Archivi per giugno, 2011

RITORNO ALLA CASA DELLE LIBERTA’?

Pubblicato il 29 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Ritorno alla Casa delle libertà?

Marcello de Angelis

Di Pietro ci ha detto che il tempo dell’antiberlusconismo è finito, che le contrapposizioni manichee non daranno risposte ai problemi del Paese, che sostenere che – se se ne andasse Berlusconi –  magicamente tutto andrebbe al suo posto è da irresponsabili. La sinistra del tanto peggio tanto meglio, del buttiamo giù tutto il palazzo pur di fare fuori l’eterno avversario, non convince più. La vittoria alle amministrative di esponenti importanti dell’antiberlusconismo potrebbe essere un boomerang: De Magistris non riuscirà a dare le risposte alla richiesta di legalità e di normalità che i suoi elettori napoletani si aspettano; Pisapia dovrà governare Milano insieme agli inossidbili poteri forti; Fassino si nasconde per non finire stritolato dalla pressione della sinistra massimalista che lo ha votato e che ora assalta i cantieri della Tav e cerca di bloccare l’accordo sindacale con la Fiat.
Se Berlusconi non si candidasse nel 2013 cosa resterebbe della coalizione anti-Cav? Quale collante la terrebbe insieme? Gli elettori di De Magistris e di Di Pietro sono di sinistra? E Casini potrebbe ragionevolmente motivare un intruppamento nelle file di Bersani, di Vendola o di D’Alema? Buttiglione pensa di no. Anzi va oltre, quasi a rispolverare immagini del ’94, quando l’Italia dei “moderati” iniziò la sua lunga marcia. Questa maggioranza governerà fino al 2013, è evidente. Due anni circa per rilanciare il Paese. Chiunque voglia governare dopo, dovrà salvarlo oggi. Il Secolo d’Italia, 29 giugno 2011

BERLUSCONI-TREMONTI: L’ABBRACCIO CHE VALE ORE, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 29 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Questa volta, cari lettori, non siamo capaci neppure di fin­gere di aver compreso quel­lo che è successo né, tanto­meno, quello che succederà nei pros­simi giorni. L’unica certezza è che ie­ri si è tenuta ­una riunione di maggio­ranza e che i partecipanti non si sono presi a schiaffoni. È già un buon se­gno. Perché molti nell’opposizione contavano su una rissa di coalizione che provocasse un pandemonio e, magari, la caduta del governo. Per esempio, Pier Ferdinando Casini. Il quale, al termine del verti­ce (scusate la parolaccia), ha espresso tutta la sua de­lusione con un linguaggio da trivio. «Tremonti è un cacasotto», ha detto te­stualmente il leader del­l’Udc. Perché un giudizio così severo, oltretutto inelegan­te, nei confronti del ministro del­l’Economia? Tiriamo a indovinare. Pierferdy si aspettava da lui una pre­sa di posizione ostile al premier e che questa accendesse un litigio fra i due,tale da pregiudicare la sopravvi­venza dell’esecutivo. Il fatto che non sia accaduto nulla di tutto ciò ha get­tato Casini nel più tetro sconforto. Lui, d’altronde, da circa tre anni è persuaso che la salvezza dell’Italia si potrebbe ottenere soltanto se il Cava­­liere, stanco di polemiche e attacchi che gli piovono addosso da ogni par­­te, uscisse da Palazzo Chigi sbatten­do la porta, lasciando ad altri il gravo­so c­ompito di governare un Paese no­toriamente ingovernabile. Cosa che non è mai accaduta. E siccome non è accaduta nemmeno ieri, il democri­stianone se l’è presa di brutto con Giulio Tremonti. Questa, amici, è la politica sottile di Casini, che passa per moderato; fi­guriamoci quella degli estremisti. Vabbè. E veniamo ai contenuti della seduta. Allora, è pronta o non è pron­ta la benedetta riforma fiscale di cui si discetta da settimane con la spe­ranza che sia un toccasana per l’Ita­lia? Diciamo che non è pronta, ma quasi. Per scoprire come essa sia e quanto incida sulla vita agra degli ita­liani, bisognerà tuttavia attendere fi­no a domani, quando si riunirà il Consiglio dei ministri e Tremonti ca­lerà le carte che ha in mano. Nel frattempo non ci resta che ri­portare qualche indiscrezione suffra­gata dalla testimonianza, rigorosa­mente anonima, di chi era presente al summit e si è degnato di spifferarci qualcosa. Cominciamo da un pette­golezzo. Giulio, non appena Berlu­sconi si è appalesato, lo ha rassicura­to: tranquillo, non mi dimetto. Risa­ta. E abbraccio fra i due. Consolante. Significa che presidente e ministrissi­mo non sono ai ferri corti, anzi. Dato che le tasse non si abbassano se contestual­mente non si sforbiciano le spese correnti, è emersa la volontà di mandare in pensione le donne (anche nel setto­re privato) alla stessa età in cui ci van­no gli uomini. Era ora. Mica per fare un dispetto alle signore, figuriamoci; si tratta soltanto di sancire anche a livello di quiescenza l’assoluta parità fra i sessi. E qui qualche soldo lo si recupera. Poi? Ticket sulla sanità co­me se piovesse. Ma non a capocchia. Solo per i malati meno gravi- bollino bianco, per intenderci- che si rivolgo­no alle s­trutture pubbliche per verifi­care il proprio stato di salute. Altro di importante non è filtrato dalle segre­te stanze dei bottoncini, se non che d’ora in avanti l’ultima parola su fac­ce­nde di quattrini non sarà più di Tre­monti, bensì di Berlusconi. Per concludere, una notizia del ge­nere «incredibile ma vero». Si è ap­preso che alcuni mesi orsono, a gen­naio, Luigi De Magistris, ora sindaco di Napoli,si batté eroicamente affin­ché l’Europa non elargisse 145 milio­ni di euro al capoluogo partenopeo al fine di finanziare lo smaltimento dei rifiuti.Perché?Boh!Forse per boi­cottare l’esecutivo impegnato a ripu­lire la città. Che ve ne pare? In ogni caso, l’episodio serve a capire quan­to a De Magistris stiano a cuore i suoi concittadini. Congratulazioni. Vittorio Feltri, Il Giornale, 29 giugno 2011

