Archivi per febbraio, 2011

LIBIA: LO DICE LA STORIA. AVEVA RAGIONE BUSH

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Politica estera | No Comments »

George W. Bush Il Colonnello Gheddafi consuma le sue ultime ore tra proclami deliranti e squadroni della morte assoldati per ricacciare in gola ai libici l’urlo di disperazione e speranza che sta sconvolgendo la mappa politica mediorientale. L’Europa condanna ma tentenna, l’America obamiana aspetta.
Sono solo dieci anni ma a Washington sembra passato un secolo da quando i neoconservatori americani furono catapultati dalle scrivanie alle stanze dei bottoni dagli attentati dell’11 settembre, in qualità di ideologi delle campagne mediorientali di George W. Bush e della sua freedom agenda. Dieci anni in cui un messaggio dalle caratteristiche apparentemente universali come la diffusione di democrazia e libertà nei territori piagati dall’oscurantismo e dalla repressione è stato interpretato e stravolto fino a essere descritto come l’incarnazione di una volontà di potenza propria dell’imperialismo più becero. Lungi dall’essere studiate, comprese e all’occorrenza confutate, le loro idee hanno rappresentato il male assoluto agli occhi di gran parte delle opinioni pubbliche mondiali, dei media allineati, delle sinistre ideologiche e del realismo classico. Additati all’occorrenza come criminali di guerra al servizio della lobby ebraica o fascisti assetati del sangue delle masse arabe, i neoconservatori – salvo poche e lodevoli eccezioni – sono probabilmente il fenomeno peggio spiegato e meno compreso della politologia contemporanea. Date per morte con la fine dell’esperienza bushiana, le loro teorie tornano oggi alla ribalta in coincidenza con il risveglio rivoluzionario del mondo arabo, nelle sue accezioni nordafricana e mediorientale.
E la parola rivincita comincia ad aleggiare nelle redazioni dei giornali e nelle sale di studio dei think tank americani. Così, mentre tutti sembrano improvvisamente riscoprire e sposare il concetto di promozione della democrazia senza peraltro riconoscerne la provenienza ideale, qualcuno comincia timidamente a chiedersi, sull’onda lunga delle guerre di liberazione in Afghanistan e Iraq, se i Vulcans in fondo non avessero ragione. Tentiamo una prima risposta. Se il vento di rivolta che sta scuotendo le autocrazie arabe non dimostra ancora la correttezza della dottrina Bush nelle sue conseguenze (ovvero il nesso causa-effetto), ne conferma però le premesse e le intuizioni originarie: la democrazia non è cosa (solo) occidentale e le legittime aspirazioni dei popoli alla libertà e allo sviluppo devono essere riconosciute, favorite e veicolate. I fautori dell’appeasement e della non ingerenza, nelle varie declinazioni ideologiche, basavano le loro conclusioni su due postulati fondamentali: che il risentimento delle popolazioni arabe fosse naturalmente rivolto contro l’occidente (da qui la necessità di ingraziarci l’autocrate di turno per mantenere la situazione sotto controllo); che i popoli del medioriente non fossero pronti per assumere le redini del proprio destino.

I fatti di queste settimane smentiscono entrambi questi pregiudizi a sfondo velatamente razzista. Una volta libere dalla paura le masse si sono ribellate non contro l’America ma contro quei regimi che hanno negato loro, in misura differente, dignità e diritti. È vero che gli esiti delle insurrezioni in corso sono ancora tutti da definire e che il vuoto di potere può essere potenzialmente riempito da fanatismi più o meno nocivi, ma è altrettanto evidente che i compromessi perseguiti dalle cancellerie occidentali per decenni non sono serviti né a migliorare le condizioni di vita nei paesi coinvolti né a garantire oggi quelle condizioni di sicurezza e stabilità che rappresentavano il loro principale obiettivo. La formula degli anni di Bush, secondo cui la nostra sicurezza dipende dalla loro libertà, torna quindi d’attualità e ripropone l’idealismo dei neoconservatori come la più conveniente e praticabile forma di realismo politico. Lo ricorda anche Bill Kristol in un suo recente articolo sul Weekly Standard, invitando ad abbandonare i timori e a schierarsi senza mezzi termini con gli insorti egiziani. Sulla stessa linea Paul Wolfowitz che sul Wall Street Journal spiega che Stati Uniti ed Europa dovrebbero intervenire per aiutare i libici ad abbattere Gheddafi. La storia recente dimostra che sostenere e guidare le aspirazioni dei popoli nella loro lotta contro decenni di immobilismo non è solo la cosa giusta da fare dal punto di vista morale ma anche la più conveniente sotto il profilo strategico. Allineare strategia e principi, suggeriva già Robert Kagan nel lontano 1997: un consiglio che con il tempo è diventato quasi un imperativo.  Enzo Reale, Il Tempo, 25 febbraio 2011

