machiavelli e attraverso il Risorgimento e le avanguardie prezzoliniane del primo Novecento incarna la via conservatrice alla modernizzazione. Marcello Veneziani parla opportunamente di un «senso prepolitico». Come tutte le categorie filosofico politiche progredisce, si aggiorna, assume il senso dei tempi ai quali ci riferiamo, ma lascia alla radice una visione del mondo e della vita. Il conservatore prezzoliniano esalta la patria e la religiosità, è decisamente contro il positivismo razionalista, crede nella politica che pone al centro l’uomo soggetto attivo portatore di diritti e di doveri. «Destra», spiega Prezzolini è il luogo dove siedono i conservatori ma vi siedono per idee di cui sono portatori, per una missione storica che vuole salvare il mito dal naufragio dell’utopia.
Di destra, se vogliamo, furono già i greci delle polis che resistettero in nome della libertà degli antichi all’assolutismo dispotico persiano. Chi oggi afferma il superamento delle categorie di destra e sinistra, soprattutto del loro senso storico, mostra la sua fragilità culturale. L’essere di destra ha ancora più senso di fronte all’universo globalizzato del nuovo millennio significa la forza delle radici e dell’identità. Non è un caso che oggi la risposta conservatrice alla crisi economica globale, dalla Big society di Cameron, al capitalismo sociale della Merkel, all’autonomia gestionale rivendicato dai tea party americani, stia crescendo nella sua credibilità. E nessuno dei nuovi leader da Cameron a Sarkozy disdegna di autodefinirsi di «destra».

.…..In anni ormai lontani nelle sezioni missine, e dai  tanti giovani che le affollavano,  Giuseppe Prezzolini era venerato come l’icona della Destra che ambiva ad uscire dal ghetto. La sua Intervista sulla Destra, edita dal Borghese di Mario Tedeschi, insieme  al Manifesto dei Conservatori, erano i  testi su cui si formava la giovane destra di allora. Dubitiamo che i giovani fillini che poche ore fa hanno indirizzato una lettera al presidente del Consiglio per sfiduciarlo (sic) ne sappiano granchè della Destra, dei Valori della Destra, degli intellettuali veri e non posticci, che di quei Valori furono gli alfieri.  Dubitiamo che essi  conoscano l’opera di Prezzolini e ne abbiamo mai letto una riga. Non a caso essi sono i seguaci di uno come Fini del quale si dubita che abbia mai letto il libro che reca la sua firma. E questi sarebbero i giovani “futuri”. Poveri noi. g.

BERLUSCONI AL PDL: CHI VOTA LA SFIDUCIA E’ UN TRADITORE A VITA

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Ieri il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è rivolto ai giovani del PDL con un discorso che pubblichiamo qui di seguito. Clou del discorso è stata l’accusa rivolta a Fini e a quelli che come lui benchè eletti nel centrodestra si apprestano a votare insieme alla sinistra la sfiducia al Governo. Chi lo fa, ha detto Berlusconi, è un traditore a vita.

Care amiche e cari amici, la missione che vi affido questa settimana è quella di aiutare gli italiani a capire questo momento politico così assurdo, così contrario all’interesse del Paese, così lontano dagli interessi veri della gente. Vi chiedo anche di mobilitarvi fin da ora per organizzare per sabato 11 e domenica 12 dicembre una grande manifestazione e una raccolta di firme a sostegno all’azione del governo per non tradire gli elettori, allestendo punti di incontro e di dialogo con gli italiani nei gazebo, nelle piazze e nei teatri delle vostre città. So che molti di voi anticiperanno questa mobilitazione già dalla prossima settimana e quindi credo riusciremo a mettere in campo una mobilitazione, un’azione davvero efficace. Il nostro governo, lo sapete, è il governo del fare, del fare quello che la gente chiede alla politica, cioè quello di cui il Paese ha bisogno. Gli altri parlano, noi facciamo. In questi due anni (…) abbiamo risolto tutte le emergenze vecchie e nuove: il problema tragico dei rifiuti a Napoli e Campania (…) è riemerso per incapacità delle amministrazioni locali (…): ho dato il via a un’operazione che in meno di due settimane porterà Napoli al suo dovuto decoro. Abbiamo agito con grande tempestività ed efficacia dopo il terremoto in Abruzzo e la Corte dei conti e l’Autorità sul controllo dei lavori pubblici hanno fatto giustizia di tutto il fango che era stato buttato addosso alla Protezione civile (…).
Abbiamo portato l’Italia fuori dalla crisi economica meglio di altri Paesi, abbiamo tutelato i posti di lavoro con una quantità di risorse senza precedenti per la cassa integrazione, a cui abbiamo ammesso per la prima volta anche i lavoratori precari e autonomi. Abbiamo protetto il risparmio; abbiamo sostenuto il reddito dei pensionati e delle famiglie più deboli; abbiamo favorito l’accesso al credito delle piccole e medie imprese; abbiamo sostenuto i consumi con incentivi a numerosi settori (…)
(…) produttivi; abbiamo abolito del tutto l’Ici sulla prima casa; abbiamo rilanciato le grandi opere delle infrastrutture, abbiamo rilanciato e completato, anche per quanto riguarda il tratto Milano-Roma, l’alta velocità ferroviaria e stiamo rilanciando le centrali per l’energia nucleare; abbiamo garantito il pagamento puntuale dello stipendio agli oltre 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici e il pagamento puntuale delle pensioni agli oltre 18 milioni di pensionati; abbiamo abolito 375mila leggi inutili (…) e avviato una grande stagione di riforme: il federalismo fiscale (…) la riforma della scuola primaria, della scuola secondaria e dell’università, quest’ultima nonostante le proteste di piazza organizzate dalla sinistra e la difesa dei baroni fatta da chi è salito sui tetti, un gran bello spettacolo; la riforma della giustizia civile; abbiamo introdotto il merito e l’informatica nella pubblica amministrazione, dove si è ridotto l’assenteismo del 40 per cento.
Lo Stato insomma, con noi, è tornato a fare lo Stato. (…) Abbiamo assicurato alla giustizia 28 dei primi 30 latitanti più pericolosi, con 20 miliardi di beni sequestrati, abbiamo messo in carcere oltre 6.700 mafiosi.
Per quanto riguarda la politica estera, con la nostra diplomazia commerciale, abbiamo portato appalti, lavoro e profitti a molte imprese italiane che operano nel mondo. E abbiamo restituito prestigio e autorevolezza all’Italia in campo internazionale. (…)

