Archivi per giugno, 2011

LIQUIDARE SANTORO: OTTIMA MOSSA. FA BENE ALLA RAI

Pubblicato il 7 giugno, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Il giornalista Michele Santoro in una puntata di Annozero Nei palinsesti futuri della Rai, così come disegnati dal direttore generale, Lorenza Lei, non si trova nessuna trasmissione di Michele Santoro. Chi, per questo, griderà alla censura sarà ottuso tanto quanto chi inneggerà alla liberazione. Entrambe queste reazioni, oltre ad essere prive di senso, dimostrano di avere assorbito l’incantesimo di cui è stato capace Santoro: farsi credere unica voce sana in un mondo privo di libertà e colmo d’asserviti al potere. Ci vuole la fantasia allucinata dei gruppettari d’un tempo, per abboccare ad una simile fandonia. In realtà è la Rai a portare audience a trasmissioni come Annozero, le quali non portano, nella dovuta proporzione, quattrini alla Rai. È stata la Rai a donare il sangue a Santoro, non certo quest’ultimo a rivitalizzare le esangui casse della televisione statale. Il perché di ciò non è difficile da capirsi: è la Rai, con il suo ruolo di concessionaria pubblica, a dare valore alle trasmissioni d’informazione, ed è la Rai, con il suo scarso affollamento pubblicitario, essendo finanziata per la metà con una tassa (odiosa e ingiusta), a non costringere questo genere di conduttori a dovere accettare le regole del mercato. È vero quel che dice Santoro, circa gli alti indici d’ascolto. Ma quel tipo di numeri ha un senso se si porta dietro gettito pubblicitario, altrimenti sono mera muscolarità dell’etere. Adunate da Piazza Venezia al plasma. Il primo a sapere bene queste cose è proprio Santoro e per questo aveva accettato, appena un anno fa, di far le valigie. Dopo averle riempite di soldi. Quando lui stesso si misurò con le regole e i tempi della televisione commerciale, ideando trasmissioni come Moby Dick, in Mediaset, ha rimediato sonore sconfitte. Non era cambiato Santoro, che resta un maestro d’egocentrismo e istrionismo televisivo, era cambiato il rapporto: Mediaset non gli portava audience, ma si aspettava che fosse lui a farlo. Stanno ancora aspettando. La lezione fu importante e lui seppe capirla. Sono gli altri che non capiscono, ostinandosi a combattere in una trincea arretrata. Fu allora che l’uomo proveniente dalla sinistra maoista, reso famoso dalla pessima stagione del giustizialismo forcaiolo e del qualunquismo antipartitico, decise d’abbracciare l’ulivismo prodiano e farsi eleggere al Parlamento Europeo. Mossa furbissima, perché gli permise di dare in fretta le dimissioni da quel seggio (del resto poco frequentato) e di farlo in polemica con le regole relative all’apparizione televisiva di coloro che fanno politica. Se ne sono dimenticati quasi tutti, ma ne conserva buona memoria l’interessato. Si riverginò nella polemica con quelle regole e rompendo a sinistra, il tutto grazie a un signore che spadroneggiava con monologhi lunghissimi, in una trasmissione che parlava seriamente di Rockpolitik: Adriano Celentano. Quando si dice la gratitudine: Santoro chiude la sua stagione in Rai tornando a dare la parola a Celentano, che fa liberamente campagna referendaria senza rispondere a nessuna regola. Del resto, non era proprio contro le regole dell’equilibrio che si erano, assieme, battuti? Inevitabile parlare di Santoro, ma la vera protagonista della decisione è la direttrice generale. Mi sbaglierò, ma credo che ella abbia trovato un’interessante chiave per ridare fiato ai conti della Rai: disarmando le trasmissioni politicizzate, i cui costi sono alti, e riuscendo a farlo (a quel che sembra) senza pagare i dobloni che il suo predecessore era pronto a scucire, la Lei toglie attenzione e significato politico alla determinazione dei palinsesti. Certo, resta tutto il vasto capitolo delle spese allegre e delle produzioni agli amici degli amici, ma voglio vederti a difendere questo genere d’affari se viene meno la motivazione ideale della resistenza contro il tiranno. Ho l’impressione che se potesse chiudere anche i telegiornali, sostituendoli con le informazioni su quel che avviene, non esiterebbe. La Lei può imboccare la strada del disarmo (politico) unilaterale perché il principale concorrente, Mediaset, non ha nulla di lontanamente paragonabile alle trasmissioni tipo Annozero o Ballarò. Semmai qualche pallida imitazione, qualche contenitore che gareggia in faziosità senza competere in ascolti. Il che è inevitabile, come la passata esperienza di Santoro a Italia 1 dimostra. Solo che la Lei ne approfitta, liberandosi di pesi e costi. Forse farebbe bene ad approfittarne anche Mediaset. I telecombattenti andranno a La7? Può darsi, perché quando si è bravi si trova sempre un illuso disposto a darti soldi (non propri, perché in quel caso si trovano interlocutori piuttosto attenti). Ma in nessun luogo televisivo potrà mai ricrearsi quel rapporto possibile solo in Rai. Il che, non mi si fraintenda, non significa che creda indispensabile la sua presenza nel mercato, ma, al contrario, che la sua sola esistenza distorce totalmente il mercato. Prima o dopo si tornerà a parlare di cose serie, accorgendosi che non serve una roba denominata «servizio pubblico». Senza neanche esserlo. Davide Giacalone, Il Tempo, 7 giugno 2011

