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E MARONI ANDRA’ DA FAZIO, intanto tutti zitti…parla Agnese, pardon, Fini

Pubblicato il 20 novembre, 2010 in Giustizia, Politica | No Comments »

Il ministro Maroni, reduce dell’ennesimo grande successo anche personale nella lotta alla criminalità organizzata, quella vera, con la cattura del super latitante napoletano Antonio Iovine, andrà lunedì sera alla terza puntata  del programma di Fazio e Saviano. Dopo il tentativo vergognoso della struttura di Rai 3, servizio pubblico, pagato con i soldi pubblici, nonchè con i soldi dei cittadini che pagano il canone,  di impedire ad un  Ministro della Repubblica, per di più, Ministro dell’Interno, cioè il responsabile della sicurezza nazionale, di dire la sua in materia di criminalità, alla fine la Rai, dpo aver zittito il super comunista reponsabile della strutura, ha dovuto cedere il passo al diritto e al dovere di Maroni di andare in trasmissione.

Sull’assoluto  diritto di Maroni di andarci si erano espressi un pò tutti, dai componenti del consiglio di aamministrazione della Rai, con in testa il presidente di sinistra Garimberti, alla Commisisone parlamentare di vigilanza sulla Rai, con in testa il presidente Sergio Zavoli, parlamentare del PD, vecchia e nobile bandiera del giornalismo targato sinistra, esponenti politici di quasi tutti i partiti e sopratutto i giornalisti, di ogni tendenza.  Nel frattempo il ministro Maroni è stato ospite di altre trasmissioni, da Matrix a L’ultima parola,  ma con estremo senso della misura si è rifiutato di parlare della vicenda e anche di polemizzare  nello specifico con Saviano autore di un accostamento del tutto infondato tra la Lega e la criminalità organizzata presente nelle regioni del nord Italia e di un altro, squallido, tra Maroni, che si era detto indignato di questo accostamento, e un altro noto mavavitoso, da tempo assicurato alla giustizia, il cui nomignolo è Sandokan. Lunedì, quindi, Maroni, andrà in TV, su Rai 3, dove potrà dire la sua sulla questione, non certo per disconoscere una realtà che nessuno mette in discusisone, cioè l’infiltrazione anche al nord della criminalità organizzata,  ma per illustrare quanto ha fatto e fa e farà il governo di cui egli è un eccellente ministro dell’Interno per arginare il dilagare della criminalità, ovunque,  quindi anche al Nord, ma anche per spiegare, ci auguriamo, quanto è noto a tutti, meno, evidentemente all’incauto e spocchioso Saviano, e cioè che la criminalità, si chiami, mafia, camorra, ndrngheta, tenta sempre di interloquire con il potere, sia politico che economico, e ciò accade dai tempi di Adamo ed Eva, sotto qualsiasi bandiera e sotto qualsiasi cielo. Il punto è vedere chi, all’interno del potere, sia politico che economico, soggiace alle tentazioni e si presti ad interloquire, e chi invece ne rimane immune. Accusare la Lega, non qualche singolo esponente peraltro neanche, nella fattispecie,  inquisito,  di interloquire solo perchè nel Nord raccoglie molti consensi, piaccia o no, e governi molte amministrazioni pubbliche,  è fuorviante e calunnioso. Spiegherà tutto ciò Maroni, e speriamo che ad ascoltarlo si fermi anche il presidente della Camera, Fini, al quale, come è noto piace ascoltarsi, un pò meno, ascoltare.

Fini invece farebbe bene ad aprire le orecchie, anche per evitare di dire sproloqui come è abituato a fare, senza interlocutori e contradditori, perchè quando parla lui pare di essere nel bel mezzo della pubblicità della pasta Agnese: silenzio, parla Agnese. Anche sulla vicenda  Maroni-Saviano, Fini ha voluto dire la sua, ovviamente con i soliti toni pontificali che gli sono consueti. Sbagliando argomento e bersaglio. Ha detto Fini, parlando a Novara, che non si può negare che anche al Nord ci sia la criminalità. Ed era evidente il riferimento ad una presunta dichiarazione contraria di Maroni e della Lega, quest’ultima bersaglio prediletto di Fini, che ha spostato la polemica  dalle accuse  di Saviano alla Lega di “interloquire con la criminalità” alla negazione della presenza del fenomeno mafioso anche al nord. E chi mai ha negato questa purtroppo amara verità‘? Nessuno. Del resto, come è stato ricordato da autorevoli commentatori, è dagli anni ‘50 che questa presenza è registrata. E non potrebbe essere diversamente. E’ verso le aree più prosperose e più economicamente ricche di qualsiasi paese al mondo che i criminali rivolgono le loro attenzioni e allungano i loro tentacoli, è lì che si accampano per trasformare i loro guadagni illeciti in attività lecite, mentre  di solito nelle regioni più povere e più economicamente arretrate viene reclutata  la manovalanza di cui si serve la criminalità organizzata per i suoi bisogni. Questa realtà è ben chiara alle forze dell’ordine, alla Magistratura, alla classe dirigente, al Ministro,  che hanno organizzato la loro attività di fronteggiamento e contrapposizione senza ignorarla, anzi facendone tesoro. Sparare nel mucchio, insinuare il dubbio che ci siano forze politiche che, al di là di mele marce che possono nascondersi  ovunque, quindi in tutti partiti,  siano organicamente contigue alla cosche criminali, non solo è grossolanamente calunnioso, ma anche stupidamente pericoloso, perchè non favorisce la coesione di tutti, elemento indispensabile per combattere e vincere la criminalità organizzata. Al nord, al sud, ovunque nel Paese. g.

IL CORTOCIRCUITO DELLA GIUSTIZIA, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 20 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Nel pieno di una crisi della maggioranza surreale, mentre Silvio Berlusconi recupera le tessere del puzzle del governo, ecco riprendere il distillato di rivelazioni e boatos che raccontano al popolo il Cavaliere oscuro, l’uomo impegnato in trame e traffici degni di un gangster.

Ci risiamo. Il cortocircuito mai riparato tra politica e giustizia continua a provocare scintille. Nel pieno di una crisi della maggioranza surreale, mentre Silvio Berlusconi recupera le tessere del puzzle del governo, ecco riprendere il distillato di rivelazioni e boatos che raccontano al popolo il Cavaliere oscuro, l’uomo impegnato in trame e traffici degni di un gangster. Niente di nuovo sotto il sole, diranno i lettori che da sedici anni leggono le pagine della politica. Eppure, cari amici, in questo dejà vu risiede la ragione dell’incapacità del Paese di passare dalla transizione alla stabilità, dall’emergenza continua al governo della contemporaneità. La procura di Palermo deposita le motivazioni della condanna di Marcello Dell’Utri e la notizia sulla quale si punta l’attenzione degli speculatori politici è la seguente: secondo i magistrati palermitani il senatore Dell’Utri mediò tra i boss della mafia e Berlusconi e, in particolare, il mafioso Vittorio Mangano fu assunto come «stalliere» nella villa di Arcore per garantire l’incolumità di Berlusconi. Dalle mie parti questo significa che il Cavaliere era una vittima. Ma andiamo avanti, perché la vera notizia contenuta nelle motivazioni è un’altra: i magistrati scrivono che non c’è lo straccio di una prova certa «né concretamente apprezzabile» che tra Dell’Utri e Cosa nostra sia stato stipulato un «patto» politico-mafioso. Conseguenza: tutto il castello di carta costruito su Forza Italia come frutto mostruoso della mafia crolla miseramente. Casca l’unico vero interesse che la mafia poteva avere con Berlusconi: il controllo del potere politico, il famigerato «terzo livello» sul quale in questi anni s’è fatta un sacco di letteratura e poca sostanza investigativa.

