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IL VICESINDACO FASANO RITIRA LE DIMISSIONI: S’ERA INDIGNATO, MA “POCO, POCO”

Pubblicato il 5 febbraio, 2011 in Notizie locali | No Comments »

La sfolgorante  carriera “politica” di Fasano: da  vicesindaco annusatore di Gagliardi (nella foto la festa dell’Emigrante del 1991) a bizzoso vicesindaco di Geronimo.


Chi ha avuto modo di leggiucchiare Enzo Biagi di certo ricorderà una storiella che Biagi ripeteva abbastanza spesso nei suoi libri e nelle sue “noterelle” sui giornali ai quali collaborava.

C’era una ragazza, raccontava Biagi, che era rimasta incinta, però, “poco, poco,  aveva confessato vergognosa e titubante”. Così si potrebbe dire del vicesindaco Fasano che indignatosi per la “mancanza di rispetto” si era dimesso,  con l’assicurazione,  fornita a destra e a manca, più a destra che a manca,  che le dimissioni erano “irrevocabili”.

Infatti… infatti le ha ritirate,  per cui è ritornato,  “per obbligo, anzi per dovere” sui suoi passi, appena   dieci giorni prima definiti “irrevocabili” ed è ritornato a fregiarsi del titolo e, soprattutto, dello stipendio che, forse, anzi senza forse,  vale e conta più dell’indignazione tanto sbandierata nella  lettera più ridicola che si sia letta nel corso degli ultimi secoli e  diffusa  con grande clamore da lui medesimo.

Insomma, Fasano  era si indignato, “ma poco, poco”. Cosa da far ridere da qui all’eternità.

Che la cosa, anzi le dimissioni, non  fossero una cosa seria non ci voleva molto a intuirlo e che la sbandierata indignazione fosse solo  il frutto di una non giustificata supervalutazione di se medesimo da parte del Fasano era facile da capire e che le une e l’altra si sarebbero perdute per strada  era scontato che sarebbe avvenuto.

Solo qualche scioccherello può aver pensato il contrario, sino al punto di immaginare chissà quali sconquassi amministrativi.  Ma quelli, gli scioccherelli,  abbondano, bipartisan, a destra e a sinistra.

Se fosse stata l’indignazione davvero sentita, Fasano non l’avrebbe sbandierata,  come fa chiunque abbia amor proprio, specie se la ragione dell’indignazione tocca persone amate e per di più scomparse; se le dimissioni fossero state destinate ad essere irrevocabili non le avrebbe motivate con il richiamo alla “mancanza di rispetto”: le avrebbe comunicate  con due riga, e non di più, tenendo  dignitosamente per sé  l’indignazione.

Invece Fasano,  giocando al grande leader e,  forse, chissà, credendo di esserlo per davvero,  si è fatto non solo indurre  (da chi?!) a intraprendere una strada che lo ha ridicolizzato, da destra  a manca, più a manca che a destra (dove tutti lo hanno conosciuto e ricordano….), ha sbandierato ai quattro venti  che sarebbe passato allopposizione ( a far che!?!?!?!,  lui che già nella  maggioranza conta quanto il due di bastoni quando la briscola è a coppe), e infine  ha accettato di  fissare  un prezzo per la sua “indignazione” - il mantenimento della carica di vicesindaco con relativo appannaggio -  e quindi, conseguentemente, anche per  l’oggetto  della sua indignazione. Che dire?

Che  nella nostra precedente nota sull’argomento, anche noi non l’abbiamo azzeccata: Fasano, politicamente, non sta fra la quarta e la quinta delle categorie in cui Sciascia divide gli uomini. E’ decisamente e definitivamente classificabile nell’ultima, quella dei quaquaraquà. g.


