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QUELLA DI FINI E’ STATA UNA SCISSIONE PEMEDITATA E STUDIATA A TAVOLINO: ECCO LA PROVA

Pubblicato il 24 novembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Gianfranco Fini Fa quasi rabbia la fortuna che ha Berlusconi di trovare tra i piedi avversari che si trafiggono da soli. I finiani hanno fornito la prova della premeditazione segue dalla prima della loro rottura con il Cavaliere. Altro che «espulsione» dal Pdl subìta a freddo e ingiustamente dal presidente della Camera il 29 luglio scorso con l’ormai famoso documento dell’ufficio di presidenza del partito: quello che la corte di Fini cita continuamente per giustificare prima la costituzione dei gruppi parlamentari autonomi di Futuro e Libertà, poi l’uscita dal governo e la richiesta perentoria della crisi. Come ha appena rivelato Bocchino, più di due mesi prima di quel 29 luglio, esattamente il 17 maggio, che era un lunedì, i finiani avevano registrato all’ufficio brevetti di Roma «Il vero centrodestra». Che è un marchio concepito per etichettare non certo una produzione di vino, o di birra, o di dolci, o di profumo, o di giocattoli, ma un partito, un movimento, un’alleanza, una campagna elettorale.

È stato certamente lesto Bocchino, o chi per lui, a depositarlo ma imprudentemente spavaldo ora a vantarsene, avendo regalato a Berlusconi la pistola fumante da esibire agli elettori contro Fini perché la ricordino bene quando andranno alle urne. Non importa a questo punto con quanto anticipo rispetto alla scadenza ordinaria del 2013. Già prima del 17 maggio, in verità, vi era stato un incontro conviviale al fulmicotone tra Fini e Berlusconi, svoltosi esattamente il 15 aprile. Anziché festeggiare i successi conseguiti dal centrodestra nelle elezioni regionali ed amministrative di qualche settimana prima, ai quali il presidente della Camera aveva dato un ben modesto contributo standosene in disparte per un insolito rispetto del suo ruolo «istituzionale», Fini aveva annunciato al Cavaliere la volontà di costituire gruppi parlamentari autonomi. E aveva reclamato, in subordine, il diritto di organizzare il dissenso interno, cioè una corrente, lamentando -giustamente, mi sembrò allora- che vi fossero poche occasioni e sedi nel partito per discutere e confrontarsi. Seguì finalmente il 22 aprile una riunione della direzione, dove poco mancò che Fini e Berlusconi venissero alle mani cantandosele di santa ragione.

Quella salutare, seppur tardiva, riunione di direzione si concluse con la certificazione del carattere fortemente minoritario della corrente finiana. Che si oppose con 12 voti soltanto al documento della maggioranza, approvato con 157 sì. Per ritorsione di stampo non proprio democratico la minoranza annunciò una «guerriglia parlamentare» di cui si avvertirono presto gli effetti. E corse a depositare dopo meno di un mese il suo bravo marchio elettorale all’ufficio brevetti, guadagnandosi -eccome- quella «incompatibilità» poi rinfacciata ufficialmente a Fini con il già ricordato documento dell’ufficio di presidenza del 29 luglio. Queste sono le date e i fatti. Tutto il resto, compreso il giudizio sommario contro un governo al quale i finiani hanno comodamente partecipato sino a pochi giorni fa, è un cumulo di chiacchiere, o di immondizie.Francesco Damato, Il Tempo,24/11/2010

FAZIO E SAVIANO: GLI INFALLIBILI SMEMORATI, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 24 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Roberto Saviano Nove milioni e fischia incollati al video. Fazio e Saviano confermano i loro numeri (complimenti) ma questo non significa che la coppia possa anche dare i numeri e pretendere che tutti stiano sull’attenti di fronte allo show a senso unico. Per amore della libertà di critica e della verità pubblichiamo su Il Tempo una controinchiesta sul Saviano pensiero irradiato in tv. La penna è quella di Simone di Meo, un cronista napoletano con i controfiocchi, uno che Saviano conosce bene, visto che anche dal lavoro sul marciapiede del Di Meo – e di tanti altri bravi colleghi – il bestsellerista ha attinto a piene mani per scrivere Gomorra.
Il quadro che ne viene fuori è davanti ai vostri occhi, cari lettori. La versione di Saviano ha delle voragini che noi umilmente colmiamo ricordando come vanno le cose all’ombra del Vesuvio. Non è carino che l’autore della Mondadori (casa editrice di Silvio Berlusconi) abbia dei vuoti di memoria così ampi. Tralasciare il Bidone dei Progressisti campani non fa onore al servizio pubblico televisivo. Si possono fare puntate a tesi, sostenere idee bislacche, ma omettere che la “monnezza” è intestata in gran parte alla gestione del centrosinistra del “miracolo napoletano” e far apparire la faccenda come un ping pong tra industrie del Nord, camorra e qualche leghista non va bene. Dedicare un impercettibile passaggio a Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino e poi lanciarsi in un elenco di frasi di Berlusconi per farlo apparire come l’abominevole uomo della spazzatura perenne è un’impresa da Faziosi.
Fazio e Saviano hanno illimitata libertà – e sono pronto a difenderla – ma devono ricordare che hanno anche dei piccoli doveri, come quello di essere completi nell’esposizione dei fatti (pur restando della propria legittima opinione) e dare la possibilità di replica a chi si sente messo nel cono d’ombra delle allusioni e delle complicità.
Il successo di pubblico di «Vieni via con me» non è il lasciapassare per qualsiasi invettiva o scenario complottista. Credersi migliori, aver fondato il partito dei Giusti a Prescindere non dà né a Saviano né tantomeno a Fazio la chiave per aprire le porte della Verità Divina. Non sono infallibili, hanno passioni, emozioni e soprattutto sono colmi di pregiudizi politici con i quali fanno il loro programma. Quando vanno in onda, i loro sguardi e sorrisetti trasudano la sicumera di chi si sente infallibile e baciato da una missione soprannaturale. E invece no. Possono sbagliare. Sono terreni. Sono uomini. E noi – Totò docet – non siamo caporali. Mario Sechi, Il Tempo, 24 novembre 2010


