Archivi per novembre, 2010

FINI SPARA SU NAPOLITANO: ONDIVAGO!

Pubblicato il 18 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Il presidente della Camera è irritato con il capo dello Stato. La colpa? Ha imposto un calendario parziale sul voto di fiducia. Tra le file di Fli cresce il malcontento: molti non sono disposti a votare contro il governo. Per nascondere le crepe,  sulla sfiducia a Bondi non voteranno.

«Quello è ondivago», si sarebbe lasciato scappare il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il riferimento è al capo dello Stato, il giorno successivo all’incontro avuto al Quirinale assieme al presidente del Senato Renato Schifani. Un summit delicatissimo, a tratti teso, il cui esito non ha certo soddisfatto il leader del Fli che, in una circostanza che oggi presumibilmente verrà smentita dallo stesso presidente della Camera, infatti ha sbottato. Contro il Colle. Fini avrebbe voluto che si mettesse in calendario prima la mozione di sfiducia alla Camera e poi quella di fiducia al Senato. Ma niente da fare. Anche grazie alle resistenze di Schifani, la road map è stata decisa: dichiarazioni del premier lunedì 13 dicembre sia a palazzo Madama che a Montecitorio e voto il giorno successivo in entrambi i rami del Parlamento. Tuttavia, si conoscerà prima l’esito del voto del Senato, dove il governo dovrebbe ottenere il via libera. Proprio quello che Fini non auspicava ma che ha dovuto ratificare obtorto collo nella conferenza dei capigruppo che gestisce la calendarizzazione dei lavori. Sperava nel contrario, il presidente della Camera: l’eventuale risultato negativo a Montecitorio avrebbe potuto fare da traino al Senato e provocare smottamenti nel Pdl.

Ma l’altro motivo che ha irritato non poco Fini è la decisa frenata da parte del capo dello Stato alla soluzione del governo tecnico. Gli ultimi segnali dal Colle paiono inequivocabili: Napolitano non si presterà ad alcun ribaltone. Certo, l’ipotesi di un altro esecutivo resta legittima e decisamente percorribile ai sensi della Costituzione. Ma con alcuni paletti che il Colle non ha intenzione di spostare più in là: si può fare ma soltanto se il Pdl – o gran parte di esso – e/o la Lega fossero d’accordo. E quindi, stando così le cose, il faro del ribaltone sarebbe ridotto al lumicino. Napolitano avrebbe infatti constatato che l’asse tra pidiellini e Carroccio è forte sulla linea «o fiducia o elezioni». Se le cose non dovessero cambiare, per il capo dello Stato sarebbe complicato benedire «un’operazione-Scalfaro»: altro elemento che ha reso Fini di pessimo umore. E poi ulteriori segnali contrastanti: l’Udc non sembra certo esultare all’ipotesi di un esecutivo-marmellata che comprenda Pd, centristi, finiani e men che meno dipietristi. Un bel dilemma che rischia di spingere sempre più Fini verso quello che considera il baratro. Ossia ciò che Berlusconi vuole: stanarlo. Obbligarlo, cioè, a prendersi la grave responsabilità di uccidere politicamente il governo in Aula, magari a costo di una rottura del neonato partito; ad andare alle elezioni necessariamente creando un terzo polo e provocando ulteriori strappi dell’anima destra-destra dei futuristi; a ridursi a leaderino di un piccolo partito falciando le sue ambizioni di capo del centrodestra.

Umore nero, quindi. Ma la situazione è fluida e da qui al D-Day, il 14 dicembre, le cose potrebbero cambiare notevolmente. In meglio o in peggio. Con un paradosso: Fini in questo momento si trova a fare il tifo per la crisi economica. Qualora infatti, visti i conti pubblici di Portogallo, Spagna e Irlanda, dovesse precipitare la situazione economica in Eurolandia, i contraccolpi si sentirebbero dappertutto e sarebbero violenti. Ed è evidente che l’incubo di un terremoto finanziario imporrebbe soluzioni anche drastiche pur di garantire la stabilità. E magari anche forzare la mano pur di non portare il Paese alle elezioni anticipate.

…….Pare proprio che questa volta, anzi, anche questa volta, Fini abbia fatto i conti senza l’oste. Che si chiama Napolitano che ha messo i bastoni fra le ruote dei desideri Fini che aveva calcolato di poter favorire la nascita di un govenro tencico senza Berlusconi, rinviando le elezioni del cui risultato ha un terrore folle, lui che si proclama paladino della democrazia che, guarda caso,  nel voto degli elettori fonda le sue ragioni. E chissà che sino al 14 dicembre non si debba assistere all’ennesimo giravolta del vero ondivago della politica italiana, cioè Fini, che sinora e nel giro di due mesi  s’è girato su stesso gia tre volte, senza contare tutte  le capriole che ha fatto fare al suo “pensiero”,  ammesso che ne abbia uno che non sia il suo personale tornaconto. g.