Da alcuni mesi tuttavia (…) la vita pubblica in Italia è paralizzata da una crisi (…) politica, irragionevole e irresponsabile, (…) che ci ha riportato indietro alla vecchia partitocrazia, ai suoi linguaggi, ai suoi vizi, ai suoi egoismi e che ha (…) fatto dimenticare la straordinaria azione e gli straordinari risultati del nostro governo. Le opposizioni di sinistra hanno l’obiettivo chiarissimo di ribaltare in Parlamento il voto espresso dagli italiani. Per arrivare a questo sanno che devono eliminare Silvio Berlusconi, (…) ostacolo insuperabile che si frappone alla conquista del potere da parte loro.
Ma non ci riusciranno: noi e voi non lo consentiremo. Abbiamo un governo che è stato scelto dagli italiani. (…) L’Italia oggi ha bisogno di tutto meno che di paralisi e d’instabilità. Una crisi di credibilità (…) ci porterebbe in fretta sulla stessa strada della Grecia e dell’Irlanda. Per questo il 13 dicembre chiederemo al Parlamento, sia al Senato sia alla Camera, un nuovo voto di fiducia al nostro governo.
In quelle aule, ricorderete, il 29 settembre scorso, abbiamo ottenuto un voto di fiducia con un consenso elevato, il consenso più ampio di tutta la legislatura. (…) Se qualcuno da allora avesse cambiato idea, dovrà dirlo, con chiarezza, agli italiani. E avrà il dovere di spiegare il perché. (…) A questo governo non c’è un’altra alternativa se non quella di nuove elezioni. Nessuno le vuole perché sanno che se andassimo alle elezioni li sbaraglieremmo tutti. (…) Continueremo quindi a lavorare perché sono convinto che il Parlamento ci assicurerà la fiducia, non solo al Senato, ma anche alla Camera. Sono convinto che non ci sarà bisogno di nuove elezioni, perché il senso di responsabilità, la coerenza, il rispetto e la lealtà verso gli elettori, la necessità di evitare un salto nel buio, sono tutte ragioni per le quali i parlamentari eletti nel centrodestra saranno costretti a stare con noi, a sostenerci con il loro voto, sino al completamento della legislatura. Chi non lo farà avrà tradito gli elettori e sarà segnato per tutta la vita dal marchio del tradimento e della slealtà.
Il 14 dicembre non ci accontenteremo di una fiducia occasionale, basata su fragili margini numerici. Necessitiamo di una fiducia convinta e continuativa. Questa è l’unica condizione per evitare il ritorno al voto.
Vogliamo realizzare con chi ci sta quel patto di legislatura del quale ho parlato nelle scorse settimane. Questo significa (…) che siamo aperti a ragionare, come sempre, con tutti, senza alcun pregiudizio, se non con l’impegno della coerenza rispetto al nostro programma e l’impegno della lealtà nei confronti dei nostri elettori. Però voglio sottolineare che restiamo e resteremo sempre aperti a discutere tutte le idee che possono migliorare la nostra azione. (…)
Il cambiamento dell’Italia, in senso liberale, per costruire un Paese più libero, più moderno, più sicuro, più giusto e anche più orgoglioso di sé, è l’obiettivo che non abbiamo smesso per un solo giorno di perseguire.
E io personalmente non ho mai smesso di sostenere pubblicamente e credere intimamente nell’assoluta necessità di riavviare l’Italia su un sentiero liberale.
È questo quello che ho sempre sognato e, come sapete, in genere riesco a realizzare i miei sogni. (…) Ci impegneremo dopo la fiducia che il Parlamento ci rinnoverà il 14 dicembre con uno slancio rinnovato. (…) Grazie per quello che avete fatto, che fate e che farete. E ricordatevi sempre che gli altri parlano, che noi invece facciamo. Un forte abbraccio a tutti.

PAGHE..RAI, di Filippo Facci

Pubblicato il 27 novembre, 2010 in Costume, Economia | No Comments »

….Non siamo stati i soli a protestare per l’assurda idea del ministro Romani di imporre il pagamento del canone Rai a chiunque sia titolare id un contratto Enel e di inserire l’importo direttamente in bolletta. Ecco la sottile ironia di Filippo Facci su Libero di oggi che commenta la “ideona” di Romani.g.