PDL: DISCUTERE E’ UTILE

Pubblicato il 6 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Un anno fa, subito dopo una straordinaria affermazione del Popolo della libertà alle elezioni regionali, Gianfranco Fini aprì una crisi nel partito, che fu affrontata con metodi burocratici e amministrativi. E’ inutile ora domandarsi se un approccio diverso alle differenze e alle contrapposizioni interne avrebbe potuto evitare la scissione o se essa fosse l’esito inevitabile della posizione assunta dal presidente della Camera. Quel che è certo è che è mancato allora lo spazio per un confronto, che da allora in poi l’esecutivo ha dovuto giocare sulla difensiva, senza più riuscire a imporre la sua agenda politica, subendo invece quella dei suoi avversari, politici, giudiziari o mediatici che fossero.

Ora il confronto interno è tornato a essere indispensabile, in condizioni più difficili, e sarebbe un errore grave, e forse irrimediabile, soffocarlo o delimitarlo forzosamante a questioni organizzative o formali. Un grande contenitore politico, che ha l’ambizione e ha esercitato finora la funzione baricentrica di uno schieramento competitivo e spesso vincente, deve trovare il modo ordinario, fisiologico, non lacerante, di mettere a confronto la varietà di posizioni, di sensibilità, anche di preferenze sulle persone più adatte ad assumere ruoli apicali. Spetta a Silvio Berlusconi promuovere e garantire la piena libertà e legittimità di questo confronto, oltre che definire il meccanismo di consultazione democratica che, alla fine, deve scegliere, sia in termini di opzioni politiche sia di uomini.

Considerare con fastidio, o puntare a concludere frettolosamente con qualche operazione di vertice questo confronto sarebbe deleterio soprattutto per lui. Esercitare la leadership significa dimostrare di essere in grado di trovare risposte convincenti alle critiche, che non costituiscono un reato di lesa maestà, di elaborare sintesi che colgano l’essenziale delle diverse posizioni senza che esse si trasformino in dissidi permanenti e laceranti. Se è ragionevole chiedere a tutti senso di responsabilità e misura, per evitare di trasformare una situazione difficile in una condizione di crisi irreparabile, è altrettanto essenziale che vengano pienamente dispiegate le ragioni di ciascuno, per trovare insieme le correzioni necessarie a una traiettoria politica che altrimenti appare declinante. Poi, al chiarimento delle opzioni interne al partito, sarà utile chiamare il “popolo”, cui troppo spesso si fa riferimento, a scegliere. Con la certezza che tutti accetteranno il suo verdetto. Fonte: Foglio Quotidiano, 6 giugno 2011

SE TRAMONTA IL BIPOLARISMO

Pubblicato il 6 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

L’opinione generale secondo cui gli equilibri del sistema politico italiano stiano per cambiare radicalmente sembra fondata. L’incognita è se ciò avverrà nel giro di qualche mese oppure di un paio d’anni: quanti ne mancano alla conclusione naturale della legislatura. Gli equilibri della cosiddetta Seconda Repubblica si sono retti sulla presenza di Silvio Berlusconi.

Il bipolarismo italiano era, ed è tuttora, un bipolarismo personalizzato, fondato sulla contrapposizione fra i sostenitori e i nemici di Berlusconi. Quando l’attuale premier uscirà di scena quegli equilibri salteranno. Ci sono due possibilità. La prima consiste nel passaggio dal bipolarismo personalizzato a un bipolarismo «impersonale» o istituzionalizzato: la contrapposizione non sarebbe più fra amici e nemici di Berlusconi ma fra una destra post berlusconiana e la sinistra. Naturalmente, emergerebbero, a destra come a sinistra, nuovi leader e entrambe le coalizioni dovrebbero rinnovare profondamente la propria «ragione sociale». Ma non ci sarebbe più «un uomo solo al comando»: alla leadership carismatica subentrerebbero leadership più oligarchiche, più collegiali. Non solo a sinistra, dove è sempre stato così, ma anche a destra.

La seconda possibilità è la fine del bipolarismo: partiti che ottengono mandati in bianco alle elezioni, governi che si formano e si disfano in Parlamento senza alcun bisogno di chiedere il permesso agli elettori. Per alcuni questo sarebbe un ritorno ai veri e sani principi della democrazia parlamentare, per altri (compreso chi scrive) sarebbe invece la riproposizione di antichi riti trasformisti.