IL FEDERALISMO E’ INCIDENTATO, MA SI FA

Pubblicato il 5 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Incidente procedurale. “Il federalismo è fatto, le elezioni sono scongiurate, con Napolitano nessun problema”, dice Umberto Bossi affettando tranquillità. Certo in alcuni settori della Lega, che ieri ha riunito i propri vertici a Milano in via Bellerio, c’è apprensione per il futuro della riforma federalista contenuta nel decreto che ieri Giorgio Napolitano ha rimandato alle Camere giudicandolo “irricevibile”. Ma le preoccupazioni dell’ala vicina al ministro dell’Interno Roberto Maroni sono tenute sotto controllo dal leader Bossi che ha spiegato ai propri generali: “Garantisco io. Sia sull’impegno di Berlusconi in tutta la faccenda sia sulla disponibilità del Quirinale”. Difatti è vero che Napolitano ha respinto il decreto sul federalismo, ma si è trattato di un rifiuto ampiamente previsto dal centrodestra. Un evento che Bossi ieri ha spiegato ai propri uomini che non siedono nei banchi del governo: “Napolitano è a favore del federalismo, le sue obiezioni sono state procedurali e in realtà assolutamente incontestabili. Non vuole che si scavalchi il Parlamento”. D’altra parte, nel corso del Cdm straordinario dell’altra notte, Gianni Letta – che per alcune ore aveva tenuto in piedi un canale di comunicazione con il Quirinale – si era espresso senza dubbi: il presidente della Repubblica non lo firmerà. Ed era stato Bossi a insistere affinché il decreto fosse licenziato comunque dal Cdm. Si trattava di ottenere – dal punto di vista della Lega – una positiva resa mediatica, evitare cioè che i quotidiani di opposizione fossero legittimati, il giorno successivo, a titolare su una sconfitta politica del federalismo.

Adesso il decreto sarà portato in Parlamento, fatto oggetto di discussione, e alla fine ritornerà in Consiglio dei ministri. L’ordine di scuderia, che parte da Palazzo Chigi e si estende a tutto il centrodestra è: evitare frizioni con il Quirinale, che nella lettera con la quale ha motivato la mancata firma al decreto definiva “poco corretto” il comportamento del governo. “Non posso sottacere – ha scritto Napolitano – che non giova a un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del governo senza la fissazione dell’ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il presidente della Repubblica”. Così ieri nessuno, nel Pdl né tantomeno nella Lega, ha commentato negativamente la decisione del Quirinale. Il dossier è interamente nelle mani di Bossi, che ha avuto una telefonata “lunga e cordiale” con Napolitano. Circostanza che oggi autorizzerà alcuni giornali a descrivere uno stato di tensione diplomatica tra la presidenza della Repubblica e il Cavaliere; e a sostenere che il leader della Lega abbia bypassato Palazzo Chigi allacciando un negoziato diretto con il Quirinale. Cosa non del tutto vera. Berlusconi è in realtà molto grato al proprio alleato (per la sua lealtà), tanto da lasciare il campo interamente alla Lega se questa mossa può tornare utile a Bossi e compagni.

Piuttosto giovedì sera, nel corso di una cena con il gruppo dei “responsabili”, il premier ha rivelato di voler approfittare lui delle contraddizioni, scaturite dal voto in bicamerale sul federalismo, interne al gruppo finiano di Fli. Secondo la versione di Berlusconi, Mario Baldassarri – sostenuto da alcuni senatori finiani – era pronto ad astenersi e soltanto l’intervento “duro e personale” di Gianfranco Fini lo avrebbe costretto a cambiare idea. Così il Cavaliere pensa di potersi incuneare nei problemi interni al nascituro partito di Fli (la settimana prossima il congresso fondativo a Milano) per recuperare pezzi della maggioranza perduta. Ha elencato a Saverio Romano e Silvano Moffa – anime del gruppo dei responsabili – diversi nomi di senatori e deputati finiani, “gente che vive un profondo disagio politico”: Paglia, Patarino, Ronchi, Proietti Cosimi, Rosso, Menardi. Chissà. Non sarebbe la prima volta che Berlusconi si esercita in previsioni che poi non si sono realizzate. © - FOGLIO QUOTIDIANO di Salvatore Merlo, 5 febbraio 2011