Le motivazioni della sentenza Dell’Utri sono solo l’ennesimo petardone messo sulla strada del Cavaliere. Saranno utilizzate per premere l’acceleratore della sfiducia, pressare qualche parlamentare dubbioso sul voto, cercare di portare acqua al mulino della corrente finiana e degli improvvisati alleati che non vedono l’ora di liberarsi di Berlusconi e procedere con la restaurazione di un regime partitocratico senza più i partiti, cioè il peggio del peggio, il dominio di un’oligarchia non riequilibrata dal corpo e dallo spirito di quelle organizzazioni, i partiti, che comunque avevano costruito la nostra democrazia.

Pensare di tornare al passato senza questo contrappeso, smontando l’attuale architettura istituzionale e elevando a dignità politica la strategia delle «mani libere» è un progetto pericoloso. Mira a spogliare i cittadini dell’unico strumento che hanno per dire la loro sul Paese e chi governa: il voto. Significa chiedere una delega in bianco, totale e irresponsabile, per poi utilizzarla per giochi di potere e interesse che non hanno niente a che fare con l’agenda della nazione. Il processo Dell’Utri non è ancora giunto al terzo grado, quello della Cassazione, ma tutta questa vicenda s’è svolta con il senatore costretto nel ruolo del presunto colpevole e il Cavaliere nella parte del grande burattinaio che tutto vede, tutto sa e a tutto provvede. In questi anni certe procure hanno costruito un romanzo nero sul Cav davvero incredibile, al punto da ipotizzare per lui il ruolo di stragista. Tutte le accuse sono finite nel cassetto dei flop investigativi, sono stati spesi in questi anni milioni di euro in una folle corsa a incastrare Silvio ad ogni costo. Risultato: queste inchieste hanno rafforzato nell’immaginario collettivo l’idea di un Berlusconi perseguitato da una fazione giustizialista. La forza del leader del centrodestra italiano in questi anni è stata quella di resistere agli assalti, difendersi come poteva (anche attraverso la legislazione) e cercare di andare avanti. Ogni volta che la sua fine sembrava certa, inesorabile, senza appello, Berlusconi ha ritrovato la sua fonte di legittimazione nel voto popolare. Non so se sarà così anche stavolta, ma ho la netta impressione che lo scenario che vanno disegnando gli sfascisti continui a non tener conto di questo fattore, il voto, e preveda una soluzione extrapolitica, un intervento esterno – e dunque «violento» rispetto al quadro di regole della politica – per mandare al tappeto Berlusconi una volta per tutte. Il tallone d’Achille di questa strategia della demolizione di un uomo e di un blocco sociale che l’ha scelto come guida del governo sta tutto nella sua inconsapevolezza e incoscienza della situazione reale del Paese. L’Italia non è la nazione delle minoranze rumorose, ma quello delle maggioranze silenziose. Sono queste ultime ad aver sempre riportato la barra del Paese nella direzione giusta. Basta voltare lo sguardo indietro, ripassare qualche pagina della nostra storia per rendersene conto. Il partito degli sfasciti sembra voler ignorare tutto questo vissuto collettivo. E va avanti in un progetto che potrebbe risultare letale non tanto per Berlusconi quanto per l’intero Paese. Proprio ieri, mi è capitato di incontrare due persone in un aeroporto, due conoscenti che credo si possano definire «intellettuali». Ho stretto loro la mano e in un nanosecondo hanno cercato di fulminarmi con una domanda accompagnata da un ghigno: «E adesso con Berlusconi così come fate?». Come fate? I due intelligentoni avevano già edificato nella loro mente il castello che brucia, le folle urlanti e plaudenti, magari le espulsioni di massa dei pericolosi berlusconiani e la restaurazione di uno scicchissimo regime dei migliori e dei predestinati al potere. Ho risposto con disarmante semplicità: decideranno gli elettori. E ho visto un fuoco di paura nei loro occhi. No, non lo voteranno è stata la prima risposta. Ho snocciolato i dati dei sondaggi. E il fuoco nell’iride è diventato un’apocalisse. A quel punto, più all’articolazione della parola s’è sostituito un rumore sordo, sinistro e profondo, una voce dal sen fuggita ha esclamato: «Ah, ma scriveranno la sentenza!». La sentenza. Non il primato della politica, ma quello della spada giudiziaria. Non il voto dell’elettore, ma le manette e i processi, meglio se sommari. Un putsch giudiziario al posto della libera volontà dell’elettore. Questo è il sogno lugubre, la visione nera, il maleficio che ha pietrificato l’Italia. Mario Sechi, Il Tempo, 20 novembre 2010


BERLUSCONI: NON CERCO LA FIDUCIA, VOGLIO LA GOVERNABILITA’

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Una giornata di lavoro. Prima il Consiglio dei ministri, poi una lunga coda a palazzo Grazioli per discutere ancora della situazione rifiuti in Campania, finale per preparare il vertice dell’Alleanza Atlantica di oggi a Lisbona. Berlusconi si concentra sul governo. Incontra il governatore della Campania Stefano Caldoro e il sindaco di Terzigno. Poi arrivano l’ex sottosegretario Nicola Cosentino e l’ex ministro Mario Landolfi, coordinatore e vice del Pdl in Campania alle prese con l’emergenza “monnezza”. Vede poi Francesco Storace. Interrompe la girandola solo per vedere il videomessaggio di Fini. Un solo commento: «È in difficoltà». Che vuol dire? Il Cavaliere tira fuori la metafora del treno: «Quelli che hanno seguito Fini lo hanno fatto per fedeltà, per riconoscenza. Il treno è partito con destinazione centrodestra. Poi improvvisamente il percorso è cambiato e i finiani moderati si sono accorti che il treno va verso il centrosinistra. Ovviamente ora sono a disagio». E non è tutto. Secondo il premier «solo adesso i finiani si stanno rendendo conto che per molti la rielezione è difficile, se non impossibile. Sono realmente in pericolo». Poi ci sono le considerazioni più in generale nei confronti di Fini, di cui Silvio parla senza acrimonia e quasi con distacco: «Le sue posizioni sono incomprensibili. Un solo messaggio è apparso molto chiaro agli elettori: fa il gioco della sinistra. Vedo i sondaggi, ho analizzato i flussi, e questo dato ormai mi sembra evidente. E soprattutto sembra lampante agli italiani».
A palazzo Grazioli si continua a considerare quello di Futuro e Libertà un «evento prevalentemente mediatico». Come dire: quando si andrà al voto sarà drasticamente ridimensionato. Il Cavaliere non si sbilancia, fa capire che alcuni li ha sentiti, altri li ha incontrati. Ma il quadro si va definendo anche ai suoi occhi. Così, il presidente del Consiglio si prepara al 14 dicembre, quando Camera e Senato discuteranno e poi voteranno la fiducia. E qui Berlusconi si fa netto e ragiona: «Il tema non è più fiducia o meno. La parola d’ordine è un’altra ormai: governabilità». Significa che Berlusconi non punta ad avere una maggioranza con due o tre voti di scarto. Non resterà lì barcollante con una «fiducietta», non si lascerà logorare, rosolare. Lui non è Prodi. «O c’è una maggioranza che consente di governare e bene o meglio andare al voto», spiega il premier. Insomma, anche con una fiducia risicata Berlusconi salirà al Colle. Non ha intenzione di fare la fine del Professore di Bologna, non vuole restare appeso al Turigliatto di turno, al ricatto perenne di deputati che alzerebbero continuamente la posta per strappare qualcosa. La manovra continua: incassa l’ufficializzazione di un altro voto proveniente dall’opposizione, quello di Maurizio Grassano (come anticipato dal Tempo) che oggi terrà una conferenza stampa con Francesco Pionati. Più avanti arriverà anche quello di Massimo Calearo, che pure si è già dichiarato pronto a sostenere la fiducia.