Non credo che esista la terza possibilità auspicata in questi giorni da Giuliano Ferrara: un Berlusconi di colpo ringiovanito che riprenda con nuova verve le idee e i progetti del 1994, rivitalizzando così la propria leadership e la propria organizzazione politica. Il tempo è impietoso con tutti.Si tratta di vedere «come» Berlusconi deciderà di lasciare la scena politica. Lo farà preparando sul serio la successione oppure dovremo fra poco constatare che le mosse recenti, da Alfano segretario alle ventilate primarie, sono state fatte solo per guadagnare tempo? Se, come credo, l’alternativa che ci aspetta è fra un bipolarismo istituzionalizzato e il trasformismo parlamentare, allora Berlusconi preparerà davvero la propria successione salvando anche il Popolo della Libertà (senza il quale non è nemmeno concepibile il centrodestra) se, e solo se, lavorerà per consolidare il bipolarismo.

Nei momenti di passaggio da un equilibrio all’altro, secondo tradizione, viene organizzata dalla politica una grande festa da ballo «a tema»: il tema è sempre la legge elettorale. Qualcuno ne parla già apertamente e altri no ma tutti coloro che fanno professionalmente politica sanno che la riforma della legge elettorale è tornata di attualità. Se guardiamo alle dinamiche in atto e alle forze in campo, dobbiamo concludere che l’esito più probabile sia un ritorno alla proporzionale: basta eliminare il premio di maggioranza e il gioco è fatto. Poiché ciò a cui guardano gli attori politici è il proprio interesse di brevissimo termine (la politica è un’attività molto incerta, non consente di ampliare troppo l’orizzonte temporale, di fare calcoli che vadano al di là del breve periodo), il ritorno alla proporzionale, in questo momento, sembra convenire a (quasi) tutti. Quella scelta spalancherebbe le porte al secondo scenario qui ipotizzato: la fine del bipolarismo, la rinascita del trasformismo parlamentare.

Quella scelta avrebbe due controindicazioni. La prima riguarda il futuro della democrazia italiana. Per le ragioni dette, ciò può preoccupare più noi cittadini che i politici. Non esistendo più i forti e radicati partiti della Prima Repubblica, con la proporzionale si assisterebbe al trionfo di un notabilato politico impegnato a fare e disfare alleanze parlamentari: instabilità e ingovernabilità diventerebbero endemiche. La seconda controindicazione riguarda il Popolo della Libertà. La fine del bipolarismo e il ritorno alla proporzionale ne decreterebbero la dissoluzione. Si illudono coloro che in quel partito pensano che con la proporzionale potrebbero comunque godere di un bella rendita elettorale. Non esistono partiti per tutte le stagioni. Ricordate come finì la Dc di Mino Martinazzoli? Si illuse di poter sopravvivere al passaggio dalla proporzionale al maggioritario. Una volta effettuato il passaggio, il partito si dissolse. Il Pdl è nato con il bipolarismo e ne ha bisogno per continuare a esistere. Il suo interesse è che il sistema bipolare sopravviva. Per questo serve al Pdl una riforma elettorale maggioritaria, non proporzionale. In quella direzione dovrebbe muoversi Silvio Berlusconi se volesse davvero assicurare un futuro alla propria creatura politica.

Poi, certo, ci sono i contenuti della politica. La legge elettorale può solo influenzare la conformazione del campo di gioco, dettare alcune regole della competizione, e decretare la sopravvivenza o la dissoluzione delle forze esistenti. Vincere le elezioni è tutta un’altra storia. Conterà cosa farà o non farà il governo nei due anni restanti e, forse ancor di più, conteranno i profili e le scelte dei leader che, a destra e a sinistra, emergeranno al tramonto dell’era berlusconiana. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 6 giugno 2011

