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MENTRE FINI RINNEGA IL SUO PASSATO, ANCHE TREMAGLIA RINNEGA IL SUO?

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Egregio onorevole Mirko Tremaglia, lei ha concluso il suo intervento allo storico incontro di Bastia Umbra con un «alla faccia di Berlusconi!», facendo venire giù il fastoso e tecnologico teatro (già, ma chi ha pagato tutta quella berlusconiana grazia di Dio?) per gli applausi.

La cosa mi ha lasciato un po’ perplesso. Forse alla sua veneranda età ha dimenticato un particolare non proprio trascurabile. È solo grazie al disprezzato Berlusca che lei, un «ex ragazzo di Salò», è potuto assurgere ai fasti di un ministero ancorché senza portafoglio nel 2001-2006; e per di più l’abominevole uomo di Arcore la difese quando veniva accusato di aver fatto giungere al governo il primo «ex repubblichino» nella storia della Repubblica italiana «nata dalla resistenza». Ed è grazie a questa insperata poltrona che lei è riuscito a coronare il sogno della sua lunghissima vita: quello di concedere il voto agli italiani all’estero, benché con una legge tanto pessima nel suo meccanismo e nella sua attuazione pratica che riuscì a portare – con sospetto di brogli – più voti al centrosinistra che al centrodestra nelle elezioni del 2006, contribuendo concretamente a far vincere l’Ulivo di Prodi & C. Nonostante ciò, non venne cacciato a pernacchie dal centrodestra medesimo.

Oggi, dunque, onorevole Tremaglia, lei prorompe in un «alla faccia di Berlusconi!» per lasciare il Popolo della libertà e passare a Futuro e libertà. Benissimo. Ma si è mai chiesto chi è che guida il Fli? Non sarà per caso quel signore che ha portato lei e tanti altri in questo stesso Pdl sciogliendo Alleanza nazionale, e con questo Pdl vincere le elezioni del 2008 e farla rieleggere in Parlamento? Forse sì. E illustre onorevole, caro, vecchio, smemorato «ragazzo di Salò», padre di quell’unico e insostituibile Marzio che il fato ha sottratto a lei e a noi troppo presto, non si ricorda per ipotesi cosa questa guida, questo condottiero, questo duce democraticissimo, ha affermato in merito a certi argomenti ai quali lei dovrebbe essere particolarmente sensibile? Ad esempio, il fascismo: «Fu il male assoluto», ebbe a dire nel 2003.

Ad esempio, rincarando la dose, la Repubblica sociale nelle cui file armate lei militò: «Una pagina vergognosa della storia italiana». E infine, per chiudere degnamente il cerchio: «L’antifascismo è un valore» e sinonimo di democrazia, e la resistenza anch’essa lo fu, a parte qualche trascurabile eccezione che voleva farci diventare un Paese stalinista. Però, nonostante tutto, come costui ha scritto all’Anpi di Bologna pochi giorni fa, «commemorare gli eroici combattenti partigiani che si opposero ai rastrellamenti degli antifascisti è un dovere delle istituzioni».

Onorevole Tremaglia, devo dedurre che anche lei la pensi ormai così, nonostante che a tali rastrellamenti magari ha pure partecipato. Sicché, non ritiene, onorevole fillino, che suo figlio Marzio, che quale assessore alla Cultura della Regione Lombardia volle creare – forse anche pensando a suo padre – un istituto per la storia della Rsi, oggi diretto dal professor Roberto Chiarini, si stia rivoltando nella tomba?

LE CARTE DI BERLUSCONI, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Dopo le dimissioni dei finiani dal governo la crisi entra in una dimensione diversa. L’uscita dei ministri telecomandati da Fini aziona l’orologio costituzionale, cioè il complesso di regole che servono per giocare una partita che s’annuncia pesante. Proprio queste regole saranno l’arma migliore nelle mani di Silvio Berlusconi.