Avanti così, il Cav è tutto tranne che fermo. Di ottimo umore, tonico nella voce. Il discorso che il capo del governo pronuncerà in Parlamento rilancerà «le riforme che servono al Paese, le riforme sostanziali, quelle nell’interesse di chi ci ha votato». Non c’è solo spazio alla politica interna. «Capisco che a molta gente non interessa, ma io continuo a considerare troppo importante la politica estera. Me ne occupo per due o tre giorni alla settimana perché fa bene all’Italia, al suo prestigio e ai suoi conti». Ultimi preparativi in vista del vertice di Lisbona: «Sarà molto importante e noi ci arriviamo forti del nostro rapportO buonissimo con la Russia». Lo davano già per “bollito”, sembra più forte di prima.Fabrizio dell’Orefice

ASSESSORE MILANESE LASCIA FINI E RITORNA AL PDL

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Giampaolo Landi di Chiavenna lascia Fli e torna nel Pdl. Lo ha annunciato lo stesso assessore alla Salute del Comune ed ex deputato di An, che era stato fra i primi ad aderire a Futuro e Libertà, il movimento lanciato da Gianfranco Fini dopo la rottura con Silvio Berlusconi. Landi di Chiavenna  ha reso nota la sua decisione durante una conferenza stampa a Palazzo Marino. “Ho fatto – ha detto Landi – una scelta radicale. Sono stato fra i primissimi a entrare in Fli e sono il primo a uscirne. Rientro nel Pdl soprattutto per sostenere la candidatura di Letizia Moratti. Cercherò di portare il contributo che avrei portato come Futuro e Libertà sul programma politico anche nel centrodestra, su temi importanti come la meritocrazia, la legalità, la tutela della salute”.

“Non ho ricevuto alcuna pressione dal Pdl, la mia è una libera scelta dettata dal fatto che non condivido alcune decisioni di Fli in particolare quelle ‘terzopoliste’ che a Milano – spiega Landi di Chiavenna – possono portare alla vittoria di Pisapia e della sinistra”. Landi di Chiavenna ha definito “equivoca la politica nazionale di Futuro e Libertà, non accetto ad esempio che in Sicilia si appoggi Lombardo insieme al Partito democratico. Sono sempre stato bipolarista e vedo scelte che non condivido”.

L’assessore alla Salute ha anche criticato la gestione milanese di Futuro e Libertà spiegando che “ci sono state delle adesioni che hanno ricordato il metodo delle raccomandazioni e dei carrieristi. Ho detto in passato che non sarei stato come il carro Amsa, quello che raccoglie la spazzatura e rimango fedele a quanto ho detto. Da adesso lavorerò nel Pdl per la conferma di Letizia Moratti”.

“Credo che sia un segnale importante per un grande partito che è il partito di maggioranza di questo Paese”. Così il sindaco Letizia Moratti a margine di un convegno dei Giovani per Expo all’Università Cattolica ha commentato la decisione di Landi di Chiavenna. La Moratti ha poi voluto sottolineare che Landi “è un buon assessore e ha sempre dimostrato di avere a cuore gli interessi della città“. “Credo che anche questo – ha concluso il sindaco – sia importante in quello che è il suo percorso politico”.

…..Chi è di destra non andrà mai a sinistra, Fini o Fini.

LA CRISI CAMBIA SCENARIO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Le statue di don Chisciotte e Sancho Panza a Madrid Gianfranco Fini ha ragione: «Il momento è grave». Per lui. È davvero incredibile vedere un talento politico come il suo sprecato in una guerra donchisciottesca contro i mulini a vento. Ma su questo, ormai, è inutile scrivere. Andiamo oltre, guardiamo alla crisi e al suo svolgersi. Nei giorni scorsi ho spiegato su queste colonne come la fuga dei ministri finiani dal governo avrebbe cambiato lo scenario per via della parlamentarizzazione e dell’uscita dal solo mondo degli annunci di carta e delle comparsate in tv.
Sono trascorse poche ore dalle dimissioni del gruppo di Futuro e Libertà e siamo al nocciolo della questione: Fini non può permettersi di aprire la crisi. Il suo messaggio di ieri, depurato dalle scontate parole sul «momento grave», ha un solo significato: il voto anticipato per il suo gruppo ha un sinistro rintocco di campana a morto. La strategia del presidente della Camera si scontra con un punto fermo della mappa politica: Silvio Berlusconi. Il piano di Fini per farlo secco (politicamente, of course) è uno svarione, nei modi e nei tempi.