BERLUSCONI: AVANTI NONOSTANTE LE POLEMICHE, ORA IL PIANO PER IL SUD

Pubblicato il 23 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Il premier ha esortato a mettere fine ai personalismi nel Pdl, chiedendo “responsabilità e sobrietà“
20101123_164348_4BE2C7D0.jpg Silvio Berlusconi

“Il governo, incurante degli attacchi e delle polemiche, continua a lavorare con ottimi risultati sia in politica interna che in politica estera”. Lo afferma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annunciando, con una una nota diffusa dal Pdl che “il governo ha messo a punto il piano per il Mezzogiorno che sarà approvato nel prossimo consiglio dei Ministri, dopo aver varato nelle scorse settimane la legge sulla stabilità finanziaria, già approvata dalla Camera, il federalismo fiscale e il piano per la sicurezza.

Il premier, inoltre, assicura che “quanto prima” affronterà i problemi all’interno del Pdl, tenendo conto delle “varie opinioni”. Ma nel frattempo chiede “responsabilità e sobrietà” ai protagonisti delle polemiche degli ultimi giorni legate al caso delle dimissioni annunciate dal ministro Mara Carfagna. Basta con i “personalismi”.

“Per quanto riguarda le questioni all`interno del Popolo della libertà, conto di affrontarle quanto prima, con la consueta disponibilità a prendere in considerazione le varie opinioni. Nel frattempo – conclude la nota – invito tutti al senso di responsabilità, alla sobrietà, al rispetto dei nostri militanti e dei nostri elettori che non approvano certo personalismi ed esibizionismi”.

CARFAGNA, MUSSOLINI E BOCCHINO: BENVENUTI AL’ASILO MONTECITORIO

Pubblicato il 23 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Proviamo a riepilogare i fatti politicamente salienti dell’ultima settimana. Un ministro, Mara Carfagna, annuncia che si dimetterà dall’incarico, dal partito e dal Parlamento e forse anche da se stessa per divergenze sulla conduzione del Pdl in Campania. Non si capisce il nesso tra causa ed effetto, trattandosi di ambiti territoriali e istituzionali diversi e distinti, ma sta di fatto che è così. Di più, la Carfagna ha aggiunto, come postilla, che la sua collega deputata Alessandra Mussolini è una vajassa (donnaccia). Motivo? La discendente del Duce ha osato fotografarla col telefonino mentre in Parlamento si intratteneva in atteggiamenti molto amichevoli con il capo dei nemici finiani, Italo Bocchino. Bene, è notizia di ieri che la Mussolini non voterà la fiducia al governo Berlusconi se la Carfagna non le chiederà pubblicamente scusa per quell’insulto, anche se prestigiosi linguisti stanno disquisendo sull’esatto significato della parola, che in alcune traduzioni potrebbe anche non avere un senso necessariamente o certamente offensivo. In attesa del verdetto, il Bocchino terzo incomodo che fa? Rilancia alla grande, annunciando, altra novità, che Berlusconi non potrà usare in una eventuale campagna elettorale il simbolo Pdl perché nome e logo apparterrebbero, secondo una ricostruzione di parte, anche al cofondatore Gianfranco Fini, che nel frattempo di partito se ne è fatto un altro, il Fli, senza però evidentemente mollare del tutto il primo.
Più che una Camera a noi pare un asilo, l’asilo Montecitorio. I protagonisti di queste vicende mi ricordano quei compagni di gioco che, da bambini, durante la partitella di calcetto all’oratorio se il prete arbitro non fischiava il rigore a loro favore se ne andavano via con il pallone: o vincevano loro o la partita era finita. La Carfagna si porta via i suoi voti, la Mussolini la fiducia, Bocchino il simbolo di Berlusconi. Basta, non si gioca più.
E allora sotto a chi tocca. Se il metodo prende piede ne vedremo delle belle. Una foto, qualche insulto, un ricattino e il gioco è fatto per avere l’attenzione del papà e portare a casa qualche cosa per sé. Proprio come i bambini quando fanno i capricci. Occhio che magari il giochino lo impara anche l’elettore: o la smettete e tornate a fare qualche cosa per me oppure io mi rivolgo altrove. E allora non solo il Pdl ma tutto il Paese finirebbe a vajasse, nel senso peggiore del termine.
IL GIORNALE 23 NOVEMBRE 2010
.……..Come dare torto a Sallusti? Lasciamo perdere Bocchino che è solo un problema da psicanalisi, ma il caso della Carfagna e della Mussolini è davvero da asilo infantile. Abbiamo manifestato la nostra stima per la Carfagna, ma lei non esageri. Se ciascuno, specie ai livelli più alti di responsabilità,  in qualsivoglia partito,  si mette a far le bizze, è finita. I contrasti all’interno di qualsivoglia organizzazione sono naturali e fisiologici ma non possono essere risolti con qualcosa che somigli ai ricatti, perchè un ricatto tira l’altro. Lo ribadiamo, parlucchiare con Bocchino non è un delitto, anzi può essere un modo per rinfrascarsi lo spirito visto che Bocchino, se preso a piccole dosi, rappresenta una specie di antidoto ai veleni della politica, e perciò non è il caso che la Mussolini si metta a “spicchiettare” più di tanto il chiacchiericccio tra la Mara e l’Italo, ma anche la Carfagna, se è vero – e noi ne siamo convinti -  che è maturata dai tempi in cui sgambettava sui palcoscenici dei varietà televisivi, si trattenga e nei confronti di chi la critica faccia uso dell’ironia. Per il resto, si accomodino pure. Anche se, e qui non sianmo d’accordo con Sallusti, se gli italiani stanchi di queste baruffe da dietrolequinte, decidono di rivolgersi da qualche altra parte, non sono le due attuali contendenti che ci rimettono, ma tutti quelli che senza essere deputati e  ministri, o giù di lì, sono in trincea nella diuturna contesa per difendere valori e principi che la polemica tra le due prime donne mettono in discussione. g.