I finiani si sono dimessi dal governo e c’è una sola parola per commentare la loro decisione: finalmente. Perché da questo momento la crisi entra in una dimensione diversa da quella del logoramento futurista. L’uscita dei ministri telecomandati da Fini aziona l’orologio costituzionale, cioè il complesso di regole che servono per giocare una partita che s’annuncia pesante. Ebbene, proprio queste regole, se utilizzate con saggezza politica, saranno l’arma migliore nelle mani di Silvio Berlusconi. Dal vertice con Bossi è uscita la decisione logica: nessuna crisi pilotata. Non serve. Perché il presidente del Consiglio è ancora il capo del governo e ha una serie di prerogative parlamentari che nessuno può contestare. Quando Berlusconi chiede di andare a riferire prima al Senato, per esempio, non fa alcun colpo di mano, ma si serve di una prassi più che consolidata. Quando il presidente del Consiglio prepara d’accordo con i gruppi parlamentari di Palazzo Madama e Montecitorio una mozione di sostegno al suo governo, occupa uno spazio politico legittimo che impegna tutti a un’assunzione di responsabilità. Quando il premier sostiene l’idea dello scioglimento della sola Camera, non stravolge nessuna regola costituzionale, ma anzi si richiama al dettato della Carta Fondamentale, a un caso previsto e non a una forzatura del diritto. Questi esempi ci suggeriscono uno scenario in cui le regole possono diventare strumento di machiavellica precisione e sono nella disponibilità del Cavaliere. In una crisi finora senza regole, tenuta scientemente fuori dal Parlamento, esser tornati dentro la Costituzione, per Berlusconi è un vantaggio e per i suoi avversari fonte di paura, grande paura. E ora vi spiego perché. La fuga dei ministri di Fini dall’esecutivo dà a Berlusconi una serie di opzioni politiche. La prima, macroscopica, è che il cerino si è già spento tra le dita del Presidente della Camera. È lui che fin da questo momento si assume la responsabilità formale e sostanziale dell’apertura della crisi di governo. Nel presente parossistico di chi vuol vedere il Cavaliere disarcionato a tutti i costi questo può sembrare un particolare insignificante, ma quando sarà finita la rumba, in un futuro molto prossimo, il significato profondo di questa decisione verrà a galla e il suo impatto con l’opinione pubblica (che poi si trasforma in corpo elettorale) sarà determinante nella scelta di chi vota. Ma andiamo avanti e vediamo che cosa sta accadendo.

Manovra e finiani. Berlusconi è a capo di un governo che ha una maggioranza certa per l’approvazione della manovra economica. I finiani, già usciti dall’esecutivo e ormai iscritti nella fazione antiberlusconiana, voteranno un provvedimento di politica economica che porta la firma del ministro dell’Economia e del presidente del Consiglio, un complesso di norme che incide profondamente sulla vita dello Stato. Siamo in presenza di una contraddizione rumorosa, un comportamento double face da parte dei finiani.

Presidente double face. Oggi insieme al presidente del Senato Renato Schifani, Fini salirà al Quirinale per parlare della crisi con il presidente della Repubblica. Di fronte a Napolitano si presenterà l’inedita figura del presidente della Camera, terza carica dello Stato, e del capo e proprietario del movimento politico che ha innescato la crisi che si dovrebbe risolvere. Ancora una volta, una contraddizione rumorosa e un abito double face.

Mozioni e veti incrociati. Il presidente del Consiglio ha in mano il pallottoliere e sta facendo i conti sulla fiducia al Senato e alla Camera. A Palazzo Madama ha buonissime possibilità di avere il semaforo verde, a Montecitorio la situazione è magmatica. In teoria Futuro e libertà può far cadere il governo, ma per riuscirci deve convincere l’opposizione a votare la sua mozione. Andrà così? Lo vedremo, ma su questo punto val la pena di soffermarsi ancora. Il finiano Adolfo Urso ieri ha escluso che il gruppo di Fli possa votare le mozioni di sfiducia di Italia dei Valori e Pd. Dunque, i finiani non hanno intenzione di votare con la sinistra. Se così è, Idv e Pd possono fare lo stesso ragionamento e riservare lo stesso trattamento alla mozione dei finiani. Risultato: alla Camera nessuno avrebbe i numeri per sfiduciare Berlusconi. Un sistema di veti incrociati cristallizzerebbe la situazione attuale, dando al governo del Cavaliere il gerovital.

