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L’ADUNATA DEI SERVI DEL CAVALIERE, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 3 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi Troppo presto. Ho la netta impressione che i cari nemici del Cav stiano per ricevere da Crono una solenne fregatura. Dopo il crollo di Milano sorridono mostrando denti da squalo. Parlano con il ghigno di chi vede imminente il cambio di ogni pezzullo dell’inesistente mosaico del potere berlusconiano. Si legge nei loro occhi l’ansia di punizione e il progetto di epurazione e rieducazione, la voglia compulsiva di indicare l’espiazione per i colpevoli del regime. Basta leggere, ascoltare, vedere, incontrare qualcuno degli alfieri della Nuova Era per comprendere che questa è la nuova Utopia. Non faranno molta strada. Sì, forse vinceranno ancora qualche partitaccia e giocheranno anche qualche tiro mancino con l’arma impropria, perfino le elezioni del 2013 possono incassare e forse raggiungeranno l’acme del godimento nel vedere il Cav finire nella polvere, maxi multato, condannato e magari in esilio come Bettino Craxi. Forse riusciranno a fare un plasticone di piazzale Loreto, forse compileranno temutissime liste di proscrizione, forse democraticamente e pacatamente si preoccuperanno di assicurare un finto spazio di dissenso a destra, giusto una fiammella in mezzo al grandioso Istituto Luce Progressista di cui abbiamo già visto le opere di celluloide durante il regno prodiano. Forse riusciranno a fare tutto questo. Forse. Perché il berlusconismo non è finito. Forse. Non è ancora tutto da rinchiudere in una brutta valigia da sbattere in soffitta. Forse. Sì, cari nemici del Cav, forse è troppo presto.

Sentono la vittoria in tasca e presumono troppo. In anticipo. Sentono l’odore del sangue della preda, ma non colgono il rischio di ricevere un colpo di coda della maggioranza silenziosa che sta alla finestra, ama un po’ meno questo Berlusconi – forse ne attende un altro – ma non ha dimenticato di che pasta sono fatti gli altri incompiuti della storia. Ah, certo, loro se ne infischiano perché già vivono nel «post». Post-it. Post-Berlusconi. Post-berlusconismo. Post-Pdl. Post-fango. Post-bavaglio. Post-Arcore. Post-tutto. Massì, il Cavaliere ha preso una colossale botta, cribbio. Ma attenzione perché le vie della politica sono infinite. Se si fa di nuovo politica. Certo, dovrebbe capirlo per primo lui, Silvio, e non è detto che vi riesca e abbia voglia di ascoltare qualche temerario ma onesto, disinteressato e amichevole consiglio. Per questo ha bisogno non dei bisbigli dei cortigiani, ma di un paio di sonori schiaffoni per rimettersi in pista. Giuliano Ferrara s’è messo in testa di fare la festa “al nostro idolo infranto” e ovviamente noi ci stiamo, cribbio. È da mesi che consumiamo inchiostro per dire a Berlusconi che no, accidentaccio così non si va lontano, che il muro di titanio fa male al cranio, che serve altro, che le facce feroci non sono belle da vedere, che i penultimatum sono falò, che la sua macchiettizzazione si nutre dei suoi errori, dei suoi videomessaggi zdanovisti, che non si conduce un partito come una bocciofila, che non si dà il Gerovital a Prodi con ingenui scivoloni, che nei comizi si fanno discorsi politici con l’idea, il sogno e il sorriso e non interrogazioni a risposta guidata, che bisogna rifare il leader e il partito, lanciare le elezioni primarie nel centrodestra e parlare di rivoluzione conservatrice. A partire dall’economia e dal desiderio di un fisco dal volto umano e uno Stato inflessibile ma mite.