LA FATICA DI GOVERNARE, di Alessandro SALLUSTI

Pubblicato il 5 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente Napoli­tano ha bloccato la nuova legge sul fede­ralismo varata l’al­tra sera dal governo. Il motivo? Procedurali vio­­late, protocolli non ri­spettati. Insomma, que­stioni di forma e di buro­crazia. L’opposizione esulta, felice di avere ri­tardato di qualche setti­mana (tanto ci vorrà per rimediare)l’entrata in vi­gore di una riforma che modernizza l’Italia e aiu­ta la gente a vivere me­glio e un po’ meno tassa­ta.

In punta di diritto il Quirinale avrà anche ra­gione, tanto che né Ber­lusconi né Bossi hanno contestato lo stop. Più probabilmente, sapeva­no già che sarebbe anda­ta a finire così ma hanno voluto ugualmente riba­dire il loro diritto a deci­dere­in un Paese dove go­vernare è impresa dispe­rata a meno che non si voglia sottostare agli or­dini di altri poteri, dal ca­po dello Stato ai magi­­strati, dai sindacati ai mezzi di informazione.

Poteri che hanno un filo rosso comune: essere ex, neo o post comuni­sti. Cioè parte di una sini­stra che non accetta la prima regola di una de­mocrazia: per cinque an­ni è legittimato a gover­nare chi vince le elezio­ni. Questo proprio non gli entra in testa, voglio­no comandare anche quando perdono e per farlo sono disposti a tut­to, compreso il fatto che leggi e forme devono es­sere piegate sempre e so­lo a loro vantaggio.

Se di regole e rispetto delle istituzioni parlia­mo, perché nessuno di questi signori pone il problema che il presi­dente della Camera non può usare il potere e i mezzi in dotazione alla carica per fare cadere il primo ministro? Perché non porre il problema che se uno passa all’op­posizione deve lasciare libero il posto nelle com­missioni parlamentari che occupava in quanto maggioranza? Perché la legge viene applicata con violenza contro i giornalisti che rivelano segreti d’ufficio solo se questi sono del Giornale mentre quelli di Repub­blica sono liberi di fare di tutto impunemente? L’elenco dei «perché» sarebbe lungo chilome­tri.

Ma si può riassumer­li in uno: perché Berlu­sconi e Bossi non avreb­bero il diritto di governa­re? La risposta è una so­la: hanno il consenso della gente, e si sa, per la sinistra, insegna la sto­ria, la gente è pericolo­sa. Se poi chiede più fe­deralismo e meno tasse, cioè più libertà, è addirit­tura da internare. Cosa già successa in Paesi tan­to cari soltanto qualche anno fa a chi oggi ci vuo­le insegnare la democra­zia e le sue regole.  Il Giornale, 5 febbraio 2011