LE PRIMARIE NEL PDL? ANTIDOTO ALLE CONGIURE

Pubblicato il 5 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Quando uno le prende alle elezioni, poi ha in genere due vie di fronte a sé. La prima è questa. Ricucire la ferita facendo appello all’unità burocratica degli apparati, esercitare il potere per dissuadere eventuali congiurati dal passare all’azione, chiudersi con i fedelissimi e cooptare nuovi elementi fidati nel vecchio palazzo, scaricare il barile su altri e cercare una rivincita a suon di chiacchiere (per esempio promettere un ennesimo rilancio dell’azione di governo, fare discorsi complicati e inutili sul radicamento nel territorio del partito, dire senza ironia che è colpa della tv). Mi pare una strada sbagliata. Una pecetta va forse bene per una sconfitta laterale, sostanzialmente ininfluente, in un quadro di vitalità e baldanza del tuo schieramento. Ma è questa la situazione in cui si trova Berlusconi?
L’altra via, la via reale, è rimettersi in discussione senza trucchi, cedere una quota di potere in cambio di una nuova autorità. In una parola: rilegittimarsi con un’opera di riconquista democratica del diritto di decidere. Berlusconi ha perso altre volte, non è affatto nuovo alla sconfitta elettorale. Ma tutte e due le volte che ha perso con Prodi il suo carisma era fuori discussione. Era la vittima di un ribaltone, uno che non aveva avuto il diritto di svolgere un mandato, oppure un sovrano boicottato e insidiato da boiardi sui quali non era difficile scaricare ogni colpa. È ancora materia resistente, in un certo senso inattaccabile, il ruolo personale del Cav come deus ex machina di ogni possibile soluzione. Il mito della fondazione, della politica che non è mestiere, della lingua sciolta contro la lingua di legno, è ancora vivo. Berlusconi è ancora senza alternative, sia per il suo movimento popolare sia per il governo del Paese. Non è un turno elettorale amministrativo che liquida una delega politica esercitata avventurosamente per tanti anni con una forte, fortissima caratterizzazione personale. I «liberatori» delle città d’Italia cantano a squarciagola, ma dovranno portare una croce pesante per trasformare tra due anni vittorie per loro molto ambivalenti in una Reconquista. Però Berlusconi è significativamente indebolito, sta prendendo tratti di immobilismo impressionanti, è come risucchiato da una logica conservatrice che lo isola e lo induce a un monologo ripetitivo e sempre difensivo, subisce un assedio esterno e interno senza che si vedano in azione risorse di fantasia e di buonumore, fondate sulla disponibilità coraggiosa al rischio, che un tempo erano una sua prerogativa, amata dagli amici e invidiata dai suoi nemici.
Non sono state sfortunate elezioni di medio termine. Il risultato non è dipeso dalla crisi congiunturale della finanza pubblica e privata in Europa e nel mondo. È caduta Milano, il bastione della patria berlusconiana e nordista, e non c’è bisogno di aggiungere altro. A Napoli, che Berlusconi aveva cercato di reinventare come una specie di nuova capitale del Sud da curare come una figlia molto amata, un plebeista forcaiolo ha preso due terzi dei voti. Inoltre, alle elezioni partito e coalizione di Berlusconi sono arrivati male, divisi, alla fine impotenti e quasi obbligati a infilare un errore marchiano dietro l’altro. E il capo deve assumersi le sue responsabilità. Il vecchio mago poteva infischiarsene, rilanciare sempre, fare sì che il passato non fosse mai stato (prerogativa negata da San Tommaso perfino a Dio). Ma non è più quel tempo. Il Re deve darsi una costituzione, il suo carisma assoluto è out. Le primarie per eleggere il presidente del Pdl e i coordinatori regionali (il «segretario» invece deve essere designato, è il braccio esecutivo) sono uno strumento, non devono trasformarsi in una chiacchiera politicante. Strumento per cambiare decisamente. Per ottenere una delega nuova di zecca, e per ottenerla con una campagna impegnativa in cui una guida politica si misura con il consenso e con il dissenso in forma competitiva. La competizione va sollecitata, il ricambio anche generazionale va messo alla prova, i notabili devono anche loro sottomettersi al giudizio dell’elettorato. Il fatto che Berlusconi con ogni probabilità vincerebbe la competizione non la rende inutile. Si innesca un processo. Si creano bilanciamenti. Si seleziona una classe dirigente con il gusto della discussione e del contraddittorio, fuori dalle secche della infinita e circolare cooptazione. Si stanano le ambizioni sbagliate e si vanifica lo spirito di congiura che aleggia disperso nei labirinti della famosa «successione». Si rianima ciò che è disanimato.
Se qualcuno ha una proposta diversa, altrettanto radicale e persuasiva, si faccia avanti, e la formuli. Ma piccoli rimedi per estremi mali sono quanto di più pericoloso possa capitare a chi deve esercitare una vera autorità, e conquistarsela in modo nuovo e in circostanze nuove. Il fascino di Berlusconi nella storia italiana in fondo è solo in questo: la capacità di mettersi in questione, di rischiare, di comunicare, di reinventarsi.

…..Francamente non condividiamo la vediamo all’orizzonte del PDL alcun congiurato pronto a pugnalare il leader che sebbene acciaccato non ha perduto alcuno dei suoi poteri e alcunchè del suo carisma all’interno di un partiuto che è la sua creatura che senza di lui non avrebbe più aria per respirare. Certo ci sono molti scontenti e sopratutto ingrati i quali dimenticano di dovere a Berlusconi tutto ciò che hanno, forse non tuti madi certo quelli che politicamente sono nati con Forza Italia. Ferrara forse adombra l’ombra della congiura più per il piacere di scrivere sapendo benissimo che è l’ultima cosa che possa preoccupare Berlusconi. E’ condivisibile però il suo appello all primarie. Utili quelle  per la elezione del presidente che servirebbero a rinsaldare il vincolo che esiste tra Berlusconi e il suo “popolo”, necessarie quelle per la elezione dei coordinatori del partito, almeno queli regionali, per garantire una vera democrazia interna nel PDL. g.