L’ELEFANTINO TORNA IN TV

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Costume, Cultura | No Comments »

Giuliano Ferrara: “Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”

“Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata”. Così Giuliano Ferrara ha confermato il suo ritorno sulle reti Rai con il programma “Radio Londra”, trasmissione che andrà in onda su Rai1 tra il Tg1 delle 20 e “Affari Tuoi”. Il programma dovrebbe esordire entro marzo.

LA CAMERA VOTA LA FIDUCIA SUL DECRETO MILLEPROROGHE. IL CAPOGRUPPO D DEI “RESPONSABILI” ACCUSA FINI DI PARZIALITA’

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Il ridsultato  della votazione della fiducia al governo su milleproroghe

Il risultato della votazione della fiducia al governo su milleproroghe

La Camera ha votato la fiducia al governo sul maxiemendamento alle milleproroghe, oggetto di rilievi costituzionali da parte del capo dello Stato. I voti a favore sono stati 309, quelli contrari 287.

Nel pomeriggio si tiene il voto finale sul ddl di conversione. Già domani il decreto sarà all’esame del Senato che dovrebbe approvarlo in giornata.

SCONTRO IN AULA: IR ACCUSA FINI DI PARZIALITA’ – Seduta tesa questa mattina in Aula alla Camera, impegnata nell’esame del decreto milleproroghe. Durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia il capogruppo di Iniziativa responsabile, Luciano Sardelli, ha in più occasioni accusato il presidente della Camera di non tutelare allo stesso modo tutti i parlamentari e di essere parziale.

In apertura del suo intervento Sardelli ha chiesto a Fini di intervenire evidenziando come i parlamentari di Ir siano oggetto di “aggressione verbale senza precedenti” e “sotto scorta” e ha rivolto un appello a Fini chiedendogli di tutelare tutti i parlamentari “indipendentemente dalla loro provenienza”. Sardelli ha tirato in ballo anche le accuse si compravendita venute ieri dal deputato del Pd Gino Bucchino, definendole “vergognoso tentativo di depistaggio e disinformazione nei nostri confronti”. Alla fine, avendo sforato il proprio tempo di intervento, è stato ’scampanellato’ da Fini. A quel punto, l’esponente dei Responsabili è andato giù ancora più pesante accusando Fini di non essere imparziale. Le schermaglie, però, non si sono concluse qui.

Al termine delle dichiarazioni di voto, infatti, il presidente della Camera ha dato la parola, per un intervento a titolo personale, a Bucchino che ha replicato alle parole rivoltegli da Sardelli e ha tra l’altro parlato di “saldi di fine stagione” da parte del governo Berlusconi. Un intervento “improvvido e intempestivo”, al quale, ha accusato ancora Sardelli, è stato dato spazio ancora una volta per l’imparzialità di Fini. A quel punto il presidente della Camera non si è scomposto è ha sottolineato come da regolamento sia possibile dare la parola a titolo personale a un deputato al quale siano state rivolte in Aula accuse personali. Così, ha detto Fini, è stata data la parola a Bucchino, “che aveva diritto di parlare, così come a lei”. “Sono preoccupato – è stata la chiusa al vetriolo di Sardelli – per il ruolo che lei riveste e che non tutela tutti i parlamentari di quest’Aula”. Fonte: ANSA, 25 febbraio 2011

FINI VERSO LE DIMISSIONI?

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Se ne parla da giorni, i segnali non mancavano, adesso è di rotonda evidenza che Gianfranco Fini sta per dimettersi dalla presidenza della Camera. I contenuti del suo ultimo attacco incendiario contro il presidente del Consiglio pubblicato sull’Espresso di domani, a poche ore dalla comparsata televisiva dell’ex capo di An nella fossa dei leoni antiberlusconiani ammaestrati da Michele Santoro (“Annozero”), non lasciano dubbi e anzi danno sostanza alle voci di un ripensamento finiano: orgogliosamente fuori dal giardino di una neutralità ipocrita, e a testa bassa per incornare Berlusconi prima che si svuoti il recinto di Futuro e libertà.