Tutto il progettone per affondare il Cavaliere è prematuro, avventurista e di ora in ora si sta rivelando come un giochino infantile che non porta da nessuna parte. O meglio, visto lo sbuffo della locomotiva finiana, porta dritto contro il muro di titanio del voto anticipato. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano segue questa corsa sul binario (morto) con grande apprensione e sta cercando con la sua moral suasion di fermarlo. Non sarà facile. Fini ha giocato non solo d’anticipo (sui tempi), ma ha anche spinto i suoi ministri a lasciare l’esecutivo compiendo un errore colossale per un politico di lungo corso come lui.
Mettiamoci seduti al tavolo da poker della maggioranza. Fini giocava una mano importante e, improvvisamente, azzarda un colpo da pivello: cambia le carte, mostra il suo gioco e così facendo lascia al suo avversario (il Cavaliere nero) la possibilità di giocarsi i suoi scarti con gli altri «gambler» che stanno al tavolo verde. Tremendo errore. Come capita spesso a chi sottovaluta l’avversario che ha di fronte, Fini si è reso conto del non-sense della sua mossa solo dopo averla fatta. E ora suda freddo e cerca di correre ai ripari. Quando Gianfranco richiama Berlusconi a «rispettare gli impegni» è surreale.
Il suo discorso baldanzoso di Bastia Umbria è archiviato. Là aveva chiesto le dimissioni, a tambur battente, senza se e senza ma. Aveva svillaneggiato la maggioranza, messo una pietra tombale sull’era berlusconiana, condannato la politica del governo, messo la parola fine sull’uomo di Arcore. Berlusconi era un refuso della storia da eliminare, dimenticare, squagliare nel ricordo dei nostalgici e via con una nuova Repubblica fondata sulla nuova destra finiana. Stop. Scena da buttare. Rigiriamo il film: Fini va su internet e – ispirato dall’abile e machiavellico Italo Bocchino – spara sul web un discorso da padre della Patria che suona come la sconfitta dei giapponesi nella guerra del Pacifico. E ora, chi se la sentirà tra i suoi fedelissimi di continuare a indossare l’elmetto e combattere nella giungla irta di insidie con il machete ma senza la poltrona governativa, l’indennità, la segreteria, l’auto blu, il volo di Stato e altre comodità che fanno la differenza tra una vita nella stratosfera e la fila per prendere il volo di linea come un comune mortale o quasi? Il Fini-Don Chisciotte conserva il suo ruolo e lo status, la sua visibilità e il tono da statista (di carta) ma i suoi Sancho Panza sono in balìa degli eventi, degli accidenti, dei marosi, dei venti e delle tempeste della politica.
In caso di elezioni anticipate ben pochi dei suoi potranno sperare in una rielezione. Mai sottovalutare Berlusconi. L’uomo può essere ferito, per due volte è caduto sotto i colpi del centrosinistra, ma altrettante volte si è rialzato, ha fatto la traversata nel deserto e ha vinto la battaglia. Questo a Berlusconi lo riconoscono avversari ben più forti e armati di tutto punto rispetto a Fini. Un suo grande avversario tempo fa mi disse: «È un leone».

Chi sta davvero sul campo di battaglia, non commette l’infantile errore di pensare che Silvio sia un vecchietto da mandare a spasso nei giardinetti. Pochi giorni fa parlavo del futuro di Berlusconi con una persona che fa analisi politica seria, conosce bene il sentimento dell’elettorato e ne misura con attenzione l’umore e le variazioni di temperatura corporea. La febbre per andare a votare nell’elettorato di centrodestra è altissima. La frase di questa mia fonte è stata lapidaria: «Berlusconi, allo stato attuale, lo possono sconfiggere solo se lo eliminano fisicamente». Ho risposto: «Ci stanno provando con la giustizia». Mi è stato fatto notare che i processi saranno il carburante per far impennare l’ondata che si sta preparando nel Paese reale, quello che vota. Avanti così, gli avversari di Berlusconi non sanno quello che fanno.Mario Sechi IL TEMPO, 19 NOVEMBRE 2010

I SONDAGGI DANNO VINCENTI PDL E LEGA

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Pareva dessero i numeri e invece li avevano letti. Bossi che il giorno prima frenava, «il governo dura fino al 27 marzo», e ieri invece accelerava: «Io preferire andare alle elezioni. Con il voto ci pensa il popolo a raddrizzare il governo». E Fini che, al contrario, dopo aver aperto la crisi, ieri ha disperatamente tentato di chiuderla, con uno stonato: «Chi ha avuto l’onore e l’onere di governare onori quell’impegno attraverso una agenda di governo». Vacci a capire e poi ecco i numeri. In serata è chiaro che devono aver letto gli stessi, l’Umberto e Gianfranco. Dice un sondaggio di Euromedia Research di Alessandra Ghisleri che se tornassero alle urne gli italiani voterebbero di nuovo il Pdl, con una forbice fra il 29 e il 31 per cento. Senza grandi fughe verso il Fli, che si attesta fra il 4 e il 6 per cento. E rafforzando se mai la Lega Nord, che guadagnerebbe il 12 per cento e forse pure il 14.
Né ha aiutato l’altro sondaggio, quello di Demos che Repubblica.it ha pubblicato con titolo trionfale: «L’Ulivo sorpassa Pdl e Lega. E il terzo polo è a quota 16%». Cifre rassicuranti per il centrosinistra, ma non abbastanza. Perché a ben guardare il sorpasso non sarebbe dovuto al Pd, che anzi cala dal 26 al 24 per cento. Ma dando per scontata un’alleanza con Idv, dato in crescita dal 5.5 al 6.8, e la Sinistra di Vendola, che secondo Demos passerebbe dal 4.7 al 6.6. Il tutto mentre il Pdl sarebbe comunque al 26 e il Carroccio al 10, non proprio la soglia di sicurezza per decretarli sconfitti una volta per tutte. E poi c’è il Terzo Polo. Fli più Udc secondo Demos sarebbero al 15 per cento, con i primi all’8 e i secondi al 7, per Euromedia fra il 10 e il 14, con i finiani fra il 4 e il 6 e i centristi fra il 6 e l’8.
In ogni caso, per Fini il rischio è di restare relegato a fare il leader di un partitino nell’area grigia di chi si candida a fare l’ago della bilancia, con buona pace dello sbandierato grido di battaglia: un’altra destra è possibile. La destra c’è già e ruota intorno all’asse Berlusconi-Bossi, avvertono i sondaggi. Quanto alla sinistra, dice Euromedia che Sel rischia di non raggiungere la quota di sicurezza del 4 per cento, che il Pd non si schioda dalla forbice 24-26, che Idv vale come l’Udc, 6-8. Inesistenti l’Api di Francesco Rutelli e pure il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Primo partito d’Italia quello degli indecisi sul se e cosa votare, a quota 35-38. Letti nella sfida alle urne, i numeri dicono che la certezza di battere Pdl e Lega si avrebbe solo con un’armata Brancaleone che mettesse in fila in una stessa fotrografia, da sinistra a destra: Vendola, Di Pietro, Bersani e Casini. Lasciando Fini fuori dai giochi. Un pasticcio. Che ieri ha indotto Fini al testacoda, dopo che dal Colle sono giunti segnali poco rassicuranti sull’opportunità di scongiurare il voto anticipato con un governo tecnico, di transizione o vattelapesca.
Così, ieri Bossi s’è divertito a lanciare messaggi contrapposti: «Berlusconi avrà la fiducia e andrà avanti ma io preferirei le elezioni». Il senso di tutto sta nella frase che ha ripetuto in serata: «Ci pensa la gente a mettere a posto le cose». Traduzione: se il Fli farà cadere il governo, torneremo alle urne e ce lo riprenderemo. Vista dal Fli, è meno divertente.