La paura del voto. Sono giochi tattici che, al di là dell’epilogo in aula, mettono in luce una grande verità: il timore del voto da parte dei partiti è enorme. Berlusconi è indebolito, controlla il Senato e sembra spacciato alla Camera, ma in realtà non è finito e se sente l’odore delle urne entra nella fase del risveglio del drago. Questo è il punto chiave di tutta la vicenda in corso. Se il Cav incassa la fiducia al Senato, può uscire anche malconcio dal voto della Camera, ma conserva una carta pesantissima nel dibattito istituzionale. Può non solo chiedere lo scioglimento del ramo di Montecitorio, ma trattare con gli altri soggetti istituzionali le condizioni per un altro governo o chiedere le elezioni anticipate. Queste ultime sono più vicine di quanto traspaia dalle parole degli esponenti del Comitato Nazionale di Liberazione da Silvio. Tutti hanno capito che non sono tempi in cui le forzature istituzionali passano inosservate. Pensare a uno scenario simile al ribaltone del 1994 nel 2010 non è possibile. Sono trascorsi sedici anni e non invano. Nel frattempo il cittadino ha metabolizzato un paio di cose importanti: sceglie la merce politica in un supermarket bipolare, ha sperimentato l’alternanza (Berlusconi è stato sconfitto due volte, ma l’opposizione lo dimentica), vota leggendo il nome del candidato premier sulla scheda elettorale, conosce e riconosce le leadership e non i partiti che si sono dissolti dopo il 1992. Sono dati di fatto reali, materiali, dei quali non si può non tener conto quando si dipinge lo scenario di una crisi di governo e si fanno ipotesi per il domani. Le facciamo noi, umili cronisti, e mi auguro che gli stessi temi siano sull’agenda dei politici e delle istituzioni. Chiunque pensa di poter fare a meno di questi elementi, vive in un altro mondo (finito) e pensa di poter condurre la partita con il solo gioco di Palazzo. Il problema è che i finiani hanno messo in moto un meccanismo che è sfuggito loro di mano. Il treno del futuro va sui binari in piena libertà e nessuno può più tirare il freno d’emergenza. Non Fini, che vuole vedere Silvio con il morale sotto i tacchi e il governo a pezzi, non l’ala dei falchi finiani e non il gruppetto di colombe che subisce l’imposizione di una linea torquemadiana che allontana Fli dalla destra e la schiaccia verso i dipietristi. Chi sembra aver capito come stanno le cose è Pier Ferdinando Casini, postdemocristiano di lungo corso: ha capito che non gli conviene portare acqua al mulino del suo prossimo avversario (Fini) e per questo è il meno appassionato di tutti al crash del Cavaliere. Dice Casini: «Prima di dire che Berlusconi è finito consiglio molta cautela». Sottoscriviamo. E saranno casini.

LA FACCIA TOSTA DI FINI

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Fini da Fazio e Saviano ci è andato e ha monotanamente letto in tre minuti quello che secondo lui sono i valori della destra, riuscendo però ad addormentare quelli che lo ascoltavano. Che però si sono svegliati di colpo quando ha fatto riferimento al valore della meritocrazia e a quello della “legge uguale per tutti”. Infatti Fini in nome della meritocrazia ha fatto avere alla suocera, la madre della sua comapgna, un contratto in RAI di un milione e mezzo di euro per una trasmissione di intrattenimento, alla suocera che in vita sua oltre che cucinare bucatini all’amatricinana e favorire la liason d’amore tra la figlia e Gaucci, altro non ha fatto e lo stesso Fini in nome della meritocrazia pretendeva che la Rai desse un contratto al cognato con il “minimo garantito”, al cognato di cui non si sa che lavoro faccia, benchè abbia potuto acquistare sia pure a prezzo stracciato  (300 mila euro) un appartamento a Montecarlo e una Ferrari che costa 400 mila euro che brucia benzina come fosse acqua. Quanto alla legge uguale per tutti, Fini ne sa qualcosa, visto che per la storia dell’appartamento di Montecarlo soffiato al partito e svenduto al cognato,  la legge uguale per tutti è quella della Procura di Roma che ha chiesto l’archiviazione della vicenda, tenendo segreta la sua iscrizione nel registro degli indagati per il reato di truffa aggravata, anzi iscrivendolo nel registro lo stesso giorno in cui ne chiedeva  appunto l’archiviazione con la incredibiokle motivazione che non c’è reato penale e che eventuali doglianze devono essere fatte valere in sede civile. Cioè a babbo morto. E questa è la legge uguale per tutti che Fini ha enfatizzato nei tre monotoni minuti di lettura sul palcoscenico di quei due faziosi di Fazio e Saviano che se non avesse tradito Berlusconi, col c…o che lo invitavano. g.

LA CRISI: REGGE L’ASSE BERLUSCONI-BOSSI

Pubblicato il 15 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Al termine del vertice tra Berlusconi e Bossi svoltosi ieri sera ad Arcore i due leader si sono ritrovati perfettamente d’accordo: o il Govenro ottiene in Parlamento la fiducia nonostantre la diserzione e il tradimento dei finiani, oppure si va al voto. L’intesa è stata suggellata dinanzi allo stato maggiore della Lega e del PDL. Intanto durante la trasmissione di Vespa – Porta a Porta – se da una parte si è assistito all’imbarazzante balbettio dell’ex ministro Ronchi che non riusciva a coniugare un pensiero compiuto  dinanzi alle bordate del vicepresidente della Camera, Lupi, e del presidente dei senatori pdiellini Gasparri, dall’altra uno sbigottito Latorre del PD ha dovuto prendere atto della durissima presa di posizione di Di Pietro il quale con il solito linguaggio sewnza fronzoli ha detto chiaro e tondo che dopo la sfiducia si deve andare a votare, anche con la stessa legge elettorale, smascherando probabilmente una verità che nessuno vuole dire e che cioè la riforma della legge elettorale usata  per varare un govenro tecnico o comunqne un governo che lasci all’opposizione PDL e Lega  è in verità una scusa, perchè dopotutto questa legge per qwuanto sia una porcata va bene a tutti perchè consebnte ai partiti di scegliersi i parlamentari. E Di Pietro che non le manda a dire sotto sotto questo ha voluto dire. Del resto lo stesso Ronchi che nei suoi balbettii ha fatto riferimento alla legge elettorale da cambiare sa bene che se cambiasse la legge elettorale e lui dovesse essere costretto a trovarsi le preferenze, probabilmente farebbe prima ad andare a piedi da Roma a Calcutta e non a conquistarne quante siano necessarie per ritornare in Parlamento, men che meno su una poltrona ministeriale che è noto a tutti ha lasciato a malincuore. g.