IL GELATO SPACCA L’ITALIA: AL NORD COSTA IL DOPPIO

Pubblicato il 29 giugno, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

Chi rinuncerebbe a un bel gelato quando la temperatura sale a trentacinque gradi? Pochi, pochissimi. La stragrande degli italiani è infatti golosa e ama il cono anche se costa quasi come una pizza margherita. Già, perché il giro di affari attorno a cialde e coppette ha sfiorato i 2 miliardi di euro nel 2010 e c’è da scommettere che quest’anno la cifra sarà superata per i rincari che non guardano in faccia a nessuno. Ma gli appassionati sono capaci di rinunciare alla verdura o alla frutta o all’intero pranzo pur di gustarsi il loro alimento calorico preferito. E poi si sa, un gelato può sostituire il pasto. Purché sia buono e genuino. Purtroppo, più gli ingredienti sono sani e più il gelato costa. Ma il prezzo dipende anche da dove si acquista. E in fatto di gelati il federalismo è già diventato una realtà. Al Nord (manco a dirlo) si spende molto di più. Da un’indagine di Altroconsumo emerge che Milano è la città più cara dove concedersi un cono: qui i prezzi oscillano tra 1,70 e i 2,50 euro per un cono piccolo e tra i 2,20 e i 3 euro del cono medio. Per acquistare un chilo di gelato, invece, si possono spendere dai 14 ai 24 euro, quanto un chilo di pesce spada. Un vero salasso. Segue a ruota Sorrento, che si contende il primato del secondo posto con Santa Margherita Ligure. Seguono Rimini e poi Roma. Per risparmiare bisogna scendere al Sud, molto al Sud. E arrivare a Palermo, città godereccia dove un cono piccolo a due gusti si può rimediare a un euro, mentre per un cono medio si spende dall’euro e cinquanta ai due. E poi ci sono le vie di mezzo. La campionatura è stata effettuata su 7 capoluoghi (Milano, Roma, Napoli, Bari, Genova, Rimini e Palermo) e 5 località di mare (Lido di Ostia, Sorrento, Santa Margherita, Mola e Mondello). E il costo varia molto, con una differenza vicina al 40% tra prezzo minimo e prezzo massimo.

Un’ingiustizia vera e propria per i golosi indefessi. Che si consolano almeno sulla scelta. Sono circa seicento i gusti disponibili (ne hanno fatto uno anche al pollo, per gli amici a quattro zampe) e dunque si può spaziare dalla liquirizia al puffo, dalla crema di riso al croccantino.

I gusti preferiti? Tengono testa, senza rivali, i classici. I più gettonati rimangono cioccolato, nocciola, limone, fragola, crema e stracciatella. Le soluzioni più creative, compreso le misture alla frutta esotica e non, scendono in secondo piano. Regge bene il pistacchio, ma solo se genuino e se fatto con i famosi pistacchi siciliani di Bronte. E visto che l’offerta diventa sempre più creativa, la domanda cresce di anno in anno. Tra gelati artigianali e industriali, le famiglie italiane spendono in un anno 1,9 miliardi di euro, per un totale di 82 euro a famiglia. Al Nord si scuce mediamente di più. Qui, per una media di 94 euro a famiglia, la spesa rappresenta il 52,9% del totale. Quella del Mezzogiorno è invece il 24% della spesa nazionale e si scende al 17% nel Centro Italia.