La vetta di Montecitorio è un posto troppo asettico per potersi concedere intemerate come quelle contro il solito Berlusconi autocrate impunito e provocatore di conflitti istituzionali; né da quella vetta è possibile sparare a costo zero sui propri parlamentari (quelli di Futuro e libertà, i quali però sono gli stessi che siedono nell’assemblea da Fini presieduta) colpevoli di abbandonare Fli per sopraggiunta allucinazione o malafede. Essendo poi, quest’ultima, la medesima tesi impugnata da Gheddafi per spiegare l’ammutinamento della Cirenaica, è chiaro che non sta bene sulle labbra della terza carica dello Stato, figura di equilibrio, garanzia ed equanimità. Insomma Fini ha passato il proprio Rubicone, ma lo ha attraversato in senso contrario: immusonito e catafratto, ha scongelato la propria carica di capo partito per gettarsi sino in fondo nel corpo a corpo con il premier, sapendo che non si può assaltare la presidenza del Consiglio utilizzando come catapulta la presidenza della Camera, perché questo mette in grave imbarazzo il buon senso, le istituzioni e il Quirinale. Bene. Era ora. Fonte: IL FOGLIO, 25 febbraio 2011

……..Dopo le ultime esternazioni di Fini  rilasciate all’Espresso e ad Anno Zero ieri sera,  che possono senza dubbio alcuno essere paragonate alla allucinanti spacconate di Gheddafi, dopo le squallide allusioni di cui ha fatto oggetto i parlamentari che hanno scelto di lasciarlo al suo destino di fascista rosso, a Fini non rimane altro da fare che dimettersi. Quanto meno per mettersi sullo stesso di quelli che per ubbidirgli hanno lasciato i loro posti al governo e che ora si chiedono: ma che razza di capitano è Fini che chiede a noi di fare ciò che lui non fa? Domanda retorica perchè Fini è proprio quello del “fate come dico, ma non fate come faccio”. Che vada a quel paese….g.

I GENTILUOMINI DEL FLI IN RIVOLTA: ECCO PERCHE’ LASCIANO FINI

Pubblicato il 24 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

La rivolta dei gentiluomini dentro Futuro e libertà si consuma in silenzio e con sofferenza, e non ha niente a che fare con il mercimonio delle poltrone. Nessun proclama, nessuna pubblica abiura, poche e meste recriminazioni da cuori infranti. “Ho l’impressione di essere stato scaricato come fossi un sacchetto di monnezza abbandonato sul ciglio della strada”, ha detto Pasquale Viespoli, l’ex capogruppo di Fli al Senato, a un collega.

Gianfranco Fini non ha fatto alcun tentativo di recuperare i suoi uomini, che lo abbandonano perché “sì, siamo critici nei confronti di Berlusconi, ma non possiamo rimanere inerti ad ascoltare Italo Bocchino che parla come fosse Travaglio. Costruire un centrodestra alternativo non può passare per l’acquisizione tout court del vocabolario della sinistra”. Il disagio è fortissimo e va distinto dalla fuoriuscita scomposta dei Luca Barbareschi (di cui anche Ignazio La Russa ha detto pochi giorni fa: “Il mio più grande errore è stato avvicinarlo alla politica”).

Le biografie di Viespoli, di Maurizio Saia, di Francesco Pontone, di Silvano Moffa sono un’altra storia. “Moffa lo conosco da quando eravamo ragazzi, io comunista lui missino rautiano. ‘Silvanetto’ è un galantuomo. Ci resto male a leggere le accuse ingenerose che gli scagliano addosso”, dice al Foglio Ugo Sposetti, classe 1947, tesoriere dei Ds fino al loro scioglimento.

Soffre Adolfo Urso (ma resta in Fli) e soffre persino Andrea Ronchi, che per Fini ha sempre avuto un’ammirazione personale ai limiti dell’adulazione (e al quale Fini ha rivolto queste parole: “Credi di essere diventato ministro in virtù dello spirito santo?”). Chissà se il passo indietro di Benedetto Della Vedova, che ha offerto a Urso la presidenza del gruppo della Camera, basterà per arginare l’emorragia. Forse no. Ma sono decisioni sofferte.

I galantuomini lasciano in silenzio. Anche Alessandro Campi, che della destra nuova di Fini è stato ideologo e regista, se n’è andato in punta di piedi: si è dimesso dalla segreteria nazionale di Fli, e da dicembre non è più a FareFuturo. Nessuna conferenza stampa. Una telefonata con Fini.