FEDERALISMO: LE ANOMALIE DI FINI

Pubblicato il 4 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Gianfranco Fini Il già nutrito elenco di anomalie della presidenza finiana della Camera si è allungato con un commento incredibile al pareggio con il quale si è conclusa nella cosiddetta bicameralina la votazione per il parere, peraltro obbligatorio ma non vincolante, sul decreto legislativo del federalismo municipale. La natura bicamerale della commissione, composta da deputati e senatori nominati dai presidenti dei due rami del Parlamento, avrebbe dovuto consigliare a Gianfranco Fini di consultarsi con il suo omologo di Palazzo Madama, Renato Schifani, prima di pronunciarsi sul 15 a 15 della partita. Glielo avrebbero dovuto suggerire ragioni, diciamo così, di galateo istituzionale, tanto più a causa dei dubbi sorti sulla stessa legittimità della composizione della commissione, formata su designazione dei gruppi parlamentari ben prima che nascessero quelli che Fini ha voluto creare dopo la rottura intervenuta con il presidente del Consiglio e il Pdl. Sino a quando i gruppi finiani sono rimasti, sia pure polemicamente, nella maggioranza la composizione di quella commissione poteva anche risultare compatibile con il principio della proporzionalità stabilito dalla legge istitutiva. Ma quando i finiani hanno attraversato il Rubicone, prima ritirandosi dal governo, poi reclamando l’apertura di una crisi extraparlamentare con la richiesta delle dimissioni del presidente del Consiglio, infine passando all’opposizione con tanto di mozione di sfiducia alla Camera, i rapporti di forza nella commissione non sono più risultati equilibrati.
Al presidente della «bicameralina», Enrico La Loggia, appaiono francamente e giustamente «troppi» quattro commissari su trenta di appartenenza al terzo polo, dove Fini ha deciso di accasarsi preferendo passare da numero due di Silvio Berlusconi a numero due di Pier Ferdinando Casini, o numero tre, dopo Francesco Rutelli. Ed è stato proprio il no del senatore finiano Mario Baldassarri a determinare il pareggio nella votazione di ieri dei bicameralini. Se solo egli avesse avvertito l’opportunità di astenersi per lo squilibrio creatosi nella commissione bicamerale dopo il passaggio dei finiani all’opposizione, si sarebbe evitato il pareggio. E con il pareggio si sarebbe evitata la gara subito apertasi sugli specchi dei regolamenti parlamentari per valutarne gli effetti, cioè per sostenere che il parere è stato negativo o è soltanto mancato. È una gara che farà felici gli specialisti della materia, non certo la gente comune. La situazione è «senza precedenti», ha sentenziato Fini con involontario umorismo, dimenticando che senza precedenti è prima di tutto la sua presidenza alla Camera, sopravvissuta al suo cambio di ruolo: da terza carica dello Stato, naturalmente e necessariamente neutra, a capo-fazione, anzi a capo di un partito alla cui gestazione egli partecipa da mesi con viaggi e comizi usando, ma forse sarebbe meglio dire abusando della sua visibilità istituzionale. Senza precedenti è anche la distinzione che Fini ha cercato di fare, sempre commentando il 15 a 15 della commissione bicamerale, tra «voto politico», che sarebbe mancato o sarebbe secondario, e «valutazione di merito», che sarebbe prevalente.

E, secondo lui, dovrebbe forse impedire o sconsigliare al governo di appellarsi alle aule di Montecitorio e del Senato, dove esso gode di una sicura maggioranza. Si può ben dire a questo punto che ciò che ha perso in autorevolezza, questa presidenza della Camera può solo guadagnare in stravaganza.  Francesco Damato, 04/02/2011

LE TASSE PESANO, LE LENZUOLA NO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 4 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Cos’è successo ieri in Parlamento? Tutto e niente. Tutto perché sono in corso le grandi manovre per assestare il colpo da ko a Berlusconi, niente perché qualsiasi mossa finora è andata a vuoto. Il piano finiano di aprire il varco tra Bossi e Berlusconi bocciando in commissione il testo sul federalismo ha mostrato la miopia dei tattici: solo uno sprovveduto poteva pensare che bastasse appendersi al voto e alla barba di Mario Baldassarri per metter fine alla legislatura. Il decreto uscito da una bicameralina senza potere, è rientrato in consiglio dei ministri la sera e ora passa al vaglio del Presidente della Repubblica.

Bossi ha condiviso questa procedura solo dopo aver verificato che la maggioranza tiene. Se gli chef della procura di Milano non riescono a cucinare il Cavaliere subito – e stanno aumentando la fiamma sotto il pentolone – il suo consenso parlamentare si allargherà. Alla Camera e al Senato nessuno vuole votare, la poltrona è preziosa, la candidatura incerta e il piano della magistratura è senza veli. E così i pm si sono visti dire no dai deputati. Restano solo due modi per far saltare Berlusconi: o la via giudiziaria o l’eliminazione fisica. La prima è praticata con insuccesso da diciassette anni, la seconda l’hanno già tentata una volta, ma la dentiera del Cav ha resistito. Gli italiani sanno da anni che Silvio – parole sue – «non è un santo», ma Berlusconi prende i voti. Le retate della Buon Costume non sono la politica. All’elettorato non gliene importa un fico secco delle sue prestazioni sopra e sotto le lenzuola. Se ne infischia delle seratone con Ruby, ma vuole dormire senza l’incubo della patrimoniale. Mario Sechi, Il Tempo, 4 febbraio 2011