Che ideona, era proprio il momento economico e politico ideale: proporre il pagamento automatico del canone Rai per chiunque abbia un semplice contratto di energia elettrica, cioè per chiunque, appunto. Al ministero dello Sviluppo economico non hanno vie di mezzo: o sono pagati a loro insaputa o pretendono che a nostra insaputa paghiamo noi.
È un temerario, Paolo Romani: ha ripescato questa sua idea fissa – già bocciata tempo fa – anche se una parte della maggioranza non è d’accordo; chi non possiede un televisore dovrebbe essere lui a dimostrarlo (inversione dell’onere della prova: molto garantista) senza dimenticare che già oggi dovrebbe pagare il canone Rai chiunque possegga anche solo una videocamera, un I-pod, un videofonino, una macchina fotografica digitale, uno schermo di computer (anche senza computer) e persino un videocitofono.

In Italia ferve il dibattito perché abbiamo il canone e pure gli spot, perché non si sa più che cosa sia un servizio pubblico, perché il mercato è cambiato, perché la gente è incazzata nera, soprattutto perché la Rai è uno spaventoso carrozzone con un passivo di centinaia di milioni e diecimila dipendenti, tremila precari, dirigenti nullafacenti, direttori disoccupati, società esterne, case di produzione, e amici, parenti, mamme, amanti, future ministre: avevamo solo il problema di rifinanziare tutto questo. Molto popolare, molto deregulation, molto governo del fare.

….Non siamo stati i soli a protestare per l’assurda idea del ministro Romani di imporre il pagamento del canone Rai a chiunque sia titolare id un contratto Enel e di inserire l’importo direttamente in bolletta. Ecco la sottile ironia di Filippo Facci su Libero di oggi dire la sua in proposito.

I RIFIUTI DI NAPOLI: SOLO IN OTTO IERI A CONTESTARE BERLUSCONI

Pubblicato il 27 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Numero dei contestatori in piazza: otto. A cui si aggiungono altri tre che tiepidamente rimproverano al premier di non aver ancora risolto il problema dei rifiuti. Numero di telecamere che danno l’assalto ai contestatori: ventuno. Sì, esatto: c’erano più telecamere che manifestanti ieri sera in piazza del Plebiscito a Napoli all’arrivo di Silvio Berlusconi. Otto ragazzi provenienti da Chiaiano, uno dei siti scelti per aprire nuove discariche già lo scorso anno. Ragazzi che sono stati coccolati dagli inviati di Annozero e Ballarò. In una piazza attigua, piazza Trieste e Trento, davanti allo storico caffè Gambrinus, era stato invece confinato un centinaio di manifestanti ex lavoratori socialmente utili che dipendono da progetti della Regione. Non veri e propri contestatori del premier ma che tuttavia, al passaggio delle auto presidenziali, hanno fischiato e urlato e gridato slogan contro Berlusconi. Ben poca roba, in definitiva, rispetto a quanto annunciato. Tanta poca roba che in conferenza stampa lo stesso Cavaliere si lascia andare a un’ironia irridente: «Contestazioni? Io sono venuto comodamente in macchina. Non ne ho sentita nessuna. Se poi un gruppo di ragazzi, anziché intrattenersi altrove, magari con le ragazze… Io alla loro età facevo altro». Comunque il capo del governo è tornato. È tornato a Napoli e s’è barricato in prefettura per affrontare la situazione in una città che da due giorni è sensibilmente più pulita, pochi i cumuli che si possono incontrare per strada. Emerge dalla riunione con i presidenti delle Province per parlare in una conferenza stampa piuttosto rapida con al suo fianco il presidente della Regione, Stefano Caldoro. Un meeting per ribadire che l’emergenza il governo l’ha affrontata e l’ha risolta due anni fa. In questi due anni sono stati gli enti locali che avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. In particolare le sue critiche si accentrano sui due termovalorizzatori che si sarebbero dovuti realizzare a Napoli Est e Salerno: siamo esattamente al punto di partenza. In pratica non s’è fatto un passo avanti. Attacca il premier: «Noi due anni fa abbiamo risolto la situazione che trovammo come eredità dal precedente governo e in quell’occasione fu stilato un piano che poteva garantire alla Campania una soluzione al problema dello smaltimento dei rifiuti durevole. Noi abbiamo terminato il periodo di poteri speciali che ci eravamo assegnati alla fine dell’anno passato e quando abbiamo lasciato era chiaro ciò che le autorità locali avrebbero dovuto realizzare. Tutto questo non è stato realizzato, perché le precedenti amministrazioni sono state inoperose, sta cominciando ad essere affrontato dalle nuove amministrazioni che sono in carica soltanto da poco tempo». Prende le distanze dalla crisi attuale ma non si tira indietro: «In questo frangente ho ritenuto di dover dare una mano alle amministrazioni locali». Non risponde a Fini, che gli aveva chiesto un’assunzione di responsabilità, ma indirettamente dice: «Io lavoro, gli altri parlano». Il governo torna a Napoli, spiega Berlusconi, non si tira indietro di fronte alla nuova emergenza. Per risolverla «abbiamo anche possibilità di utilizzare l’Esercito, il ministro della Difesa ci ha dato piena disponibilità». Spiega che lo sforzo sarà comunque collettivo: «Ho telefonato personalmente ai sindaci di Milano, Torino, Firenze, Genova, Bari, Roma per avere mezzi che ci aiutino a risolvere la situazione a Napoli». Quindi elenca: «Da Milano arriveranno sette compattatori per la raccolta dei rifiuti nelle strade, da Roma ne arriveranno 11 ma stanno arrivando adesso le risposte di tutti gli altri sindaci». Insomma, lui che confessa di essere sempre un inguaribile ritiene ancora che in un paio di settimane questa emergenza possa essere alle spalle.Fabrizio dell’Orefice, inviato a Napoli per il Tempo,27/11/2010