IN RICORDO DI ALFREDO COVELLI, CONSERVATORE LIBERALE

Pubblicato il 29 giugno, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Riprendiamo dal Corriere dell’Irpinia questo  ritratto di Alfredo Covelli,   leader carismatico del partito monarchico  che fu costantemente impagnato a  costruire  una destra  democratica e unita, alternativa alla sinistra. L’ultima volta che lo incontrammo fu in occasione delle esequie di Ernesto De Marzio (1995)  insieme al quale Covelli aveva dato vita a Democrazia Nazionale. Ebbe per chi scrive  parole affettuose e di affettuoso ricordo delle battaglie condotte insieme all’insegna di quel grande sogno che appartenne e appartiene a tutti i moderati italiani: un grande  centro destra nel quale far confluire tutti i moderati, i liberali, i conservatori italiani, questi ultimi  nel solco del pensiero di Giuseppe  Prezzolini.  Tre anni dopo, nel 1998, la morte lo colse non più impegnato direttamente ma sempre attento  agli eventi politici che, proprio in quegli anni, volgevano a favore della realizzazione di questo grande sogno. Il ricordo del Corriere dell’Irpinia (Covelli nacque e morì a Bonito, paesino dell’Irpinia) è stato originato dalla presentazione della raccolta degli scritti e dei discorsi politci di Covelli patrocinata dalla Camera dei Deputati della quale Covelli fece parte ininterrottamente dalla Costituente  (1946) sino al 1979 partecipando con rara capacità e valente impegno alla vita politica nazionale. g.