Bene, ora che tutti gli avvertimenti sono stati inutili, ora che le truppe cominciano a guardarsi intorno per trovar riparo dal diluvio, ora che il motto «io non sono mai stato berlusconiano» comincia a circolare nelle stanze dei bottoni, ora è il momento del sorriso e dell’invettiva, del ragionamento e del coup de théâtre, dell’orgogliosa rivendicazione della storia e dell’identità, dell’adunata dei «servi liberi e forti» di ferrariano conio. Ribaltamento del senso e sberleffo supremo a quelli che praticano il feudalesimo intellettuale e pretendono di applicarlo anche a noi. E se il Cav non si sveglia, pazienza, perché c’è lo stesso un Belpaese che non dorme e sa che è propria questa l’ora migliore per continuare a ribaltare le architetture ideali dei furfanti del politicamente corretto e la dissacrazione dei totem del Progresso Imminente. Se il Cav non si sveglia, noi ci proviamo lo stesso mercoledì prossimo a Roma, al Teatro Capranica, a dirgli che scorrono i titoli di coda ma non è troppo tardi per cambiare sceneggiatura e far finire la torta in faccia a chi ha vinto troppo presto. Mario Sechi, Il Tempo, 3 giugno 2011

.…….. Sechi che ha rotto gli argini e ha denunciato quel che dietro le parole si  pensa di intravedere intorno al PDL e a Berlusconi. Che forse  è quel che accade sempre alla fine di una stagione politica e cioè il riposizionamento di quanti sono pronti a mutar bandiera. E’ sempre accaduto e la Storia che è maestra di vita è lì a rammentarcelo. Per stare alla nostra di Storia e alla seconda metà del secolo scorso,  sono sufficienti due esempi. All’indomani della caduta del Fascismo e di Mussolini, la mattina del 26 luglio del 1943, le strade d’Italia si ritrovarono cosparse di milioni di “cimici” come venivano chiamati i distintivi del PNF che la quasi totalità degli italiani portavano all’occhiello della giacca per fregiarsene orgogliosamente e che poche ore dopo la fine del fascismo si affrettarono a buttar via, simbolico passaggio all’altra parte.   Ricordiamo  a questo proposito un episodio che ci fu raccontato  da chi c’era quella mattina. Un signore di Bari, sfollato a Turi, si recava alla stazione pe prendere il treno per Bari ed era ancora all’oscuro della decisione del Gran Consiglio e della caduta del Duce. Percorrendo la strada intrevide molti disitntivi del PNF gettati per terra e tra questi uno d’oro che era quello riservato ai gerarchi. Lo raccolse e se lo infilò  sveltamente e orgogliosamente all’occhiello della giacca. Ma gli bastò giungere in stazione per apprendere quel che era accaduto nella notte a Roma e  altrettanto sveltamente a  liberarsi dello scomodo istintivo. E saltiamo al 1994. All’indomani della tragica stagione di Tangentopoli neppure uno dei milioni di italiani che avevano votato per i partiti della prima repubblica spazzati via  da Tangentopoli ricordavano di aver votato e sostenuto quei partiti e la loro classe dirigente. Sta per accadere ancora? A leggere quel che scrive Sechi parrebbe di si e parrebbe che sia già in atto. Forse. Ma ha anche  ragione Sechi quando avverte che non tutti i giochi sono conclusi e non tutto ciò che appare davvero si verificherà. Ma se accadesse sarebbe una catastrofe per la democrazia e la libertà del nostro vivere quotidiano per come sinora le abbiamo conosciute e praticate. Speriamo che Sechi si sbagli e che i moderati italiani non abbiano a rimpiangere  quel che è stato. g.

FISCO PIU’ UMANO, STOP ALLE GANASCE

Pubblicato il 2 giugno, 2011 in Economia | No Comments »

Stop alle cosiddette “ganasce fiscali”, cioè le riscossioni coattive, verso quegli imprenditori che per difficoltà economiche temporanee sono morosi verso Equitalia e gli altri enti di riscossione: lo chiede una risoluzione approvata con voto bipartisan dalla commissione Finanze della Camera.

