GLI AFFARI FINIANI A GOMORRA: ECCO LA RETE DI AMICI E PARENTI
Pubblicato il 7 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »
Tutte le strade finiane portano in Campania, tra Napoli e Caserta, con un epicentro nella rinomata Casal di Principe. Lì opera un finiano dalle parentele importanti e dal cognome che non passa inosservato, Antonio Schiavone. Cognato di Italo Bocchino, avendo sposato la sorella Patrizia (già consigliera comunale di Aversa), Schiavone è il coordinatore provinciale di Generazione Italia, il movimento che rappresenta Fli sul territorio e che ha nel capogruppo finiano il suo motore e creatore. E proprio a Schiavone, insieme al cognato Bocchino, si deve la primissima gestazione del futuro asse con l’Udc, in chiave anti-Cosentino in Campania e in chiave anti-Berlusconi su scala nazionale. È questo uno degli ingredienti della Zuppa del Casale, l’inchiesta su Fli («Futuro e libertà-La vera storia») della Voce delle voci, mensile campano di sinistra su cui scrivono tra gli altri Imposimato, Beha, Giulietto Chiesa, parterre non esattamente berlusconiano.
Sarebbero loro, Bocchino e Schiavone, insieme al segretario Udc Lorenzo Cesa, i tessitori della tela per lanciare (in primavera scorsa) la candidatura di Domenico Zinzi, udiccino, alla presidenza della Provincia di Caserta (seggiola che Zinzi occupa attualmente). «Il patto Bocchino-Udc suggellato a Caserta – scrive Rita Pennarola su La Voce, secondo cui sarebbe Cesa e non Casini l’interlocutore vero di Fli – era evidentemente destinato ad allargarsi, coinvolgendo i destini del Paese». L’asse finian-udiccino, per sfortuna, qualche rogna giudiziaria l’ha avuta. Un candidato vicinissimo al presidente Zinzi, Luigi Cassandra, in piena campagna elettorale era stato diffidato dai carabinieri e quindi costretto ad astenersi dalla vita politica per tre anni, per via di alcune frequentazioni con Salvatore Laiso, detto «Chicchinoss», ritenuto vicino al clan Schiavone. Ma sono cose che, da quelle parti, possono accadere anche alle migliori compagnie.
Però, per lanciare un nuovo movimento servono soldi, e chi finanzia Fli e Generazione Italia? Il mensile si addentra in un groviglio di incroci finanziari e imprenditoriali da cui escono alcuni nomi. E si torna ancora a Caserta, «con la famiglia Di Rosa, industriali petroliferi, legati a Italo Bocchino da un antico feeling politico». Il manager di famiglia, Tommaso Di Rosa «è ai vertici di Confindustria Caserta e guida un impero che spazia dagli idrocarburi all’edilizia». È nell’estate 2009, secondo un racconto riportato dalla Voce, l’incontro foriero di futuri sviluppi. Quando Fini «durante una delle sue consuete battute di pesca subacquea, sarebbe rimasto in panne col suo “Acqua e sale”, presumibilmente a largo dell’Argentario. Fortuna che al seguito c’era la “Carla III” di Tommaso Di Rosa, che provvede a caricare il presidente della Camera e famiglia sul suo yacht e a rimorchiare quello di Fini nel porto più vicino». Leggenda marinara o verità? Resta la vicinanza forte tra l’industriale e i finiani in versione campana.
Come pure c’è un rapporto consumato tra Bocchino e Alfredo Romeo, imprenditore finito nell’inchiesta «Magnanapoli» che gli è costata una condanna per corruzione (pena sospesa). Voci insistenti dicono che sia Romeo un papabile acquirente per le quote che i Bocchino (attraverso la moglie, Gabriella Buontempo) hanno nel quotidiano Il Roma, diffuso soprattutto a Napoli. E proprio partendo dall’azionariato del quotidiano, si ricostruisce un’altra linea di nomi e interessi incrociati, che toccano la famiglia Buontempo, Vincenzo Maria Greco (imprenditore «pomiciniano» plurindagato in epoca Tangentopoli) e il grand commis Massimo Caputi (già Sviluppo Italia). Qui il reticolo è complicato. Il figlio di Greco, Ludovico, è partner di una società (la Proger) con Caputi, ma è anche partner (insieme alla sorella Maria Grazia Greco, giornalista, già collaboratrice dell’Indipendente edito da Italo Bocchino) della Retail Group, il cui fondatore e azionista si chiama Giancarlo Buontempo, architetto, fratello della moglie di Italo Bocchino. Una fitta rete che potrebbe, secondo il mensile, contribuire finanziariamente all’avventura finian-bocchiniana.