IL BIDONE (DELL’IMMONDIZIA) DI FAZIO E SAVIANO

Pubblicato il 23 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Fabio Fazio e Roberto Maroni La camorra smaltisce tutto: rifiuti normali, quelli tossici, le vecchie banconote della Banca d’Italia e perfino i morti (sono rifiuti speciali anche loro) che non entrano nei cimiteri. Ieri a «Vieni via con me», il programma serale di Raitre con Fabio Fazio e Roberto Saviano, è stato il giorno dell’immondizia, un’immondizia bipartisan. Come abbia fatto Saviano a sostenere che anni e anni di emergenza rifiuti nel Napoletano e in tutta la Campania siano stati causati dalla malapolitica, ma che non è colpa di alcun politico in particolare, forse solo un po’ di Berlusconi, è difficile da capire. Ma l’ha fatto. Le parole d’ordine sono state: «I camorristi rinunciano ad una parte dei loro guadagni per dare soldi ai politici. A tutti i politici». Con buona pace del fatto che per sedici anni la spazzatura ha fatto arrivare otto miliardi di euro, lo dice Saviano stesso, in Campania. E ad un certo punto, dopo anni di amministrazioni locali rosse, arriva il governo Berlusconi. E nella trasmissione fa capolino il regista Gabriele Salvatores che ricorda con l’aria indignata (qui ce l’hanno tutti) come lui, il Cav, avesse promesso di risolvere il problema dell’immondizia e, come tutti possono vedere, non l’ha fatto. E Bassolino? E la Iervolino? Di loro non si parla. Comunque la spazzatura che arriva nel Napoletano è del Nord. Come è possibile? «Semplice – dice Saviano – i rifiuti straordinari del Nord arrivano in Campania e “magicamente” diventano rifiuti ordinari».
Poi i camorristi li vendono, sì, se li fanno pagare, dai contadini come fertilizzante e la frutta viene su ingrassata dai toner delle stampanti. Questa la trasmissione prima che potesse intervenire il ministro Maroni, quello che dei camorristi non ne parla, ma manda la polizia ad arrestarli. Maroni, sentendo il programma della settimana precedente, non aveva condiviso molte cose. Ha chiesto il diritto di replica e l’ha ottenuto. Con buona pace dei padroni di casa che preferiscono far parlare chi dicono loro. Il ministro Maroni è stato logico, ha dato una lezione su come si combattono veramente le mafie. Non con le ecoballe. «Le mafie si combattono – ha detto – dando la caccia ai superlatitanti». Non con le chiacchiere e le manifestazioni. Un discorso duro e sereno. Breve (i tre minuti canonici), ma che ha potuto contare su cifre secche ed inoppugnabili. Maroni ha elencato i tanti superboss che lui, ministro del Nord, ha fatto arrestare e alla fine ha detto: «Ne mancano solo due», lasciando capire che si sta lavorando anche per quelli. Alla fine dei tre minuti canonici Fazio, che evidentemente non aveva mandato giù il rospo di aver dovuto aprire le porte ad un’ospite così, ha polemizzato sul diritto di replica: «Se magari a me non piace come lei fa il ministro – ha detto il conduttore – poi vengo io a fare il ministro al posto suo…». Maroni, che era stato misurato e garbato è stato anche spiritoso: «Ma sì – ha risposto – venga lei a fare il ministro dell’Interno, che io me ne vado una settimana al mare». Tutta la trasmissione di ieri sera è stata una sorta di «preparazione» all’intervento di Roberto Maroni, ministro dell’Interno, del Nord. Ricordando che la spazzatura, tossica, arriva dal Nord e finisce sotto le case, le scuole, «modifica la geografia della mia regione», dice Saviano. «Vieni via con me» ieri sera è iniziato come sempre alle nove e passa.
Gli ascoltatori sono stati subito accolti dal padrone di casa Fabio Fazio che ha sparato un bel pistolotto sottolineando come siano noiosi quelli che pretendono il diritto di replica. Perché chi ne ha diritto o no lo decide lui. Primo ospite Luca Zingaretti (il commissario Montalbano) che ha letto un bel brano di Andrea Camilleri (purtroppo lui non c’era) e poi un’altra bella lettera di Carlo Fruttero sull’elogio della vecchiaia. Si sarebbe potuto fermare lì. Peccato. Non l’ha fatto. Di Luca Zingaretti sappiamo che è un grande attore. Non sapevamo che è un pessimo cantante. Da ieri lo sappiamo: ha cantato «Vieni via con me» in modo straziante. Francamente se lo poteva risparmiare, come cantante è riuscito ad essere peggio anche di Roberto Benigni. Il resto della trasmissione è stata «ordinaria amministrazione», con buoni (sicuramente) ascolti per la rete. Comprese le sparate contro il papa di Corrado Guzzanti, osannato dalla clacque. Per la felicità degli inserzionisti pubblicitari. Si perché tra una parte e l’altra della trasmissione di Fazio-Saviano vanno gli spot, come quello per il disincrostante per il water. Come in tutti gli altri programmi.