FINI E CASINI FRENANO. ECCO PERCHE’

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Una cautela obbligata dal rischio che il premier spiazzi gli avversari.Scende il gelo tra il Pd e il leader fli, che non evoca più le dimissioni

I toni restano altisonanti, ma sono diventati più cauti. È come se Gianfranco Fini, e forse lo stesso Pier Ferdinando Casini cominciassero a capire che un mese o quasi è un periodo lunghissimo: così lungo da permettere a Silvio Berlusconi di preparare una controffensiva che potrebbe frustrare la loro richiesta di dimissioni del governo. Non solo. Gli uomini più vicini al presidente del Consiglio già guardano allo spartiacque del 13 e 14 dicembre, quando la maggioranza si dovrà presentare in Aula. E si preparano a raccontare queste date simboliche con lo sguardo ad un anno fa. Il 13 dicembre del 2009 Massimo Tartaglia scagliò una statuetta sulla faccia di Berlusconi durante un comizio in piazza Duomo, a Milano. Per i suoi seguaci, è fin troppo facile associare quel tentativo di aggressione fisica da parte di una persona disturbata a quello di eliminazione politica in atto adesso. La differenza è che oggi il centrodestra appare spezzato dall’iniziativa dei finiani di Futuro e libertà, e logorato dall’immobilismo degli ultimi mesi; allora appariva soltanto sull’orlo del collasso. Eppure l’asse fra Pdl e Lega regge. E gli ultimi arresti di camorra e le decisioni del Consiglio dei ministri di ieri trasmettono una voglia di reagire che può mettere in difficoltà gli avversari. Soprattutto, l’alternativa secca «fiducia o voto» anticipato sta incrinando le certezze delle opposizioni.

Ieri è stato trasmesso un «manifesto» videotrasmesso di Fini ai militanti del Fli, nel quale non si chiede più al governo di andarsene: lo si invita più semplicemente a rispettare la propria agenda. E quando è stato chiesto a Casini se il 14 dicembre sarà presentata la mozione per sfiduciare l’esecutivo, il leader dell’Udc ha replicato, prudente: «Vedremo, il 14 dicembre è lontano». È vero che queste settimane cruciali potrebbero riservare sorprese anche al presidente del Consiglio, e rimettere in discussione il suo faticoso tentativo di resistenza. Ma la determinazione ad andare al voto e a scaricare la responsabilità sul Fli, gli dà un vantaggio.

D’altronde, ormai è la Lega a mostrare insofferenza per un logoramento del governo; e a spingere per le elezioni. Umberto Bossi ieri l’ha detto con chiarezza: «Berlusconi andrà avanti ma io preferirei il voto». E Roberto Maroni ha spiegato perché: meglio rompere che avere una maggioranza risicata. L’ipotesi di una coalizione «tecnica» e trasversale contro Berlusconi, peraltro, sembra perdere consistenza: Idv e settori del Pd già si smarcano. Ma soprattutto, spuntano le resistenze di alcuni finiani ad allearsi con la sinistra. Il Fli avverte che «il tentativo di indebolirci fallirà», eppure sembra nervoso: teme brecce nel gruppo parlamentare corteggiato dai berlusconiani. E la precisazione alla quale è stato costretto Fini ieri sera, per spiegare le sue parole, è indicativa. Casini dice di restare alla richiesta di dimissioni e al ritiro dei ministri del Fli dal governo. E il Pd, annusando un’esitazione di Fini, ricorda che «senso di responsabilità» significa mandar via Berlusconi: parole che mostrano il gelo. MASSIMO FRANCO, IL CORRIERE DELLA SERA, 19 NOVEMBRE 2010

.……….Massimo Franco è il miglior notista politico del Correre della Sera, di sicuro il più equilibrato. Ne riportiamo  sopra la nota politica publicata questa mattina in prima pagina dal Corriere della Sera. Franco, come tutti i commentatori politici, ha colto ieri quel che abbiamo colto anche noi,  e che abbiamo già commentato a caldo,  nelle parole videoregistrate e trasmesse via web, come d’uso, dell’ondivago per eccellenza cioè Fini. Fini, dice Franco, è stato improvvisamente  cauto, e come lui Casini, perchè hanno l’impressione che la situazione stia mutando. Fini, rileva Franco nella sua nota, non ha più chiesto a Berlusconi di andarsene ma di rispettare l’agenda politica. A differenza nostra, però, Franco ha preferito non sottolineare la vistosa contraddizione tra il  chiedere il rispetto dell’agenda di governo e il pretendere di andar via. Ma il risultasto non cambia. Infine, anche Franco ha colto il disappunto di Bersani che di fronte alle parole di Fini ha detto: responsabilità è mandare via Berlusconi, non nascondendo la delusione per il dietrofront (almeno momentaneo, come è nello stile del personaggio) di Fini. Ebbene gli unici che non lo hanno colto sono stati gli uomini di Fini. A parlare è stato questa volta l’on. Della Vedova, i cui unici voti sono queli che può rastrellare nel condominio dove abita, sempre che si tratti di fervidi non credenti come lui, il quale Della Vedova è sembrato punto dal pungiglione di un vespone nel  dichiarare che “Fini non è tornato indietro”, trovando subito sostegno nel più duro  (e pulcinesco) dei pasaradan finiani, quel Granata che  in Sicilia dal MSI passò alla Rete di Orlando per poi tornare indietro, il quale si è sgolato nel riferire che il FLI è unito e compatto e voterà la sfiducia a Berlusconi. Sarà ma l’impressione di un quantomeno tattico dietrofront dell’ondivago Fini  rimane tutta e da tutti è stata rilevata. Il che dimostra che il Fini che predica su tutto e su tutti, non è poi, nonostante vi si atteggi, un grande stratega politico ma solo un politcante che ha sempre vissuto di politica, e che per soppravivere ha sempre navigato a vista. Anche questa volta. Ma questa volta rischia di andare a sbattere sugli scogli delle decisioni degli italiani che non gli perdoneranno queste caramnolesche giravolte con cui ha tentato di affondare il centrodestra italiano, l’unico, perchè il suo di destra ha solo lo strabismo verso sinistra. g.


E’ FINI IL VERO ONDIVAGO….COME VOLEVASI DIMOSTRARE

Pubblicato il 18 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Nel nostro commento all’accusa rivolta da Fini a Napolitano di essere ondivago perchè non gli ha tenuto la corda con cui Fini si apprestava a strangolare il suo benefattore, l’avevamo scritto che il vero ondivago è lui, il Fini, il presunto o finto profeta del 21° secolo. E avevamo aggiunto che da qui al 14 dicembre chissà che Fini non cambi di nuovo dopo averlo fatto tre o quattro voltre negli ultimi due mesi.