FACCETTA NERA A SCUOLA, INTONATA A LECCE AL SAGGIO DI FINE ANNO

Pubblicato il 5 giugno, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Un momento del saggio di fine anno che ha suscitato polemiche Un momento del saggio di fine anno che ha suscitato polemiche

LECCE – Nel saggio di fine anno degli alunni dell’istituto di Lecce delle suore Marcelline, dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, c’é stato spazio anche per cantare ‘Faccetta nera’.

E’ accaduto ieri mattina, dopo vivaci polemiche che avevano accompagnato nei giorni scorsi la scelta fatta dalla direzione scolastica dell’istituto. La protesta era partita dal padre adottivo di una bimba di colore, il quale riteneva offensivo che nel saggio dedicato all’Unità dell’Italia si cantasse un brano anni ‘30, del periodo fascista, che inneggiava alla conquista dell’Etiopia.

Altri genitori avevano condiviso la protesta e la direzione dell’Istituto aveva dovuto convocare i genitori dei piccoli alunni delle elementari per motivare la loro scelta. Nessuna adesione agli ideali di quel periodo, avevano spiegato le suore, ma il programma ministeriale prevede la conoscenza dei periodi storici antecedenti e successivi all’Unità d’Italia, quindi anche il fascismo. Così ‘Faccetta nera’ non solo non è scomparsa dal programma delle prove degli alunni, ma è stata intonata anche stamani nel saggio di fine anno.

………Ecco una prova di vera unità nazionale che supera le barriere della guerra civile e racconta la storia senza farsi coinvolgere dalla pasisone politica. Oniore dunque al coragigo delle suore di Lecce che hanno dato una bella lezione di civiltà e di maturità ai tanti tromboni che vorrebbero celebrare i 150 anni dell’unità nazionale con la riserva mentale per un periodo  non breve nè privo di  significato della storia nazinale che si vorrebbe cancellare come se non fosse mai esistito. Così non è e ricordarlo nell’ambito dei programmi scolastici, come hanno sottolineato le suorine di Lecce, non significa aderirvi. Ma vallo a spiegare ai faziosi, agli ottusi e agli sciocchi. Impresa impossibile,  come mettere a morte tutti gli imbecilli. g.

IL CENTRODESTRA BADI AL SODO

Pubblicato il 4 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi: Costituiscono una indubbia e positiva novità le aperture fatte da Silvio Berlusconi all’uso delle primarie anche nel Pdl per sceglierne i vertici e i candidati alle elezioni, in un quadro naturalmente ben regolato. Meglio se con una legge, che garantisca davvero i partiti dal rischio di essere condizionati dalle “infiltrazioni” esterne giustamente temute dal presidente del Consiglio. Il Cavaliere ha evidentemente avvertito la necessità di voltare pagina nella gestione del suo partito: cosa che lo ha già portato peraltro a rivalutare e adottare la figura del segretario politico, che sembrava sino a qualche settimana fa procurargli l’orticaria ricordandogli vecchi e non sempre gloriosi movimenti politici. Con le primarie Berlusconi si sarebbe risparmiato probabilmente l’imbarazzo che deve avergli impedito di fare a meno, nelle ultime elezioni amministrative, di candidati non proprio all’altezza delle sfide, visti i risultati.

Le primarie non possono tuttavia esaurire le attese di un elettorato di centrodestra che ha fatto così rumorosamente sentire il suo malcontento nelle urne, o le ha apposta disertate. Sarebbe, per esempio, difficile dare torto a chi, alle prese proprio in questi giorni con i suoi adempimenti tributari, considerasse un alleggerimento della forte pressione fiscale più primario, diciamo così, delle primarie. La tenuta dei conti meritoriamente garantita dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti tra le incomprensioni e l’insofferenza anche di molti colleghi di governo, a volte persino del presidente del Consiglio, al netto di certe sue smentite, non sarebbe incompatibile con una riduzione concreta delle tasse se si avesse il coraggio di tagliare meglio e di più le spese. Basterebbe, per esempio, rispettare l’impegno elettorale del Pdl, incautamente contestato poi dalla Lega, di abolire questi costosi e inutili carrozzoni che sono diventate le province dopo l’attuazione delle regioni, e nel contesto del processo federalista in corso. Francesco Damato, Il Tempo, 4 giugno 2011