IL TEMPO, 23 NOVEMBRE 2010

LE ECO BALLE DEI FAZIOSI, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 23 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Fabio Fazio e Roberto Saviano in Vieni via con me Il Grande Circo antiberlusconiano s’accende ogni giorno della settimana in prima serata sui canali della televisione pubblica. Ogni lunedì abbiamo il piacere di vederlo all’opera nella sua espressione più sfolgorante. Il copione è consolidato, sedici anni di propaganda perdente hanno oliato a dovere la macchinina del soviet culturale. Appena compaiono sulla scena la camicina bianca e la cravattina smilza di Fabio Fazio capisci che i Giusti a Prescindere si daranno un gran daffare anche stasera. Sono talmente chic, rarefatti e plaudenti che il dubbio non può sfiorarli. Non camminano, ma levitano. Non parlano, si raccontano. Non guardano, si specchiano. «Vieni via con me» è la proiezione all’ennesima potenza di un progressismo che si crede talmente avanti da non vedere più neppure la strada che percorre. Sempre dritto. Contro il Cavaliere nero e per un mondo migliore. Uno spot della Nutella condito di verbalate. Ma rispetto a Santoro e Travaglio qui siamo più avanti. Perché l’entertainment prescinde da fatti e misfatti. Prendete Saviano, fa una tiritera barbosa sulla «monnezza» napoletana, ci racconta cose che i cronisti partenopei – quelli che stanno sul marciapiede – descrivono tutti i giorni, ma sorvola su un fatto incidentale: la gestione dei rifiuti a Napoli è tutta intestata al centrosinistra, ai Progressisti del Bidone. Il Saviano nazionale invece ieri ha deciso di spiegare al popolo la storiella del per come e perché i rifiuti sono un business. Sai che novità. Il ventennio Bassoliniano invece è con il silenziatore. Rosa Russo Iervolino idem. Il bestsellerista non li degna di attenzione, poverini. E così la puntata va a colpi di ecoballe, assolve la sua missione fondamentale, non perde quello che Saviano definisce «l’elemento centrale della narrazione», cioè il progetto politico che sta dietro questo programma: dipingere un’Italia buona (vi lascio immaginare quale) e un’Italia cattiva (scatenate la fantasia).
Ma prima di Saviano c’è il pifferaio del programma, il bravo presentatore, Fazio. Il distillato di un mondo che si autoincensa. Siamo noi. Siamo qui. Siamo eroici. Siamo intelligenti. Oh, che bello applaudire noi stessi in questo studio. Roteare gli occhi e bearsi del successo. Una sbornia autocelebrativa. Il rumore di fondo che lo accompagna è quello del cingolato della propaganda. Quando con sguardo da profeta auspica una «televisione che si occupi di politica senza che la politica si occupi di televisione», quando esprime il desiderio che «i finanziamenti pubblici vadano alla scuola pubblica», quando brandisce l’ironia sperando «che gli importatori di ananas non chiedano il diritto di replica», quando gioca con gli slogan sognando un’Italia dove non si dice «scendere in campo ma servire il Paese», quando dà il fiato alla trombe della protesta mettendo in pista il commissario Montalbano contro «i tagli allo spettacolo», lo show di Fazio esprime la sua cifra, la sua reale dimensione. Dietro l’arte, la letteratura, la musica, i guitti di vario titolo e gli scrittori engagè, c’è un programma politico che sostituisce quello dei partiti, un’offensiva politico-culturale che annienta ogni possibilità di replica perché il Totem-Saviano non si può criticare e se lo fai come minimo vieni accusato di concorso esterno con la camorra. I comunisti avevano la religione di Stato, i faziosi hanno quella del Giusto. Un breviario di frasi, sentenze e verità intoccabili e indiscutibili.
La carrellata di personaggi di «Vieni via con me» è la sfilata della retorica pavloviana che ha riscritto la storia d’Italia a sua immagine e somiglianza. Non è una cronaca fedele della realtà, una ricostruzione che tende ad essere oggettiva, ma una narrazione allusiva, una proiezione di desideri, una simbologia che di fronte alle telecamere si trasforma in fiction e paradigma politico. È un copione che è costruito per non avere contraddittorio. La dimostrazione plastica l’abbiamo avuta quando sul palcoscenico è arrivato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il suo intervento è apparso immediatamente un altro film, una sceneggiatura eccentrica rispetto a quella interpretata da Fazio, Saviano e compagni di ventura. Maroni elenca gli arresti, le leggi, i sequestri, i numeri. È emozionato. È un uomo di governo che si ritrova a dover spiegare che lui, il suo partito, un’intera classe dirigente, non sono collusi con la criminalità organizzata. Lo fa con dignità e semplicità, concedendosi solo il finale retorico della citazione di Gaetano Salvemini sul Meridione, il federalismo. Fine. Stretta di mano e via. Poi il programma torna a navigare nelle acque dei santini pronti per l’uso e il disuso, incollati sull’album di figurine di una famiglia che ripete sempre gli stessi errori e qualche volta li ha anche trasformati in orrori della nostra storia. E allora ecco comparire l’icona del povero Cucchi, il ragazzo morto in carcere. E l’Ivano Fossati che canta anch’egli se stesso ma almeno ha il pregio di essere un poeta vero. E Fazio che chiama, naturalmente, «un grande italiano», Renzo Piano, il quale è un geniale architetto, ma anche lui finisce nel giochino dei maestri a prescindere e ci dice che è contro il nucleare e fa un discorso sull’italianità che figurati se non lo condividiamo. Il sapere non è spiegato, ma piegato.
Guardare «Vieni via con me» significa entrare in un plot narrativo a tema che non ammette scarti, sorprese e colpi di testa. Il programma è privo di ritmo – il che è davvero un paradosso per un puzzle di elenchi che nel ritmo trova la sua ragione – ma viene riscattato dall’elenco snocciolato da colui che è apparso come il vero genio della serata, Corrado Guzzanti. Ci ha fatto ridere. Almeno era satira, graffiante, cattiva, roboante, e non pretendeva di essere una cosa diversa da quella che è stata. Quando ha detto «Fini era fascista, poi postfascista e ora con il futurismo è tornato prefascista» ci ha deliziato. Il resto è un pallosissimo manifesto zdanovista, al confronto il Porta a Porta di Bruno Vespa è un thriller mozzafiato. Il baraccone messo in piedi da Fazio e Saviano ha successo. La scorsa settimana erano nove milioni incollati al video e non dubito del bagno di folla perpetuo. Non mi stupisce. La noia elevata a programma politico si basa su un meccanismo di autoidentificazione che mette in campo certezze. Niente dubbi, siamo l’Italia migliore, diversa, progredita, che ascolta musica, legge libri, va a teatro, fa i week-end giusti, ha le massime indiscutibili che servono per fare salotto, mangia con le posate, conosce i vini, cita i giornali stranieri, ha la terrazza ma non la esibisce e le tartine, signora mia, le tartine sono macrobiotiche. La puntata scorre via come l’acqua, il giorno dopo se ne parla in ufficio, al bar, di fronte al poveraccio che vota centrodestra, si finisce per darsi di gomito e compatirlo perché è un lobotomizzato che raggiunge il suo apice culturale guardando il Milan su Sky. Poi, improvvisamente, la televisione si spegne, è domenica, gli italiani si levano dal letto, vanno a messa, entrano nel seggio, votano. E qualcuno perde le elezioni. Mario Sechi, Il Tempo, 23 novembre 2010