Il documento, a prima firma di Maurizio Bernardo (Pdl), chiede anche di togliere ad Equitalia la riscossione delle multe e riportarle in capo ai comuni. Il testo potrebbe diventare un emendamento al decreto Sviluppo.

La risoluzione impegna il governo a “introdurre elementi di maggiore flessibilità nelle procedure di riscossione coattiva nei confronti di quegli imprenditori che dimostrino di non essere in grado di ottemperare alle scadenze fiscali e contributive per una temporanea difficoltà economica legata alla congiuntura negativa, attraverso un intervento normativo teso a rendere strutturale la possibilità di concedere al debitore un nuovo piano di rateazione, in caso di mancato pagamento di una o più rate determinato da un comprovato peggioramento della situazione di difficoltà economica del debitore stesso”.

Inoltre il governo dovrà rivedere la disciplina della riscossione degli importi “non significativi”, cioè inferiori a 2.000 euro, in modo tale che l’agente della riscossione sia “tenuto semplicemente ad inviare al debitore solleciti di pagamento”.

Maggioranza e opposizione chiedono poi all’esecutivo di “rivedere il meccanismo di espropriazione sugli immobili, elevando a 20.000 euro l’importo al di sotto del quale non è possibile iscrivere ipoteca ovvero procedere ad espropriazione, prevedendo inoltre che, qualora il debitore risulti proprietario di un solo immobile nel quale abbia la propria residenza l’iscrizione ipotecaria sia necessariamente preceduta dalla notifica di una comunicazione preventiva che assegni al debitore stesso un termine di trenta giorni per effettuare il pagamento, prima che si proceda all’iscrizione del gravame”.

Per quanto riguarda poi il meccanismo di calcolo delle sanzioni tributarie, esso andrà riformato “in particolare escludendo forme di anatocismo, legate all’applicazione di ulteriori interessi sulle sanzioni e sugli interessi di mora maturati per il mancato pagamento dei debiti tributari, limitando la crescita degli oneri connessi ai ruoli esecutivi e rivedendo il meccanismo dei compensi di riscossione”.

Infine, in vista dell’attuazione del federalismo fiscale, la risoluzione chiede al governo “la riorganizzazione del sistema della riscossione coattiva da parte dei Comuni, verificando in tale contesto l’opportunità di concentrare l’operatività di Equitalia sulla riscossione dei crediti di natura tributaria e contributiva, lasciando al sistema della riscossione degli enti locali la competenza in materia di riscossione delle altre entrate di spettanza dei medesimi enti locali”.

Che cosa cambia tra Fisco e contribuente

II limite al blocco fino a duemila euro - Accordo tra maggioranza e opposizione per introdurre modifiche alle ganasce fiscali, che scattano dopo una serie di solleciti di pagamento ai contribuenti sia per le tasse sia per le multe dei Comuni. Sotto importi complessivi per 2.000 euro spariranno le ganasce e l’ente riscossore sarà tenuto solo a inviare al debitore solleciti di pagamento.

Niente ipoteca fino a 20 mila euro - Uno dei poteri dell’amministrazione finanziaria in caso di mancato pagamento delle imposte è il pignoramento degli immobili. Per quanto riguarda l’espropriazione degli immobili questa procedura potrà avvenire solo per importi superiori ai 20 mila euro. Al di sotto di questa soglia non sarà possibile iscrivere a ipoteca ogni tipo di immobile intestato al debitore.

La scadenza slitta di 60 giorni - Dal primo luglio scatta l’accertamento esecutivo e va in pensione la cartella esattoriale. La casa è messa al centro delle attenzioni del Parlamento anche per altri aspetti. Se il debitore è proprietario di un solo immobile nel quale abita, può ottenere uno slittamento di 60 giorni per effettuare il pagamento ed evitare il pignoramento.