LA CASA DI TULLIANI:BAGARRE ALLA CAMERA

Pubblicato il 4 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »

Sulla vicenda Montecarlo «deve essere più preoccupato Frattini di Fini». Era chiaro che sarebbe finita così: per Italo Bocchino, per Futuro e Libertà, tutto ciò che dovrebbe restare dello scandalo della casa di boulevard Princesse Charlotte ereditata da An e finita nelle mani del cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, non sono le responsabilità giuridiche o quanto meno politiche del presidente della Camera, ma quelle del ministro degli Esteri che ha cercato di far luce sulla vicenda. Un rovesciamento acrobatico della realtà che Bocchino – oplà – ha esibito in un’intervista a Repubblica, assieme a un tono vagamente minaccioso: «I documenti di Santa Lucia sulla casa di Montecarlo Frattini li ha ottenuti in maniera non ufficiale, usando degli intermediari che sveleremo al momento opportuno». L’argomento ieri ha tenuto banco in una seduta calda alla Camera, dove i futuristi hanno presentato un’interpellanza e il Pdl ha replicato con una contro-interpellanza per difendere Frattini da «attacchi politicamente inaccettabili».
Il clou della seduta è stata la risposta dello stesso Frattini, che sulla vicenda è indagato. Il ministro ha ricordato che fu Carmelo Briguglio di Fli a «chiamare in causa esplicitamente e formalmente» la Farnesina nella vicenda, chiedendo «chiarimenti» sulle carte prodotte dal governo di Santa Lucia e ha spiegato di essersi mosso con il governo caraibico «per fugare, anche sul fronte internazionale, ogni dubbio suscitato da false ricostruzioni sulla manipolazione del documento». Frattini ha ricordato che a New York, in occasione dell’assemblea generale dell’Onu, preavvertì il primo ministro di Santa Lucia che avrebbe scritto «per chiedere la conferma dell’autenticità del documento contestato». Risposta giunta il 28 dicembre a confermare «l’autenticità del documento». Frattini ha confermato di «aver inviato la lettera e la documentazione alla procura» come atto «di corretta collaborazione tra istituzione e non come notizia di reato». Frattini in aula ha anche parlato del caso Ruby, rivelando che «come confermato dai servizi di sicurezza e dalla rete diplomatica, non vi sono ipotesi circa una presunta ricattabilità del premier Berlusconi, né notizie di tentativi di forme di pressione da parte di potenze straniere o di organizzazioni criminali».
Tornando al caso Montecarlo, le parole di Frattini secondo Bocchino valgono come auto-accusa: «Frattini si è detto reo confesso, come complice di un’azione di dossieraggio». Sarcastica la replica di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl: «L’insuccesso vi ha dato alla testa, cari signori di Fli…»
……………..L’on. Bocchino, bombardiere politico di Fini, continua a non perdere occasione per rivolgere insulti e minacce agli uomini del PDL. E di certo ha ragione Capezzone quando osserva, giustamente sarfcastico, che quella dfi Bocchino e compagni è evidentemente la conseguenza dei tanti insuccessi che hanno collezionato negli ultimi mesi nella guerra santa contro Berlusconi. Anche questa contro Frattini alla fine risulterà una pistola scarica, specie dopo che Frattini ha ricordato all’immemore Bocchino, che fu l’altro pasaradan finiano, Briguglio a sollecitare il Minstero degli Esteri a fare chiarezza sulla lettera del paese caraibico. Ebbene, ora che luce è stata fatta, che vogliono i finiani e lo stesso Fini che li manda avanti come facevano gli ufficiali con i fanti che uscivano dalle trincee sotto il fuco nemico….A proposito di Fini, ultimamente si sofferma sempre più spesso sui giovani e sui doveri che lo Stato ha nei loro confronti e l’obbligo di assicurare loro un avvenire. Ovviamente, come tanti, Fini si limita a fare diagnosi ma mai che indichi una terapia o una soluzione al problema che esiste e che è destinato ad aggravarsi se chi siede in Parlamento, e come lui sullo scranno più alto, passa il tempo ad ordine congiure e assalti al governo che dovendosi difendere talvolta si distrae dagli affari urgenti per non soccombere dinanzi ai guardoni di stato.  Eppure proprio Fini dovrebbe conoscere le soluzioni, visto che in famiglia cìè un baldo giovane che pare abbia risolto il problema della soppravvivenza. Ci riferiamo al giovane cognato, il noto Giancarlo, che vive a Montecarlo, gira in Ferrari, siede nei ristoranti esclusivi di Montecarlo. Per fare tutto ciò deve disporre di un sostanzioso reddito. Ci piacerebbe sapere da dove attinge e a quanto ammonta tale reddito, considerato che per vivere a Montecarlo non basta lo stipendio da impiegato o similari. E poichè è assai difficile che le domande si rivolgere al cognato che da mesi è irreperibnile, basterebbe che a rispondere sia lo stesso Fini che di certo, vivendo in casa dei genitori del cognato, qualche cosa dovrebbe pur saperla. E se non lo sa, evidentemente si conferma, come per la casa di Montecarlo, che Tulliani cntinui  aprednerlo per il naso. Poco edificante per chi tutti i giorni sale in cattedra e vorrebbe dare lezioni di via, di stile, di morale, di legalità e per di più si candida alla guida del Paese, magari “dove il Paese vorrà“. Ecco, il Paese non lo vuole da nessuna perte, al più a fare il cognato del cognato. g.