GONGOLA MARONI: AGGUANTATO DOPO 14 ANNI IL BOSS DEI CASALESI ANTONIO IOVINE

Pubblicato il 17 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Il ministro dell’Interno Maroni gongola conversando con i giornalisti mentre ancora attende che Saviano gli chieda scusa o accetti il confronto, gongola e ne ha di ragioni: è stato appena informato che reparti della polizia di Napoli e Caserta, insieme ad operatori del Servizio Speciale hanno appena arrestato il capo del clan dei casalesi, Antonio Iovine, latitante imprendibile da 14 anni. Lo hanno preso a Casal di Principe dopo appostamenti e pedinamenti che sono riiusciti ad evitare di essere scoperti e il boss se la squagliasse. E’ felice il Ministro e lo siamo tutti perchè ancora una volta  l’antimafia del fare e del sacrificio, quello degli uomini che operano con sprezzo del pericolo,  ha battuto l’antimafia delle parole che sulle parole costruisce le sue fortune non solo editoriali. g.

SAVIANO SU MARONI: E’ IL METODO GAMORRA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 17 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Raitre inaugura il meto­do Saviano, edizione rivi­sta­e aggiornata del meto­do Santoro. E fa un botto di ascolti, segno che la guerra politica feroce e scorretta paga, alla fac­cia di chi invoca toni equilibrati. In che cosa consiste il metodo Savia­no? Semplice. Si prende un signore o un partito, nel caso in questione la Lega, e, con frasi allusi­ve, ricostruzioni parzia­li, narrazione mischiata a cronaca, si lascia inten­dere all’ascoltatore che tra il soggetto in questio­ne e la mafia c’è un certo feeling, se non addirittu­ra complicità. Il malcapi­tato non può difendersi perché non è presente in quanto non invitato. Inu­tile che chieda di replica­re, come ha fatto ieri Ma­roni, nella puntata suc­cessiva. La risposta è che non se ne parla neppure, nonostante si stia parlan­do di servizio pubblico. Non ci resta che subire la lezioncina di un signo­re, Saviano, che la mafia l’ha studiata al punto da mutuarne metodi e sco­pi. Il suo è stato infatti un monologo politicamen­te e cultur­almente mafio­so contro un grande par­tito, la Lega, guarda caso in queste ore unico fede­­le alleato, e quindi possi­bile salvagente, di Silvio Berlusconi. Infangare, seminare il dubbio, la­sciare i discorsi a metà. Saviano è il nuovo padri­no della cosca che ha in­filtrati ovunque, nei gior­nali e nelle televisioni, nell’Ordine dei giornali­sti che guarda, ascolta e, ovviamente, a loro, e so­lo a loro, lascia fare. Questo scrittore, so­pravvalutato e ormai pre­so solo da se stesso, ci ha spiegato che la Lega è contigua alla mafia. La quale mafia ha messo le radici in Lombardia per­ché è la­regione dove gira­no tanti soldi. Sai che sco­op. Lo sapevamo anche noi, senza neppure do­ver leggere Gomorra , che da circa cinquant’an­ni al Nord combattiamo le cosche, direi anche con un certo successo. Se la Lega di Bossi ha at­tecchito così velocemen­te è proprio perché ai lombardi i mafiosi non stanno molto simpatici, proprio come i clandesti­ni, che delle mafie vec­c­hie e nuove sono poten­ziali soldati. A combatte­re i mafiosi, insomma, siamo preparati. A difen­derci dal metodo mafio­so di Saviano, un po’ me­no, perché al Nord si pre­feri­sce lavorare che pon­tificare, che poi è il mi­gli­or antidoto alle infiltra­zioni di qualsiasi genere. Tra gli elenchi snoccio­lati nelle puntate di «Vie­ni via con me » ne vorrem­mo ascoltare uno, quello sulla libertà di opinione. Sarebbe per esempio bel­lo poter dire: Saviano si è comportato come un cre­tino. Oppure: la mafia a noi ha fatto molto male, a Saviano molto bene. O ancora: Fazio ha messo in piedi una trasmissio­ne da vero furbetto. Du­bito che un elenco simile verrà messo in scena. So­n­o parole troppo forti e ri­voluzionarie, anche per chi, come i nostri eroi, ogni mattina appena sve­glio mangia pane e ma­fia. Salvo poi vomitare bi­le addosso alla Lega, al Nord e a tutti noi.