…..Ieri, per caso,  eravamo a Napoli,  e siamo stati casualmente spettatori di quanto riferisce correttamente  l’inviato de Il Tempo. E possiamo  testimoniare che è la verità, come è del tutto forzata la cronaca di inesistenti contestazioni al premier quando è arrivato in piazza Plebiscito, salvo che non si voglia definire contestazione quella di uno sparuto gruppetto di ragazzi  o la protesta dei lavoratori socialmente utili preoccupati per iul loroposto di lavoro,  adunati dinanzi al Caffè Gambrinus, sotto gli occhi di  uno spocchioso signore che rigorosamente paludato in cashemire, leggeva ostentamente il Manifesto. g.

LA “LEGALITA” SECONDO I FINIANI: URSO, DA VICEMINISTRO, NOMINA CONSULENTE DEL MINISTERO A 54 MILA EURO PER SETTE MESI IL SOCIO DELL’AZIENDA DI FAMIGLIA.

Pubblicato il 27 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Adolfo Urso, viceministro dimissionario e coordinatore nazionale del partito di Fini

articolo di Gian Marco ChiocciMassimo Malpica per il Giornale

Addio sì, ma con sorpresa. Il finiano Adolfo Urso ha mollato, come tutti gli esponenti del governo in quota Fli, la poltrona di viceministro allo Sviluppo economico lo scorso 15 novembre. Ma al ministero (come ha scoperto il Mondo, rilanciato ieri dal sito Dagospia) è rimasto qualcuno a lui molto vicino.

Uno dei consulenti, ben pagati, del dicastero ha infatti un nome noto, molto vicino ai finiani e a Urso in particolare. Si tratta dell’imprenditore emiliano (ma di origini siciliane) Rosario Cancila, che siede nel consiglio di fondazione di Farefuturo ed è anche socio (al 10 per cento) della società agricola «Lo Schioppo», insieme all’imprenditore Enzo Poli e a Pietro, Dario e Paolo Urso, figli e fratello dell’ex viceministro.

Dello «Schioppo» si era parlato pochi mesi fa, a settembre, quando saltò fuori che la società dei parenti di Urso aveva comperato nel 2005 per 2 milioni di euro una tenuta agricola (che si chiama «Schioppo», appunto) tra Terni e Spoleto: 455 ettari di campagna umbra con monastero, pronto a essere riqualificato grazie a una variante al piano regolatore chiesta (e ottenuta) al comune di Terni. Un affare tutto portato avanti tra familiari di Urso e amici d’area. I primi a comprare la tenuta, nel 2005, sono il fratello di Urso, Paolo, e un imprenditore, Vincenzo Rota, che fa parte dell’osservatorio parlamentare di Urso. Anche il «farefuturista» Giancarlo Lanna, poco dopo, entra in società. Ma lo «Schioppo» cambia assetto societario nel 2008, quando Lanna e Rota lasciano, ed entrano appunto Enzo Poli (che compra il 50 per cento delle quote della tenuta da sogno per appena 125mila euro, come rivelò a settembre il Fatto quotidiano) e Rosario Cancila.

Insomma, l’imprenditore emilian-siciliano è in affari con la famiglia di Urso. Ed è molto attivo anche nella fondazione cara all’ex viceministro: il 25 febbraio del 2008 fu proprio lui, Cancilia, a organizzare la presentazione bolognese di Farefuturo, come racconta il sito web dello stesso think tank finiano, ricordando che «padroni di casa» dell’evento erano Gianfranco Fini e Urso.

La consulenza a Cancila da parte del viceministro è arrivata la scorsa primavera: sette mesi, dal primo giugno al prossimo 31 dicembre, per un corrispettivo lordo di 54mila euro, non proprio spiccioli. Oggetto dell’incarico, come riporta l’anagrafe delle consulenze del ministero, l’«attività di raccordo tra il gabinetto dell’onorevole ministro e la segreteria del sottosegretario di Stato onorevole Adolfo Urso, nonché di collaborazione nel settore dell’internazionalizzazione, con particolare riguardo all’approfondimento delle tematiche dell’internazionalizzazione della politica commerciale italiana». Un incarico mirato, legato alla segreteria del viceministro. Che però, adesso, non c’è più.