E’ bastato attendere poche ore, le 18 di oggi, per avere ragione. Infatti Fini  alle 18 si è affacciato sul sito della sua corazzata Potemkin per diffondere, naturalmente senza avere difronte nessun interlocutore, un suo nuovo messaggio al Popolo (sic!) che, secondo lui,  beotamente non ha null’altro di meglio da fare. Ma non è questo il punto. Il punto è che Fini, dopo le solite banalità sulla “nuova destra” (che guarda a sinistra), e rimestato le altre banalità  che già aveva esposto come uno scolaretto durante la trasmissione del duo Fazio -Saviano, ha  fatto una clamorosa marcia indietro rispetto alle roboanti dichiarazioni dei giorni scorsi tanto da far dire al ministro Rotondi, l’ex dc che non è proprio un campione di battute, che Fini sembrava un piromane in veste di pompiere. Perchè ha richiamato il presidente del consiglio al dovere di governare quasi non fosse lui il Fini che dieci giorni fa a Perugia, novello ducetto in attesa di marciare su Roma, aveva dato il benservito a Berlusconi, mentre i suoi fedelissimi da Granata a Briguglio a Bocchino (che, dice Capezzoni, gli ha fatto più danni di Giancarlo Tulliani) urlavano la necessità di un govenro di larga intesa da Fini sino a Vendola pur di cacciare il tiranno da Palazzo Chigi. Si può raccomandare a Berlusconi di ben governare vista la nuova congiuntura economica in arrivo,  quando lo si intende sfrattare dal Governo e tra l’altro non raccomandarlo a se stesso, visto che nei giorni scorsi null’altro ha fatto che spargere irresponsabilità? Evidentemente no. Evidentemente il profeta Fini,  “profeticamente” si sarà reso conto che i suoi calcoli sono risultati sbagliati prima ancora di tirare le somme, avrà avuto sentore dei mugugni (non quelli dei portuali genovesi a cui Mussolini riconobbe questo diritto in luogo del diritto di sciopero) di molti parlamentari che hanno aderito al FLI ma che non se la sentono di saltare il fosso, votare contro il govenro, allearsi con la sinsitra, e  così ha abbassato i toni, ha ammorbidito la lingua, insomma si è nuovamente immerso,  in soli cinque minuti,  primato unico nella storia della politica internazionale, nella solita torbida fuliggine che lo accompagna da sempre. Insomma ha innestato la marcia indietro, per carità senza dirlo, anzi nascondendosi dietro il suo manifesto del quale chiede che in centomila lo firmino,  come fosse lui, Fini, un nuovo Marinetti, Filippo Tommaso, Accademico d’Italia, poeta,  che nel 1909 fondo il Movimento futurista e lanciò il suo Manifesto, che non ebbe bisogno nè di centomila nè di 100 firme per essere una cosa autorevole. Quello che non è Fini. E se ne è accortro anche Bersani che a commento del nuovo discorsetto di Fini se ne è uscito con un laconico “ciascuno faccia ciò che vuole”. Fini lo ha deluso prima ancora di cominciare. Non abbiamo mai nutrito dubbi. g.

IL VERO SAVIANO? ECCO DUE ARTICOLI CHE LO RACCONTANO, SPOGLIANDOLO DALL’AUREOLA DI UN EROISMO DI FACCIATA

Pubblicato il 18 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

1- FENOMENOLOGIA SFIGATA DI SAN SAVIANO
Gian Marco Chiocci e Pier Francesco Borgia per “Il Giornale

SAVIANO

Se il buongiorno si vede dal mattino, ieri Roberto Saviano non vedeva l’ora di andare a dormire. Per l’imbarazzo. Perché lo schiaffo ricevuto a metà pomeriggio dal ministro Maroni è di quelli che stordiscono i più accecati detrattori del governo Berlusconi, a cominciare dallo scrittore di Gomorra che in tv ha catechizzato gli ascoltatori sulla connection fra la Lega e le ‘ndrine del nord.

Schiaffo bissato da un ceffone ancor più doloroso se si pensa che ad arrestare il boss Antonio Iovine, ci ha pensato l’ufficio guidato da un poliziotto coraggioso nella lotta al crimine quanto impreparato a difendersi dall’accusa di«lesa maestà»: parliamo del capo della Squadra Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, che per aver osato dubitare sull’urgenza di una maxi scorta allo scrittore, è stato crocifisso dai fan dello scrittore casertano, già sgomenti per l’archiviazione dell’inchiesta sul fantomatico attentato natalizio sbandierato a mezzo stampa anche se mai pensato dalle cosche:

Fazio Benigni e Saviano a Vieni via con me

«Dopo gli accertamenti sulle minacce che Saviano asseriva aver ricevuto – confessò lo sbirro impenitente di cui Repubblica chiese l’allontanamento – demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta. Resto perplesso quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni».

Il castello di carta può non scricchiolare ma basta un debole alito per farlo crollare. Mettere insieme pezzi disordinati di inchieste (giornalistiche o giudiziarie poco importa), condirli con retorica deamicisiana e azzardare teoremi suggestivi, è una ricetta vincente per un gourmet della cattiva informazione. Partiamo dall’origine, da “Gomorra”.

Roberto Maroni, ministro dell’Interno

Nessun politico è promosso, tranne uno: Lorenzo Diana, già parlamentare Ds, membro nella commissione antimafia, ora dipietrista convinto. Eppure secondo alcuni suoi lontani trascorsi ripresi in interpellanze parlamentari (che a politici come Cosentino non sarebbero perdonati) vien fuori che alla fine degli anni Settanta, Diana era in giunta a San Cipriano d’Aversa con Ernesto Bardellino (fratello del super­boss Antonio) e Franco Diana (arrestato e ucciso in cella per un regolamento di conti).

Niente di grave, per carità. Ma se in una giunta simile ci fosse stato Cosentino? La risposta è scontata. Saviano, per dire, non ha perdonato all’ex sottosegretario nemmeno certe scomode parentele che nelle piccole comunità sono la regola: «Un fratello di Cosentino è sposato con la sorella di Giuseppe Russo, detto Peppe il Padrino, esponente dei casalesi e della famiglia Schiavone!» E poco importa che anche don Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra e che Saviano celebra ogni volta che può, avesse parentele scomode come quelle di Cosentino: «Il parroco era mio parente da parte di papà – racconta a verbale Carmine Schiavone, killer pentito – mentre la sorella Maria ha sposato Zara Antonio, figlio di Schiavone Maria e di Schiavone Vincenzo».

E importa ancora meno che il prete, sempre a detta del collaborante, si fidasse del futuro sottosegretario all’Economia tanto da non far mistero di votare per lui. Quello che vale per gli altri, insomma, non vale per sé. Saviano non ha il copyright dell’anticamorra in “Terra di Lavoro”, non è l’unico cronista a battersi per la verità sco­moda ai clan. Dei dodici colleghi­eroi senza scorta e senza ribalta, a cui i casalesi hanno bruciato l’auto, sparato a casa, recapitato resti di animale in redazione, Saviano non parla. Trova piuttosto il tempo di attaccare quei quotidiani locali per certi titoli a effetto che lo scrittore esula dal contesto (un verbale, una testimonianza) e definisce infami.

Non ha mai parlato delle rivelazioni che il Giornale mandò in stampa il 18 marzo 2009 dal titolo: «Così Saviano ha copiato Gomorra». Interi brani ripresi, senza citarli, da «corrispondenze di guerra» di cronisti con l’elmetto da sempre. Nulla da dire nemmeno sulla citazione per danni da mezzo milione di euro di Simone Di Meo, segugio di Cronache di Napoli che solo dopo aver ottenuto la correzione e la citazione della fonte (il suo nome) a partire dall’undicesima ristampa di Gomorra , ha deciso di soprassedere. Nessuna citazione per le numerose disgrazie del centrosinistra nel regno del nemico «Sandokan».