I GUARDONI ALLA FINI E ALLA BERSANI ORA POSSONO VEDERE LA MAGGIORANZA CHE TORNA ASSOLUTA

Pubblicato il 4 febbraio, 2011 in Politica | No Comments »

La verità è nei nume­ri. E i numeri dico­n­o che questa mag­gioranza è sempre più stabile, votazione dopo votazione. Ieri, per la prima volta dopo la scissione finiana, è tornata a essere qualifi­cata, cioè a quota 316 (315 voti più Berlusconi che non ha votato),il nu­mero che decreta l’auto­nomia assoluta dall’op­posizione. Il progetto del Fli di essere ago del­la bilancia insieme con Casini e Rutelli è quindi ufficialmente fallito. Nei prossimi giorni, stando alle indiscrezio­ni, e analizzando pre­senti- assenti-astenuti del voto di ieri, il vantag­gio dovrebbe aumenta­re ancora. Se il Parla­mento perde tempo ri­spetto ai problemi del Paese non è quindi col­pa di una maggioranza che non c’è,come si vuo­le lasciare intendere, ma di una opposizione che ingolfa le Camere con tentativi di spalla­ta: ben sei voti di fiducia (tali devono essere con­siderati anche quelli su Bondi e sul caso Ruby di ieri) che sono stati re­spinti, tutti meno uno con ampio margine.

