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LA GRANDE FUGA DA FINI: UN ALTRO SENATORE LASCIA IL FLI, E’ PONTONE, EX AMMINISTRATORE DI AN MANDATO DA FINI A FIRMARE LA VENDITA DELLA CASA DI MONTECARLO AL COGNATO

Pubblicato il 17 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Roma – Dopo Menardi saluta anche Pontone. E Saia ci sta pensando. La decisione di Gianfranco Fini di affidare la vicepresidenza del neonato movimento a Italo Bocchino sta creando non pochi mal di pancia dentro Fli. Il senatore Franco Pontone è in procinto di lasciare il gruppo di Futuro e libertà al Senato. La decisione, a quanto si apprende da fonti della maggioranza, è presa. L’ex amministratore di An, uomo decisivo nell’affaire Montecarlo, da tempo in “sofferenza” in Fli, non solo sta per formalizzare il suo addio al gruppo nel giro di poche ore, anche se gli è stato chiesto un rinvio di qualche giorno, ma avrebbe deciso di tornare al gruppo del Popolo della libertà.

Anche Saia verso l’addio “Fli, finché non si va al voto, non esiste. Esiste perché ci sono dei parlamentari che hanno messo in gioco la loro faccia e se vogliamo, chi ha lasciato il governo, anche le loro sedie. Finché non c’è questa prova sul territorio elettorale credo che la prima preoccupazione di chi governa il partito dovrebbe essere quella di tenere tutti i pezzi insieme”. Così Maurizio Saia, senatore di Futuro e Libertà ad Affaritaliani.it analizza lo stato in cui versa il partito a Palazzo Madama. Poi rivela: “Si sono sminuite le porzioni del partito più moderate: un chiaro segnale verso una nuova rotta non concordata. Poi, non nascondo, che sul piano dei rapporti umani il gruppo al Senato ha sofferto della sindrome dell’abbandono”. E su una sua possibile fuoriuscita dice: “Sto valutando la situazione”.

Baldassarri: ci sto pensando “Sono in profonda riflessione”. Così risponde al Velino il senatore Fli Mario Baldassarri in merito alla travagliata situazione che sta vivendo il gruppo futurista a Palazzo Madama dopo la fuoriuscita di Menardi e quella ventilata di Pontone nelle prossime ore. E su queste due defezioni Baldassarri taglia corto: “No comment”.

AL SENATO SI SQUAGLIA IL PARTITO DI FINI

Pubblicato il 17 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini Esperienza finita. Giochi chiusi. Futuro e Libertà al Senato non c’è più. Gianfranco Fini paga a caro prezzo lo sgarbo fatto domenica a Pasquale Viespoli e ai suoi senatori di aver imposto alla guida del partito Italo Bocchino e di averli esautorati da Fli. Ieri pomeriggio Giuseppe Menardi, che in mattinata aveva votato in dissenso con il gruppo sul decreto Milleproroghe se ne è andato: «La mia esperienza all’interno di Futuro e libertà al Senato è finita – ha spiegato – La santa alleanza del “Tutti contro Berlusconi” non fa per me». E la sua è una decisione pesante – anche se ancora non formalizzata ufficialmente – perché senza di lui i finiani non hanno più il numero sufficiente per costituire un gruppo autonomo.

Ma la fuga di Giuseppe Menardi potrebbe essere solo il primo di una serie di addii da Fli a palazzo Madama. Non è un mistero che il gruppo al Senato abbia un’anima ben diversa da quella dei futuristi della Camera. I dieci senatori non hanno digerito lo strappo violento nei confronti Berlusconi e non hanno mai apprezzato le aperture di Italo Bocchino nei confronti di una «Santa alleanza» con il centrosinistra pur di battere il Cavaliere. E il 14 dicembre, giorno della prova di fiducia alla Camera, il discorso di Pasquale Viespoli aveva toni e modi assai diversi da quelli del suo collega capogruppo alla Camera.