IL GIORNALE 17 NOVEMBRE 2010

…...Saviano, che ha imparato bene il metodo Santoro e si è ben sintonizzato nei metodi di RAI3 specializzata nell’aggressione sistematica di tutto ciò che è alla sua destra (ad eccezione di Fini che come si sa di certo non è più definibile di destra), si è adeguato alla bisogna. Alla ferma protesta di Maroni,  che è il Ministro dell’Interno e di certo non è il ministro della malavita di giolittiana memoria, prendendo a pretesto la frase di Maroni “voglio guardarlo negli occhi”, ha dichiarato che Maroni gli ricorda Sandokan che è uno dei più sanguinari malavitosi napoletani il quale, secondo Saviano,  a sua volta lo avrebbe sfidato “a guardarlo negli occhi”. Cioè, il supponente Saviano,  che ha stampato il suo unico libro con la Mondadori che è di Berlusconi e che è andato in scena con una produzioone in cui è parte lo stesso Berlusconi, mostrando tutti i limiti della sau etica di fronte agli affari, ha accostato il Ministro degli Interni del nostro Paese ad un criminale incallito e sanguinario. Non è sfuggitto a Maroni che oltre che pretendere il confronto con lo stesso Saviano che non appartiene come metodo alla camorra ma che avviene dovunque, ha invitato Saviano a correggersi altrimenti ricorrerà alla Magistratura. Lo faccia Maroni, senza attendere tempo anche se è avvertito: può darsi che incontri sulla sua strada qualche PM che dichiari quello di Saviano diritto di cronaca alla faccia del suo galantuomismo da tutti riconosciuto. Cosèì vanno le cose in questo nostro Paese che è sempre più alla rovescia, per dirla con il direttore de Il Tempo, Mario Sechi. g

FINI E I SETTE PECCATI CAPITALI

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Gianfranco Fini e i sette peccati capitali

«Se non subito, la crisi arriverà a marzo, dopo le amministrative. Il Pdl perderà, noi vinceremo, e potremo cercare il nuovo Lamberto Dini», cioè Beppe Pisanu o Mario Draghi. Questo è il messaggio di Gff, Gianfranco Fini, circolato nei gruppi parlamentari del Pdl, e noi questo riportiamo. Però darlo per buono sarebbe azzardato. Anzitutto perché sulla tattica il presidente di Futuro e libertà (Fli) è diventato abile, riesce rapidamente a mutare pelle a seconda delle necessità. Ma paga un noto limite: la strategia. Per esempio, Gff puntava a spezzare le reni al governo in tempi rapidissimi: e formalmente per altrui colpa, di Silvio Berlusconi o Umberto Bossi. Che però stanno lasciando in mano proprio a lui, a Fini, il cerino. Per di più, ci ha pensato Giorgio Napolitano a stoppare ogni velleità immediata: per il capo dello Stato l’approvazione della Legge finanziaria «è inderogabile». Tutto il resto è foga.

D’altronde dal Quirinale filtra una nuova irritazione. Ve le immaginate, a crisi aperta, le doppie consultazioni di Napolitano prima con il Fini presidente della Camera e poi con il Fini leader di Fli? (I due Fini, è scontato, si incontrerebbero poi a cena per discutere il problema a quattr’occhi, intimamente). In sostanza, anche per il Colle sarebbe opportuno risolvere il pasticciaccio brutto del doppio ruolo. Va da sé: con le dimissioni da Montecitorio. Ma chissà se basterebbero a risolvere il groppo più profondo di Gff: lo sdoppiamento della personalità. Perché per più di tre lustri Fini ha votato tutto e di più: legge Cirami, legge Cirielli, condoni, lodi e depenalizzazioni varie, tra cui il falso in bilancio. Era l’uomo che diceva no ai maestri gay, che s’impancava a paladino dell’anticomunismo. E che ora è diventato il tutore della legalità, dei gay e dei comunisti. Il Gianfranco bifronte.