Bersani e soci se ne do­v­rebbero fare una ragio­ne: Berlusconi al massi­m o è come la torre di Pi­sa, pende ma non va giù. Merito suo e della Lega, alleato fedele an­che in un momento così delicato. Bossi è sotto ri­catto di Fini che ancora ieri gli ha proposto lo scambio indecente: tu mi dai Berlusconi, io ti do il federalismo. Il ri­catto è improponibile, e quindi irricevibile, non soltanto per motivi eti­ci. Il federalismo, Fini lo abolirebbe un secondo dopo aver ottenuto lo scalpo del premier con­sumando così l’ennesi­mo tradimento della vi­ta dopo quelli del fasci­smo, del post fascismo, di Casini, Berlusconi, più in generale degli elettori. La Lega sareb­be soltanto l’ennesimo bus sul quale il presi­dente della Camera sali­rebbe per farsi traspor­tare qualche metro e dal quale scenderebbe la fermata successiva.
La vera anomalia è che, grazie a meccani­smi obsoleti e ingiusti, nelle commissioni par­lamentari (vero motore della legislatura) i finia­ni sono ancora in carico alla maggioranza. Sono stati messi in quei posti con e per la maggioran­za ma votano con l’op­posizione.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: governo e parlamento decidono una cosa, le commissio­ni la bocciano, come è successo ieri per il fede­ralismo. Il problema del Paese è questo, non Ruby, non le notti a d Ar­core. Rispetto alle quali c’è da aspettarsi, dopo la bocciatura della Ca­mera alla richiesta dei pm milanesi di perquisi­re gli uffici politici di Berlusconi, un ultimo, disperato tentativo di colpire il premier per via mediatica. Come? Lo sapremo nei prossi­m i giorni, forse già nelle prossime ore. È questa l’ultima speranza alla quale si stanno aggrap­pando i guardoni alla Fi­ni e Bersani. I due non hanno voti in parlamen­to sufficienti a disarcio­nare il premier, non hanno voti per sperare di vincere eventuali ele­zioni. Il loro progetto po­litico è esibire al mondo una chiacchiera tra due ragazze intercettata da spioni di Stato, una foto scattata col telefonino in una casa privata. Su questo pensano di co­struire la loro fortuna politica e personale. Un po’ poco per candidarsi a guidare il Paese. Il Giornale, 4 febbraio 2011

LA CAMERA CONFERMA: NO AI GIUDICI

Pubblicato il 3 febbraio, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

L’aula ha approvato il parere della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio che proponeva di restituire gli atti con cui la procura di Milano aveva chiesto di poter perquisire l’ufficio di Giuseppe Spinelli, amministratore privato del premier. Gli atti tornano a Milano: schiaffo ai giudici. Pdl e Lega compatti: 315 sì, 298 no. E Fli perde un altro pezzo: si astiene Barbareschi. Che poi giura: “E’ un errore”

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Uno smacco ai pm. Un boato di applausi e di grida di giubilo che si leva dai banchi della maggioranza di governo accoglie la decisione dell’aula di Montecitorio di rinviare alla procura di Milano gli atti sul caso Ruby che ha coinvolto il premier Silvio Berlusconi. Fallisce il tentativo di spallata al governo. E all’opposizione non rimane altro che la delusione e il disappunto.Mentre si va sgonfiando l’inchiesta sul caso Ruby, la maggioranza risponde compatta. L’aula della Camera ha approvato il parere della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio che voleva la restituzione degli atti con cui la procura di Milano ha chiesto di poter perquisire l’ufficio di Giuseppe Spinelli, amministratore privato di Silvio Berlusconi, nell’ambito dell’inchiesta sul caso Ruby. Hanno votato a favore 315 deputati, i no sono stati 298. Un solo astenuto: si tratta di Luca Barbareschi del Fli, il quale però ha poi chiarito che si è “trattato di un problema di contatto elettrico nel pulsante di voto” e che lui ha votato con il partito di Fini.

“Ogni volta che provano a dare una spallata sbattono al muro e si fanno pure male”, dice il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl Ignazio La Russa. Che poi aggiunge: “Eravamo 316 (315 più Berlusconi assente, ndr) più un astenuto, Luca Barbareschi che continua ad astenersi perché io non lo voglio”. «Sia chiaro che io ho votato con Fli, è agli atti, basta guardare i resoconti stenografici». Luca Barbareschi ci tiene a chiarire alla agenzie che «il problema della sua apparente astensione è dovuto solo a un contatto elettrico nel pulsante di voto». E quindi, «mi raccomando – dice – andate a guardarvi lo stenografico». Il ’giallò di Barbareschi e del suo tormentato rapporto con Futuro e libertà insomma, almeno per stasera, è chiuso.