FINI DEVE LASCIARE MONTECITORIO

Pubblicato il 15 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    Capezzone: “Salirà al Colle, per esprimere un parere, lo stesso che è stato causa e artefice della crisi facendo leva sulla sua funzione di terza carica dello Stato”. Lupi: “Parlando con Napolitano si muoverà da presidente della Camera o da leader politico?”.

    FINI, UN TRASFORMISTA ITALIANO

    on va giù, al Pdl, che a gestire la crisi, chiamato dal presidente della Repubblica Napolitano, vada colui che oltre a essere la terza carica dello Stato è, di fatto, un capo partito, responsabile, tra l’altro, della spaccatura della maggioranza. Una questione di correttezza istituzionale prima che politica. “Lo spettacolo che andrà in scena domani è una grande umiliazione per chi crede in un minimo di tutela delle istituzioni, al di là degli scontri politici contingenti”, denuncia Daniele Capezzone, portavoce Pdl. “Dunque, domani salirà al Colle, per esprimere un parere (immaginiamo super partes…), lo stesso Gianfranco Fini che è stato causa ed artefice della crisi, e che l’ha provocata proprio facendo leva sulla sua funzione di terza carica dello Stato”, è la tesi di Capezzone.

    “In sessant’anni in cui pure l’Italia ha visto tante anomalie, mai si era arrivati a questo punto, a uno strappo di simile gravità. Non so se il presidente Fini se ne renda conto: ma il precedente che ha creato consentirà ad ogni futuro Presidente di un ramo del Parlamento qualunque tipo di scorribanda faziosa e di parte”, conclude Capezzone.

    “Con quale criterio Fini prenderà delle decisioni alla Camera dei deputati? Come presidente della Camera o come leader politico?”, si domanda il vicepresidente Pdl della Camera Maurizio Lupi che, ai microfoni di Radio24, aggiunge: “Chi deciderà nelle prossime settimane se affrontare le discussioni sulla mozione di sfiducia o di fiducia al governo? Chi decide ha l’oggettività dell’interesse dei cittadini? L’intera Camera è parziale o imparziale?”.