BOCCHINO, OVVERO IL PROFETA DISPERATO

Pubblicato il 2 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Esistono frasi storiche: “Il dado è tratto”, “Parigi val bene una messa”, ad esempio, autori rispettivamente Giulio Cesare ed Enrico IV. Poi ci sono quelle di ieri sera: “Senza Fini, Berlusconi non vince più”, “Fini non si dimetterà mai”. L’autore è Italo Bocchino, le ha pronunciate a “8 e mezzo”. Che cosa può indurre un uomo a esprimere formule di questa portata universale che rimbalzano di secolo in secolo? Su Cesare che tornava a Roma dalla Gallia e sul Borbone che poneva fine alle guerre di religione in Francia sono stati scritti saggi poderosi. Su Bocchino, mentre gli storici si stanno attrezzando, noi ci permettiamo un paio di appunti.

Immaginiamo la scena. Bocchino esamina con Fini a Montecitorio i dati sulle elezioni. Futuro e Libertà non batte neanche un colpo, dove si è alleata con Casini è riuscita a fargli perdere voti e soprattutto la reputazione. Fini non va bene neanche come secondo, neanche come terzo tra i centristi persino dopo Rutelli. La realtà è questa: con Fini si perde.

Come uscirne? Ecco l’idea: girare la frittata. Invece di constatare che dove ci sono loro bisogna toccare ferro, Fini e Bocchino cercano di riabilitarsi a livello di storia. Essere quelli che fanno perdere Casini è un po’ poco, oggettivamente. Ecco l’idea: atteggiarsi a jettatore cosmico, come una specie di cornetto di san Gennaro all’incontrario di Berlusconi. Se te ne privi, fa perdere.

Altro che nuovo centrodestra, e progetti fantascientifici di conservatorismo gollista: altro che grande leader, ma un ruolo banale da antiberlusconiano, da Travaglio minore, e per Bocchino quello di luogotenente di un disegno meschino. Si noti. Così per consolarsi della disfatta personale si autoinventano come gli autori della vittoria di Pisapia e De Magistris. Complimenti. Pur di dare un senso alla vita, va bene anche il ruolo di ribaltonisti a cui l’insuccesso ha dato alla testa. Al punto da coniare la sentenza: “Fini non si dimetterà mai”. Un mai che rimbalza tra le costellazioni, di secolo in secolo. Qui ci crediamo.essuno ha mai creduto da queste parti che l’uomo fosse capace di dimettersi. Imbullonato alla poltrona, spera invano di far dimettere gli altri. C’è riuscito con Urso e Ronchi.

Non è vero che senza Fini si perde. Con Fini si perde tutto: non solo incarichi ed elezioni, ma anche il decoro, anche il senno. Tutto pur di lasciare la poltrona a lui.

RIVOLUZIONE NEL PDL, LA FORZA DI VOLTAR PAGINA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 2 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Un segretario politico per il Pdl. Da oggi nel partito co­manda Angelino Alfano, ancora per poche ore mini­stro della Giustizia. È questa la pri­ma risposta al deludente risultato elettorale della tornata ammini­­strativa. Che non è un semplice maquillage burocratico-organiz­zativo. Né una sconfessione del la­v­oro e degli uomini che hanno con­dotto il partito fino ad ora. Più sem­plicemente è un voltare pagina e guardare avanti, così come chiedo­no gli elettori, stanchi di assistere a liti tra colonnelli che provocano incertezze sulla rotta. Un partito moderno e liberale de­ve avere nel suo dna l’accettazione della sconfitta, financo del­l’alternanza. Non si governa per grazia di Dio, per diritto divi­no.

