SILVIO BERLUSCONI COME GHEDDAFI: L’ULTIMA BARZELLETTA di Giuliano Ferrara
Pubblicato il 5 marzo, 2011 in Costume, Politica | Nessun commento »
E’ in corso un tragicomico tentativo di spacciare le mille e una libertà italiane garantite anche negli anni di Silvio Berlusconi, e ampliate a dismisura, per un regime tirannico da abbattere con ogni mezzo. Il gruppetto ribaldo di Micromega, gli editorialisti neopuritani di Repubblica e altri virtuisti incoscienti sparsi qui e là non badano alle parole, iniettano testosterone e altri eccitanti nella folla smarrita dei loro lettori ideologizzati in una corsa che supera perfino o almeno compete con la demenzialità dei talk show.
Quel mattocchio di Gad Lerner s’inventa un bonzo  autoincendiario e lo mette nel conto al governo. «Con ogni mezzo» è la  parola d’ordine. Vogliono trasformare una legittima maggioranza  elettorale e parlamentare, e il difficoltoso e spesso stentato esercizio  del potere repubblicano, in un regime da abbattere con la violenza,  come la piazza araba con i rais. Per ora la violenza è delle parole, poi  si vedrà.
Eppure Berlusconi è la dolcezza di vivere, la volontà di piacere,  l’ingenuità moderata del potere («Non voglio disturbare il colonnello» è  una frase malaccorta ma autentica che passerà alla storia semantica  della politica). Troppa grazia, verrebbe da dire. Ve lo immaginate un Muammar Gheddafi inseguito per anni dai magistrati, dai giornali, dai talk show, e  scrutato a mero scopo di vilipendio nel pubblico e nel privato,  indagato, pedinato, origliato, violato in ogni sacrale spazio della sua  vita personale? Consiglio alle vittime della farsesca e inquietante  campagna contro la tirannia berlusconiana di guardarsi il discorso di  quell’uomo imbacuccato in preda alla paranoia che è Gheddafi,  gaddianamente un Buce, un Truce e un Duce: capiranno in un istante da  che tiranno sono governati, per differenza. Tra la danza di morte del  beduino e gli aggraziati minuetti del Cav non esiste paragone possibile,  i veri tiranni, i veri ossessi del potere sono i più estremisti tra i  suoi nemici, coloro che lo assolutizzano.
Nel colonnello libico si riassume la tragedia sconnessa e terribile di  un potere in autocombustione psichiatrica, sono lui e Fidel Castro i due  despoti di gigantesca e nera levatura della fine di secolo  novecentesca; in Berlusconi e nei suoi innocui video si vedono invece la  tenacia, ma anche il carattere fatalmente relativo del potere, la  saggezza compiacente del sorriso largo. Si capisce che per quell’uomo la  politica è un sistema di vita da fuggire nel privato, nella festa, nel  canto, una scelta pubblica imposta dalla situazione e poi praticata con  un misto di noia e diletto, in un vertiginoso e totale rispetto del  consenso popolare, sempre censito anche quando non ci sono le elezioni,  sempre al comando attraverso i sondaggi, che sono le mitragliette e  l’aviazione incapace di far vittime del nostro dittatore, del nostro  rais.
La pericolosa buffonata dell’assimilazione del potere italiano a quello  delle dittature arabe vale in sé due soldi, ma appunto è insidiosa, è il  frutto di un disturbo mentale usato da scaltri lobbisti per propagare  altro disturbo mentale, per diffonderlo nella parte di questo Paese che  si considera perdente. È la strategia del rancore, una livida battaglia  che porterà abbondanti dosi di male in nome del loro fottutissimo bene.