27/06/2011

Quando, nel Natale del 1998, l’onorevole Alfredo Covelli morì a Roma, a Palazzo Chigi c’era l’ex comunista Massimo  D’Alema che, nel suo messaggio di cordoglio alla famiglia, seppe efficacemente cogliere il principale elemento ispiratore della lunga missione politica e parlamentare del carismatico leader monarchico. Una missione cominciata nel 1946, a poco più di trent’anni, con la prima elezione a Montecitorio, dove fu protagonista attivo fino al 1979. Ponendo l’accento sul «lungo ed appassionato impegno politico, segnatamente nell’Assemblea costituente e nella costruzione delle forze politiche della destra italiana»,  D’Alema ne valorizzò il  ruolo di costruttore ante litteram di una possibile e credibile alternativa di destra conservatrice e non reazionaria nel sistema politico repubblicano. Una linea, a dire il vero, spesso appannata dalle componenti demagogiche e popolane del movimento (soprattutto nel Mezzogiorno, dove si trovava il maggior bacino elettorale della stella e corona che, non va dimenticato, si esprimeva anche attraverso l’anima del laurismo, politicamente meno colta e raffinata) ma che pure era efficacemente servita ad incanalare nel circuito democratico un consistente numero di italiani ancora ostili al regime repubblicano.  Questo merito gli venne significativamente riconosciuto dallo stesso presidente del Senato Nicola Mancino, che  volle rendere omaggio al suo antico avversario (da giovane democristiano, aveva combattuto tenacemente più i monarchici  che i comunisti), ricordandone la « passione di italiano, la  cultura, l’oratoria di rara efficacia, la lealtà nei confronti dell’ordinamento repubblicano, pur nella fedeltà all’istanza monarchica». Anche Giulio Andreotti lo salutò con affetto: «Non credo – disse al “Tempo”-  che Covelli abbia mai pensato alla restaurazione monarchica e so che ad un certo punto fu lo stesso sovrano a mettere un freno all’attivismo partitico dei monarchici», aggiungendo poi che il segretario dei monarchici ebbe anche «l’occasione di essere determinante: fu nel ‘53 quando gli alleati voltarono le spalle alla Dc e De Gasperi chiese al partito monarchico di lasciar passare alla Camera il suo ottavo governo».
Insomma, nel momento della scomparsa, il mondo politico italiano (naturalmente quello più attento alla storia politica della nazione) lo annoverò tra i padri nobili di quel progetto politico giunto ad effettivo compimento appena qualche anno prima, allorché la destra già missina e monarchica era riuscita ad entrare nella stanza dei bottoni. Non è un caso che sia stato proprio il presidente della Camera Gianfranco Fini a firmare la presentazione del volume che raccoglie gli scritti e i discorsi politici di Covelli, la cui pubblicazione è stata resa possibile grazie alla donazione del suo prezioso fondo documentario all’Archivio storico della Camera (il volume è stato presentato nei giorni scorsi a Bonito, grazie ad un convegno organizzato dal centro studi “Alfredo Covelli e Francesco Caravita”  in collaborazione con “L’Osservatorio sui processi di governo e sul federalismo” e la locale amministrazione comunale: dell’evento il  nostro quotidiano ha già offerto ampi resoconti)
L’impostazione critica del volume (che, oltre alla presentazione di Fini, contiene gli illuminanti saggi introduttivi di Francesco Perfetti e  Beniamino Caravita di Toritto) conferma, sul piano più eminentemente storico-critico, i giudizi già delineati all’indomani della morte di Covelli.
Colpisce, in particolare, il tentativo appassionato ma frustrato, perseguito soprattutto negli anni Sessanta, di coinvolgere il Partito Liberale nel progetto di fondazione di un polo democratico-conservatore alternativo all’egemonia politica ed economica del centrosinistra  ispirato da Aldo Moro e Pietro Nenni (non va mai dimenticato che Covelli fu eletto alla Costituente nella lista liberale dell’UDN di Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Einaudi). Di fronte al diniego di Malagodi e del suo partito, Covelli rispose con orgoglio: « rivendichiamo per noi non diciamo l’eredità, ma la continuità, di ciò che vi è di migliore, di ciò che vi è di vitale nella tradizione liberale italiana, da Camillo Benso, Conte di Cavour a Giovanni Giolitti».
Il tramonto del progetto e la progressiva erosione di consensi elettorali (era ormai venuto meno l’antico richiamo istituzionale) lo spinsero al forzato connubio con Giorgio Almirante, che ebbe un relativo successo elettorale nel 1972 ed ancora nel 1976, quando però si consumò la rottura traumatica tra i due leader (peraltro favorita dalla destra democristiana, in cerca di sponde alternative alla strategia del compromesso storico). A questo proposito, Perfetti  ha notato che «proprio nella chiave di lettura della formazione di una destra moderna, moderata e costituzionale va ricordata la partecipazione alla fondazione del Msi-Destra nazionale, di cui fu presidente, e la pur breve esperienza di Democrazia nazionale, dal 1976 al 1979».
Dal citato volume “Scritti e discorsi” proponiamo un ampio e significativo stralcio della lettera inviata a Giorgio Almirante all’indomani dello strappo. Lo scritto ribadisce efficacemente le convinzioni ideali di Covelli, costretto a prendere atto che il MSI-DN si ostinava a non intraprendere la tanto auspicata e sognata svolta liberale.
LE PAROLE DI COVELLI
Caro Almirante, al punto in cui sono giunte le vicende del Partito, dopo la drastica decisione presa ieri dall’Esecutivo, non posso che registrare la definitiva totale vanificazione di tutti i miei tentativi, di tutte le mie speranze. Ho creduto fino all’ultimo che si potesse salvare l’unità, convinto che questa valesse qualsiasi sacrificio. Mi sono purtroppo sbagliato: ne sono profondamente deluso ed amareggiato.
In queste condizioni non mi sento più a mio agio nel Partito che insieme a te avevo contribuito a rifondare in uno spirito unitario e di pacificazione che i nostri avversari ci avevano invidiato: non mi sento più a mio agio nel Partito che gradualmente ad opera dei tuoi più stretti collaboratori si è andato allontanando dalle posizioni che erano state fissate nel Congresso Nazionale del 1973 […] Intanto si intensificava alla base, ad opera di tuoi amici e collaboratori, una assurda campagna di linciaggio morale contro chiunque dissentisse, lasciando rispuntare offensivi motivi discriminatori che erano stati banditi all’atto della costituzione della Destra nazionale.
Ti confermo che non ero al corrente della decisione dei deputati di “Democrazia Nazionale” di entrare nella Costituente di Destra, accettando l’invito di quella organizzazione per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. Prescindo dalle valutazioni formali e, riferendomi a un giudizio di merito, ritengo che quei deputati, aderendo alla Costituente di Destra, abbiano inteso, come hanno poi spiegato, riaffermare la loro convinzione circa la validità della scelta irreversibile del sistema costituzionale italiano, sistema di libertà e di democrazia.
Al tuo posto li avrei inseguiti, sissignori, li avrei inseguiti, per un’ultima amichevole spiegazione e per un’ultima amichevole contestazione, sempre con l’intento, fors’anche disperato, di salvaguardare l’unità del Partito: penso ancora oggi che sarebbe stata vieppiù nobilitata la tua funzione, sia che il tuo tentativo avesse sortito esito positivo, sia che avesse sortito esito negativo.
Invece su tua proposta, con una decisione che giudico a dir poco affrettata, hai fatto dichiarare quei deputati decaduti dalla qualità di iscritti al Partito, senza sentire il bisogno di convocare per questa decisione di così grave rilevanza il Comitato Centrale o la Direzione del Partito: l’Esecutivo, che è un tuo organo fiduciario, a mio avviso, non avrebbe potuto, non avrebbe dovuto, in questa occasione, assumersi una così pesante responsabilità con un provvedimento che non poteva non significare irreversibile rottura e quindi conclusione fatalmente negativa dei fini e delle speranze che erano stati indicati al momento della costituzione della Destra nazionale.
Sicché, caro Almirante, consentimi di dirti che il Partito che tu oggi  dirigi non è o non mi sembra più quello in cui io sono entrato nel 1972: per la qualità delle assenze che purtroppo oggi si debbono registrare dopo la decisione dell’Esecutivo e per la qualità di certe presenze che ne squilibrano l’asse politico interno.
Sono venute cioè a mancare le ragioni per le quali in piena coscienza e con il massimo entusiasmo io entrai nel Partito. Obbedii certamente allora ad un dovere politico e morale, entrando e facendo entrare insieme a me nel MSI-DN tantissimi amici monarchici: ritengo di obbedire oggi ad analogo dovere politico e morale dimettendomi dal Partito così come oggi appare caratterizzato.
Ti prego di credere che la mia decisione è accompagnata da profondo rammarico, posso dire da sincero dolore; non si possono dimenticare, infatti, nel momento del commiato, tanti amici con i quali si è combattuto assieme in una difficile ed esaltante trincea.
Continuerò la mia battaglia come e dove potrò, con i sentimenti e gli ideali per i quali e con i quali ci siamo incontrati: sentimenti ed ideali che se professati e sostenuti in buona fede, non potranno, io credo, io spero, non farci incontrare ancora.