1. Legalità
«Senza cultura della legalità non c’è cultura della libertà. Altrimenti la libertà diventa solo quella del più forte verso i più deboli, del potente verso chi non ha certezza di uno Stato garante»
Gianfranco Fini, 7 novembre 2010

«Berlusconi è Fini-to. Capito? Fini-to!». «È Gian-forte Gianfranco, vero?». E giù risate. Le freddure sono opera dei pasdaran di Fli. Tutti parlamentari, poeti e cantori della legalità: Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Nino Lo Presti e Pippo Scalia. Sono gli stessi che il 21 settembre 2010 giudicavano «positivamente» il battesimo della quarta giunta regionale siciliana di Raffaele Lombardo, certi che «sarà caratterizzata da politiche di modernizzazione, sviluppo e legalità». I quattro moschettieri ringraziavano poi «l’amico Nino Strano per lo straordinario lavoro svolto come assessore al Turismo» e si dichiaravano «impegnati» a trovargli un ruolo «di alto livello politico e istituzionale». L’8 novembre a Catania scatta l’operazione Iblis, 48 arresti tra boss e colletti bianchi delle potentissime famiglie mafiose Santapaola ed Ercolano. Emerge che Enzo Aiello, il manager dei clan, avrebbe avuto contatti con Lombardo e con suo fratello Angelo. E che c’entrerebbe pure Strano, «esteta fottuto, amico di travestiti, troie e omosessuali», che frequenta «con piacere i locali dove ogni desiderio è possibile» (parole sue). L’esteta è grande amico di Granata, paladino dell’antimafia, che però del caso Strano, della casa di Monte-Carlo e degli appalti Rai a Giancarlo Tulliani parla poco, anzi punto. Come tutta Fli. Silenzio anche su un deputato imbarcato da Fini, Giampiero Catone, pluriprescritto per accuse dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta. Uno capace, per la scrittrice Paola Severini, di «estromettermi con artifici contabili dalla rivista sociale che ho fondato, Angeli, redatta da disabili». Poi rimasti senza lavoro.

2. Federalismo
«Non c’è dubbio che il federalismo fiscale può essere una grande riforma per tutta l’Italia»
Gianfranco Fini, 5 settembre 2010

Il bluff è totale. Basta girare un po’ il Sud. Qui i quadri alti e medio-alti di Fli giurano: sarà Fini a fermare il federalismo. Non a caso gli accennati sondaggi disegnano un partito quasi nullo al Nord, scarso al Centro, forte al Sud e nelle Isole: meridionalista, dunque. E antifederalista.

3. Governabilità
«Gli italiani si trovano bene nel bipolarismo e voteranno per la governabilità. Le larghe intese sono solo un’ipotesi di scuola»
Gianfranco Fini, 13 ottobre 2007

Evidentemente, è cambiato qualcosa rispetto alla campagna elettorale del 2008. Forse perché, per quanto risulta a Panorama, Gff intrattiene rapporti telefonici quasi quotidiani con Mda, Massimo D’Alema. I due cavalcherebbero ipotesi di governi tecnici e di larghe intese. Nel frattempo l’obiettivo è fare fibrillare Berlusconi. Da qui la convocazione del Cavaliere al Copasir, chiesta da Mda. E il voto contrario di Fli su Muammar Gheddafi. Ed è appena l’inizio. La Finanziaria no (un altro sgarbo a Napolitano non si può fare), ma da Palazzo Chigi avvistano voti a rischio su: pluralismo Rai (22 novembre), riforma dell’università (23), soppressione delle province (tra il 23 e il 25), mozione di sfiducia al leghista Roberto Calderoli (26), mozione contro Sandro Bondi (da fissare). Mentre nel resto d’Italia, silenziosamente, Fli fa traballare decine di amministrazioni locali. L’a-governabilità come strategia.

4. Riforme e legge elettorale
«Non ci può essere un patto di legislatura se non si cancella una legge elettorale che è una vergogna»
Gianfranco Fini, 7 novembre 2010

Con Bettino Craxi, Gff è stato in Italia il più grande sponsor del presidenzialismo. Ma prima ha virato sul semipresidenzialismo alla francese e poi rinviato tutto alla prossima legislatura. Per l’attuale si accontenterebbe di riscrivere il «Porcellum»: «È una vergogna» dice. Ma nel dicembre 2005 chi approvò la vergogna? Anche An e il suo leader. Però il problema Fli ce l’ha davvero. Senza un altro sistema di voto, il sogno del terzo polo (Fini, più Udc, più Luca Cordero di Montezemolo, più pezzi di Pd) svanirebbe con le elezioni. C’è anche un subproblema: di quale legge si parla? Fini mai ne ha proposta una. Mentre nell’opposizione, come dice D’Alema, «non è pronto niente». Ciò nonostante, Pier Luigi Bersani raccoglie firme in Parlamento per la sfiducia al governo.