CASINI FA IL PACCO A FINI

Pubblicato il 22 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Da sinsitra Pierferdinando Casini con Silvio Berlusconi Una settimana fa si scambiavano sorrisi al convegno organizzato dai Liberaldemocratici nel Palazzo della Confcooperative. Seduti allo stesso tavolo Gianfranco Fini e Pier Ferdinando, sotto lo sguardo vigile di Francesco Rutelli, parlavano di Terzo Polo, patti per la Nazione e varie amenità.
Ora, dopo essersi alzato da quello, il leader dell’Udc vorrebbe sedersi ad un altro tavolo. E non è affatto detto che Gianfranco sia della partita. Anzi. Sabato era stata Emma Marcegaglia a chiedere ai centristi di valutare l’ipotesi di un ingresso al governo. A distanza di 24 ore Casini risponde. Lo fa a modo suo. Senza esporsi eccessivamente. Ma è indubbio che le sue parole suonano come una mano tesa al Cavaliere. «Se vogliono cambiare – spiega parlando all’assemblea nazionale dell’Udc – ci siederemo al tavolo ma ci aspettiamo fatti». Quindi fissa le sue condizioni: «L’importante è che si cambi davvero. Non ci piace la Lega e non ci fidiamo delle promesse di Berlusconi. Non abbiamo fretta di andare a governare: se siamo stati all’opposizione per due anni è perché non condividiamo la politica degli spot». Ma, aggiunge, «non possiamo consentirci di stare in riva al fiume perché il cadavere che vedremo passare non è quello di Berlusconi ma quello del Paese». Per questo, secondo Casini, la soluzione è «un governo di armistizio, di responsabilità e di solidarietà nazionale. Per tre-quattro anni bisognerebbe non pensare a chi vince le elezioni ma governare facendo anche scelte impopolari».
Difficile capire bene in cosa consista questo «governo di armistizio» e chi ne faccia parte. Rocco Buttiglione spiega che il Cavaliere dovrebbe dimettersi per poi guidare un esecutivo bis cambiando agenda e alleati. Di certo, dopo la «retromarcia» di Fini che negli ultimi giorni ha chiesto al premier di «onorare» gli impegni presi, quella del leader Udc potrebbe sembrare una mossa fatta in accordo (dopotutto era stato proprio il numero uno di Fli ad invocare una maggioranza allargata ai centristi). L’impressione, però, è che non sia così. Casini sa che con la rottura tra il Cavaliere e il presidente della Camera nel centrodestra (che resta pur sempre la sua area culturale di riferimento) si sono aperti degli spazi enormi. Sia in termini di posti da occupare che in termini di prospettive politiche future. Entrare ora nell’esecutivo contribuendo a farlo arrivare alla fine della legislatura, significherebbe giocare un ruolo di assoluto primo piano nel dopo-Silvio. Ed è chiaro che in questa partita Pier e Gianfranco, più che alleati, sono avversari, competitori. E se l’Udc dovesse accettare di entrare in maggioranza il Cavaliere avrebbe l’occasione di “scaricare” definitivamente i finiani condannandoli alla marginalità politica. Succederà? Forse è difficile, ma di certo le parole di Casini hanno immediatamente scatenato le reazioni di maggioranza e opposizione.
I finiani provano a salire sul treno con Adolfo Urso che definisce «seria» la proposta lanciata da Pier. Il Pdl si mostra più tiepido. E se Osvaldo Napoli vede nella proposta «l’unica via per mettere carburante alla legislatura altrimenti destinata al naufragio causato da Fini», il coordinatore Sandro Bondi mette a sua volta i paletti perché l’incontro si realizzi: Casini «si dimostri capace di formulare un giudizio più equilibrato e più adeguato sul governo Berlusconi» e allora «potrebbe forse profilarsi un ruolo di responsabilità politica e istituzionale da parte dell’Udc». Che tradotto sembra voler dire: non chiedete le dimissioni del premier.
Assolutamente contraria la Lega con il ministro dell’Interno Roberto Maroni che non usa metafore: «Questo governo di armistizio non so cosa sia, stimo Casini ma resto favorevole ai sani principi della democrazia. Chi vince governa, chi perde sta all’opposizione». Sullo sfondo il resto dell’opposizione, con Pd e Idv che leggono nella strategia del leader Udc un «tradimento» delle aspettative. Forse, anche se non lo dice apertamente, è la stessa cosa che pensa Fini.