Con i più cordiali saluti.  Alfredo Covelli.



RIFIUTI A NAPOLI: CARO DE MAGISTRIS, ARRANGIATI O DIMETITTI

Pubblicato il 28 giugno, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Caro sindaco di Na­poli, Luigi De Magi­­stris, vorrei avere la cittadinanza na­poletana e spero che lei me la possa concedere. Mi serve allo scopo di par­lare schiettamente della monnezza senza rischia­re di essere accusato di antinapoletanità. Ri­schio che oggi, per me co­me per tutti coloro che ne discutono, è una certez­za. Recentemente ho par­tecipato a una puntata di Annozero. Michele Santo­ro è stato gentile e rispet­toso, in linea di massima, ma quando ho discettato di rifiuti che minacciava­no, già un mese fa, di soffocare la città, ho argui­to che non gradi­va le mie argo­mentazioni. Le solite: bisogna che le ammini­strazioni locali provvedano da sé a smaltire la sozzeria; non possono sempre, oggi co­me anni fa, puntare sul­l’aiuto del governo cen­trale, dello Stato, di altre regioni. Neanche avessi bestemmiato in chiesa. Il conduttore, spazientito, ha commentato: questo significa che tu abbando­neresti volentieri Napoli al suo destino, quello di soccombere all’immon­dizia. Non era questo il senso del mio discorso. Al contrario, ero e sono convinto che in casi di emergenza tutta l’Italia debba intervenire a Na­poli e altrove per dare una mano ai compatrioti in difficoltà. Che cos’è l’emergenza? È un fatto eccezionale che una sin­gola città o regione non è preparata ad affrontare autonomamente. Ma le lordure partenopee non sono assolutamente una calamità che ha colpito al­l’improvviso il Comune. Altrimenti saremmo de­gli incoscienti a non anda­re in soccorso dei fratelli napoletani.

Le suddette lordure purtroppo sono una ma­lattia endemica, fanno parte da qualche lustro della normalità, del pae­saggio vesuviano, esatta­men­te come i pini maritti­mi delle famose cartoline illustrate. Se­gno che i sinda­ci, le giunte e la cittadinanza non sono stati capaci di preve­nire il fenome­no né di repri­merlo e si sono rassegnati a su­birlo, confidan­do­nella collabo­razione di altre ammini­strazioni. Finora in effetti è stato così.

Alcuni anni orsono, Ro­mano Prodi «regnante», esplose il dramma mon­nezza, la stessa situazio­ne odierna. Il governo di centrosinistra, totalmen­te disarmato, fu costretto a prenderne atto, chie­dendo una mano a varie regioni affinché si impe­gnassero a realizzare ciò che la Campania non era in grado di fare: smaltire il grosso della spazzatu­ra. Il che avvenne solo parzialmente. Di lì a po­co, Prodi cadde; e comin­ciò la campagna elettorale, protagonista Silvio Berlusconi, che promise: sistemerò la questione in fretta. Fu di parola. La Protezione civile si prodigò e compì il miracolo. Strade linde, niente più pile di lerciume né cattivi odori.

Trascorsi tre anni, ci risiamo: solita scena, schifezze in ogni luogo. Perché? Ovvio. Come sostenevo all’inizio, un conto è gestire l’emergenza (e il premier la gestì in modo appropriato, col capo della Protezione, Guido Bertolaso), un altro è creare le premesse organizzative affinché non se ne presenti più un’altra. A chi toccava crearle? È evidente. Agli enti territoriali, secondo un modello consolidato e che funziona dalle Alpi alla Sicilia: ogni comunità, dalla più piccola alla più grande, smaltisce i propri rifiuti.

Tutti gli italiani si sono adeguati alla regola eccetto i napoletani. Che sono però le prime vittimedell’inefficienza dei loro rappresentanti democraticamente eletti. Vittime anche della camorra, afferma qualcuno, la quale briga per mantenere lo status quo al fine di ottenere l’appalto (ricco) del trasporto e dell’eliminazione del pattume. Sarà vero? Non sono addentro alla segrete cose della criminalità, ma so che essa nasce e si sviluppa nelle zone in cui il tessuto sociale è marcio. La camorra, come la mozzarella di bufala, è un prodotto campano tipico e non viene importato da Lugano o da Pordenone. Se inoltre analizziamo la grana immondizia sulla base delle cifre a disposizione, ci accorgiamo che la tassa comunale sui rifiuti di Napoli è la più alta d’Italia, però circa l’80 per cento della popolazione la evade, giustificandosi in maniera apparentemente corretta: il servizio non c’è, scemo chi lo paga.

Il concetto è limpido. Ma la riflessione si può rovesciare: finché la gente non paga un servizio, non ne usufruirà mai. Chi è nel giusto e chi sbaglia? Lo chiediamo a lei, signor sindaco, visto che ha vinto le elezioni puntando proprio su questo problema e giurando di risolverlo all’istante. Le ricordo una sua battuta imprudente: votatemi, e in cinque giorni renderò Napoli linda quanto non lo fu mai. Concordo con lei che in campagna elettorale qualche spacconata è lecita. Cinque giorni sono un’inezia? Facciamo dieci. Massì, largheggiamo: quindici. Poi però è necessario fare qualcosa di concreto, tangibile. E lei invece fin qui si è limitato a piagnucolare, dando la colpa a tutti, perfino a Berlusconi, del lerciume che continua a essere l’elemento di maggior spicco in città.