Paragrafo a parte per Carmelo Briguglio, altro estremista finiano ma siciliano. Sua moglie guida il Consorzio universitario per la formazione turistica internazionale, che eroga corsi di formazione finanziati anche dalla Regione Sicilia, dell’alleato nel disarcionamento del Cav, Raffaele Lombardo. Secondo la Lega siciliana, il Consorzio «brigugliano» avrebbe messo le mani anche sul Consorzio Taormina-Enta, un altro carrozzone parastatale. Ma sono solo voci. Voci della Campania e della Sicilia, là dove risuona il verbo finiano.
IL GIORNALE 7 DICEMBRE 2010


All’angolo. Con pochi voti, pochi soldi e poche firme per il suo Manifesto per l’Italia. Fini è forse nel momento più difficile da quando ha iniziato la sua personale battaglia contro il Cav. Eppure, adesso, prima Adolfo Urso, poi Italo Bocchino, in due interviste hanno detto che è l’ipotesi che Fli preferisce. Anzi, ieri il capogruppo alla Camera dei futuristi è stato ancora più chiaro: «Se Berlusconi si dimettesse prima, avrebbe la certezza di continuare per tutta la legislatura. La prassi parlamentare prevederebbe infatti il reincarico da parte del Presidente della Repubblica». E anche la frase pronunciata, sempre ieri, dal presidente della Camera durante un incontro con gli studenti romani al liceo classico Orazio va in quella direzione: «Non faremo mai un ribaltone».
È un attimo. Appena sullo schermo appaiono le immagini di Gianfranco Fini, la platea dell’Auditorium della Conciliazione di Roma esplode. Fischia. Urla. È vero, il titolo della manifestazione organizzata dall’associazione Fratelli d’Italia (promossa da Fabio Rampelli, Marco Marsilio e Marco Scurria) è «Italia, avanti». E gli interventi che si susseguono sul palco cercano soprattutto di spiegare perché questo governo ha lavorato bene e deve proseguire la propria azione. Ma è indubbio che il vero obiettivo è e resta il presidente della Camera. Il «traditore».
Mancano ancora un bel po’ di giorni alla data del 14 dicembre, spartiacque della politica italiana, giorno della fiducia per Silvio Berlusconi. Confesso: non ne posso più. E sono sicuro che come me la pensano tutti i lettori de Il Tempo. Anche ieri abbiamo assistito a uno scambio di battute polemiche tra il Cavaliere e Fini, sai che novità. Nel frattempo il mondo se ne infischia di questa lite condominiale e va avanti come un treno. A onor del vero, Berlusconi cerca di tenere insieme i cocci del governo e sulla politica estera si dà parecchio da fare, ma lo scenario che viene dal Palazzo è terrificante. Elenco un paio di fatterelli che dovrebbero far riflettere tutti, in particolare i prodi ribaltonisti che allegramente pensano di marciare sul nostro portafogli, incassare l’indennità qualsiasi cosa accada e brindare alla fine del Cavaliere nero senza pagare dazio. Sfascisti che non pagano mai.
Quando Gianfranco Fini decise di mollare gli ormeggi e costituire il gruppo di Futuro e Libertà non immaginava esattamente quale sarebbe stata la parabola della sua scelta. Ancora oggi l’ex presidente della Camera (uso «ex» perché ormai lo è solo dal punto di vista formale) non ha una visione totale dell’orizzonte politico. Ha aperto una crisi al buio e comincia a intravvederne le ombre e i limiti, piano piano si sta risvegliando da un lungo sonno, ma non ancora al punto da coglierne in toto il pericolo non dico per il Paese – non penso ne sia davvero preoccupato – ma per il suo futuro politico.