Pasquale Viespoli

Futuro e libertà non si sta sgretolando in seguito a una guerra correntizia e di apparato. L’organigramma contestato, nel quale la guida del partito è affidata a Bocchino e quella del gruppo alla Camera a Della Vedova, è un aspetto accessorio del problema. Il dissidio è politico. Bocchino è diventato la maschera pubblica e operativa di Fini, ma non è riuscito a declinare l’antiberlusconismo in una chiave che fosse potabile per la destra e per uomini che nella destra, come i Viespoli e i Pontone, hanno militato per quarant’anni. Politici che per tutta la vita hanno combattuto contro quel linguaggio giacobino, e sinistreggiante, adottato oggi da Fabio Granata.

“Se Fini si fosse dimesso dalla presidenza della Camera, lui che è il leader riconosciuto, e sa parlare da leader, sarebbe anche potuto riuscire a tenere tutti insieme”, spiega Campi. Ma la chiave legalitaria che aveva caratterizzato il finismo è tracimata nel giustizialismo; dalla politica si è scivolati verso l’insulto e la contrapposizione personale. Pagando, così, un prezzo altissimo rispetto agli antiberlusconiani di professione, che possono vantare vent’anni di carriera coerente, mentre il personale politico di Fli ha militato al fianco del Cavaliere per oltre quindici anni.

Francesco Pontone

Come potevano resistere i Pontone, i Moffa, i Viespoli? Ogni tanto, anche nello sguardo dell’ottantenne Donato Lamorte, uomo di fiducia di Almirante e poi di Fini, sembra di cogliere un velo sardonico quando osserva alcuni colleghi di partito. “Certo che io e Granata siamo un po’ diversi”. Andrea Augello, che in Fli non è mai entrato, ma che dentro il Pdl è stato un esemplare pregiato della squadra di Fini prima che il cofondatore fosse espulso, dice che “era solo una questione di tempo. C’erano delle ambiguità di fondo. Sin dall’inizio”.

Sorprende i protagonisti, e gli osservatori, la freddezza inoperosa con la quale Fini assiste alle numerose defezioni. Il presidente della Camera ha opposto un atteggiamento persino respingente nei confronti di uomini che pure lo avevano seguito nella scissione del Pdl, taluni rinunciando anche a posizioni di governo. “Sembra che non gli importi”, dice Moffa.

Silvano Moffa

Al Foglio viene riferita una frase oscura di Fini: “Fli è un partito a tempo”. Come dire: “Non è il mio investimento duraturo. Ciò che mi interessa non sono né il partito né i numeri parlamentari”. D’altra parte l’unica dichiarazione che gli si attribuisce nei confronti dei suoi uomini è “vadano dove gli pare”, oppure: le defezioni sono effetti “del potere economico del premier”.

Il tentativo più serio di trattenere i deputati, alla Camera, lo hanno fatto Della Vedova (offrendo il proprio posto a Urso) e Urso stesso (incontrando più volte l’affranto Ronchi). Venerdì si riunisce il gruppo a Montecitorio, Della Vedova formalizzerà il passo indietro. Se, come annunciato da Granata, dovessero rieleggere Della Vedova è quasi certo che Urso lascerebbe Fli. Salvatore Merlo, Il Foglio, 24 febbraio 2011

IL GIUSTIZIALISTA SAVIANO HA IL PADRE ALLA SBARRA (PER STORIE DI TANGENTI)

Pubblicato il 24 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Gian Marco Chiocci – Luca Rocca