Ovvio che elezioni è meglio vincerle, ma nel perderle non c’è nulla di disonorevole o di definitivo. Anche perché il popolo del centrodestra ha dato per ora solo un segnale di insofferenza, nulla di più. Lo prova l’analisi dei flussi elettorali: non c’è stato travaso di voti con l’oppo­sizione, nessun progetto sbandie­rato come alternativo (dal Terzo Polo alle ambizioni del Pd) è stato premiato. Rimettere ordine nel partito, an­che alla luce della scissione finia­na e dei conseguenti nuovi equili­bri, era indispensabile per rilancia­re l’azione del governo, l’unica co­sa che interessa alla gente e che quindi può determinare il risulta­to delle prossime consultazioni. Che Alfano abbia capacità e autore­volezza per compiere la missione è fuori dubbio. È uomo della prima ora, è giovane ma già di esperien­za, si è mosso bene nel labirinto dei rapporti tra istituzioni, pur te­nendo il punto della necessità di ri­formare la giustizia. Soprattutto ha sempre lavorato per unire le va­rie anime del partito nei momenti più delicati.

La continuità rispetto al proget­to originale resta comunque garan­tita dal presidente Berlusconi, che con questa mossa si mette in una condizione più favorevole per oc­cuparsi del governo con più sereni­tà. Nonostante ormai ogni giorno porti la sua pena. Quella di ieri è la decisione dei giudici della Corte di Cassa­zione di dare il via libe­ra anche al referen­dum sul nucleare, co­sa che ha sorpreso tut­ti perché il governo aveva già provveduto a cambiare la legge nel senso chiesto dai referendari, cioè a so­spendere la costruzio­ne di centrali nucleari in Italia. Una decisio­ne che sa di politica, essendo quello sul nu­cleare, il quesito più popolare tra i quattro proposti e quindi quello te­oricamente in grado di trainare l’a­f­fluenza al voto sopra quel cinquan­ta per cento indispensabile perché il risultato sia valido.

Che senso ha votare sì o no a un problema che non c’è più? Misteri della giustizia, o forse meglio ennesimo piacere al fronte antiberlusconiano che pro­pri­o sul successo della tornata refe­rendaria ha scommesso per tenere alta la sfida alla maggioranza. Da ieri sera però il vento ha co­minciato a ricambiare direzione. La nomina di Alfano a segretario unico, compatta e rafforza il Pdl. Vuoi vedere che per l’ennesima volta la sinistra e i suoi gazzettieri hanno celebrato un funerale sen­za il morto? Alessandro Sallusti, Il Giornale, 2 giugno 2011

LA NOMINA DI ALFANO: LA SVOLTA SOFT DOPO IL VOTO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 2 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, all'arrivo a Palazzo Grazioli per l'ufficio di presidenza presieduto dal premier SilvioBerlusconi, questo pomeriggio 01 giugno 2011 a Roma Alfano sale. Nessuno scende. Il Pdl ha trovato un compromesso per rispondere subito al crac del voto. È ovviamente solo un primo passo, ma l’ascesa del ministro della Giustizia al ruolo di segretario politico ha il pregio di essere netta e unanime. Vedremo presto se la soluzione è quella giusta e se alle aspettative corrisponderanno i fatti. Io penso che Alfano abbia tempra e capacità di relazione, qualità preziose in un partito che aveva smarrito la visione politica sostituendola con l’idea dello scontro totale. La sconfitta bruciante di Milano e Napoli può essere l’occasione per riprendere il discorso interrotto con gli elettori moderati che si sono allontanati dal Pdl. Alfano però deve trovare una legittimazione più ampia, un’investitura che superi gli organigrammi. Ha bisogno di forza per affermare la linea. Se non viene sostenuto, rischia di essere un liquidatore involontario. Per questo nel partito va fatto un lavoro profondo. Va riaperto alla partecipazione e devono funzionare meccanismi sanzionatori per chi sbaglia. Per questo subito dopo il voto avevo chiesto la sostituzione del triumvirato dei coordinatori. Bondi, Verdini e La Russa restano al vertice con deleghe differenti. È una soluzione transitoria che – come spesso accade al provvisorio in Italia – mi auguro non diventi permanente. Mario Sechi, Il Tempo, 2 giugno 2011

ANGELINO ALFANO E’ IL SEGRETARIO POLITICO DEL PDL

Pubblicato il 1 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

L’Ufficio Stampa del PDL  ha diramato poco fa un comunicato stampa che annuncia la nomina del Ministro Alfano a segretario politico del PDL. Questo il comunicato integrale:

L’Ufficio di presidenza del PDL ha indicato Angelino Alfano come segretario politico del nostro movimento.