……Povero Fini. Ieri doppia delusione dell’immarcescibile (come si diceva ai tempi del deprecato ventennio) signor sotutto della politica italiana. Da una parte la deludente raccolta di firme in calce al “suo” Manifesto che lascia del tutto indifferenti gli italiani che al “suo” preferiscono il manifesto della lite Carfagna-Mussolini, dall’altra la imprevista “uscita” ieri mattina a Milano di Casini che durante la manifestazione nazionale postdemocristiana ha riaperto a Berlusconi e ad una eventuale partecipazione dell’UDC nel govenro presieduto dallo stesso premier. Senza fare previsioni sull’esito di questa avance casiniana che vede contrapposti come sempre falchi e colombe, chi la vede bene e chi la vede male, resta un fatto. Casini prima di quanto si potesse immanginare ha fatto il pacco a Fini. g.

IL FOTOROMANZO ITALIANO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 22 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Carlo e Enrico Vanzina Un signore dal nome lungo e altisonante, Luca Cordero di Montezemolo, dopo aver negato di voler entrare in politica ieri ha parlato della situazione italiana come un politico: «È un cinepanettone che sta arrivando alla fine anche se abbiamo sempre gli stessi attori, anche se cambiano i nomi dei partiti. Dobbiamo stimolare la società ad occuparsi dei problemi dell’Italia, aiutare i giovani a venire fuori». Ah, quale rivelazione. Eravamo in trepidante attesa di questa analisi. Luca ci ha fatto la grazia di svelarci cosa accade. Bene. E dopo? Niente. L’establishment di questo Paese da sempre chiacchiera molto sul Palazzo ma al dunque, cioè quando c’è da mettersi in prima fila e darsi da fare, si dilegua. La metafora di Montezemolo sul «cinepanettone» ci dà lo spunto per riprendere un tema caro a noi de Il Tempo. La narrazione del tipo antropologicamente superiore, quello che ha ragione a prescindere, colui che dell’Italietta «brun brun» se ne infischia perché è un predestinato. Non si sa bene a che cosa, ma certamente lo è.
Ripartiamo dunque dal «cinepanettone», metafora colta usata da Luca Cordero di Montezemolo per descrivere ciò che accade nel Palazzo. Prima considerazione: il genere cinematografico evocato da Ldcm è il campione d’incassi indiscusso in Italia. Questo per chi fa politica – o aspira a farla – non dovrebbe essere un dettaglio. Se nello spettacolo vince chi sbanca il botteghino, tra i partitanti se la gode chi ha più voti. Evocare il cinema considerato dalla critica colta di «serie b» rivela il vizietto della classe dirigente di credersi sempre più intelligente di chi vota e decide chi si afferma. Nel biz-show come in politica. Elevarsi non significa guardare tutti dall’alto in basso, ma cercare di essere «aristocratici» e nello stesso tempo pop. Non è facile e infatti un grande scrittore come Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura con il capolavoro «Massa e potere» (lettura indispensbile per affrontare la contemporaneità) cercava di capire il mondo trascorrendo le sue serate nelle stamberghe di Vienna. Non mi pare sia il programma dei radical chic di casa nostra. E per questo perderanno ancora. Quel che si muove nel Palazzo – proiezione del Paese – è in realtà intrigante. Stiamo assistendo alle prove tecniche di post-berlusconismo. Il problema è che chi fa i provini ha dimenticato che Berlusconi è ancora in campo e stando ai sondaggi ha molte frecce al suo arco.
Il Cavaliere non è insostituibile, solo che non è ancora giunto il momento della passeggiata ai giardinetti. Tutto qui. La giornata di ieri lascia sul taccuino un fatto vero: Pier Ferdinando Casini ha spiegato che si può apparecchiare un tavolo per parlare con Berlusconi e un ingresso dell’Udc nel governo non è più un tabù. Ha posto delle condizioni, ne discuteranno. Ciò che davvero conta è che Casini ha lanciato non tanto la sfida al Cavaliere, ma ha aperto il vero duello del futuro: quello tra lui e Fini. Con questa mossa Pier si è messo in testa al gruppone che segue la scia del Cavaliere. Ha fatto bene e provo a spiegare perché. Casini nel 2008 ha deciso di correre da solo alle elezioni politiche e invece di fare come Fini – bollare come le «comiche finali» la nascista del Pdl salvo poi cofondarlo – ha scelto di mantenere in vita il suo partito. Da solo non ha mai fatto sfracelli, ma la sua truppa di deputati e senatori gli ha consentito di porsi nella condizione di interlocutore.
Fini, al contrario, non solo è entrato nel Pdl, ma ne è uscito nel peggiore dei modi: prima dando vita a una minoranza dissidente su tutto, poi provocando una scissione studiata a tavolino. Fini aveva premedidato la mossa, ma non ha tenuto in conto la categoria del «tradimento» – esiste, anche in politica – e il fenomeno del berlusconismo che è pre-esistente a Berlusconi. Casini invece queste cose le ha sempre sapute e sulla base di questi due elementi ha fatto le sue scelte. Qualcuno potrebbe obiettare: anche lui ha lasciato il Cav e si è opposto al governo. Sicuro, ma il suo elettorato rimane sempre ancorato al filone culturale cattolico che ha dato vita al centrodestra italiano. Casini non ha mai sbandato a sinistra, ma come ogni post-democristiano che si rispetti ha trattato con la sinistra. Cosa ben diversa dall’abbracciare ideali lontani dalla propria biografia e storia collettiva, come ha fatto Gianfranco. Casini sta preparando il pacco a Fini. Vedremo presto se il leader di Fli resta a terra con Casini che gli fa marameo. In realtà non siamo di fronte a un «cinepanettone» di conio montezemoliano, ma a un appassionante «fotoromanzo italiano».