    FINI COME BERTINOTTI

    Pubblicato il 15 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    Ormai la crisi del governo è in atto. I quattro cavalieri erranti della corrente finiana che ricoprivano posti di governo hanno rassegnato le dimissioni dopo averle annunciate tra lacrime e sorrisi già da tempo nelle mani del loro “capoccia” ed ora finalmente le hanno rassegnate secondo le regole istituzionali nelle mani del capo del governo e del capo dello stato. Ora finalmente senza infingimenti si può discutere di chi sia la responsabilità della crisi che si apre mentre il nostro Paese è impegnato con le drastiche misure varate dal governo a difendere la nostra economia, senza delle quali l’Italia rischia di fare la fine (già fatta) della Grecia o (annunciata) dell’Irlanda, del Portogallo o della Spagna. Fini e suoi accoliti hanno tentato di addossare la responsabilità a Berlusconi ma alla fine son dovuti uscire allo scoperto  e la miccia che avevano acceso è scoppiata nelle loro mani di incauti orecchianti della politica e di ferrati politicanti dell’inciucio.L’inciucio Fini lo vorrebbe fare accasandosi in un cosiddetto “terzo polo” con Casini, Rutelli, e Lombardo con il quale ultimo lo stesso Fini ha varato in Sicilia  un primo esperimento di governo  milazziano con gli ex comunisti spostando la lancetta dell’orologio, lui che si ispira al futuro. di almeno 60 anni all’indietro, agli anni 60, quando, proprio in Sicilia, l’esponente democristiano Milazzo varò un govenro regionale mettendo insieme i missini e i comunisti dell’epoca. Allora l’esperimento fu un fallimento, di cui pagarano le coneguenze sia il MSI che il PCI, restituiti entrambi all’opposizione in cui, almeno il Msi, v’è rimasto sino a quando all’orizzonte non comparve un certo Berlusconi. Lo stesso  contro il quale un altro cavaliere errante, cioè Fini, ha sguainato la spada del tradimento, approfittando, peraltro, del ruolo che lo stesso Berlusconi e la maggioranza di centro destra eletta nel 2008 non certo grazie a Fini,  gli hanno attribuito. Sembra di assiastere ad un remake cinematografico perchè il Fini odierno richiama alla memoria il Bertinotti di qualche anno fa. Fu Bertinotti che decretò la caduta del primo governo Prodi, da sinistra. Questa volta è un Fini, da destra,  a fare altrettanto, approfittando Fini come Bertinotti di un sistema istituzionale arruginito e del tutto inadeguato a garantire il governo di un grande paese. Sistema che invece di consentire al capo del governo di avere l’autorità per chiedere  il voto agli elettori perchè possano esprimersi intorno al cambio della quaglia che oggi vede protagonista Fini, attribuisce poteri ormai non più giustificabili al capo dello stato il quale, secondo la carta costituzionale, superata nei fatti dalle legge elettorale vigente, potrebbe tentare di varare un governo cosiddetto tecnico, o istituzionale, o di garanzia, ma che in verità sarebbe un governo degli sconfitti sostenuto  da un gruppo di ribaltonisti  che eletti in uno schieramento hanno  disertato per andare dall’altra parte. E’ questo che si tenta di far intravedere all’orizzonte ma in questo Fini non è equiparabile a  Bertinotti. Bertinotti fu uomo d’onore, un galantuomo,  che  benchè avesse fatto cadere Prodi, non tolse il sostegno esterno ai governi  di sinsitra che si susseguirono sino alla fine della legislatura. Fini invece,  ricoprendosi delle penne del pavone che gli vengono mandate in dono da una sinistra sconfitta e allo sbando e che solo grazie al suo tradimento può “sognare” di vincere Berlusconi, senza arrossire neanche un pò,  si appresta,  nella veste di presidente della Camera,  a salire il Quirinale per dare ragione a se stesso,  quale capo della fazione che ha tradito il corpo elettorale. E’ l’ultima carta che gli resta, sperare che anche Napolitano, in   virtù del suo passato di ex comunista, non assomigli a Bertinotti ma assomigli a lui. Perchè se Napolitano dovesse assomigliare a Bertinotti per Fini suonerebbero le campane a morto..elettorali. g.

    I PREDICATORI DEL LUNEDI’

    Pubblicato il 15 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    “Tra le responsabilità della classe dirigente c’é anche quella di aver smarrito quel senso della dignità, della responsabilità e del dovere che dovrebbero essere proprie di chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, come prevede un articolo della Costituzione che è tra i meno citati e conosciuti”

    Sapete chi è l’autore di cotanta alta dichiarazione? Non l’indovinereste mai. Queste parole, che chiunque può sottoscrivere, tanto sono ovvie, sono uscite questa mattina dalla bocca del  nuovo oracolo di Delfo, ossia il presidente della Camera, il traditore per eccellenza, l’on. Fini, quasi in contemporanea con le dimissioni dei suoi “ominicchi” dal Govenro, così da decretarne la caduta. Solo che quelle parole, lo ripetiamo, assolitamente ovvie da poter essere da tutti  non solo condivise ma pronunciabili, l’unico che non le può pronunciare è proprio Fini. Fini ha assoggettato al sua carica pubblica, che gli è derivata dall’essere stato parte del progetto politico di Berlusconi che nel 2008 ha vinto le elezioni ai suoi interessi che non sono di certo quelli del Paese di cui Fini se ne impipa.  In sede di “spartizione” dei compiti, se a Berlusconi toccò di essere capo del govenro, Fini scelse per sè la poltrona di presidente della Camera. Alla quale fu eletto non per unanime volontà del Parlamento, ma dalla sola maggioranza, come al Senato la sola maggioranza elesse Schifani. Ebbene, se i suoi ominicchi hanno dato le dimissioni dal governo, lui, che è poco più di un quaraquaraquà secondo la classifica di Sciascia,  deve dare le dimissioni dalla carica di presidente della Camera proprio in virtù delle parole che stamattina, con la solita spudoratezza, la stessa con la quale ha venduto al cognato una casa del partito a prezzo stracciato, ha pronunciato, atteggiandosi a unico depositario della “verità“, come fosse un nuovo “messia”, lui che non non nasconde ormai più la sua assoluta lontanza dai precetti della Fede. Ma alle dimissioni dei suoi, non ha aggiunto le sue dalla carica che è parte del progetto berlusconiano, ma ne rimane attaccato perchè deve usarla come clava per ottenere quello che vuole, cioè lo sfascio del Paese, pur di cacciare Berlusconi, senza passare dal vaglio degli elettori, d’accordo con alcuni moscerini della politica, tipo Rutelli e Lombardo (quest’utlimo indagato  PER CONCORSO EStERNO AD ASSOCIAZIONI MAFIOSE) e Casini (praticante della politica della convenienza) e alcuni falliti, tipo Bersani il cui candidato alle primerie di Milano è stato battuto dal candidato di Vendola.  Ma verrà prima o poi il cofronto con gli italiani e allora Fini si accorgerà cosa pensano di lui gli italiani. g.