Un Consiglio nazionale in questo mese sancirà la modifica dello Statuto che farà di Alfano ufficialmente la guida politica del Popolo della Libertà. Ai tre coordinatori Bondi, La Russa, Verdini, saranno affidate deleghe organizzative legate alla filosofia dei nostri valori, alla propaganda e all’organizzazione.

Silvio Berlusconi ha osservato che la nomina di Angelino Alfano a segretario politico nazionale del Pdl serve per ridare slancio al partito e per recuperare il consenso nell’elettorato: Alfano é giovane e ha fatto bene come ministro ed è ben voluto da tutti.

Angelino Alfano, che  intende dimettersi “entro pochi giorni” da ministro della Giustizia, ha commentato:
“Da oggi si riparte e l’obiettivo è vincere le Politiche del 2013. Non sarà un percorso facile, ma chi ritiene di avere un percorso facile si illude. Con un sorriso ironico abbiamo preso atto che la sinistra, avendo vinto in due città – e il Pd con due candidati che non voleva – chiede le dimissioni del governo. E’ come se una squadra chiede di sospendere la partita mentre è in vantaggio al sessantacinquesimo minuto: noi contestiamo che lo siano, ma già questa cosa è paradossale”.

…..La notizia  era attesa ed ora è ufficiale. E’ il primo atto dopo la cocente sconfitta di Milano e di Napoli cui però dovranno seguire altre urgenti e inderogabili iniziative per restituire al partito dei moderati italiani, qualunque possa essere il nome che esso prenderà nell’immediato futuro, il ruolo e il compito che gli assegano i milioni di elettori che continuano a guardare ad esso con fiducia e speranza. Naturalmente il minostro Alfano dovrà lasciare l’incaiuco di ministro della Giustizia. Tra i tanti nomi che si fanno quale suo successore nell’incarico c’è quello dell’on. Maurizio Lupi, ora vicepresidente della Camera. E tra i tanti è quello che noi preferiremmo per le sue personali capacità e per la correttezza cui ispira la sua azione politica. Sarebbe, a nostro avviso, uh degno successore di Alfano. g.

CASSAZIONE: SI AL REFERENDUM SUL NUCLEARE

Pubblicato il 1 giugno, 2011 in Cronaca | No Comments »

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Roma – Il referendum si farà. Il 12 e 13 giugno gli italiani voteranno anche sul nucleare. Lo ha deciso l’ufficio elettorale presso la Corte di Cassazione, presieduto da Antonino Elefante, che ha accolto un’istanza presentata dal Pd. Gli italiani voteranno sì o no sull’abrogazione delle nuove norme contenute nel decreto legge omnibus, convertito in legge dal Parlamento, in particolare i commi 1 e 8 dell’articolo 5. È stata così accolta l’istanza presentata dal Pd che chiede di trasferire il quesito sulle nuove norme appena votate nel dl omnibus: quindi la richiesta di abrogazione rimane la stessa, ma invece di applicarsi alla precedente legge si applicherà appunto alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare (art. 5 commi 1 e 8).

FINI E CASINI ESULTANO PER I RISULTATI ELETTORALI. MA ADESSO ANCHE I PERDENTI FANNO FESTA?

Pubblicato il 1 giugno, 2011 in Politica | No Comments »

I leader centristi esultano per nulla. L’Udc con Fli e Api ha preso meno voti di quando correva da solo. E i finiani? Percentuali da prefisso telefonico.