Un esempio, decine di esempi. La giunta dell’ex presidente della provincia di Caserta, Sandro De Franciscis, è finita nei guai per i lavori affidati a ditte del boss stragista Giuseppe Setola e lo stesso ex presidente è stato intercettato mentre parlava di protezioni della «camorra di Casale».

cosentino

Nessuno sputtanamento mediatico sul modello di quelli riservati ai big del centro-destra. È ovvio che poi Saviano non può pretendere di passare, a prescindere, per «credibile». È scontato che poi gli invidiosi ironizzino sulle improbabili confidenze liceali con Pietro Taricone nonostante i quattro anni di differenza. Ed è normale che il destino si accanisca anche a commento del suo annuncio di darsi alla boxe come Pietro Aurino («il mio mito»), purtroppo per Saviano arrestato perché picchiava chi non pagava il pizzo. La verità, insomma, è più prosaica di un’informazione «spettacolare».

carmine schiavone

2- LA TV TRIBUNIZIA – SAVIANO E L’EUTANASIA: E IL CAMPIONE DI LEGALITÀ ELOGIÒ LA NON-LEGGE
Domenico Delle Foglie per “Avvenire”

Sappiamo bene che criticare un “mostro sacro” è una partita a perdere, ma si potrà pure dissentire con Roberto Saviano senza passare per camorristi, fascisti o disfattisti. Se un intellettuale, nel caso uno scrittore coraggioso, vuole vestire i panni del maître à penser televisivo, del faro che illumina le coscienze, sa di dover fare i conti non solo con il mezzo, ma anche con i telespettatori. Milioni di persone diverse, ognuna con una sensibilità propria eppure tutte con un mondo di valori di riferimento dall’inevitabile base comune: la vita e la morte non tollerano giochi di parole ed esercizi concettuali spericolati e irrispettosi.

E qui ci permettiamo di inserire il rammarico: argomentare contro le mafie di ogni colore è un grande merito civile che unisce il Paese, tirare conclusioni politiche è un esercizio di libertà (e chi lo compie dovrebbe sapere di poter essere chiamato a renderne conto), ma schierarsi a favore del suicidio assistito e dell’eutanasia è un azzardo che come minimo squassa le coscienze e divide il popolo.

Noi sappiamo solo in parte – per quel po’ che ci hanno fatto sapere – che cosa hanno pensato e patito le migliaia di donne e uomini in carne e ossa che tutti i giorni accudiscono in famiglia un malato terminale o un grave disabile senza risparmio di energie, sentimenti e risorse finanziarie, nel sentirsi dire con la forza della parola televisiva che quella vita lì, proprio quella, non è degna di essere vissuta.

Paolo Rossi

Lunedì sera, a “Vieni via con me”, è andata in scena una pagina sconcertante di quella «dittatura dei sentimenti» che sembra ormai voler legittimare ogni tragitto individuale e anche ogni scelta estrema, fuori da un contesto comunitario, al di là del sentire comune, persino oltre i confini della razionalità umana.

Ragione umana che viene invocata per opporsi alle mafie, ma non viene messa in campo se è in gioco la vita di un essere umano nella condizione di massima fragilità. Saviano, con la sua performance, si è reso colpevole del più grave degli addebiti che si possano avanzare nei confronti di un cultore della laicità: ha eliminato con un tratto di penna la cultura del dubbio. Secoli di severa laicità, di continuo sbattuta in faccia ai credenti, bruciati in pochi minuti. Così Saviano ha mostrato all’improvviso il volto del moderno giacobino che oscura la ragione: «Quella di Piergiorgio Welby non era più vita».

MARCO TARQUINIO, direttore di Avvenire

Ecco, questo nostro tempo è pieno di tradimenti della ragione e ci dispiace scoprire che l’ implacabile accusatore dei più feroci camorristi non si faccia scrupolo nel liquidare ferocemente una vita, nascondendosi dietro l’idolo assoluto della libertà senza vincoli di solidarietà. Sino al punto di suggerire a tanti altri, uomini e donne, di seguire la strada che porta al darsi e al dare la morte.

piergiorgio welby3

Lo rimbeccano i dati di realtà, che tradiscono meno degli intellettuali: dopo i drammi di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby, abbiamo assistito a un solo caso di suicidio assistito, con una donna italiana accompagnata a morte in Olanda. Eppure ci è toccato ascoltare, dalla voce di Saviano, la “certificazione” (già tentata in tv da altri) che negli ospedali italiani, con una manciata di euro, è possibile effettuare un’eutanasia.

Lui che è un professionista della legalità (e non è il solo) perché non fa denuncia alla magistratura? Forse condivide questa scorciatoia, e tacita la coscienza? Come può chiedere ai taglieggiati di ribellarsi alle mafie se spinge, lui, a calpestare la legge dello Stato che non consente eutanasia né suicidio assistito e persegue chi li favorisce con il reato di omicidio del consenziente? Ci sono leggi che secondo il maestro Saviano, e con lui Fazio, il campione dei sornioni, si possono violare senza pagare dazio? Che differenza c’è fra loro e quanti cercano leggi “ad personam”, o giustificano chi non si sottomette alla legge?

Bagnasco

La coscienza, Saviano pretende a suo modo di insegnarlo, è un tempio interiore da salvaguardare. Ma lo è sempre, sia dinanzi alla mano omicida del camorrista sia dinanzi a quella che si erge, presuntuosa e autoritaria, ad affamare e assetare l’inerme. Uno come noi e come lui. O no?

I DUE ARTICOLI SONO STATI RIPRESI DA DAGOSPIA

LA STORIA RISCRIVERA’ IL FINALE, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 18 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi La politica non è una scienza esatta, ma ha delle regole alle quali non si sfugge. Da giorni attendevo le dimissioni dei ministri finiani per vedere quali effetti avrebbe prodotto l’ingresso della crisi nella dimensione istituzionale e non in quella extraparlamentare in cui Fini l’aveva finora condotta con il suono della grancassa. Ora ci siamo, il gruppo di Futuro e Libertà ha mollato gli ormeggi e la narrazione della crisi ha preso un’altra strada. Era naturale che le cose dovessero prendere una piega diversa, ma i politici spesso dimenticano le conseguenze delle loro azioni, pensano di esser protagonisti di un film che non ha colpi di scena e scarti nella sequenza. Questo è accaduto ai finiani che ora si ritrovano nel mondo della sorpresa, dell’imprevisto, dell’avversario che graffia e ruggisce. Improvvisamente, si ritrovano a fare i conti con un Silvio Berlusconi che – ai loro occhi – appare irriconoscibile rispetto a quello di qualche giorno fa. In realtà il presidente del Consiglio non è cambiato, non è un mutante, non era in letargo. La messa in moto del meccanismo parlamentare ha ridato centralità al premier, alla sua posizione di guida del potere esecutivo e ispiratore della maggioranza. I finiani si sono risvegliati, hanno capito che non riusciranno a prendere la Bastiglia senza lasciare morti e feriti sul campo, hanno letto i sondaggi (ieri anche Repubblica ha certificato quanto anticipato da Il Tempo: Fli non va oltre il 5,5% mentre l’alleanza Pdl-Lega è vincente) e hanno cercato di frenare il loro treno in corsa. Ora sono pronti a votare un governo Berlusconi bis, ma dal Cavaliere è giunta una secchiata d’acqua gelata: «O la fiducia o il voto anticipato».