Mi domando come le sia venuto in mente di sbilanciarsi tanto: cinque giorni e vi restituirò la metropoli nel suo splendore. Ma chi credeva di essere,San Gennaro?Tra l’altro lei, bullismo a parte, ha sbandierato una ricetta a suo dire miracolosa, in realtà insensata: imporrò ai napoletani la raccolta differenziata e le sconcezze spariranno.

Termovalorizzatori (inceneritori), neanche a parlarne. Perché danneggiano la salute e sono inutili. Udendo queste sciocchezze le confesso di essere rimasto basito. Un quesito. Diamo per buono che lei sia all’altezza di pretendere la raccolta differenziata. Poi che se ne fa? Dove la nasconde, sotto il tappeto? La getta in mare o nel cratere del Vesuvio? La spedisce a Nichi Vendola? Oppure a Giuliano Pisapia (Roberto Formigoni non se la piglia, si metta il cuore in pace)?

Differenziata o no, l’immondizia o si brucia negli impianti appositi oppure giace lì e, come dice il leghista Matteo Salvini, tocca mangiarla.

Tertium non datur . A meno che lei non abbia in testa un’idea strana che le consiglio subito di accantonare in quanto irrealizzabile: e cioè impacchettare per bene la sporcizia e inviarla in Germaniaperché i tedeschi si incarichino, dietro compenso, a incenerirla. Nell’eventualità, chi salderebbe le fatture? Lo Stato ovvero tutti noi? Se lo scordi.Per quale motivo l’Italia intera sacrifica risorse ingenti per smaltire in casa tonnellate di monnezza, e solo Napoli – dato che a lei non piacciono i termovalorizzatori – reclama il diritto a rifilarla ad altri gratis o comunque a spese della collettività?Caro sindaco, è risaputo che adesso lei attenda fiducioso l’approvazione di un decreto che la tolga dai guai in cui si è ficcato da sé, garantendo ai suoi concittadini di possedere virtù soprannaturali. Può darsi che Berlusconi le venga incontro, e che Bossi mandi giù un’altra palata di pattume, giusto per dimostrare a chi l’ha votata di essere più bravi di lei. Ma se le lanceranno una scialuppa di salvataggio, sappia che è l’ultima. Dopo di che imparerà ad arrangiarsi oppure a ( dignitosamente) dimettersi. VITTORIO FELTRI

LA GIUSTIZIA BORDELLO DEL PM AMMAZZA BERLUSCONI

Pubblicato il 28 giugno, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

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Due ragazze, una delle quali con precedenti esperienze di sesso a pa­gamento, riescono a farsi invi­tare a una serata ad Arcore. Ce­nano con altra gente assieme a Berlusconi, poi tornano subi­to a casa non senza ringrazia­re via sms per la squisita accoglien­za e la bella espe­rienza. Sette mesi dopo leggono sui giornali dell’in­chiesta Ruby e, as­sistite da una avvo­catessa dell’Italia dei Valori, si fan­no­ avanti per chie­dere i danni mora­li, in quanto turba­te da quanto visto e letto.

La questione puzza lon­tano un miglio di furbata, ma non per il tribunale di Milano che ieri ha accolto la loro ri­chiesta di costituirsi parte civi­le. Se questo è l’inizio del pro­cesso al Bunga Bunga, figuria­moci la fine. Una sentenza di fatto già scritta, che per colpire Silvio Berlusconi passa anche attraverso Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, tutti e tre colpevoli di essere amici del premier e di aver frequentato Arcore con assiduità.

Ma ieri, prima udienza, i Pm sono andati anche oltre, definendo l’abitazione del pre­mier un bordello. Offesa a par­te, cosa ne sa un magistrato dei bordelli? Quando la sera un Pm si ritira a casa sua con l’amica che maga­ri ca­mbia ogni set­timana, la sua abi­tazione come la si definisce? Quan­do il medesimo è in libera uscita con l’amante, che succede? Commet­te un reato o sem­plicemente eserci­ta a modo suo le li­bertà fondamen­tali e individuali, comprese quelle di divertirsi e fornicare?