Ma è stato il trattamento ricevuto al congresso di Milano a segnare una spaccatura difficilmente superabile tra falchi e colombe. E le inquietudini dei giorni scorsi, con le minacce di Pasquale Viespoli di voler lasciare il partito, le sue dimissioni da capogruppo di martedì e l’immediata riconferma da parte dei colleghi, hanno avuto uno sbocco evidente nel voto di ieri sul decreto Milleproroghe. Il capogruppo ha annunciato il voto contrario alla fiducia, ma con lui hanno detto no solo Saia, Baldassarri e Valditara. Francesco Pontone, l’ex tesoriere di An, si è astenuto. Tutti gli altri non hanno partecipato al voto. Compresa Barbara Contini che ha spiegato di essere arrivata in ritardo per un piccolo incidente. Ma la senatrice non ha rinunciato a una polemica con Bocchino: «Io sono stata la senatrice numero 10 che ha consentito di costituire il gruppo a palazzo Madama e ora c’è chi dice che nessuno è indispensabile…». E se Fini non ha commentato la scelta di Menardi, la replica del vicepresidente di Fli è stata sprezzante: «Gli addii? sono problemi che prima o poi dovevamo affrontare».

Ma presto Fli potrebbe trovarsi a fare i conti con un altro scontento, Adolfo Urso, che ieri ha parlato a lungo con il leader dei Responsabili, Silvano Moffa. Mentre i boatos di Montecitorio raccontano di un colloquio di Luca Barbareschi con Berlusconi. Fonte: Il Tempo, 17 febbraio 2011

SE NON ORA, QUANDO? l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 17 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Quando questa stagione politica sarà finita, dovremo tutti ammettere – compresi i nemici – che Silvio Berlusconi ha cambiato per sempre la politica. I lettori de Il Tempo sanno che al Cavaliere non perdono il fatto di non essere stato un «falco riformatore», sanno che per me porta il peso di non aver trasformato la sua egemonia politica in supremazia culturale nel senso più alto del termine ma, detto questo, solo una forza come Berlusconi poteva reggere a un simile assalto concentrico.
Il premier è al centro del Maelstrom, un gorgo marino capace di inghiottire chiunque e trascinarlo negli abissi. Lui resiste. Ma questa strategia per me è insufficiente. Non basta il ritorno alla proposta politica – cosa avvenuta grazie alla sulfurea intelligenza di Giuliano Ferrara – occorre uno scatto in avanti, una soluzione alta e nobile contro la dissoluzione delle istituzioni a cui sta portando l’azione della magistratura militante con il supporto testo-audio-video dei moralisti militarizzati della Buon Costume. Berlusconi nel bunker non mi piace. Il centrodestra in difesa è antistorico. Con Giulio Tremonti il Cav ieri ha dimostrato di essere pragmatico e realista. Dia allora a questo quadro una cornice ideale, il passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica. Non lasci che siano i pm a scrivere la parola Fine.

È giunta l’ora di mettere in campo una soluzione politica, preparare le condizioni per aprire il mercato elettorale ai giovani, dare ai conservatori italiani una prospettiva e sottrarre Berlusconi alla cronaca sgrammaticata dei verbali da procura per restituirlo al capitolo finale della sua storia italiana. Se non ora, quando?  Mario Sechi, Il Tempo, 17 febbraio 2011


In questo momento i finiani non esistono più al Senato

Pubblicato il 16 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

E’ notizia di pochi minuti fa che uno dei dieci senatori che compongono il gruppo a Palazzo Madama di Futuro e libertà, Giuseppe Menardi, ha annunciato, salvo smentite, di non far più parte del gruppo di Futuro e libertà. Ora, dato che ogni gruppo al Senato deve essere composto da almeno dieci senatori e dato che senza Menardi il gruppo di Futuro e libertà è a quota nove senatori, da questo momento Fli non esiste più formalmente al Senato. Si diceva che un partito più incasinato del Pd fosse impossibile da immaginare e invece ci sbagliavamo, e complimenti ai finiani. Foglio Quotidiano, 16 febbraio 2011