5. Diritti civili
«Un maestro elementare dichiaratamente omosessuale non può fare il maestro»
Gianfranco Fini, 7 aprile 1998

La frase a lato fu pronunciata da Fini il 7 aprile 1998. E nel 2000, contro la Ue che chiedeva di equiparare le unioni gay alle famiglie tradizionali, diceva: «È un invito lesivo del diritto naturale». Oggi, polemizzando col Cavaliere che si appassiona alle «belle ragazze piuttosto che essere gay», Gff sostiene che «rispettare la persona vuol dire non distinguere tra eterosessuali od omosessuali». Sacrosanto. Se fosse vero. Perché in Fli c’è un bel po’ di scettici. Tipo Mirko Tremaglia, autore del famoso papello alla Ue dei «culattoni». E comunque l’apertura formale ai gay, aggiunta alle idee di Fini sulla fecondazione assistita, hanno devastato i rapporti con il Vaticano. Problemino: Gff puntava all’alleanza con l’ultracattolica Udc. Ma dopo l’anatema della Cei contro Fli, Pier Ferdinando Casini sta arretrando. Insomma, al momento Fini è assai isolato. Il che è pericoloso per un partito che, secondo i sondaggi, non arriva al 5 per cento.

6. Sicurezza e immigrati
«Io non cambierei una virgola della legge che va sotto il mio nome e quello di Bossi»
Gianfranco Fini, 25 ottobre 2010

Piaccia o meno, la Bossi-Fini è una legge severa, tale da suscitare le critiche dell’Onu. Così disse, per esempio, Rodriguez Pizarro, funzionaria inviata in Italia: «La legge ostacola una serie di diritti degli immigrati presenti nel Paese». Ancora il 25 ottobre 2010, Fini la rivendica orgoglioso, ma poi il 9 novembre ordina ai suoi deputati di votare contro l’accordo con la Libia. Le conseguenze? Il governo viene battuto e Muammar Gheddafi, probabilmente, lascerà arrivare più clandestini (il colonnello, si sa, è rancoroso). Per Fini, infatti, il Pdl è «arretrato culturalmente, al rimorchio della peggiore cultura leghista». Cioè di quello stesso Bossi che assieme a Fini ha scritto la legge sull’immigrazione. Che pure le virgole ha perfette.

7. Ideologia
«Nessuna preclusione a chi ha creduto nell’utopia socialista»
Gianfranco Fini, 25 ottobre 2010

Certo, sentire l’ultimo leader del Msi che apre ai comunisti fa impressione. E non per finta: il solito Fabio Granata ironizza sull’alleanza con Nichi Vendola «pur di cambiare premier». Ma l’apertura svela anche la motivazione del bifrontismo spinto di Fini: per reggere, deve imbarcare di tutto, fascisti, postfascisti, liberali, radicali, verdi, dc, craxiani. Fa nulla che la cosa assuma aspetti talvolta surreali. La deputata finiana Chiara Moroni, per esempio, vorrebbe che convergessero tutti dentro Fli, al seguito dell’erede del repubblichino Giorgio Almirante. Normale che ricevano, lei e Fini, sonori fischi da destra («È destinata a fallire totalmente », così Margherita Boniver, Pdl) e da sinistra («Moroni offende non solo i socialisti ma anche l’intelligenza degli italiani»: Marco Di Lello, Psi). All’appello mancavano i postmarxisti e i liberal radical-chic, come Giacomo Marramao, Giulio Giorello, Giuseppe Leonelli. Sono arrivati pure loro. Tutti conosciutissimi, tutti senza voti. Tutti a rischio Moroni.

DA PANORAMA IN EDICOLA

L’ON. ANGELI DAL FLI TORNA NEL PDL

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

E’ arrivato questa mattina direttamente dall’Argentina per ufficializzare il suo ritorno nel Pdl e per sostenere il governo e il premier Berlusconi. Un ritorno importante, quello di Giuseppe Angeli, deputato eletto in America Latina. “Quando c’è stata la spaccatura nel Pdl ho seguito Fini per la mia storia e per un’amicizia che mi lega a lui e a Tremaglia – ha spiegato Angeli nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio insieme con Daniela Santanchè e il coordinatore del Pdl Denis Verdini -, ora però ci sono cose che non mi stanno piacendo”. Angeli ha spiegato di aver cercato di parlare con il presidente della Camera per avvertirlo della sua scelta: “Non ci sono riuscito, lo farò nelle prossime ore. Questa mattina ho parlato con Moffa a cui ho comunicato la mia decisione”. Infine, l’ultima precisazione: “Visto quello che si dice in questi giorni, voglio chiarire che io non sono un uomo in vendita”.