Il vero bordello è quello che, su più fronti, sta combinando la magistratura etica che vuole stabilire ciò che è reato non in base ai fatti ma alla morale piegata a scopi po­litici. Così alla sbarra finisco­no i rapporti tra maggiorenni consenzienti. Credo che pochi magistrati salverebbero la fac­cia da una simile gogna. Lo so per certo. Il Giornale, 28 giugno 2011

L’AMORE PIU’ PURO E’ QUELLO AUTARCHICO, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 27 giugno, 2011 in Costume | No Comments »

La palma d’oro della settimana va al Te­st­imonial Universale e valoroso onco­logo Umberto Veronesi che ha detto: l’amore più puro è quello omosessuale, perché è fine a se stesso e non mira a pro­creare. Capisco il professor Veronesi, e non mi riferisco all’età grave, ma con la sua fama di tombeur de femmes e di pa­dre plurimo aggravato, con tanti figli, for­se vorrà scusarsi di aver ingravidato trop­po. Da estremista solitario, radicalizzo la sua tesi e la porto alle conseguenze estreme: se è così, l’amore più puro è quello del masturbatore che non conta­mina eros con i corpi ma vive la passione erotica allo stato ideale, nell’immagina­zione, appena aiutato da una mano. Ev­viva Onan, che non è la posizione eroti­ca del nano capovolto, ma è il biblico per­sonaggio che amava il sesso solitario, o se vogliamo elevarlo, il vizio leopardia­no. Quella sarebbe la vera purezza, pro­fessore, il sesso autarchico e idealista, al­tro che quel groviglio di corpi, quel pa­sticcio di saliva, sudore e sperma. Per non gettare il bambino con l’acqua spor­ca, Veronesi getta il bambino, così l’ac­qua torna pulita.

A nobilitarla, la sua tesi è l’applicazione della teoria di Scho­penhauer: per lui l’amore è una trappola della specie, si serve dell’istinto sessua­le per perpetuarsi tramite gli arrapati. Ma la teoria di Schopenhauer è caduta miseramente sul preservativo: con il condom, la pillola o la spirale, si aggira l’astuzia della specie per riprodursi, ep­pure non è cessato l’impulso erotico. Il suo messaggio, professore, è brutto, in una società senza figli e con famiglie in crisi. E non perché sia una marchetta ai gay, ma perché degrada il ruolo dei genitori e la procreazione.

Se l’omoses­sualità è pura, la paternità è sporca. Leg­gevo la battuta di Veronesi la mattina del 24 giugno. Era San Giovanni e per la prima volta nella mia vita non potevo fa­re gli auguri a mio padre e sentire ogni anno più flebile e accorato il suo ringra­ziamento. Se non ci fosse stato il suo amore impuro con mia madre, non sarei qui. E così i miei figli, e voi tutti, e lei, professore. Se quell’amore era impuro, preferisco vivere in una sporca società. Al diavolo la purezza. Il Giornale, 27 giugno 2011

LA MISSIONE DI ALFANO, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Angelino Alfano e Silvio Berlusconi Angelino Alfano ha un compito ingrato: far convergere sulla sua figura un partito balcanizzato, il Pdl. È vero che la leadership di Berlusconi è sempre salda e non vi sono alternative, ma quella di Alfano è l’unica figura intermedia tra il capo e tutto il resto. Alfano è anche l’unica possibilità che la creatura del Cavaliere ha per trasformarsi da partito anarco-carismatico in un partito democratico tout court. In mezzo dovrebbero esserci le elezioni primarie. Silvio non vuol sentirne parlare, ma il mio consiglio resta sempre lo stesso: sono l’unica alternativa alla cooptazione, alla faida, alla selezione del peggio al posto del meglio. Cosa deve fare Alfano quando il 1° luglio si presenterà al consiglio nazionale? Al suo posto io farei un discorso politico a tutto tondo, non una semplice rendicontazione, a cui ci ha abituato purtroppo Berlusconi, delle cose fatte, non un elenco vuoto che viene scandito in maniera robotica, ma un documento politico, con un orizzonte e una visione di quello che dovrebbe essere un partito che vuole affrontare e vincere la sfida con la contemporaneità. Alfano dica chiaramente cosa ne sarà delle correnti, dia anche un’indicazione sul futuro di premiership e leadership, fissi le priorità del programma e le metta davanti agli occhi degli alleati e degli oppositori. Si presenti con il tono, le idee e il coraggio di un segretario politico. Sono consigli di un giovane a un altro giovane. Voltiamo pagina. O Alfano imbocca questa strada oppure finisce in testacoda. Io gli auguro un lungo cammino per sé e per l’incertissimo futuro dei conservatori italiani. Non abbia paura, non si volti indietro.  Mario Sechi, Il Tempo, 27 giugno 2011

……Chiunque abbia a cuore il futuro del centrodestra o, comunque, del grande partito dei moderati e conservatori italiani non può che essere d’accordo con Sechi e con le sue raccomandazioni ad Alfano. Chiunque non faccia parte del “cerchio magico” entro il quale si collocano quelli che, nel centro destra 8ma nel centro sinistra è la stessa cosa!) pensano solo a se stessi e al loro futuro personale, non può che attendere con trepidazione e speranza le mosse del giovane Alfano nel quale vengono riposte le attese e il futuro di un sogno lontano dal quale si rischia di svegliarsi prima ancora che si  realizzi come è accaduto con Berlusconi. Attendiamo gli eventi fiduciosi che non avremo sognato invano. g.