SONDAGGIO DI VIRGILIO.IT: QUELLA DEI GIUDICI E’ PERSECUZIONE CONTRO BERLUSCONI

Pubblicato il 16 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Domenica scorsa il portale di Virgilio.it aveva lanciato un sondaggio on-line su un eventuale voto anticipato chiedendo di scegliere il leader preerito.  Su 44 mila partecipanti circa,  il 30,9% aveva indicato Berlusconi  che alla stessa domanda della domenica precedente aveva raccolto il 27,3%, cosicchè aumentando in una settimana  di oltre 3 punti il gradimento da parte dei visitatori  del portale in questione.
Stamattina lo stesso portale ha lanciato un nuovo sondaggio: se il rinvio a giudizio di Berlusconi  sul caso Ruby fose una persecuzione o se invece i giudici hanno solo applicato la legge.

Il risultato su 31.663 voti espressi sino a pochi minuti fa  è il seguente:

Berlusconi rinviato a giudizio, che ne pensi?
Voti raccolti:31663 dal 16-02-2011
Berlusconi rinviato a giudizio, che ne pensi?

E’ persecuzione
52.8 %

La legge e’ uguale per tutti
47.2 %

LA POTENZA DI FUOCO DEI GIUDICI

Pubblicato il 16 febbraio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Bettino Craxi Impressiona la potenza giudiziaria di fuoco della Procura di Milano, rimasta intatta, se non aumentata, rispetto al biennio 1992-93, quando con Bettino Craxi venne abbattuta la prima Repubblica, schiacciata sotto le inchieste enfaticamente chiamate «Mani pulite». La rapidità con la quale il giudice delle indagini preliminari Cristina Di Censo ha accolto la richiesta di processo immediato a Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile ricorda un po’ il lavoro del giudice Italo Ghitti, all’epoca appunto di Mani Pulite.

Anche allora per un bel po’ non ci furono richieste dei pubblici ministeri che non fossero accolte da lui. Egli arrivò persino a suggerire per iscritto come modificare un’istanza invasiva dell’accusa per poterla accettare. L’appunto fu poi scoperto in una ispezione ministeriale ma non destò stupore, o scandalo, più di tanto né sui giornaloni né al Consiglio Superiore della Magistratura. Dove, nel frattempo, quel giudice era approdato come esponente togato, eletto cioè dai suoi colleghi. Costretto infine ad occuparsene, il Consiglio naturalmente lo assolse nel 1999. In quegli anni bui era difficile, diciamo pure impossibile, trovare nel tribunale di Milano qualche magistrato capace di contrastare o solo di dissentire da quella macchina schiacciasassi che era diventata la Procura. La povera Tiziana Parenti ci provò tanto inutilmente che alla fine preferì cambiare mestiere. Per quanto inquietanti e temibili, le analogie rispetto a quel periodo finiscono tuttavia qui per nostra fortuna, e per sfortuna -spero- delle tifoserie politiche della Procura ambrosiana e degli uffici limitrofi. Dove peraltro la carriera unica, come in tutti i palazzi di giustizia italiani, consente a pubblici ministeri e a giudici una frequentazione o assonanza sconosciute o persino vietate in paesi di consolidata democrazia. Erano inglesi, per esempio, quei magistrati che ormai molti anni fa vennero in missione a Roma ed espressero la loro meraviglia scoprendo che pubblici ministeri e giudici potessero prendere lo stesso ascensore.