L’imbarazzo dell’autore di Gomorra. Roberto Saviano, neo-icona della sinistra italiana, per qualcuno addirittura il suo prossimo leader, purtroppo per lui è alle prese coi guai giudiziari di suo padre, Luigi, medico di base alla Asl di Napoli, sotto processo per un storia di prestazioni inesistenti, prescrizioni e ricette fasulle, rimborsi non dovuti.
I fatti risalgono al periodo 2000-2004, ma il 19 maggio prossimo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Raffaello Magi, l’estensore della sentenza Spartacus al clan dei casalesi) dovrà decidere se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stesi imputati per gli stessi reati. Luigi Saviano è imputato, insieme ad altri medici e professionisti, con l’accusa di truffa, ricettazione, corruzione e concussione ai danni dell’Asl. La vicenda, là dove si parla del ruolo dei medici di base, viene così descritta dalla procura che si è battuta per il rinvio a giudizio del genitore dell’illustre figlio e di altri coindagati: «Avevano il ruolo di stilare ricette riportanti prescrizioni fittizie di esami di laboratorio, con l’inserimento di nominativi, corrispondenti a propri ignari assistiti (che non hanno riconosciuto le prescrizioni loro attribuite) su ricettari loro assegnati». L’aggravante sta nel danno patrimoniale, «di rilevante quantità», subito dalle aziende sanitarie locali che, sempre secondo i pubblici ministeri campani, «hanno provveduto alla liquidazione di quanto richiesto». Nelle carte in mano ai magistrati si parla anche dell’esistenza di un vero e proprio «mercato di notevoli dimensioni, ad oggetto la falsificazione e la spedizione di ricette mediche che vengono scambiate con assoluta semplicità da persone che non tengono minimamente conto dei gravi danni arrecati all’Erario».
Nelle contestazioni mosse a Luigi Saviano, nero su bianco si parla del «suo ruolo in seno all’organizzazione, in particolare quello di assicurare ai gestori di tali centri un ingiusto profitto derivante da una serie cospicua di ricette riportanti prescrizioni fittizie di analisi cliniche». Su 54 pazienti interrogati «solo 9 hanno asserito di aver eseguito le diagnostiche loro prescritte, il dato è significativo per dimostrare l’intera percentuale (85 per cento) di incidenza delle false prescrizioni redatte da Saviano Luigi e portate in liquidazione» in centri riconducibili a un altro indagato. I pm hanno ascoltato anche le pazienti del «nonno di Gomorra», che hanno negato di aver mai fatto gli esami clinici che invece risultano realizzati a loro nome.
Un primo esempio. Gli accertamenti ormonali e gli esami allergici di Carmela A. non sarebbero mai stati eseguiti. La stessa donna rivela che «nel 2002 non mi sono nemmeno recata a Caserta per effettuare né prestazioni specialistiche». C’è poi Rosario A. e il suo presunto problema al ginocchio: «Io godo di buona salute in genere – dice il primo – non soffro di particolari patologie per cui debba sottopormi con frequenza a cure o ad indagini diagnostiche». Una seconda donna, Vincenza C., smentisce di aver mai effettuato «indagini ormonali» nel 2002: «Confermo che il mio medico di base è il dottor Saviano Luigi – dice a verbale -, nel corso del 2002 non solo non sono andata a Caserta per fare prestazioni specialistiche» ma «non ho effettuato alcun prelievo di sangue negli ultimi 4 anni in alcun centro della Campania». Nel 2006 l’allora legale di Saviano padre, Marina Di Siena, aveva commentato così l’iscrizione del suo assistito nel registro degli indagati: «Il dottor Saviano è stato in realtà vittima di una truffa, per un episodio che risale a un periodo a cavallo fra il terzo e il quarto trimestre del 2004». Secondo la tesi difensiva, insomma, il padre di Roberto sarebbe una parte lesa di altrui raggiri, essendo all’oscuro di tutto perché ricoverato in un ospedale di Napoli dov’era in cura per problemi infettivi. La parola passa ora al tribunale, anche se il processo sembra destinato a finire in prescrizione. Giuridica, non medica. Il Giornale, 24 febbraio 2011

GHEDDAFI SPROFONDA LA LIBIA NEL SANGUE

Pubblicato il 24 febbraio, 2011 in Politica estera | No Comments »

Tajura, uno dei sobborghi popolosi di Tripoli, è nelle mani dei ribelli. Gli oppositori avrebbero preso anche il grande porto della capitale. Non ci sono notizie ufficiali, ma servono poche conferme ai colpi di fucile che bucano la città. Le unità dell’esercito dispiegate a Jabal al-Akhdar, nella Cirenaica, si sono unite alle altre che hanno deciso di disertare. La parte orientale del paese, ormai, non è più sotto il controllo di Muammar Gheddafi. Il bilancio dei morti sale giorno dopo giorno: lunedì sembravano meno di cento, martedì al Arabiya ha parlato di mille vittime, ma ieri un esponente libico del Tribunale penale internazionale ha aggiornato la conta a diecimila. Anche i numeri dei rifugiati sono impressionanti: 5.600 persone sono già fuggite in Tunisia e diverse migliaia sono dirette in Algeria, ma le stime che riguardano l’esodo in Europa sono ben più drammatiche.