Le immagini sono un po’ ingiallite per tutti, i testi restano quelli elementari ed ingenui di Grand Hotel, ma questo tipo di narrazione è più vicino al sentimento popolare di quanto immaginino i parrucconi in terrazza. Scendano in strada e proveranno con mano quanto scrivo. Prendete la lite a borsettate tra Mara Carfagna e Alessandra Mussolini. É l’apoteosi del pop, è una dimensione terrena nella quale l’insulto e la critica sono riconoscibili per tutti. Sono uno scatto memorabile del fotoromanzo collettivo e chi lo guarda con disprezzo senza volerne comprendere il senso e il controsenso non ha capito niente di questo Paese e non si rende conto che in quelle pagine ci siamo tutti noi, gli italiani. Mario Sechi, Il Tempo,22/11/2010

LA “SIGNORA” CARFAGNA: IL GELO DI BERLUSCONI SULLA MINISTRA IN FUGA

Pubblicato il 21 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Roma Per la redenzione da tutti i peccati ci è voluto un attimo, un accenno di rivolta al Cavaliere oscuro ed ora, per quelli che la additavano come una velina miracolata dell’ignobile Mignottocrazia berlusconiana, la Carfagna è diventata semplicemente «Mara», un’eroina della porta accanto, santa subito. Per Berlusconi, invece, a cui lei deve tutto e forse anche di più, Mara si è tramutata nella «signora Carfagna», gelido appellativo che il premier riserva agli avversari, tutti ipso facto senza laurea (il signor D’Alema, il signor Prodi, il signor Di Pietro…). «Non mi ha fatto tribolare, è una cosa a cui non annetto particolare difficoltà» ha detto il Cav ai cronisti inviati a Lisbona per il vertice Nato, aggiungendo però quella parolina, perché «ciò che mi fa stropicciare gli occhi è che in una giornata in cui la Finanziaria è stata approvata alla Camera con 62 voti di maggioranza e c’è uno storico vertice della Nato, i giornali hanno titolato sulla signora Carfagna».
Quell’espressione uscita di bocca a Berlusconi racconta più di ogni retroscena quel che sta succedendo, anzi che già è successo, dietro le quinte. In effetti la «signora Carfagna» ha già dato il benservito a chi l’ha trasformata da soubrette in onorevole e ministro, buttandosi nelle braccia (metaforicamente, s’intende) di Bocchino, il motore campano di generazione Fini. Si dimetterà il 15 dicembre, dopo aver votato la fiducia al governo, con tattica già brevettata dai finiani, quella della doppia scarpa. «Mi dimetterò da ministro visto che il mio contributo pare sia ininfluente», dice, e il riferimento è alla gestione del partito in Campania («È una guerra tra bande»). Si dimetterà anche, dice sempre nell’intervista esclusiva al Mattino (scelto non a caso tra tutti quelli che le hanno chiesto un’intervista ieri), dal Pdl e dalla Camera, «perché a differenza di altri sono disinteressata e non voglio dare adito a strumentalizzazioni». Un elegante défilé da tutte le posizioni di potere che prelude però, più prosaicamente, alla guerra per una poltrona ben precisa, quella di sindaco di Napoli, sostenuta da Fli e altri. È una delle ipotesi più accreditate sulle prossime mosse della «signora Carfagna», anche perché le amministrative a Napoli (come in altri mille Comuni) sono dietro l’angolo, a primavera. Ed è lì in Campania che i finiani hanno una base su cui contare, quella della Generazione Italia di Italo Bocchino, regista della convention finiana di Bastia Umbra grazie agli iscritti dell’associazione da lui escogitata e traghettatore di anime in pena ex berlusconiane (con una predilezione per quelle femminili, vedi Moroni) nel Fli. In Campania, a Napoli, con la Carfagna, i finiani possono puntare a risultati più concreti rispetto al nazionale, dove hanno numeri molto più modesti. Ci si ricorda che la ministra alle ultime Regionali è stata la candidata più votata (56mila preferenze) d’Italia, ovviamente in Campania e proprio grazie al supporto della rete finiana (allora nel Pdl).