A raccontare l’episodio sul Corriere della Sera fu il giudice italiano che li accompagnava nella visita: il buon Rosario Priore, poco gradito alla corporazione giudiziaria da quando si mostrò favorevole alla separazione delle carriere, ritenendola perfettamente compatibile con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura garantite dalla Costituzione. Diversamente da quel terribile biennio della fine della cosiddetta Prima Repubblica, e a dispetto delle piazze riempite non più tardi di domenica scorsa dalle avversarie e dagli avversari del Cavaliere, l’area moderata e liberale del Paese non è più sguarnita come una tendopoli. Da Lega, del cui sostegno l’allora capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli si compiacque pubblicamente, prima che anche il Carroccio venisse lambito dalle inchieste e dai processi sul finanziamento illegale della politica, non sventola più i cappi in Parlamento. E sostiene lealmente Berlusconi, pur non condividendo il modo in cui egli trascorre, diciamo così, il suo tempo libero fra le lenzuola. La stampa garantista è più numerosa e coraggiosa. Anche dai giornaloni allora allineati alla Procura ambrosiana si levano adesso voci discordi e preoccupate. Ma, soprattutto, il partito e l’elettorato di Berlusconi non sono paragonabili ai partiti e agli elettorati divisi e sbandati dei Craxi, Forlani, Martinazzoli e altri di quell’epoca sfortunata.

Nei suoi diciassette anni di azione politica il Cavaliere è riuscito a creare attorno a sè, pur con tutti i limiti organizzativi di Forza Italia e poi del Pdl, quello che il direttore Mario Sechi qui, sul Tempo, chiama giustamente “blocco sociale”. Nel quale è difficile che un coltello giudiziario con manico politico, o viceversa, come preferite, possa affondare come nel burro. La sorpresa che la sinistra post-comunista e i suoi alleati di complemento si ritrovarono fra i piedi nelle elezioni anticipate del 1994, con la vittoria di Berlusconi, potrà essere questa volta ancora più grande e, per essi, rovinosa di allora. Francesco Damato, Il Tempo, 16 febbraio 2011


Francesco Damato

SENZA SOLUZIONE SARA’ DISSOLUZIONE, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 16 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Una democrazia matura di fronte a quel che sta accadendo si preoccuperebbe di salvaguardare le istituzioni. Farebbe cioè prevalere quella che si chiama ragion di Stato per evitare la collisione del sistema politico, cioè di quell’apparato che assicura la convivenza civile tra soggetti portatori dei più vari interessi. Per ottenere questo vitale risultato, la politica dovrebbe pensare a un soft landing, un atterraggio morbido per Silvio Berlusconi e una storia collettiva che dura da diciassette anni.

Lo scenario obbedisce allo schema primitivo resistenza/caccia all’uomo. Berlusconi nel bunker, i pm all’assalto finale con la cavalleria corazzata. L’esito di questa guerra sarà una rottura traumatica pronta a sfociare nel caos. La decisione del tribunale di Milano non è sorprendente, fa parte di un copione già scritto. Ciò che è davvero allarmante in questo quadro da battaglia delle Termopili è l’assenza di una strategia d’uscita da parte della politica. È un tema che tocca tutti: destra e sinistra. E chi pensa di poter liquidare questa storia con un processo e una condanna commette un errore colossale, perché senza una soluzione politica alta e onorevole, il rischio di qualcosa di simile a una guerra civile strisciante è reale. Se non si vuole andare al voto servono fantasia e coraggio. Gli Stati Uniti uscirono dal dramma dello scandalo Watergate con il «pardon» di Richard Nixon deciso dal suo successore alla Casa Bianca, il presidente Gerald Ford. Non furono i giudici a decidere le sorti dell’America, ma la politica. Un Paese si tutela così. Non so quale sia la via d’uscita possibile per il caso Berlusconi, ma so che cosa sta accadendo all’Italia: si sta suicidando. Mario Sechi, Il Tempo, 16 febbraio 2011

MA BERLUSCONI SFUGGE SEMPRE ALLA TENAGLIA DEI PM

Pubblicato il 16 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Ieri è accaduto qualche cosa di eccezionale. Che non è l’annuncio dell’en­ne­simo processo a Berlu­sconi. Si tratta invece del via libera al primo processo che si celebra in Italia in assenza di vittime o parti offese. E per di più, paradosso nel para­dosso, con rito immediato, prassi prevista dal codice per reati particolarmente gravi e con imputati incastra­ti da prove schiaccianti.