Il tema non è più quello del governo che cade o meno. Siamo oltre questo aspetto della crisi. L’orizzonte del presidente del Consiglio si chiama elezioni anticipate e tutto quello che c’è prima è un’opzione e non è detto che sia la migliore. Dai sondaggi emerge chiaramente che le possibilità di rovesciare Silvio con il voto sono ridotte al lumicino. L’unica speranza è la costituzione di un Comitato di liberazione nazionale da Silvio che va dall’Udc di Casini fino ai trozskisti che ora sono pure fuori dal Parlamento ma sognano di rientrarvi grazie alla Grande Ammucchiata. Le possibilità che questa insalata mista passi dalla cucina al tavolo delle elezioni sono remotissime. Il Grande Centro in queste condizioni è una chimera. Se anche i centristi si alleassero con i finiani, imbarcando nell’avventura i rutelliani e gli autonomisti di Lombardo, il loro bottino complessivo sarebbe sempre esiguo e con questa architettura elettorale potrebbe addirittura favorire la schiacciante vittoria di Berlusconi. Se non riescono a pescare voti nel centrodestra (ed è tutt’altro che semplice e scontato) e sottraggono voti invece al centrosinistra, avremmo uno scenario con due debolezze (il Grande Centro e la Sinistra) e una Stella Gigante rappresentata da Pdl e Lega. La traduzione in seggi è che alla Camera la maggioranza berlusconiana sarebbe netta e al Senato comunque abbastanza probabile per effetto della sottrazione di forza tra poli. Insomma, Berlusconi farebbe il pigliatutto in una partita che lo vedeva sfavorito in partenza. Questo scenario avrebbe almeno quattro effetti immediati. 1. La longevità politica di Berlusconi si allungherebbe in maniera decisiva. La prospettiva del 2013 diventerebbe sul calendario quella del 2016; 2. Il Cavaliere avrebbe un Parlamento con il quale potrebbe tentare il colpaccio: l’elezione alla Presidenza della Repubblica; 3.
La succesione al Cav non sarebbe più tra gli sbocchi possibili per leader già maturi e biograficamente tutt’altro che giovani come Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, ma passerebbe o a non più giovane Giulio Tremonti, ma stabile e leale ministro dell’Economia del centrodestra di marca Pdl-Lega, o a un outsider che verrebbe fuori certamente dalle pieghe della storia italiana, come già accaduto con Berlusconi. 4. Il Pdl avrebbe la straordinaria opportunità di organizzarsi e preparare una leadership di partito da separare da quella berlusconiana destinata così ad entrare in una dimensione puramente istituzionale. Tutto questo si può realizzare a condizione che Berlusconi riprenda in mano la sua azione di governo e dia un volto nuovo e un assetto coerente al suo partito. É indubbio infatti che il governo ha subito un forte stop dalla crisi aperta dai finiani e dall’azione della magistratura, ma proprio per questo Berlusconi deve imporre un ruolino di marcia diverso. L’esecutivo non deve ricorrere solo alla decretazione d’urgenza – più che legittima – ma creare le condizioni per cui i gruppi politici scrivono buone leggi, le presentano in commissione e fanno lavorare il Parlamento. Quando un deputato o un senatore hanno molto da fare in aula o in commissione, il tempo per pensare a complottini e colpi di manina si riduce. Per fare tutto questo Berlusconi ha bisogno di fissare bene i bulloni del governo e in questo momento ha davanti a sè due opzioni. Tentare di andare avanti con questo governo oppure andare al voto, regolare i conti con gli avversari interni e varare poi un esecutivo nuovo di zecca. In entrambi i casi i pericoli sono in agguato.
Se sceglie di provare ad andare avanti con questo esecutivo, Berlusconi può giocarsi una decina di posti di governo e sottogoverno per innestare nuovi elementi e dar loro valide ragioni (di potere concreto) per appoggiare il governo, ma deve anche mettere in conto una situazione di precarietà continua, sarà comunque appeso a pochi voti e potenziale bersaglio di chi vuol pesare più di quanto conti davvero. Se invece il premier ottiene il voto, allora deve mettere nello scenario tre caselle: la vittoria, la sconfitta o la situazione di stallo. Nelle prime due caselle il gioco va avanti secondo lo scenario governo/opposizione, nel terzo invece si aprono le porte di un governo di larghe intese che fa le riforme e prepara la strada a nuove elezioni. In ogni caso, la palla in campo la stanno giocando Bossi e Berlusconi. Fini sta in mezzo a questa trama e dopo quello che è successo non può nemmeno più pretendere di fare l’arbitro. MARIO SECHI

IL TEMPO,18/11/2010

.…..Il Direttore de Il Tempo svolge una analisi lucida e senza fronzoli inutili della situazione politica che si è determinata dopo che il presidente Napolitano ha  ricondotto la crisi all’interno del cammino parlamentare. E’ evidente a tutti, specie dopo che i sondaggi  elettorali sono stati più o meno univoci circa le prospettive del voto, che l’azione di Fini non ha condotto alla fine di Berlusconi ma, anzi, ne possono determinare l’ulteriore rafforzamento. E’ certo, e lo hanno rilevato quasi tutti i commentatori politici, non solo quelli di centrodestra, ma anche quelli più equilibrati, come La Stampa di Torino, che i finiani sono ora un pò meno certi della strategia del loro leader che li ha portati sull’orlo del baratro. Molti fra loro, fra questi un leader storico come Donato Lamorte, sono dell’avviso che un allontanamento dal centrodestra del partito che Fini ha fondato farebbe perdere molti consensi che peraltro non vanno oltre il 5%, anche dopo la esposizione mediatica di Perugia. Anche la annunciata decisione di non parteciapre al voto contro Bondi, nonostante le robanti e buffonesche affermazioni del massimo clown del partito di Fini, Granata,manifesta le perplessità che hanno invaso il campo dei finiani, molti dei quali non se la sntono di togliere l’ossigeno allla maggioranza nella quale sono stati eletti. E’ anche un problema di “lealtà” nei confronti degli elettori, come in estrema sintesi ha commentato lo storico Paolo Mieli, l’altra sera a Ballarò,  zittendo anche il loquace Bocchino: lealtà non solo e non tanto nei confronti di Berlusconi, quanto nei confronti degli elettori ai quali hanno chiesto il voto nelle liste del PDL e che di certo non gradirebbero che il loro voto contribuisca non solo all’affossamento del governo che essi hanno votato ma addirittura possa  contribuire a varare un governo in cui compaia il PD, l’IDV, la Sinistra di Vendola, sino a quella troykista. E’ un bel problema per Fini che accecato dai suoi rancori personali non si è accorto in quali imbuto di contraddizioni stesse finendo, tirandosi dietro uomni che nell’assoluta e certa alternativa alla sinistra hanno costruito il proprio destino politico. Oggi, parlando con un finiano dell’ultima ora, ci siamo sentiti dire che egli sta con Fini perchè Berlusconi è un “orco”:  è stato  troppo facile replicargli che non si diventa orchi dalla sera alla mattina e definire così Berlusconi,  dopo sedici anni di intensa e attiva collaborazione o è prova di superficialità o è prova di doppiezza. L’una e l’altra non costiuisce un buon viatico per gli antiberlusconiani dell’ultima ora. Anche per questo la stella di Berlusconi ancora non si spegne ed è destinata, per dirla come Sechi, a brillare ancora. g.