ATTACCO ALL’ITALIA

Pubblicato il 27 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Inchiesta Finmeccanica, vicenda Wikileaks, strumentalizzazione dei casi Napoli e Pompei: Berlusconi e Frattini mettono in guardia da chi vuole il suicidio del Paese

C’è qualcuno che sta giocando con­tro l’Italia, den­tro e fuori i confi­ni nazionali. È questo l’al­larme lanciato ieri nel Con­siglio dei ministri dal pre­mier Silvio Berlusconi e dal ministro degli Esteri Fran­co Frattini. La parola d’or­dine sarebbe: destabilizza­re, in chiave antiberlusco­niana ma forse non soltan­to. Non a caso il governo in­t­erviene nel giorno che par­te l’inchiesta giudiziaria sulla galassia di Finmecca­nica, il colosso italiano del­­l’aerospaziale, una delle poche aziende nostrane che compete alla pari con i leader mondiali del suo set­tore, quello della difesa e dell’alta tecnologia (21 mi­­liardi di euro di ordinativi in corso, 2 miliardi di inve­stimenti nella sola ricerca ogni anno). Nessuno met­te in dubbio il diritto dove­re della magistratura di ac­certare eventuali reati. Quello che preoccupa è la gestione giudiziaria, me­diatica e politica della vi­cenda, le fughe di notizie e le ipotesi investigative spacciate per verità. Mette­re a rischio una parte del Pil italiano per poi magari scoprire tra un anno che si è di fronte a una vicenda di malaffare di ordinaria am­ministrazione, con prota­gonisti il faccendiere di tur­no e qualche funzionario infedele, sarebbe una fol­lia. Preoccupazione non campata in aria, visti i tem­pi della giustizia italiana e alcuni clamorosi preceden­ti. Non dimentichiamoci che la credibilità e l’effi­cienza della nostra Prote­zione civile solo qualche mese fa sono state distrut­te, prima in tv e sui giornali che in Procura, da un’in­chiesta della quale ancora oggi non si è capita la consi­stenza.

A chi gioverebbe una Finmeccanica screditata? A tanti e in tutto il mondo. Parliamo di affari da capo­giro che aziende estere non vedono l’ora di sottrar­ci. E trattandosi di alta tec­nologia militare, parliamo di delicati equilibri politici tra i grandi Paesi del mon­do e loro satelliti. Ma Fratti­ni è andato oltre, mettendo insieme a Finmeccanica la spazzatura di Napoli, Pom­pei, le annunciate fughe di notizie sulla corrisponden­za riservata tra Paesi alleati (caso Wikileaks) e altro an­cora. Cose che apparente­mente non c’entrano una con l’altra.Ma non è così.A chi giova, per esempio, ven­der­e al mondo come lo sfa­scio dei Beni culturali italia­ni il crollo a Pompei di un manufatto di cemento ar­mato costruito nel secolo scorso? A chi giova trasmet­tere per due ore sulla Rai (Santoro) un pentito (Cian­cimino) giudicato inatten­dibile dai magistrati stessi che pontifica senza con­traddittorio su fantomatici patti tra Stato e mafia? A chi giova che uno dei nostri principali scrittori, Savia­no, straparli sulla stessa tv di un collegamento organi­co tra la ’ndrangheta e il principale partito del Nord, la Lega? A chi giova far credere all’estero che mezza Italia è sotto cumuli di rifiuti quando il proble­ma è notoriamente circo­scritto a una piccola parte di una sola città, Napoli? E a chi fa gioco amplificare le dichiarazione del capo dei magistrati italiani, Luca Palmara, che la nostra giu­stizia è messa peggio che in Ruanda?

Tutte queste bugie tra­sformate in verità ovvia­mente non giovano all’Ita­lia. E fanno l’interesse di chi nel mondo vuole sot­trarci turisti, imprenditori, investitori,indebolire l’affi­dabilità dei nostri titoli di Stato. Non credo sia assur­do sostenere che l’antiber­lusconismo italiano si stia saldando con poteri fuori confine. Non sarà un dise­gno organico ma certa­mente è in corso un tentati­vo di suicidio nazionale premeditato.

Alessandro Sallusti, Il Giornale, 27 novembre 2010

PRIVATIZZARE LA RAI? CERTO, ANZI NO

Pubblicato il 25 novembre, 2010 in Costume, Economia | No Comments »