Ora, è evidente a tutti che negan­do la giovane Ruby di avere avuto rapporti sessuali con il premier, non ci può essere certezza del reato di sfrutta­mento di prostituzione mi­norile. Ed è ovvio che negan­do i tre dirigen­ti­della Questu­ra di Milano di essere stati for­zati da Berlu­sconi ( nella te­l­efonata su Ru­by), non c’è ne­anche la pro­va certa della presunta con­cussione. In tutto, secon­do i magistra­ti, sarebbero cinque le parti lese. A Ruby e aitre funzionari si aggiunge­rebb­e anche il ministero del­l’Interno. Ma anche per que­st’­ultimo caso la presunta vit­tima, per voce di Maroni, ha negato di essere tale. Anzi, in Parlamento, il ministro ha giurato di avere accertato che quella notte a Milano tut­to­si svolse secondo leggi e re­gole. No vittime, no reati.

Eppu­re tutto il mondo parla e par­lerà di questo processo. Ed è probabilmente questa la ve­ra condanna che la Boccassi­ni voleva infliggere a Berlu­sconi. E c’è riuscita grazie a una casta,la sua,che stupida­mente da vent’anni la politi­ca si rifiuta, per paura, di rifor­mare. Proviamo a ricostrui­re l’ultimo anno. I magistra­ti, con la complicità dell’op­posizione e l’aiuto del Quiri­nale, cercano di togliere a Berlusconi il piccolo scudo di cui godeva. Siccome da so­li non ce la fanno, arruolano Fini,al quale lasciano intrav­vedere l’ipotesi di succedere al Cavaliere alla guida del Pa­ese. L’allocco ci casca e si pre­sta a fare cadere il premier in Parlamento con il voto di sfi­ducia del 14 dicembre. Sem­brava fatta, ma tale Scilipoti, deputato Idv, rovina la festa.

L’utile idiota (Fini)viene sca­ricato e nel giro di tre giorni i magistrati fanno partire due siluri di riserva: il primo to­glie di fatto lo scudo, il secon­do scatena l’inferno Ruby. Ed eccoci al­l’oggi. Diritto e leggi vengono calpestati in un blitz media­tico- giudizia­rio, perché, co­me urlano le donne in piaz­za, «se non ora quando?». Già, per loro il tempo stringe. A Berlusconi non va dato modo di rior­ganizzare la maggioranza orfana dei fi­niani, perché altrimenti quello governa per altri an­ni. Va ucciso, a ogni costo. Ora, subito, con ogni mezzo. Ce la faranno? I sondaggi di­cono che la vicenda non ha scalfito la fiducia degli eletto­ri nel centrodestra. In Parla­men­to la maggioranza conti­nua a crescere e ieri ha supe­rato la quota di sicurezza 320. La partita non è per nul­la chiusa, nonostante i due arbitri, Napolitano e Fini, sti­ano giocando spudorata­mente con gli avversari. Ber­lusconi ha dalla sua il pubbli­co, e gioca in casa perché è l’unico che vorrebbe fare gli interessi degli italiani. Scom­metto che vincerà anche questa volta.

CASO RUBY: TUTTO COME PREVISTO, IL GIP RINVIA A GIUDIZIO BERLUSCONI OBBEDENDO AL DIKTAT DELLA PROCURA: ORA SI PREPARA IL BRACCIO DI FERRO TRA ACCUSA E DIFESA

Pubblicato il 15 febbraio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Tutto secondo le previsioni: il giudice preliminare Cristina Di Censo accoglie in pieno la tesi della Procura di Milano e manda a giudizio Silvio Berlusconi per entrambi i reati che gli vengono contestati in relazione al Rubygate. E’ la prova che avevano visto giusto coloro che nella brusca accelerazione impressa la scorsa settimana ai ritmi dell’inchiesta avevano visto una Procura assai sicura delle proprie posizioni: Edmondo Bruti Liberati e il suo staff avevano scelto di andare allo scontro frontale con il Cavaliere perché erano assolutamente certi che le loro tesi sarebbero state fatte proprie anche dal giudice preliminare. Se questa certezza arrivasse da una nuova valutazione giuridica delle norme sul giudizio immediato o da nuove prove acquisite nel corso dell’indagine, questo si scoprirà solo nei prossimi giorni, quando le carte dell’accusa si scopriranno progressivamente.