Ieri Gheddafi è rimasto in silenzio, mentre i suoi mercenari entravano nelle case di Tripoli per macellare oppositori e innocenti (così secondo le più drammatiche denunce filtrate da Internet). Il rabbioso discorso di martedì sera, quello nel quale il rais ha annunciato che resterà in patria sino a quando avrà sangue nelle vene, non ha scoraggiato la guerriglia dei clan. Le divisioni, semmai, sono nella famiglia reale. La figlia di Gheddafi, Aisha, si sarebbe imbarcata su un volo diretto alla Valletta. Secondo il quotidiano Times of Malta, le autorità dell’isola hanno respinto lei e altre tredici persone a bordo di un piccolo aereo comparso all’improvviso sui radar, costringendolo a virare verso Cipro. All’inizio della settimana, il governo del Libano ha smentito le voci di un altro atterraggio di emergenza, effettuato questa volta da un pilota che trasportava Aline Skaf, la moglie di Hannibal, un altro figlio di Gheddafi. Ieri, il suo ex ministro della Giustizia ha accusato il colonnello di aver ordinato personalmente la strage di Lockerbie del 1988. Il suo sistema di potere, basato su alleanze familiari, sul sostegno dei militari e sul controllo esercitato dai servizi segreti, si allenta rapidamente. Come ha detto ieri il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, “la Libia è caratterizzata dalle lotte tra i clan, la situazione potrebbe essere esplosiva proprio a causa di queste lotte”.

Impagliazzo ha parlato a Roma, a margine di un incontro sulla convivenza religiosa al quale ha partecipato anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini. “Con la Libia tutti i politici italiani hanno dovuto trattare, perché la Libia è sostanzialmente confinante con noi – ha detto Impagliazzo – Ma con Tripoli fanno affari anche molti altri paesi europei. Oggi il problema non è questo, ma salvare il paese da uno scoppio dovuto a una guerra tra clan: devono vincere le ragioni politiche, ma anche l’intelligenza e la particolare conoscenza da parte del nostro paese nell’aiutare a risolvere la situazione politicamente”, ha concluso. All’intreccio fra le famiglie che si dividono da secoli il controllo del territorio sono legati l’esito della guerra civile e il destino della Libia.

I Qhadafa sono la tribù del rais: pure con il favore di Gheddafi, non oltrepassano il due per cento degli alti ufficiali, che sono concentrati nell’aeronautica. Non sono particolarmente influenti nel deserto orientale, ma hanno fama di essere particolarmente pretenziosi. Negli anni, Gheddafi ha cercato di ridurre il peso dei rivali con ogni strumento a sua disposizione. Fra loro, i Warfalla sono la tribù più numerosa: rappresentano un quinto della popolazione e sono predominanti in Tripolitania. Erano con il rais, ma già dal 1993 hanno iniziato ad agitarsi. Domenica, il loro sceicco Akram al Warfalla ha detto ad al Jazeera che “Gheddafi non è più un fratello, deve lasciare il paese”. Le sue parole hanno coinciso con la prima ondata di diserzioni nell’esercito, in cui i Warfalla sono tradizionalmente numerosi.

Attorno ai Warfalla ruotano gli Zintan, che nell’omonima città a sud di Tripoli hanno contribuito all’inizio della rivolta. Il loro sceicco al Jalal è apparso in un video su Facebook, chiedendo a tutti i membri del clan e a tutti i libici di scendere in piazza contro il regime. Gli Zuwayya sono invece il clan principale della Cirenaica,  in un’area ricca di petrolio: qui lo sceicco Faraj al Zuway ha minacciato di interrompere il flusso “entro 24 ore”.
Sulla Cirenaica pesa anche una irrisolta questione regionale, che affonda le proprie radici al periodo in cui il governatore turco stava a Tripoli: allora, la confraternita rigorista della Senussia approfittò della situazione per stabilire un potere di fatto nell’est. Ma la minaccia di tagliare il flusso del petrolio è venuta anche dagli Zawhiya, che vivono nell’estremo ovest.

Oltre alle tribù ci sono le minoranze etniche vere e proprie. I berberi nomadi tuareg del sud si sono uniti alla rivolta. Quelli montanari del Gebel Nefusa avevano già scatenato una protesta violenta a dicembre. I tebu negroidi del sud est non sono da meno: uno dei loro leader si è dato fuoco il 17 febbraio. Fonte: Il Foglio quotidiano, 24 febbraio 2011

INCHIESTA SANITA’ IN PUGLIA: ARRESTATO UN UOMO DELLA SCORTA DI VENDOLA

Pubblicato il 24 febbraio, 2011 in Giustizia, Il territorio | No Comments »

Chiesto il carcere per Tedesco, ex assessore regionale

Arresti sono stati eseguiti stamani nell’ambito di una delle inchieste sulla gestione della sanità in Puglia. Oltre alla richiesta d’arresto in carcere emessa nei confronti del senatore del Pd, Alberto Tedesco, ex assessore regionale alla Sanità della Puglia, in carcere su disposizione della magistratura barese è finito Mario Malcangi collaboratore di Tedesco. A quanto si è appreso, altre quattro persone sono finite agli arresti domiciliari nell’ambito della stessa inchiesta, tra cui un componente della scorta del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.