SAVIANO COME SANTORO

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Impara presto il nuovo gurù della RAI comunista che più comunista non si può. All’indignazione manifestata dal ministro Maroni, la cui attività contro la criminalità organizzata è  apprezzata bipartisan, sul’accostamento fatto da Saviano, da solo,  senza contraddittorio, durante la sua trasmissione  con Fazio, faziosa e a senso unico, circa la “vicinanza” della Lega con ambienti criminali lombardi, ha risposto dicendosi “allarmato”, il che la dice lunga sul personagigo che ormai pensa di poter essere il nuovo e unico faro della verità. E non basta. Alla richiesta di Maroni, che è il Ministro degli Interni , di poter replicare nella stessa trasmissione come avviene sempre, almeno sulla carta stampata in virtù della cosiddetta legge sulla stampa, la rai 3, per bocca di un certo Mazzetti, capostruttura, ha dichiarato che Maroni non può replicare e che se vuole querelasse la trasmissione o Saviano. Non v’è bisogno d’altro per individuare il regime che regna in RAI, dove a chiunque è permesso di infangare chicchessia, e questo chicchessia, non può difendersi pubblicamente. Alla malora. Privatizziamo la Rai, ma sul serio e quelli come Mazzetti che hanno fatto uno spettacolo inverecondo con i soldi pubblici e senza ritorni per la Rai sarebbero licenziati in tronco. g.

LA TULLIANI CI CONFONDE: CI HA PRESO PER GAUCCI

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Gossip | No Comments »

La compagna di Fini ha chiesto 10 milioni di danni a Libero, Il Giornale e Panorama

Ecco il commento di Libera lla notizia pubblicata da Dagospia.

Elisabetta Tulliani ha chiesto dieci milioni di euro di risarcimento a “Il giornale” di Feltri, “Libero” di Belpietro e “Panorama” di Mulè e ai giornalisti Amadori, Maragnani e Paladini. Secondo il sito di gossip politico Dagospia, che ha pubblicato la notizia, non è stata indicata la cifra dei danni ai giornalisti. Non è chiaro nemmeno se la somma, ingente, comprenda pure i presunti danni morali. Di certo, la Tulliani è abituata a spillare quattrini da chi la circonda, quasi si trattassero di bancomat ambulanti… Chiedere per conferma all’ex patron del Perugia Luciano Gaucci e al presidente della Camera Gianfranco Fini.

16/11/2010

MARONI: DA SAVIANO ACCUSE INFAMANTI. CHIEDO DIRITTO DI REPLICA

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Il ministro dell’Interno Roberto Maroni non ci sta. Si ribella all’assenza di contraddittorio alla trasmissione “Vieni via con me” del duo Fazio-Saviano e chiede di essere invitato per puro diritto di replica.

Il capo del Viminale si è infuriato per alcune frasi dell’autore campano di “Gomorra“, che ha accostato la Lega Nord alla criminalità organizzata. Maroni ha parlato di “accuse infamanti” ed ha aggiunto che vorrebbe un faccia a faccia con Saviano “per vedere se ha il coraggio di dire quelle cose guardandomi negli occhi”. Lo scrittore, aveva infatti definito Maroni “uno tra i migliori ministri nella lotta alla mafia”, per poi infangare il nome del partito nordista nel monologo di lunedì sera. “Facile lanciare il sasso senza il contraddittorio”, ha conlcuso in ministro dell’Interno.

Intanto, approfittando dello schermo di Rai3, è scattata la campagna elettorale di Gianfranco Fini. Il Presidente della Camera, pochi secondi dopo la performance del segretario Pd, Pierluigi Bersani, si è speso in un elenco: “i valori della destra”. Singolare il passaggio del testimone tra i due, quasi si trattasse di una “prova di intesa”, celebrata con scarso appeal davanti al pubblico record – 9 milioni di italiani – raccolto davanti alla trasmissione che ha nuovamente sbancato l’auditel

Fini ha fatto propri valori universali, quali l’orgoglio per l’opera dei militari, l’importanza delle pari opportunità e della meritocrazia. Poi ha parlato di immigrazione e di etica pubblica.

Pochi minuti dopo i due interventi, il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha descritto la trasmissione di Fazio “di un settarismo più unico che raro, dall’inizio alla fine. Il conduttore e Saviano hanno fatto dei mediocri comizi, senza facoltà di contraddittorio”. Un accenno diretto alle parole di Bersani (come al solito poco convincente di fronte alle telecamere e Fini è invece arrivato dal portavoce Pdl, Daniele Capezzone. “Gianfranco Fini e Pierluigi Bersani hanno avuto la grande opportunità di parlare al Paese, a milioni di italiani. Ma da loro è arrivato soltatnto un compitino banale e deludente, un temino da alunno che non si applica. Un calcio di rigore tirato in tribuna…”.