Il giudizio immediato Lo scarno comunicato con cui il capo dei gip milanesi, Gabriella Manfrin, annuncia la decisione della Di Censo ha un significato preciso: il gip ha ritenuto che per entrambi i reati contestati al capo del governo ci fosse la “evidenza della prova” indicata dal codice come requisito per il giudizio immediato. Che fine abbiano fatto, in questo quadro, le indagini difensive prodotte nelle scorse settimane d Niccolò Ghedini e Pietro Longo, anche questo lo si capirà meglio strada facendo. Ma è tema, ormai, che riguarda il processo destinato ad iniziare il 6 aprile davanti alla quarta sezione penale. E’ in quel processo, davanti all’opinione pubblica, che la Procura si prepara a scaraventare la massa di atti raccolti, a fare sfilare le escort sul banco dei testimoni, a raccontare in diretta alle tv e ai giornali quanto – secondo i pm – avveniva nelle feste di Arcore. Ma sarà lì, nell’aula del processo, che anche i legali di Berlusconi potranno ora fare partire la più immediata delle battaglie, quella per far riconoscere l’incompetenza del tribunale milanese a giudicare entrambi i reati: perché, sostengono i legali, la presunta concussione è materia da tribunale dei ministri, e i rapporti con Ruby sono di competenza della Procura di Monza. Braccio di ferro fin da subito, insomma.

La Boccassini E nell’aula della quarta sezione i legali del premier ritroveranno Ilda Boccassini, con cui si sono scontrati a lungo all’epoca dei processi Sme e Lodo Mondadori. Per adesso, comunque, vince la linea della Procura. Che nei prossimi giorni si prepara a fare il bis, chiudendo le indagini anche a carico degli altri indagati – tra cui Lele Mora, Nicole Minetti e Emilio Fede – e preparare anche per loro la richiesta di rinvio a giudizio.

VOLANO GLI STRACCI NEL PARTITINO DI FINI DIVENTATO LO ZERBINO DI BOCCHINO

Pubblicato il 15 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Doveva governare l’Italia, non riesce nemmeno a governare l’Italo. Povero Gianfranco, che tri­ste parabola: non voleva fare il se­condo di Berlusconi, adesso è co­­stretto a fare il maggiordomo di Bocchino. Ma sì, dài, avete visto com’è finitol’atte­so raduno di Rho? Fini ha chinato la testa di fronte ai diktat notturni del falchetto di Na­poli, gli ha sacrifi­cato buona parte dei suoi più fedeli collaboratori, e gli ha consegnato nelle mani quel che resta del partito, poco Futuro e nessuna Libertà. Non male: il leader che avrebbe dovuto con­durre con mano ferma il Paese verso un domani radioso, a fatica riesce a condurre un’assemblea politica verso un domani litigioso. Considerato quel che si è visto, viene da pensare che quest’uomo avrebbe problemi anche a gestire un’assemblea di condominio. Riuscirebbe a prendere una sola decisione: la riunione è sospesa. E Bocchino, naturalmente, fa l’amministratore.