ANCHE LA SINISTRA STUFA DEI PM GUARDONI

Pubblicato il 24 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

E  alla fine della storia la P4 potrebbe anche mangiarsi i pm. Avrebbe potuto essere l’atteso colpo fatale a Berlusconi, dopo Bunga Bunga, elezioni e referendum: l’inchiesta basata sul nulla, in cui si contesta l’impalpabile reato di associazione segreta al lobbista Luigi Bisignani, intimo del vicepresidente del Consiglio Gianni Letta. Poco più di un pretesto attraverso il quale sputtanare tutto il governo, dando in pasto all’opinione pubblica giudizi sui colleghi, sulle leggi, critiche a Berlusconi, insulti, arrabbiature. Il grimaldello è quello solito, le intercettazioni usate per fotografare lo squallore della politica,  mettere nero su bianco odi e rivalità e far saltare tutto il sistema berlusconiano. Questa volta però nel copione si è inserito un fuori programma. Certo il contenuto delle telefonate non dà del governo un’immagine idilliaca ma l’opinione pubblica nel complesso no deplora, l’indignazione non è quella sperata, le geremiadi dei vari Flores D’Arcais e Travaglio scaldano solo gli anti-berlusconiani più estremi.
E la politica, anche quella di sinistra, non cavalca l’indagine. Anzi: Antonio Di Pietro dichiara che nelle intercettazioni dei ministri non si ravvisano profili di reato. Massimo D’Alema lo segue a ruota. Francesco Rutelli arriva addirittura a proporre una legge che istituzionalizzi e regolamenti le lobby, cioè l’oggetto dell’inchiesta sulla P4.  Il paladino dell’Associazione nazionale magistrati Fini sentenzia che «sarebbe brutto se il governo cadesse per interferenze esterne alla politica» e arriva a chiedere una norma che regolamenti le sbobinature. Il vicepresidente del Csm, il terzo polista Vietti, si unisce: «non è mai troppo tardi per una legge del genere».  È fin troppo facile per il pdl Cicchitto chiedere «la fine del gioco al massacro»,  e per il ministro uscente Alfano presentare il conto: le intercettazioni costano tanto e rendono poco, e lo Stato ha un debito di un miliardo di euro causato dalle spese folli delle procure.

Stavolta il tiro al piccione Silvio non sembra riuscire. Una novità in parte possibile proprio per le attuali difficoltà del premier. Indagini e pm sono stati determinanti nel fiaccarlo. Adesso però il Caimano fa meno paura. Adesso anche la sinistra sente l’odore del potere e, con esso, la minaccia che le Procure libere di colpire impunemente rappresentano. L’obiettivo di ridimensionarle e rendere il Palazzo meno ricattabile sembra contagiare tutto il sistema politico. L’inconsistenza penale dell’inchiesta P4, la vacuità dell’attività investigativa, il velleitarismo di certe toghe appaiono così  evidenti a tutti. E non è da escludere che tutti spingeranno per rimettere nel loro recinto i pm. Lo strapotere dell’Anm rischierebbe di finire quindi come tutti gli strapoteri: per bulimia.
Chiunque mastichi e viva di politica si rende conto che l’inchiesta P4 manca delle basi, perché va a indagare le relazioni, le strategie, il dare-avere, in ultima sostanza l’essenza della politica. Ne dà un quadro sconfortante, certo ma non sufficientemente terribile da far crollare il sistema. E la politica reagirà  per sopravvivere. Speriamo sia la volta buona. di Pietro Senaldi,24/06/2011, Libero

UNA LEZIONE AMERICANA, di Mario Sechi

Pubblicato il 24 giugno, 2011 in Giustizia, Politica | No Comments »

Luigi Bisignani Negli Stati Uniti uno come Bisignani non esisterebbe. In Italia invece sì. E la colpa non è certo sua, ma di un sistema che preferisce lasciare le relazioni pubbliche e il lobbismo nel limbo dell’incerto piuttosto che regolarle con una legge che imponga trasparenza. Sono stato un bel po’ di volte a K Street a Washington e al Congresso americano. Ho visto come funziona il rapporto tra lobbisti e congressmen. Gli interessi sono palesi, emergono nella loro sana dinamica, sono certificati, nessuno si straccia le vesti, questa è la differenza tra un grande Paese e un piccolo villaggio di furbetti ipocriti. Negli Stati Uniti le telefonate e i verbali impaginati in questi giorni non avremmo mai potuto leggerli. E la colpa non è certo dei giornalisti, ma di un sistema giudiziario e legislativo che è un colossale colobrado a dispetto degli strepiti e dell’indignazione che si professano ma poi non si tramutano in atti concreti, cioè buone leggi per tutelare non solo la privacy ma anche e soprattutto per separare le buone inchieste da quelle cattive. Quella istruita dal procuratore Woodcock – lo scrivo con grande rispetto per la magistratura – è una cattiva inchiesta. Priva di tatto istituzionale, guardona, voyerista, pettegola, gossipara, da coiffeur, ma senza per ora lo straccio di una prova che regga il processo. Di inchieste sui giornali ne ho viste decine e decine. Ma di sentenze esemplari che rispettano le premesse ben poche. Mi sarebbe piaciuto udire un monito del Presidente della Repubblica sull’eruzione di verbali che forse denunciano un costume ma non accertano un reato. Silenzio. Ma non dispero. Napolitano non vuole lo sfascio. E non è mai troppo tardi per applicare una lezione americana. Mario Sechi, Il Tempo, 24 giugno 2011