I numeri in aula alla Camera con il sì alla richiesta della giunta di rinvio degli atti alla procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta Ruby “sono buoni”, dunque per ora il governo “va avanti”. Ha commentato così il leader della Lega e ministro delle Riforme, Umberto Bossi, interpellato al termine della seduta di Montecitorio.

Intanto l’inchiesta si sta sgonfiando. Le prove che avrebbero dovuto far cadere il governo non ci sono. Il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati smentisce le voci sull’esistenza di nuove fotografie hard sulle cene ad Arcore. L’indagine sembra, infatti, impantanarsi in una fase difficile. La soluzione verrà trovata solo all’inizio di settimana prossima, ma si fa sempre più difficile il rinvio a giudizio immediato.

DOMENICA A BARI LA COMMEMORAZIONE DI PINUCCIO TATARELLA

Pubblicato il 3 febbraio, 2011 in Il territorio | No Comments »

Domenica mattina, 6 febbraio,  con inizio alle ore 10, presso il Terminal Crociere del Porto di Bari,  avrà luogo la commemorazione di Pinuccio TATARELLA, scomparso 12 anni fa, l’8 febbraio del 1999. Alla cerimonia cui presenzierà la vedova prof.ssa Angiola Filipponio Tatarella, interverranno il sen. Maurizio GASPARRI, presidente dei senatori del PDL, l’on. Ignazio LA RUSSA, ministro della Difesa e coordinatore nazionale del PDL, e il sen. Francesco AMORUSO, coordiantore regionale del PDL.

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L’ARTICOLO DEL GIORNALE SULLA PM BOCCASSINI: ANCHE IL CONSIGLEIRE DEL CSM BRIGANDI’ DENUNCIA PERQUISIZIONI CORPORALI.

Pubblicato il 3 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Strumenti utili

Perquisita la notte scorsa anche le abitazioni di Matteo Brigandì, consigliere laico del Csm, sospettato di aver passato a Anna Maria Greco i documenti riservati su Ilda Boccassini. Gli inquirenti sono in attesa di ottenere la documentazione sui possibili contatti telefonici o via computer con ilGiornale. All’ex parlamentare della Lega, intanto, è stato sequestrato il computer, ma questa mattina i carabinieri “sono tornati a casa mia a Torino e hanno fatto anche una perquisizione corporale”. Brigandì ha ricevuto anche un avviso di garanzia, ma si è detto tranquillo: “Non ho nulla da cui difendermi perchè non sono imputato, ma indagato”. Il consigliere non ha risposto alle domande su sue eventuali dimissioni.

La vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera, Jole Santelli, ha intanto commentato: “Ancora una perquisizione a Matteo Brigandì? Quanto zelo da parte dei pm! Vorrei che qualcuno ricordasse che mai sia avvenuta in italia un’indagine così pervasiva ed aggressiva per una fuga di notizie. La morale da trarre è chiara: le notizie che possono uscire sono solo quelle che le procure gradiscono, i giornalisti e i giornali che possono scrivere solo quelli di complemento all’opposizione ed alla magistraturA.

Intanto, la giornalista del Giornale Annamaria GRECO in polemica con la Procura di Roma ha confermato di essere stata costretta a toglersi anche la biancheri intima dalla carabiniera, invero “gentile” nel bagno di casa. E scoppiano ulterori polemiche per una perquisizione che sa di santa inquisizione o richiama alla mente i Paesi dove regna sovrano il reigme di polizia. Ovviamente quando ad essere oggetto di presunte violazioni della privacy sono i magistrati e non i comuni cittadini. Questi ultimi, come insegna anche il caso Ruby, possono essere tranquillamente sputtanati senza essere stati nè processati nè condannati.