    LA FORZA DI BERLUSCONI E’ NELL’ASSENZA DI UN VERO ANTAGONISTA ELETTORALE

    Pubblicato il 15 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    “Andremo avanti a governare con una fiducia che ci verrà data al Senato – ha detto ieri il presidente del Consiglio – e che penso ci verrà data anche alla Camera. E se ci dovesse essere una fiducia che non c’è alla Camera benissimo, si andrà a votare per la Camera stessa dei deputati e vedremo che cosa decideranno gli italiani”.

    Il signor nessuno, l’antagonista inesistente. E’ questa la vera forza di Silvio Berlusconi, ammesso che si liberi dalla morsa di Palazzo: l’assenza di un avversario capace di competere col suo carisma e il suo appeal elettorale un po’ fiaccato, forse, ma ancora maggioritario secondo quasi tutti i sondaggi. Chi può sfidare il Cavaliere? Pier Luigi Bersani, assediato dai dubbi dei suoi stessi compagni di partito? Nichi Vendola, grintoso ma ancora troppo simpaticamente arruffato per vincere anche al di là dei confini pugliesi? Può sconfiggerlo Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che l’intera nomenclatura del Pd tiene però lontano da Roma? O forse ce la può fare il vecchio rentier democristiano, Pier Ferdinando Casini, più avvezzo ai giochi di Palazzo che agli slanci coraggiosi? “E’ evidente che non ci sia un avversario per Berlusconi”, conviene con il Foglio Angelo Panebianco, che aggiunge: “Vedrete che sarà il tracollo del bipolarismo il vero avversario del Cavaliere”. Berlusconi ha personalizzato e semplificato la politica, adattando le regole alla propria personalità, alla propria taumaturgica forza comunicativa.

    Ma se dovessero cambiare le regole,
    se dovesse cadere lo schema bipolare da lui introdotto nel 1994, “il risultato elettorale potrebbe non essergli affatto favorevole”, spiega il professore.
    Soltanto Gianfranco Fini sembra avere la personalità, la caratura forse, per essere “lo sfidante”; ma non ha dietro di sé la grande armata, i numeri, il personale politico. Non ha alle spalle il partito che serve a vincere. Non basta presentarsi come una possibile alternativa di centrodestra a Berlusconi per diventare “l’antagonista”, come è stato – storicamente – il solo Romano Prodi, che alla fantasia del Cavaliere contrappose “la serietà al governo”. Dice il professor Panebianco: “Peraltro, a mio avviso, Fini non si offre come alternativa a Berlusconi. I messaggi che ha lanciato in questi mesi non lo individuano come un competitore del Cavaliere, capace di contendergli i voti del centrodestra”.

    Il presidente della Camera sta a cavallo tra destra e sinistra, dice l’editorialista del Corriere della Sera, e lo fa con un’ambiguità che, in previsione delle elezioni anticipate (se mai saranno), non lo aiuta. “La sconfitta di Berlusconi è nella fine del bipolarismo, di cui già si avvertono i sintomi. Una malattia in stato avanzato”, conclude Panebianco, equidistante, ma pessimista. “Il polo di centrodestra si è sfarinato con l’uscita di Fini e dà ulteriori segnali di cedimento. Il centrosinistra non sta meglio, anche il Pd è un aggregato che potrebbe presto saltare. Si sta preparando la rivincita dei ‘nanetti’, un rigurgito proporzionalista che fa piazza pulita del sistema politico che Berlusconi ha introdotto in Italia sedici anni fa”. Il segnale meno criptico sta nel fatto che al Cav., per ora, si contrapponga il signor nessuno.