FINI DA FAZIO SPROLOQUIA E ANNOIA, PERO’….

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

….predica onestà e dignità: perchè non la cerca in RAI e a Montecarlo?

di Marcello Foa

La destra è la destra, la si­nistra è la sinistra. Una è al go­verno e rappresenta la mag­gioranza degli elettori, l’altra all’opposizione in difesa del­le idee e degli interessi di una minoranza. Si chiama demo­­crazia, da sempre o, perlome­no fino a ieri sera. Il duo Fazio-Saviano ne ha battezzata una nuova versione, molto televi­siva benché poco berlusco­niana, nella quale la destra non è più la destra e staall’op­posizione. Con la sinistra. Ma si presenta lo stesso sotto l’effigie della destra. E la sini­stra fa di tutto per essere un po’ moderna, dunque un po’ di destra. Storditi? Disorientati? Come non esserlo…

Ieri sera a Vieni via con me , su Raitre, è andata in onda una trasmissione singolare, suggestiva e forse profetica. Quella della democrazia paritaria e al contempo, selettiva. Ci spieghiamo. Per giustificare l’esclusione di Berlusconi e di Bossi, Fazio ha letto l’elenco sterminato dei partiti italiani, sostenendo che non poteva invitarli tutti in una volta, anzi in due puntate. Il ragionamento non fa una grinza: il Pdl votato da anni da oltre il 30% degli italiani e la Lega Nord, scelta dal 10%, valgono quanto «Io sud» o i partitini di Sbarbati, Nucara, Staderini. Dunque possono essere esclusi. Una par condicio assoluta, esemplare. Eppure non esaustiva; poiché non vale per alcuni partiti. Non vale per Bersani, che, per ragioni che ieri non sono state spiegate, ha titolo per rappresentare tutta la sinistra. E non vale per Gianfranco Fini, verosimilmente per diritto divino.

Il suo Futuro e libertà non ha affrontato nemmeno una volta il giudizio delle urne, eppure viene considerato l’unico degno di spiegare al popolo italiano che cosa sia la destra. Il tutto secondo una schema ormai collaudato. Il secondo intervento della serata, letto da Silvio Orlando, è una sequenza di battute scontate e di allusioni alle «macchine del fango». Il terzo viene affidato a Roberto Saviano, che dopo le sbandate su Falcone, ha puntato sui temi che lo hanno reso famoso, quelli della camorra e della ’ndrangheta , che si infiltra a nord e che, naturalmente, gode di ampie e consolidate complicità politiche. Di chi? Ma della Lega, naturalmente. Cita un vertice delle cosche durante le quali i boss avrebbero deciso di avvicinare e dunque di arruolare un politico locale. Quale, Saviano non lo dice, ma precisa che è un esponente del partito di Bossi. E poi allude, ammicca, sempre in una sola direzione. Ascoltandolo l’ascoltatore ha l’impressione che il nord sia nella mani della mafia e che in fondo Varese o Milano o Brescia non siano così diverse da Napoli o Reggio Calabria o Caserta.

Il mondo è marcio, anche il nord è marcio. I politici sono pavidi e corrotti. Tutti i politici, anche, soprattutto, quelli di destra, di questa destra, che non ha diritto di cittadinanza. Perché solo lui, solo gente come lui, combatte davvero il male. Parola di uno scrittore trasformatosi in guru, ma a cui il successo non ha dato profondità, né spessore culturale. E poi sono arrivati loro, Bersani e Fini; l’eterno perdente e l’eterna promessa. Tre minuti di frasi fatte, buone per ogni stagione. Buone, soprattutto, per strappare l’applauso a una platea amica ed entusiasta. Sentite Bersani: «La sinistra è che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli lo rendi migliori», «stai bene se anche gli altri stanno bene». Giura, leggendo come uno scolaretto, che «il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo solo chi il lavoro ce ce l’ha». La malavita? Ovviamente «fa male all’economia». Bisogna «lasciare il pianeta in condizioni migliori di come lo abbiamo trovato». Sembrava di ascoltare Ferrini di Quelli della notte . E poi è toccato a Fini, il quale anziché elencare, parla, illustra, con toni da letterina natalizia delle buone intenzioni. Ma le finalità sono chiaramente politiche. Più che un elenco di valori sembra un mini comizio elettorale.