.……Siamo d’accordo. Prima di tutto occorre che il PDL governi per i prossimi due anni e realizzi gli impegni assunti con gli italiani, dalla riduzione della pressione fiscale alla riforma della giustizia, alla riduzione dei costi della politica, quelli veri e  per di più inutili, come quelli per il mantenimento degli ormai inutili carrozzoni rappresentati dalle Provincie. Propore l’abolizione delle Provincie,  tra l’altro,  servirebbe a verificare allo stato dell’arte la coerenza  e la correttezza di tanti, in primis di Casini, verso il quale si sprofondano in genuflessioni alcune anime in pena del PDL, per esempio Scaiola. Il quale Scaiola ha affidato a Repubblica (guarda un po’!) le sue esternazioni sul PDL, dottorando sulle cose da fare (ma non su quelle da non fare quando si è ministri…) per rilanciare il PDL, tra cui, appunto, la “riappacificazione” con Casini, sino a proporre, con l’UDC,  un unico partito. Tutto si può fare secondo i tempi della politica che spesso è tattica prima ancora che essere strategia, ma quel che non si può fare è continuare a tergiversare sui problemi degli italiani per i quali il filosofeggiare  sul futuro di Casini e dello stesso Scaiola conta molto meno delle tasse per il cui pagamento gli italiani hanno lavorato quest’anno 155 giorni e della sempre più difficile quotidianità. Tutto il resto, direbbe Ernesto Rossi, è aria fritta. g.

IL CENTRODESTRA DEVE SVOLTARE PER RECUPERARE I TROPPI DELUSI

Pubblicato il 4 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

In 18 anni, dal 1994 quando fece le prime prove, il centrodestra ha perso più di un’elezione: nel 1996 avvenne per la divisione tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, tra il 2005 e il 2006 per le trame di Luca Cordero di Montezemolo, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. Nelle elezioni del maggio di quest’anno ha pesato – più che le divisioni nello schieramento moderato – il fatto che un certo vento di protesta non era intercettato più prevalentemente da berlusconiani e bossiani, bensì da uno schieramento guidato da una linea estremista e giustizialista organizzata dal Fatto e accompagnata da la Repubblica, sorretta da agguerriti protagonisti mediatici e da pm tipo Ilda Boccassini.
Questa protesta e questo voto non hanno dato vita a un blocco sociale alternativo: non è e non sarà semplice mettere insieme i seguaci (e le basi sociali) di Fini e Casini e quelli di Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris. Però si sono poste le fondamenta per un’attività di disgregazione, ora in atto, ispirata da tutte le nomenklature primorepubblicane e dai vari centri del potere immobile italiano a partire dai settori «insurrezionali» della magistratura. Il blocco sociale del centrodestra può sicuramente ancora recuperare la sua centralità purché si renda conto che un certo tipo di protesta prima particolarmente «pagante» non può più funzionare.
È indispensabile senza dubbio diminuire le tasse ma non è possibile farlo (evitando di incorrere in rischi di tipo «greco») senza tagliare la spesa pubblica. È necessario incidere sulla spesa pubblica ma non ci si riesce senza una riforma dello Stato, innanzi tutto in senso federalista ma non solo. Si tratta di proporre un assetto delle istituzioni che consenta sia di governare sia di controllare chi governa in modo che ogni scelta non sia solo efficace ma possa trovare il consenso necessario che non sempre accompagna le scelte razionali quando sono prese senza una pubblica discussione.
È dunque indispensabile riformare lo Stato però non si potrà farlo finché larghi settori militanti e corporativi della magistratura non cesseranno di avere una linea demagogica e distruttiva che sconvolge la vita delle istituzioni stesse. D’altra parte riportare i magistrati insurrezionali nelle caserme (con la tappa inevitabile della separazione delle carriere) non sarà possibile se il centrodestra non darà vita a una chiara iniziativa per il consolidamento della legalità nel nostro Paese.
Il centrodestra non ha mancato nei campi richiamati di assumere iniziative, si consideri solo il contrasto di Roberto Maroni alla mafia o l’impostazione della riforma federalista, ma spesso le scelte sono state presentate singolarmente, con lo stile un po’ da movimento di opinione che caratterizza sia la Lega sia il Pdl, in sintonia con un certo mal di pancia nazionale che privilegiava gli slogan sulle «riflessioni». Oggi questa strada è in parte sbarrata dalla protesta estremista-giustizialista a cui va contrapposto innanzi tutto un profilo di governo che non hanno i manettari e tanto meno le nomenklature interessate solo al ritorno del proporzionale per impaludare l’Italia.
Quel che serve oggi è presentarsi come forza di governo della «complessità», il che è anche la base per vincere una guerra della comunicazione che vede oggi prevalere, nell’abilità dell’uso dei media, le truppe della «palude» e dei «manettari». La rapida definizione di un assetto di comando più chiaro e più politico nel Pdl va nel senso giusto. Ma va accompagnata con analisi articolate che aiutino a mettere insieme piuttosto che a dividere le diverse energie a disposizione.