    di Salvatore Merlo – IL FOGLIO

    LA SCUDISCIATA DI MARINA BERLUSCONI A BOCCHINO, SCUDIERE DI FINI

    Pubblicato il 14 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

    La frecciata è di quelle velenose, al curaro. E per essere sicuro che le tossine facessero effetto, l’onore­vole Italo Bocchino l’ha ripetuta due volte davanti alle telecamere di Annozero . Si parlava delle dimissioni dei finiani al governo che arriveranno domani, per «ga­lateo istituzionale»: così si è capito quanto Futuro e libertà tenga alle buone maniere, come siano beneducati i suoi mi­nistri che, prima di pugna­­larlo, aspettano che il pre­mier rientri dall’Estremo Oriente e trascorra (augu­rio bocchiniano) «una do­menica in famiglia a d Arco­re e una serata con Lele Mo­ra ». Michele Santoro non credeva alle sue orecchie: «Battute così non ce le sia­m o mai consentite nemme­no Travaglio e io». Ma il veleno vero stava nella coda. Il braccio armato di Fi­ni ha spiegato che si dimettevano per­ché «Berlusconi ha detto: Palazzo Chigi è mio, l’ho costruito io, lo devo lasciare a Piersilvio e Mari­na ». Replicato due volte a distanza di pochi minuti per cer­tificare l’effetto. Nessuno nello stu­dio di Annozero ha raccolto l’accosta­mento del Cavaliere ai monarchi che ce­dono il trono in li­nea di sangue. È sta­ta invece la stessa Marina Berlusconi a reagire. L’ha fatto ieri in un breve dia­logo con l’agenzia Ansa. «Si è trattato di una battuta di pes­simo gusto, come del resto quasi tutto quello che dice l’onorevole Bocchi­no – ha ribattuto il presidente di Finin­vest e Mondadori, oltre che consiglie­re di Mediobanca – ; comun­que, battuta per battuta, ri­spondo che mio padre di ca­se ne ha già abbastanza, e che oltre tutto se le è pagate con il frutto del suo lavoro e con i suoi soldi, e non con quelli dei propri elettori e del partito». Ogni riferimen­to a Montecarlo è puramen­te voluto. Replica sferzante, che stronca la strampalata ipo­tesi di una successione per via ereditaria alla guida del Pdl, e tuttavia segna in qual­che modo una discesa in campo della donna più in­fluente d’Italia ( copyright della rivista americana For­bes, che la colloca al 48˚ po­sto tra le 100 più potenti del mondo, unica italiana). Ma­rina è sempre stata accanto al padre, in famiglia e in azienda. Ne ha seguito le or­m e nella carriera professio­nale, come manager del gruppo e in Mondadori. E negli ultimi mesi, con il sus­seguirsi degli scandali a sfondo sessuale e dopo la rottura del rapporto con Ve­ronica Lario, la primogeni­ta di Silvio Berlusconi si è messa alla testa dei quattro fratelli in sua difesa. A fine maggio 2009, in pie­n a bagarre per il caso di No­emi Letizia, disse al Corrie­re della Sera che era «orgo­gliosa » del padre, che si era «superata ogni decenza» quando il segretario del Pd Dario Franceschini bollò Berlusconi come un cattivo genitore. Già allora all’indi­gnazione per l’offesa perso­nale ( «Quale diritto ha di di­re una sola parola su Berlu­sconi padre?») e alla rabbia per le polemiche mediati­che su Noemi ( «Una monta­gna di infamie costruite sul nulla») si era unito il giudi­zio politico: «C’è un dise­gno portato avanti da chi non sa più nemmeno che cosa sia la politica». Passato qualche mese, quando gli attacchi al pre­mier coinvolsero le azien­de di famiglia, in altri due colloqui con il Corriere (scelto come contraltare al pulpito preferito da Veroni­ca, cioè Repubblica ), Mari­na Berlusconi ruppe di nuo­vo il silenzio. E anche in quelle occasioni la reazio­ne unì la difesa del gruppo («uno scandalo giuridico la sentenza sulla vicenda Mondadori» con il risarci­mento di 750 milioni di eu­ro a favore di De Benedet­ti), l’orgoglio familiare («contro mio padre c’è una caccia all’uomo») e la criti­ca a una certa politica: «C’è un’aria irrespirabile, l’op­posizione si fa con dossier e pettegolezzi. Un pezzo di Italia, piccolo ma pericolo­so, non riesce ad accettare il fatto che la maggioranza degli italiani vuol essere go­vernata da Silvio Berlusco­ni » . Convinzione ribadita lo scorso settembre, dopo lo strappo di Gianfranco Fini e la disputa sollevata da al­cuni autori Mondadori: «Fi­ni ha accusato mio padre di stalinismo, ma in quanto ad assolutismo è lui a poter vantare innegabili frequen­tazioni. Siamo a Segrate da vent’anni, paghiamo 2,2 mi­lioni di euro di imposte al giorno: se la casa editrice è così, non lo è “nonostante” la famiglia Berlusconi, ma anche grazie al nostro esse­re liberali. Basta con l’eroi­smo a tassametro». In quel­l’occasione Marina rilan­ciò la polemica contro De Benedetti, imprenditore che «predica bene ma raz­zola male, malissimo», edi­tore di «un quotidiano che in fatto di editoria plurali­sta e liberale ha ben poco da insegnare». Un argine a tutto campo, una difesa de­cisa e convinta, tutt’altro che d’ufficio. L’allusione di ieri a Montecarlo segna una nuova tappa: a brigan­te, brigante e mezzo. «Mio padre si è sempre compor­tato allo stesso modo: reagi­re, andare oltre, costruire e guardare avanti»: una lezio­ne che anche Marina ha fat­to propria.