Che Fini non fosse un con-dottiero, l’avevamo già immaginato. Che il suo carisma fosse simile a quello di una pantegana col mal di pancia,l’avevamo pure pensato. E che fosse propenso a farsi mettere i piedi in testa un po’ da tutti,l’avevamo sospettato da quando abbiamo saputo delle sue meravigliosa gesta nel mondo fatato dei Tullianos : uno che si fa abbindolare dall’ex fidanzata di Gaucci; uno che per amor elisabetto mette a rischio la faccia, oltre che la carriera politica; uno che non riesce a farsi dir la verità sulla casa di Montecarlo dal cognatino con la Ferrari; uno che soccombe alle ragioni della suocera fino a far imprudenti pressioni sulla Rai per accreditarla come produttrice di programmi televisivi; ebbene, da uno così non ci si può certo aspettare che tiri fuori gli attributi quando si tratta di far politica. Si sa che ama andare a fondo, ma solo quando va al mare. Quando resta a Roma tutt’al più galleggia. O, peggio, nasconde la testa sotto la sabbia.

Però, ecco, c’è un limite a tutto. L’altra sera mica doveva mettere d’accordo Putin e Obama, né Gheddafi e Israele, non gli toccava la mediazione fra Marchionne e la Fiom, o fra i colossi del credito e la finanza internazionale. Macché: doveva mediare tra Bocchino e Urso, Viespoli e Della Vedova. Bocchino e Urso, avete capito? Siamo all’abc della politica, allo stracchino contro la mozzarella, un braccio di ferro da formaggio fuso, insomma, roba che anche Topo Gigio avrebbe qualche possibilità di riuscirci. Fini no. S’è alzato dal tavolo, poi ha lanciato una mediazione, poi s’è rimangiato tutto. E alla fine ha venduto Urso e i moderati, consegnando quel po’ di organizzazione che gli è rimasta nelle mani di Italo Bocchino. Cioè del più spregiudicato. Quello che urla più forte. Tipico atteggiamento da leader, no? Darla sempre vinta a chi alza la voce.

A questo punto, torna la domanda centrale di tutta questa assurda vicenda: ne è valsa la pena? Gianfranco Fini era il numero due del Pdl, era a capo di una maggioranza salda che aveva la possibilità di governare il Paese nei prossimi anni, aveva la possibilità di fare le riforme, di far sentire le sue ragioni, di costruire davvero un pezzo di futuro (e di libertà). E invece ha buttato tutto all’aria. Ha messo in difficoltà il partito, la maggioranza, il Paese, le istituzioni. E tutto questo per cosa? Per dare un partito a Bocchino.

Un partitino piccino picciò, roba da organizzazione dei pensionati, una specie di giocattolino per non annoiarsi nelle sere d’inverno e poter essere invitati al gran ballo del Quirinale. Niente più. Perfetto, si capisce, adesso Italo sarà contento. Ma se a Italo viene voglia di diventare presidente di una squadra di calcio, Fini che fa? Gli compra la Lazio? E se gli viene voglia di diventare cantante? Gli affitta il teatro Ariston di Sanremo? Con Gianni Morandi come spalla?

Da dove venga tanto potere di Bocchino su Gianfranco è difficile sapere. Però i fatti sono evidenti: Italo ha iniziato la carriera facendo l’autista di Tatarella, ma adesso usa Fini come un taxi. Si fa portare in giro, a tassametro zero. E lui, Gianfry dei Tullianos , «l’uomo che l’Italia aspettava, il leader che salverà il Paese», come lo inneggiarono a Bastia Umbra sfiorando il culto della personalità, quello cui si rivolgevano gli intellettuali dicendo: «L’Italia ha bisogno di lei», quello coccolato e blandito da Fazio, Saviano, Muccino, dagli scrittori dei salotti chic e dalla sinistra engagé , ebbene lui, s’è ridotto a far lo zerbino d’Italo, il portatore d’acqua di un deputato che fino all’anno scorso considerava poco più di nulla.

Bel risultato, presidente Fini, complimenti: forse così riuscirà a far sopravvivere un inutile partitino. Sicuramente non riuscirà a sopravvivere lei: un leader, per essere un leader, deve dimostrare che pensa al futuro dell’Italia. Mica solo al futuro dell’Italo.