ANCHE DG ASL LECCE E IMPRENDITORI - Gli arresti eseguiti dai carabinieri rientrano – a quanto si è saputo – in una indagine della procura sulle nomine di medici e dirigenti Asl. Oltre all’arresto in carcere per Mario Malcangi, di 52 anni di Corato, capo, all’epoca dei fatti, della segreteria politica di Alberto Tedesco, sono stati disposti gli arresti domiciliari per Paolo Albanese, di 51 anni, di Terlizzi (Bari), componente della scorta del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Arresti domiciliari, inoltre, per Guido Scodizzi, di 68 anni, di Lecce, direttore generale della Asl salentina. Gli arresti domiciliari sono stati decisi inoltre anche per gli imprenditori di Bisceglie Digo Rana, di 52 anni e Giovanni Garofoli, di 66 anni. Misure interdittive, inoltre, sono state disposte per Alessandro Calasso, di 63 anni, di Bari, direttore sanitario della Asl barese e Antonio Acquaviva di 55 anni, medico oculista, la cui nomina al’ospedale di Terlizzi, secondo l’accusa, sarebbe stata favorita da Alberto Tedesco. Gli arrestati e Alberto Tedesco la cui richiesta di arresto dovrà essere esaminata ora dalla giunta alle autorizzazioni a procedere del Senato, sono indagati a vario titolo per concussione, corruzione e frode in pubbliche forniture. Fonte: ANSA, 24 febbraio 2011

POVERO FASANO: RIMOSSO E UMILIATO….(CIASCUNO HA QUEL CHE SI MERITA)

Pubblicato il 23 febbraio, 2011 in Il territorio, Notizie locali | No Comments »


La sfolgorante carriera politica di Fasano n.2 : da vicesindaco (nella foto in corteo  alla “festa grande” del 1991) a ruota di scorta di improbabili geni.

“Cornuto e mazziato” è il proverbio che meglio può raffigurare ciò che è successo al povero Giambattista Fasano (Giamby per gli amici) che da vicesindaco è stato retrocesso a soldato semplice, avendo ceduto posto e passo, ad un altro,  dotato, dicono,  di spiccate, ancorchè sconosciute (chissà per quanto),   qualità private e pubbliche.

I rumori  si sentivano in giro da una quindicina di giorni, ma da stamattina sono diventati colpi di cannone.

Toritto ha una nuova (si fa per dire ) giunta comunale, nominata dal sindaco Geronimo dopo aver revocato la precedente nella logica della rotazione…. allo scopo di mantenere  alto (sic) il livello di buona amministrazione” si legge nel decreto  n. 1 del 21 febbraio 2011 con cui il sindaco, senza tanti complimenti,  ha buttato fuori dalla giunta Fasano, unico, in verità,   che risulta  essere stato “rotato” ( o matato?!), visto che tutti gli altri assessori sono stati confermati( o richiamati in servizio come il Geronimo Filippo che si è ripreso il posto che provvisoriamente aveva affidato ad una sua sostituta esterna).

Povero Fasano! Poco meno di due mesi fa si era dimesso,  ufficialmente disgustato ( a sentir lui) dalla “mancanza di rispetto”  nei confronti della sua famiglia da parte di altri componenti della maggioranza. Dimissioni che lo stesso Fasano aveva definito “irrevocabili”, dichiarando, a destra e a manca, più a destra che a manca, di essere pentito di essersi schierato  nel 2009 con quelli  che pensava fossero il “meno peggio” (leggi Geronimo) rispetto a quelli  che considerava il “peggio del peggio(leggi Gagliardi), ovviamente attribuendosi il ruolo di supremo giudice degli altri, lui,  che in materia di comportamenti politici,  e non solo,  ha molto da imparare e poco da insegnare  e soprattutto  non risulta che abbia  mai dato prova di essere migliore degli altri  ( e per decenza non scendiamo nei particolari che farebbero arrossire anche un toro!).

Poco meno di un mese fa,  però, colpo di scena.