Un giorno si e l’altro pure da ogni parte si alzano voci che vogliono privatizzare la Rai. Una per tutte? Quella del grillo parlante della politica italiana, cioè l’on. Fini che non passa ora del giorno che non salomoneggi ora su questo, ora su quello, per cui non poteva mancarne una sulla RAI. E per una volta siamo d’accordo con lui. Già, perchè di una Rai, falso servizio pubblico come questo non se ne può più. Di una Rai, per esempio,  che sperpera quattrini pubblici a proprio piacimento; o di una Rai che non è mai asettica e terzista, come dovrbbe essere un servizio pubblico; o di una Rai i cui programmi di approfondimento sono in verità solo vetrine dei conduttori che li usano per autoesaltarsi; o di una Rai che è una vera e propria fabbrica di nepotismo, anzi di un vero e proprio “familismo amorale” (è appena il caso di ricordare il caso della suocera dell’on. Fini, casalinga elevata a ruolo di impresaria televesiva….). E poi i compensi stratosferici che elargisce: due milioni di euro a Fabio Fazio la cui unica capacità è quella di balbettare frasi che non riesce mai a concludere; 800 mila euro a Santoro per fare processi mediatici a chi non può difendersi….già, un servizio pubblico che dà la parola ai fautori della eutonasia e quando le associazioni che sostengono il diritto alla vita chiedono di poter replicare si sentono respingere la richiesta da funzionari che si trasformano in padroni. E potremmo continuare  con questa Rai, servizio pubblico nel senso che appartiene a pochi. Allora è davvero il caso di privatizzarla la Rai, come in America. In America, compresa quella di Obama, che tanto piace ai democratici del nostro Paese, non esiste una TV pubblica, pagata con i soldi pubblici. Non ci hanno neanche mai pensato a farla perchè gli americani,  che i soldi li sudano, anche quando ne hanno molti, farebbero la rivoluzione, tutti, democratici e repubblicani, perchè gli uni e gli altri considerano la informazione uno dei pilastri della libertà e quando più la stampa è libera, cioè sottratta al controllo del potere  pubblico, tanto più ne guadagna la libertà di tutti. E ovviamente non c’è nessun canone da pagare. Ecco una tassa, il canone TV, che gli americani mai pagherebbero benchè  non si sottraggano al pagamento delle tasse, anche perchè in America l’evasione fiscale non si paga con  le sanzioni pecuniarie, anche con quelle,  ma anche finendo in galera. Al Capone, per dirne una, che fu uno dei gangster americani più pericolosi,  lui che era responsabile di crimini efferati ma dei quali non si riusciva a trovare le prove,finì in galera,  per dieci anni, perchè non aveva pagato le tasse. Ritorniamo al canone TV, perchè mentre da tutte le parti (ma lo si dice da anni e anni) si vuole privatizzare la Rai e conseguentemente abolire il canone TV che insieme all’ICI è la tassa più odiata dalgi italiani, al neo ministro dello Sviluppo Economico, Romani, è venuta una bella idea: far pagare il canone TV all’interno della bolletta della luce. Cioè, all’inizio dell’anno, magari con la bolletta di febbraio, tutti gli italiani titolari i di bolletta elettrica  si troverebbero all’interno di quella bolletta anche il canone della TV, a prescindere se la TV ce l’abbiano o meno e anche a prescindere se  vedano o meno i canali RAI, i quali quando sarà a regime il sistema del digitale terrestre si troverebbero ad essere in piccolissima  percentuale rispetto ai canali TV privati, molti dei quali si vedranno gratuitamente e  alcuni servizi,  chi li vuole, si sottolinea, chi li vuole, dovrà pagarli, e in questo caso eserciterebbe una scelta consapevole. Così non è per la Rai che propina a proprio piacimento programmi francamente ignobili, alcuni squallidi, altri orribili, e benchè non li si veda si è costretti a pagarli obbligatoriamente e preventivamente. Francamente questa iniziativa del ministro Romani ci lascia senza parole, specie perchè viene da un ministro che proviene dal mondo della comunicazione privata e che per primo dovrebbe considerare sacro il diritto all’autodeterminazione delle scelte di ciascuno. Speriamo che ci ripensi visto la assurdità di questa proposta e che invece lavori davvero per la privatizzazione della RAI, liberando gli italiani da certi imbarazzanti personaggi che nella TV libera faticherebbero a trovare platee  artificiosamente plaudenti. Significativo il caso Santoro che  quando lasciò la Rai per emigrare nelle reti Mediaset dell’odiatissimo Berlusconi collezionò bruttissime figure e bassissimi indici di asclto. Perchè  la TV libera rende liberi. Anche  da Santoro e compagnia cantando. g.