Un risultato miracoloso la Carfagna l’ha comunque già ottenuto: una riabilitazione immediata e struggente da parte della stampa prima nemica. L’ex velina berlusconiana, quella da dileggiare tramite pubblicazione di foto discinte, calendari sexy e scosciamenti in programmini tv, si è tramutata in 48 ore in una statista da trattare con riguardo, una specie di Evita Peron, una nostrana Angela Merkel del futuro (e libertà?), solo molto più carina. Il riferimento a Magalli e Mengacci, espediente canagliesco per sbeffeggiare la sua «formazione» politica, è sparito come per incantesimo. Ora i giornali corretti studiano i suoi stati d’animo di leader, la intravedono «amareggiata» per quel che deve subire, povera santa donna. L’Unità, che si era esercitato con notevole perfidia sulle soubrette del Pdl, ora si pente e racconta in prima pagina «Lo schiaffo di Mara» la pura, riprodotta nelle foto sempre e solo in tailleur, giammai in bikini o decoltè come prima, perché sarebbe da spregevoli machisti. Siamo invece nel genere comico col Secolo d’Italia, i tipini fini come li chiama Dagospia, quelli che sdottoreggiavano coi loro professori a libro paga di Fini sui mali del velinismo, ora si corrucciano sulla «Carfagna al centro di una serie di attacchi feroci». È vero quel che profetizzano i finiani, cioè che la velinocrazia ha le ore contate. Basta cambiare partito e non c’è più.
………….Noi, nonostante tutto, confermiamo per un verso la nostra stima verso il Ministro che ha saputo ricoprire con dignità il ruolo di Ministro e dare sostanza ad un ministero che sembra non averne con quel titolo che sembra più una invocazione che una certezza, e per altro verso nutriamo fiducia che di qui al 14 dicembre il ministro sappia ritrovare le ragioni di una scelta e trovare le ragioni per confermarla. Detto questo ci pare che è evidente non tanto il fastidio ma il dispiacere che ha potuto provare il presidente Berlusconi per essere stato tirato per la giacca in una vicenda che pur partendo dalla politica è sfociato  nel gossip, unico prodotto che in Italia abbonda, peraltro nel mentre sono in gioco le sorti del governo in Italia e il buon nome dell’Italia all’estero. Ma la politica, prima, seconda, terza repubblica, è questa, purtroppo e non saranno le belle parole di qualche ispirato professorino che solfeggia  via web,  ascoltato in teoria da una platea milionaria, in realtà da pochi affezionati che vi si collegano, a modificarla. Ma proprio perchè le questioni sono politiche,  intanto bisognava evitare che sfociassero nel gossip e poi che esse, mantenute rigidamente nei canali propri della politica, trovassero confronto sereno  ancorchè duro nelle sedi della politica. Nessuno si senta esentato dal dovere di tener conto del distacco degli elettori dalla politica, primo nemico per tutti, ancor più per chi governa e intende continuare a farlo, distacco che non è solo dovuto ai problemi del quotidiano ma anche e spesso e di più dalla constatazione che c’è chi, mentre la gente non può tirare avanti,  perde tempo a fotografare chi chiacchiera con chi, il che fino a prova conteraria non è nè reato, nè ragione di sospetto inciucio. Noi proviamo fermo disgusto poliitico nei confronti dell’on. Bocchino, lo consideramo un killer della destra ma anche un improbabile potenziale talebano pronto a farsi saltare in aria per la causa e quindi immeritevole di considerazione e di stima, ma tanto non può impedire ad altri, in nome di un valore che non ha colori, cioè l’amicizia, di parlarci. Ciò appartiene alla personale valutazione di ciascuno e non può essere sottomesso ai diktat di chicchessia. D’altra parte, la contrapposizione politica all’interno del partito in cui si milita  e che, come nel caso del ministro Carfagna, non solo le ha cambiato la vita ma le ha dato grandi soddisfazioni, non può sfociare in similitudini  (guerra fra bande) che sono ingiuste  perchè false e nuocciono anche a chi le pronuncia, prima ancora che ai destinatari,  con i quali comunque si è condiviso un progetto e  un percorso  politico.   Perciò, dalla Mussolini alla Carfagna, tutti  si restituiscano al ruolo di rappresentanti del popolo e tornino a rispettare il mandato che hanno ricevuto. g.

PROMEMORIA

Pubblicato il 21 novembre, 2010 in Costume | No Comments »

Si ricorda a sbadati e finti tonti, che Gianfranco Fini, presidente della Camera nonché leader di Futuro e libertà, risulta tuttora indagato per truffa aggravata in relazione alla vendita della casa di Montecarlo: è in attesa che il gip si pronunci sulla sorprendente richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma. Si ricorda altresì che sono 22 giorni che lo stesso Fini manca alla parola data agli italiani. Aveva promesso di dimettersi dallo scranno più alto di Montecitorio qualora fosse «emerso con certezza che Tulliani è il proprietario della casa di Montecarlo». Tale certezza è stata raggiunta quando la Procura ha depositato gli atti, ma Fini ha fatto lo gnorri. Complimenti al grande mancatore di parola, che vorrebbe  dare lezionidi etica agli altri. Ma va là!