MEGLIO LIBERI SERVI CHE VOLTAGABBANA, l’editoriale di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 4 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Ieri Ernesto Galli del­la Loggia, autorevo­le intellettuale, ha scritto l’articolo di fondo del Corriere della Sera sostenendo la tesi che il Pdl è un partito fat­to da servi di Berlusconi. Salvo Tremonti e Gianni Letta, tutti gli altri sareb­bero, secondo Galli del­la Loggia, un branco di pecoroni che hanno mandato il cervello al­l’ammasso. Il professo­re quantomeno non bril­la di originalità. Si alli­nea, con qualche anno di ritardo, alla tesi di San­toro e di Travaglio, che pure non hanno mai avu­to cattedre universita­rie. Del resto si tratta di una tesi banale e vec­chia come il mondo: il re, la corte, i cortigiani. Anche chi non ha spre­muto il cervello tanto quanto Della Loggia, ma si è limitato a leggere un paio di libri di storia, sa che le cose funzionano così sotto ogni cielo e ad ogni latitudine.

Non voglio fare l’avvo­cato non richiesto dei politici Pdl, ma cono­scendo un po’ l’ambien­te posso testimoniare che il tasso di mediocri­tà e/o servilismo tra i ber­lusconiani non è diver­so da quello che si trova in altri partiti o ambiti professionali, per esem­pio tra i docenti universi­tari. Lo spartiacque del giudizio non è l’obbe­dienza. Obbedire al ca­po non è da servi stupi­di. Le organizzazioni, gli eserciti si basano sul­l’obbedienza. I nostri soldati in giro per il mon­do sono morti obbeden­do ad ordini e per que­sto li celebriamo come eroi, non li bolliamo co­me servi di generali stol­ti.

Certo che non ubbidi­re è anche un lusso. Per esempio un docente uni­v­ersitario può disubbidi­re al rettore o al ministro quando e quanto vuole perché il suo posto è ga­rantito a vita e a prescin­dere dai comportamen­ti. Non è neppure detto che ribellarsi al capo sia di per sé eroico. Scilipoti si è ribellato a Di Pietro, ma lo hanno fatto passa­re per un venduto. In re­altà il mondo è pieno di contestatori che non avevano capito nulla e che hanno fatto più dan­ni del nucleare. Così co­me il mondo è pieno di intellettuali alla Galli della Loggia che scopro­no di avere le palle solo quando hanno l’impres­sione che il potente da mettere sotto tiro sia or­mai alla fine. È la cosid­detta categoria dei volta­gabbana, non meno insi­diosa e pericolosa di quella dei servi. Sono gli intellettuali che sono stati ferocemente craxia­ni fino all’arrivo di Di Pietro, dipietristi fino al­l’arrivo di Berlusconi, berlusconiani di ferro fi­no a pochi giorni fa, ora simpatizzanti di Pisa­pia, che domani non si sa mai. Comunque della Log­gia ha ragione sul fatto che esistono i servi. Il giornale che ha ospitato il suo articolo, il Corriere della Sera , è stato servo e servitore per oltre vent’anni del suo edito­re Gianni Agnelli, che guarda caso era anche il padrone di fatto del Pae­se. E non mi sembra che i giornalisti del suddetto quotidiano affrontino a schiena diritta i padroni delle banche, i finanzie­ri e gli industriali oggi azionisti del quotidiano di via Solferino. Ma so­no sicuro che Galli della Loggia non appartiene a questa schiera di ram­molliti e che, in qualità di intellettuale che ha a cuore le sorti del Paese, nei prossimi giorni scri­verà un secondo artico­lo senza censure o giri di parole sui servi del pote­re finanziario, giornali­sti, intellettuali o politi­ci che siano. Perché quando uno non è servo e ha le palle, nulla lo può fermare, neppure il ri­schio di perdere un ric­co contratto di collabo­razione. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 4 giugno 2011

ECCO IL VIZIO DEI SANTONI: PRENDERSI SUL SERIO

Pubblicato il 3 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Giuliano Ferrara è un vulcano mai spen­to. Il direttore del F­o­glio ha convocato in un teatro di Roma gli stati ge­nerali dei servi di Berlusco­ni, una sorta di rivolta di pre­sunti schiavi contro il padre padrone al quale, oltre a dir­gliene un paio, andrebbero inoltrati a fine giornata an­che dei consigli non richiesti e possibilmente intelligenti. Impresa ardua, anche se ol­tre a Ferrara, mercoledì sa­ranno a Roma direttori di giornali di centrodestra, opi­nionisti, intellettuali e fan­cazzisti, forse anche nani e ballerine perché l’ironia e il gioco sono armi spesso più efficaci dello spadone.

Lo sa­peva bene Indro Montanelli che con due battute e un con­t­rocorrente sapeva distrug­gere avversari politici e dare una mano ad amici in diffi­coltà partendo proprio dalla loro dissacrazione. Non mi permetto di com­­petere, ma in effetti il prende­r­e tutto e tutti sul serio produ­ce più danni che altro. Ieri, ultimo esempio, il presiden­te Napolit­ano si è indispetti­to perché Berlusconi si è per­messo, alla sfilata del 2 giu­gno, di toccare re Juan Car­los, cosa proibita dal proto­collo. Si può prendere sul se­rio una simile polemica? Vo­gliamo aprire un dibattito sul perché il presidente di una repubblica nata su un re­gicidio (politico), che per cinquant’anni ha vietato agli eredi reali l’ingresso nel Paese, senta il bisogno di di­fendere ridicoli privilegi dei reali di Spagna? Ma per favore. Dobbiamo prendere sul serio Nichi Ven­dola, quello che vuole conse­gnare Milano ai fratelli rom? Oppure credere alle favole di De Magistris, il pm che ha dovuto lasciare la magistra­tura il giorno prima di essere cacciato dai suoi colleghi?