La Gazzetta annuncia che “il vice sindaco non lascia” , registrando prima la dichiarazione di Geronimo  che si dice “soddisfatto del chiarimento intervenuto e per la piena solidarietà espressa dalla maggioranza a Fasano per gli attacchi verbali ricevuti” e  poi la poetica dichiarazione di Fasano che dice, sento il dovere se non l’obbligo di ritirare le dimissioni perché momenti come questi (gli insulti alla memoria del padre?!) servono per rinsaldare i rapporti di amicizia….. Contento lui….

Insomma, poco meno di un mese fa,  tutto sembrava essersi concluso a tarallucci e vino, con il Giamby che  si riprendeva il suo posto di vicesindaco e il suo bravo stipendio di 1300 euro al mese su cui non sputa nessuno, soprattutto  chi fa fatica a pagare un caffè che sia uno.

Invece, da stamattina, e sono passate si e no due settimane dal comunicato della Gazzetta,  il povero Giamby risulta essere stato, lui  e lui solo,  rimosso (cacciato?!) e per di più umiliato, visto che non  gli è stato consentito di rassegnare le dimissioni per salvare la faccia, è stato ridotto a rango di comparsa, dopo aver dato il contributo decisivo alla riconferma di Geronimo, e  infine è da oggi costretto a reggere il moccolo sia a chi, secondo quanto da lui stesso raccontato, avrebbe “mancato di rispetto” alla sua famiglia,  sia agli altri  che nella maggioranza hanno fatto finta di sostenerlo e poi si sono defilati, preferendo rimanere coperti, piuttosto che correre il rischio di fare la stessa fine di Fasano, visto che nel frattempo si sono rincorse voci di lanzichenecchi pronti a farsi avanti per entrare nella maggioranza  eventualmente a corto di numeri.

Chiunque, al posto di Fasano, avrebbe dato  le dimissioni anche da consigliere comunale  prima che fosse stato reso pubblico l’umiliante  decreto sindacale, ma anche per far questo ci vuole stomaco e coraggio. E stima di sé. g.

I SENATORI FINIANI RESTANO IN SEI. LASCIANO IL FLI ANCHE VIESPOLI E SAIA

Pubblicato il 23 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Pasquale Viespoli Alla fine sono rimasti in sei. Ieri, dopo una riunione tesissima, altri due senatori di Futuro e Libertà – il presidente Pasquale Viespoli e Maurizio Saia – hanno deciso di lasciare Fini e di seguire i due colleghi che avevano già annunciato le dimissioni, Menardi e Pontone. A palazzo Madama Fli resta così senza gruppo visto che il numero minimo è di dieci parlamentari. Ma in qualche modo i finiani sono riusciti a limitare i danni. I «futuristi» dati in uscita dovevano essere di più, almeno cinque. Alla fine, invece, anche i più dubbiosi hanno firmato il documento di Mario Baldassarri di fedeltà al presidente della Camera.
La più incerta, fino a pochi minuti dalla fine della riunione – iniziata verso le cinque e finita dopo le otto – è stata Barbara Contini, che le indiscrezioni davano già fuori da Futuro e Libertà. Poi il pressing proprio di Baldassarri l’ha convinta e la riunione dei fedellismi di Fini è continuata nello studio di quest’ultimo, mentre Viespoli e Saia se ne andavano da palazzo Madama. Resta ora da vedere cosa faranno i sei «reduci» (insieme alla ex governatrice di Nassiryia, Baldassarri, De Angelis, Digilio, Germontani e Valditara). Per il momento entreranno nel Misto, visto che i rapporti tra Fini e Casini sono ai minimi storici e con Rutelli non c’è molta voglia di unirsi.
«Il Gruppo Fli al Senato in seguito all’uscita dei senatori Menardi e Pontone non ha più i numeri per esistere – è il loro comunicato stampa – Degli otto senatori restanti sei hanno confermato la loro permanenza nel Fli al fine di costruire un’alternativa competitiva all’attuale centrodestra e nella prospettiva di poter dar vita in tempi brevi ad un nuovo e più consistente gruppo parlamentare che faccia riferimento al Polo per l’Italia, rifutando così qualunque ipotesi di ammucchiata a sinistra». Incerta anche la prossima collocazione dei quattro che hanno lasciato Fini. Qualcuno, come Maurizio Saia, potrebbe rientrare nel Pdl, mentre Viespoli vorrebbe «approdare» a Forza Sud di Miccichè. Ma il progetto finale sarebbe quello di creare insieme un nuovo gruppo, che prenda come punto di riferimento il Ppe, e nel quale potrebbero confluire senatori del Pdl. Un gruppo che a quel punto farebbe da traino anche per i «Responsabili» alla Camera. Fonte: Il Tempo, 23 febbraio 2011