    …. Bocchino è un perfetto kapò, come quelli descritti nel film omonimo di Gillo Pontecorvo con Luarent Terzieff. Erano i kapò,  quelli che per salvare la pelle nei lager nazisti offrivano i loro bassi e servili servigi agli aguzzini del loro popolo. E non andavano per il sottitle, pronti a vendere la pelle degli altri deportati in cambio di un tozzo di pane. Il tempo fu galantuomo e fece giustizia del loro squallore. Sarà così anche per Bocchino.  Tempo al tempo. g.

    IL PATTO SCELLERATO FINI, RUTELLI, CASINI

    Pubblicato il 14 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

    La crisi partorisce un mostro al giorno. Ieri ha visto la luce un improbabile nuovo centro sull’asse Casini-Fini-Rutelli. I tre, stando alle dichiarazioni, presenteranno insieme una mozione di sfiducia al governo Berlusconi. Secondo gli osservatori esperti, quelli che negli ultimi diciotto anni non ne hanno mai azzeccata una, diciamo alla Giuliano Ferrara, si tratta del primo passo di un nuovo polo, il terzo, che potrebbe prendere le redini del Paese. Noi un po’ rozzi, che di politica non capiamo un’acca, restiamo invece scettici. Non capiamo, sarà un nostro limite, come possa stare insieme un centro formato da questi tre signori. Il primo, Rutelli, è un ex radicale che, dopo aver tradito Pannella, si è candidato premier (sconfitto) di una coalizione cattocomunista (l’Ulivo), che ha successivamente tradito per mettersi in proprio, forte di uno 0,8 per cento di consensi. Il secondo, Fini, è un ex fascista che ha rinnegato i valori del Ventennio per diventare berlusconiano di ferro, che, al momento decisivo, la nascita del Pdl, ha tradito Casini, al quale aveva promesso che mai e poi mai si sarebbe fuso con Forza Italia e che, più di recente, è storia nota, ha tradito pure Berlusconi. Il terzo, Casini, è il leader del partito dei cattolici italiani e non ha mai fatto mistero di essere pronto ad allearsi con chiunque (laici, atei, mangiapreti) pur di vincere contro Berlusconi (in alcune Regioni e molti Comuni lo ha pure fatto).
    Detto che tutti possono cambiare idea, è anche vero che alla fine ognuno resta quello che è. Quindi siamo di fronte a un trio formato da un fascista laicista, un radicale e un cattolico che si candidano a creare un partito di centro, quindi liberale e riformista. Quelli intelligenti, oggi diranno che la cosa è possibile. Noi sosteniamo invece che l’unico tratto che i tre hanno in comune è quello di non aver lavorato mai un giorno in vita loro. Politici di professione, cresciuti a una scuola, la Prima Repubblica, che ha saccheggiato le casse dello Stato, producendo i disastri economici e sociali che ben conosciamo e dei quali ancora paghiamo dazio.
    Non c’è nulla in questo patto scellerato che potrebbe reggere una prova elettorale prima e di governo poi. Voglio vedere Casini battersi a favore delle coppie omosessuali come imporrebbero Fini e Rutelli. Rutelli fare una campagna per non tassare i beni ecclesiastici come chiederebbe Casini. Voglio vedere Fini rimangiarsi le sue posizioni sulla bioetica per non irritare Casini. E via dicendo. No, di credibile e di logico in questo patto scellerato c’è solo una sete di potere personale. Che arriva al punto, in Casini, di annunciare la sfiducia al governo proprio nei giorni in cui il governo stesso sta diventando matto per trovare i 245 milioni di euro necessari a finanziare le scuole cattoliche e i 100 per garantire il prelievo Irpef del 5 per mille a favore del volontariato.
    Insomma, sotto il cielo della politica italiana non c’è nulla di nuovo nonostante grida, annunci e proclami. Una montagna di parole non è ancora riuscita a partorire neppure un topolino che possa costituire un’alternativa all’attuale maggioranza. Il laboratorio antiberlusconiano lavora ventiquattro ore al giorno, ma gira a vuoto. Questo governo potrà anche cadere per via parlamentare, ma un altro diverso, nella forma e nella sostanza, al momento non c’è.