Calibrato male, però. Fini, di solito oratore efficace, annoia, affoga nelle banalità. Debutta dichiarando che «per la destra è bello, nonostante tutto, essere italiani». La ragione? «Abbiamo un patrimonio paesaggistico e culturale». Profondo e, soprattutto, originale. Secondo il presidente della Camera l’uomo di destra è «generoso e altruista », «combatte gli abusi e i malcostumi», «respinge i clientelismi e le ingiustizie».

Assicura che «chi sbaglia deve pagare, gli onesti devono essere premiati» e che «senza istituzioni non c’è democrazia». Il concetto di patria, a cui un tempo era molto affezionato, è cambiato. Ora le priorità sono altre: «Il figlio degli immigrati deve diventare l’italiano di domani». Sono le stesse parole di Bersani. E forse non è un caso.

FELTRI: E’ STATA VERA CENSURA, DICONO MINZOLINI, PANSA E BATTISTA.

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

Per il direttore del Tg1: “Folle zittire Feltri, il doppiopesismo è fastidioso”.  L’editorialista del “Corriere” Pier Lugi Battista contro Scalfari e D’Avanzo: “Arroganti”

«Quando viene imbavaglia­to un giornalista è censura, no­nostante quello che pensano a Repubblica ». L’ultimo a sma­scherare il doppiopesismo del­la stampa di sinistra sul caso Fel­tri è l’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. La sospensione a tre mesi del diret­tore editoriale del Giornale comminata dall’Ordine dei giornalisti per il caso Boffo ha di­viso il mondo politico e dell’in­formazione, riaprendo la vec­chia ferita sul destino degli ordi­ni professionali (il referendum radicale per abolirli venne scon­­fitto dall’astensionismo, il mo­vimento per l’Italia del sottose­gretario all’Attuazione del pro­gramma Daniela Santanchè sta raccogliendo le firme per can­cellare quello dei giornalisti). La questione Feltri, secondo Battista, si muove sul terreno scivoloso della libertà di stam­pa. «Che idea bislacca può mai avere chi la rivendica solo per sé – si è chiesto Battista sul Cor­riere di ieri – per poi negarla, con la stessa arrogante perento­rietà, a chi non gli aggrada?». I destinatari del messaggio sono il fondatore di Repubblica Euge­ni­o Scalfari e il cronista giudizia­rio Giuseppe D’Avanzo, che qualche giorno fa hanno spara­to­a palle incatenate contro Fel­tri.

A loro è arrivato anche il mes­saggio in codice del direttore del Tg1 Augusto Minzolini, in­tervenuto domenica sera alla trasmissione Niente di persona­le su La7 : «La condanna è una cosa folle – ha detto Minzolini al conduttore Antonello Piroso- il fatto che qualcuno sia zittito di­mostra un doppiopesismo che mi dà fastidio: per molti altri er­rori macroscopici fatti da altra stampa, l’Ordine non intervie­ne ». Chi pensa che la difesa di Fel­tri condotta da Battista e Minzo­lini rientri in una qualche logi­ca politica è stato spiazzato già nei giorni scorsi, quando a dife­sa del direttore editoriale del Giornale sono scesi in campo giornalisti tradizionalmente più vicini all’emisfero sinistro dei media come il direttore del TgLa7 Enrico Mentana, l’ex nu­mero uno dell’ Espresso e della Stampa Giulio Anselmi e il di­r­ettore del Fatto quotidiano An­tonio Padellaro. Se per quest’ul­timo «conta più il parere dei let­tori che sanno giudicare anche più severamente degli ordini deontologici», Anselmi è con­vinto che Feltri abbia sbagliato su Boffo: «Giusto che paghi, ma non mi piace che si impedisca ad un giornalista di fare il suo mestiere. Si poteva pensare ad una sanzione economica». Nel mirino c’è sempre l’Ordi­ne dei giornalisti («non serve a niente, va abolito», parere con­diviso anche da Giampaolo Pansa sul Riformista ), che pro­prio ieri ha risposto piccato alle critiche mosse da destra e sini­stra. «Sono emerse inesattezze e vere e proprie falsificazioni», ha detto il segretario del Consi­gl­io nazionale dell’Ordine Gian­carlo Ghirra: «Non abbiamo agi­t­o per capriccio, passione politi­ca o simpatie personali ma ab­biamo fatto rispettare la legge. Né potevamo inventare sanzio­ni ». Quanto al «bavaglio» com­minato per tre mesi a Feltri Ghir­ra sembra arrampicarsi sugli specchi:«L’Ordine non ha alcu­na intenzione di impedire a ne­s­sun cittadino italiano la possibi­lità di manifestare il suo pensie­ro con parole e scritti. E per for­tuna nessuno può riuscirci». A quanto pare invece sì.