Basta prendere sul serio Santoro, che ancora ieri sera si è preso sul serio da solo al limite del ridicolo. E cosa vo­gliamo dire di Adriano Ce­lentano, grande cantante ma soprattutto grandissimo paraculo sulla nostra pelle grazie appunto al fatto che lo prendiamo sul serio. Ieri sera ad Annozero , Celenta­no ha avuto microfono aper­to senza condizioni (cosa vietata al presidente del Con­siglio che per tre interviste è finito indagato). L’antinucle­arista, ambientalista mania­co Celen­tano ci ha fatto l’en­nesima predica sul progres­so cattivo. Celentano appar­ti­ene a quella casta di privile­giati che può permettersi di predicare bene e razzolare male senza che nessuno glie­lo contesti. Perché non par­liamo di quanto inquina­mento ha prodotto il fabbri­care i milioni di dischi, nastri magnetici e cd che hanno re­so miliardario il molleggiato nazionale? Perché Santoro non manda un inviato a rac­contare la reggia di cemento e acciaio che Celentano ha costruito in un bosco della verde Brianza?

Che vetture, che tecnologia usa Celenta­no per spostarsi, soddisfare capricci e necessità? Lui vuo­le vivere nel 2011 con tutte le comodità del tempo e ri­mandare noi nella via Gluck tutta prati e cascine. Il progresso ha prodotto disastri come Chernobyl, ma anche scoperte che han­no salvato la vita a milioni di persone. Parlare dei primi e tacere sulle seconde è scor­retto e da mascalzoni. In­somma, siamo circondati da gente che manipola la ve­rità e ci prende in giro. Noi dovremmo prenderli sul se­rio. Che il centrodestra ritro­vi velocemente la capacità di fare, ma anche quella di ri­der­e su accuse tarocche e de­ridere falsi santoni. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 3 giugno 2011

BERLUSCONI A MATTINO 5: SI ALLLE PRIMARIE MA SENZA INFILTRATI DI SINISTRA

Pubblicato il 3 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Sul nucleare: “L’esito del referendum non ha nulla a che vedere con il governo, se i cittadini non vorranno le centrali, noi ne prenderemo atto”.

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi Io non sono contrario” alle primarie “purché si arrivi ad essere certi” che i votanti siano dei veri sostenitori del Pdl e non degli “infiltrati di sinistra”, magari con una “sorta di registro di coloro”. “Riconosco la sconfitta” alle amministrative, alle comunali “abbiamo subito un gol ma continuiamo a vincere e a condurre per 4 a 1″. Lo ha affermato il premier Silvio Berlusconi parlando nel corso della trasmissione televisiva “Mattino5″. “Il governo paga dazio in momenti di crisi ed anche la scelta dei candidati ha pesato”. Il presidente del Consiglio ha aggiunto che la “tenaglia” dell’informazione, “soprattutto della Rai e de La7″, ha fatto il resto tanto che gli elettori moderati disgustati non hanno votato.

SU TREMONTI Noi e gli italiani dovremmo fare un monumento a Tremonti e a tutto il governo” ha poi proseguito il premier durante la telefonata con Maurizio Belpietro su canale 5. “Stiamo uscendo dalla crisi senza usare gli strumenti di altri paesi europei” ha continuato Berlusconi, “non abbiamo aumentato nessuna imposta e non abbiamo messo mai, mai le mani nelle tasche degli italiani”. Berlusconi ha ricordato che in altri paesi europei si è “ridotta la cassa integrazione” mentre in Italia “è stata data a tutti i lavoratori” rimasti disoccupati, che non “si sono messe nuove tasse”, che insomma “siamo usciti dalla crisi” senza i provvedimenti adottati da altri paesi europei.

REFERENDUM L’esito del referendum «non ha nulla a che vedere con il governo, se i cittadini non vorranno il nucleare, noi ne prenderemo atto». Il premier, che ribadisce la linea della «libertà di scelta» agli elettori, definisce quello sul nucleare un voto «inutile» perchè avviene su un quesito il cui oggetto, la localizzazione delle centrali, è era disciplinato da norme che «sono già state abrogate». L’esecutivo, comunque, «si astiene» dal dare indicazioni, e si atterrà alla volontà degli elettori, assicura il premier. Quanto al referendum sull’acqua, per il Cavaliere il quesito è «fuorviante» perchè non è in discussione la privatizzazione dell’acqua ma l’eliminazione degli sprechi. 3 GIUGNO 2011