UNIVERSITA’: PROVE DI SCONTRO

Pubblicato il 25 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Ieri Roma e non solo, è stata teatro delle prove generali dello scontro per lo scontro. La scusa è stata la riforma dell’Università, predisposta dal ministro Gelmini, approdata alla Camera dopo innumerevoli e superati ostacoli legislativi, giunta infine alla volata finale. Sul fil di lana, ecco che uno sparuto nucleo di contestatori è sceso in piazza, anzi, è salito sui tetti,  per impedire con la forza che si giunga al voto finale. Non entriamo nel merito del disegno di legge, che chiunque può valutare per proprio conto ma una cosa ci sentiamo in obbligo di dire e cioè che gli unici che dovrebbero scendere in campo sono i baroni universitari, quelli che da sempre hanno trasformato gli Atenei in “cosa loro”, obbligando tutti, in primis gli studenti, a subirne le decisioni. La riforma Gelmini mette la parola fine a questo andazzo e a riconoscerlo sono anche illustri docenti universitari, conclamatamente di sinistra, che hanno dato non solo il loro assenso ma anche il loro qualificato contributo alla definizione della legge. Eppure, è proprio la sinistra a cavalcare la  ingiustificata protesta degli studenti, il che fa supporre che non è la legge in sè che non va, quanto il fatto che a vararla sia il Govenro Berlusconi e il suo corazzato benchè minuto Ministro dell’Univerrsità. E così a “far visita” sui tetti della Facoltà di Architettura di Roma sono andati nell’ordine: Bersani, Di Pietro e Vendola,  tutti e tre faticosamente issatisi fin lassù per dare man forte e solidarietà agli autori di una inqualificabile violazione  all’interno del Senato, di una ancor più inqualificabile violenza ai danni  di funzionari dello Stato, uno dei quali costretto a ricorrere alle cure ospedaliere, e di una ancor più squallida agressione ai danni dei carabinieri e della polizia di Stato. Episodi questi ultimi che si sono ripetuti questa mattina, mentre quelli che si dicono preoccupati del Paese, e della sua immagine, invece di prendere le distanze da queste prove tecniche di insurrezione, nello stesso Parlamento, come ha fatto il segretario del PD, Bersani, si è esibito in una specie di ricatto contro il Governo, che in  verità ha mostrato tutti i limiti di un personaggio politico che aspira a fare il premier e si è mostrato mentre tenta di accattivarsi qualche giovinotto che forse più che della riforma ha paura degli esami universitari, quelli seri e non quelli del 18 garantito, come ai tempi, ormai lontani e irriproducibili del ‘68. Come sono lontanti e irriproducibili i tempi, anch’essi lontani, di Genova ‘60, quando per far cadere un governo, il Governo Tambroni, che aveva l’appoggio esterno del MSI di Arturo Michelini, la  città fu messa a ferro e fuoco dai portuali comunisti agli ordini del PCI, allora come sempre, alternativo agli interessi del Paese. Il PCI non voleva che il Paese,  che viveva allora una straordinaria e felicissima età dell’oro, il  cosiddetto boom  economico, che mai più si sarebbe ripetuto nei decenni successivi,  fosse governato da un Governo di centro che per la prima volta, dopo la guerra, rilegittimava una parte politica sino ad allora esclusa, cioè la Destra. E così scese in piazza, con la copertura complice di quella parte della DC che già allora inciuciava con la sinistra, per costringere Tambroni e la Dc “centrista che guardava  a destra” , a capitolare. E così fu. La Dc di Tambroni capitolò e da allora iniziò la scivolata a sinistra che doveva portare alle convergenze parallele, al centrosinistra, al compromesso storico, giù, giù, sino  alla miserabile fine del partito dei cattolici, sotto le macerie di tangentopoli. Doveva arrivare Berlusconi perchè la marcia del PCI verso il potere, iniziata in quel caldo luglio del 1960 a Genova, fosse bloccata e da allora segni il passo, nonstante  abbia divorato la parte sinistra della DC. Ora gli ex pci, trasformatisi in “democratici” ci riprovano, grazie anche alla inaspettata svolta finiana e ci riprovano con il solo strumento che conoscono, la violenza delle piazze, sotto le quali tenteranno di costringere il Governo Berlusconi a ritirarsi. Come accadde a Genova. Ma non siamo più a Genova. Non siamo più nel 1960. Gli italiani pavidi e rinunciatari che 50 anni fa voltarono la testa dall’altra parte rifiutandosi di capire che a Genova non si calpestavano soltanto i diritti di un partito ma si violentavano la legge e le regole, oggi non sono più disposti a subire senza reagire i tentativi di sovvertire l’ordine dello Stato usando la violenza di piazza, ieri dei portuali (i quali ormai votano a destra e per Berlusconi), oggi quella di pseudo studenti che non hanno voglia di studiare. I tempi sono diversi e la democrazia italiana ha sufficienti ed efficaci  anticopri per mandare all’aria i piani del nuovo soviet. g.

A PROPOSITO DI VALORI, l’editoriale di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 25 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Una vettura di lusso, valore cento­mila euro, acquistata da An e messa a disposizione di Gianfranco Fini. Pec­cato che An non esisteva più da mesi e quindi sorge il problema di chi e per­ché ha speso tanti soldi (sottratti a bi­sogni più nobili e urgenti) che sono parte del patrimonio di un ex partito affidato, dopo la fusione col Pdl, alle cure di una Fondazione. Che quanto­meno ci sia sotto un pasticcio, è prova­to dal fatto che ieri, appreso che il Giornale stava per pubblicare la sto­ria, la berlina di lusso, una ammira­glia Bmw, è stata riconsegnata in fret­ta e furia dal presidente della Camera ai legittimi proprietari, cioè la Fonda­zione.

Non vogliamo girare il coltello nella piaga, né metter­la giù più dura di quello che è. Dirimere la que­stione sarà pro­blema­dei custo­di della cassafor­te aennina. La vi­cenda ci incurio­sisce perché è l’ennesimo tas­sello di un mo­do di concepire la politica ben lonta­no dai retorici e roboanti proclami moralisti, etici e legalitari di Gianfran­co Fini e della sua fresca squadra di compagni di avventura. Prima la que­stione dell’appalto Rai (un milione e mezzo di euro) che il presidente della Camera ha fatto avere alla suocera, una anziana signora che l’unica tv che conosce è quella del suo salotto di casa. Poi si è scoperto il caso Monte­carlo, un appartamento del partito svenduto al cognato via società of­fshore. E adesso pure la fuoriserie gra­tis. Se aggiungiamo che il giornale del Fli Fini se lo fa pagare da noi, con sol­di pubblici sottratti ai fondi per il vo­lontariato, direi che il nuovo che avan­za sa molto di vecchio. Il vecchio me­todo dei politici di vivere al di sopra delle loro possibilità a babbo morto. Cioè a spese altrui, a volte dello Stato, altre del partito (e non andiamo ol­tre).

Egregio presidente della Camera, la prossima volta che aprirà la bocca sui valori della nuova destra europea che lei pensa di incarnare, provi alme­no un filo di vergogna. Case, macchi­ne e televisioni Berlusconi, come tut­ti i suoi elettori, se li paga di tasca sua.

.……Ha ragione Sallusti, non per giurare il coltello nella piaga ma Fini, prima di aprirbocca sui Valori, i nostri, quelli del centrodestra, si guardi allo specchio e poi, come dice(va) spesso e volentieri l’ex ministro Ronchi, “si taccia”, non per sempre, ma almeno su argomenti sui quali il “tacer vale un tesoro”. g.

GOVERNO: SCHERMAGLIE TRA BERLUSCONI E CASINI

Pubblicato il 25 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Tutti coloro i quali si affannano a disegnare improbabili scenari sul futuro del governo, alla fine dovranno rassegnarsi: i tempi e i modi della crisi – se crisi sarà – li decide lui. A dispetto di quanti continuano a far finta che Silvio Berlusconi sia improvvisamente scomparso dalla vita politica italiana, lui c’è. E detta la linea. Intanto la fiducia: «Ci sarà. Governeremo. Ma – assicura – se non sarà possibile farlo perché alla maggioranza della fiducia non dovesse seguire una maggioranza in grado di attuare le riforme, è chiaro che ci recheremo dal Capo dello Stato e chiederemo il voto agli elettori».

Alla domanda su un suo possibile passo indietro per sbloccare la crisi, lui si toglie un sassolino dalla scarpa: «Io un passo indietro? Dovrebbe farlo qualcun altro. Il presidente della Camera dovrebbe essere il primo, visto che ha dato vita a un partito fondato non sui valori della maggioranza ma sulla sua persona. E visto che non è super partes, ma partes in maniera assoluta», dice riferendosi alle posizioni più volte espresse dal leader di Fli. Poi, dopo tante chiacchiere (Casini sì, Casini no, Casini forse) un messaggio chiaro ai centristi: «Penso che l’Udc abbia perso un’occasione enorme. Quando c’è stata l’operazione dei cosiddetti finiani, in un momento di crisi globale, quando era importante continuare con un governo solido, c’era l’occasione per avanzare e dire: “Lo facciamo nell’interesse del Paese”, appoggiando questa maggioranza dall’esterno. È un’occasione ancora straordinaria», spiega.

Il Cav, dunque, chiude alla possibilità di un nuovo esecutivo e «consiglia» ai centristi di «appoggiare dall’esterno» il governo. «Pensino al bene del Paese e non a quello di Casini», attacca. Il leader dell’Udc gli risponde per le rime: «Il presidente del Consiglio è in un evidente stato confusionale. Questo governo dovrebbe dimettersi. Se veramente Berlusconi ha a cuore il Paese più che la sua poltrona e la sua permanenza a Palazzo Chigi, si dimetta, apra una crisi vera, perché il governo “vivacchia” e non ce la fa ad andare avanti. Poi vedremo di trovare le soluzioni giuste», spiega. Gli fa eco il segretario dei centristi Lorenzo Cesa: «Ringraziamo Berlusconi per i consigli che ci ha dato, ma sono troppo interessati per risultare credibili. Pensi lui all’interesse del Paese e non perda un’occasione storica: si dimetta e apra una fase politica nuova».

Rocco Buttiglione è un po’ più soft, ma il messaggio è lo stesso: «Siamo disponibili a sederci attorno ad un tavolo per esaminare le varie proposte, ma prima Berlusconi dovrà rassegnare le sue dimissioni», commenta. Tra Berlusconi e Casini è finita una volta per tutte, si dirà. L’impressione, in realtà, è che un accordo tra i due sia meno impossibile – e improbabile – di quanto sembri. Pdl e Udc sanno che, mettendo da parte antichi rancori, possono dar vita ad una maggioranza in grado di assicurare stabilità al governo. È quello che vuole Berlusconi. Ed è quello che vuole Casini. Solo, i due leader stanno trattando. L’uno tenta di giocarsi nel modo migliore possibile le carte a disposizione per ottenere di più dal gioco dall’altro. È politica dopotutto. Il Cav non vuole fare la fine di Prodi, costretto alla conta col pallottoliere ad ogni provvedimento. E il leader dell’Udc non vuole fare la figura della bandierina di fronte a chi lo ha eletto e agli altri rappresentanti dell’opposizione e pone come condizione indispensabile dell’accordo le dimissioni del presidente del Consiglio. Il gioco continuerà, ma la soluzione in grado di accontentare entrambi non è poi così distante. A dimostrarlo anche il commento di Umberto Bossi, che è riuscito a dire che un eventuale appoggio dei centristi al governo «sarebbe positivo».

A sgonfiarsi è invece l’ipotesi del Terzo polo. Fini e Rutelli dovranno farsene una ragione. Ieri il Cav ha lanciato un ulteriore messaggio al leader Udc: «Ciascuno dovrebbe restare fedele al voto ricevuto. L’Udc si è presentato da solo – ha sottolineato – per l’opposizione di Gianfranco Fini che non voleva facesse un accordo con il Pdl». Casini lo sa. Non ha dimenticato. È perché non gradito al presidente della Camera che adesso è all’opposizione. Altro che Terzo polo. Nadia Pietrafitta, Il Tempo, 25 novembre 2010