E ora si affacciano pure gli imbucati ai festeggiamenti post elettorali. A vincere a Mi­lano e Napoli – lo dico per pro­memoria – sono state la sinistra dura di Pisapia e quella giustizialista di De Magistris. Ma vedo che si eccitano an­che una quantità di tamarri che, stando ai numeri, dovreb­bero essere in rianimazione. Che ci fanno tra i giubilanti il trio del Terzo polo, Udc-Fli-Api, e i loro baldi condottieri Casini, Fini, Rutelli? E l’eufori­co Bersani che sul palco al Pan­theon si sbraccia per Romano Prodi e gli offre il Quirinale, mentre non sa se domani sarà ancora in sella? Sembrano quei diciottenni con i brufoli che nessuno si fila ma vanno egualmente alla festa, a costo di fare da tappezzeria. Cominciamo dal trio centrista che dal doppio turno delle amministrative esce più sconfitto dello strabattuto centrodestra. I tre insieme sono più deboli di quanto fosse l’Udc da sola e si attestano sul cinque per cento. Irrisori a Torino, Bologna, Milano, hanno fatto un po’ meglio a Napoli, grazie al capolista Raimondo Pasquino, un signore che si definisce demitiano, ossia un reperto storico. Questo al primo turno. Al secondo, quello dei ballottaggi, hanno deciso di non dare indicazioni di voto ai propri striminziti elettori. Ohibò e perché?, chiederete voi. Risposta. Da un lato, perché sono dei pesci in barile per natura. Dall’altro, per riaffermare il chiodo fisso: siamo contro il bipolarismo, non siamo né di destra né di sinistra, siamo i calmi, siamo i buoni e lasciamo liberi gli elettori. In realtà, visti i drammatici risultati della tornata del 14 maggio, hanno semplicemente evitato di farsi contare. Pura tattica per nascondere che il loro apporto – per la vittoria o la sconfitta – sarebbe stato nullo. Adesso invece questi tre impudenti, che si erano rifugiati impauriti nel mutismo, rovesciano la frittata e si presentano al festino come se fossero stati indispensabili per i trionfi di Pisapia e De Magistris.

Il più impudico, al solito, è Gianfranco Fini che per sfacciataggine è imbattibile. Chiuse le urne, Gianfry – che è ancora presidente della Camera (lo ricordo, perché a nessuno viene più in mente)- ha telefonato a De Magistris per ricordargli il «prezioso» contributo suo e dei suoi alla vittoria. Gli ha detto. «Spero di vederti presto. Nel frattempo però rammenta che il nostro capo-lista ( il succitato reperto demitiano, prof. Pasquino, ndr ) si è dato da fare per te nel ballottaggio », ergo trovagli un posto e vedi di esserci grati. Ecco: questo intendo per imbucati. Tralasciamo l’inverecondia personale dell’ex leader di An, ma né lui né i suoi due sodali del Terzo polo- Pierferdy Casini e Cicciobello Rutelli – hanno ufficialmente mosso un dito per l’ex pm, eppure presentano egualmente la cambiale all’incasso. Inutile dire che è una truffa, poiché il loro presunto apporto non è minimamente verificabile. Per quanto se ne sa, gli elettori del trio, lasciati a se stessi, potrebbero essere rimasti tutti a casa.

Cosa peraltro probabile dato che a Napoli circa metà degli aventi diritto, disgustata da lustri di democristiancomunismo bassoliniervolinesco, ha disertato i seggi. Da Fini ci si deve ormai aspettare di tutto. Al momento, è su di giri perché il Cav, l’arcinemico, ha preso una scoppola grossa come il cenotafio di Arcore. «Il berlusconismo è archiviato », ha gongolato a caldo. Vero o no,è l’unico motivo della sua gioia. Altri non ne ha. I voti del suo Fli – il partito che condivide con le tre Grazie, Bocchino, Granata e Briguglio – si sono attestati sull’uno e rotti per cento. Una percentuale da lista civica di pescatori di telline a Borca di Cadore. Se non lo trattenesse l’odio per il Cav, Gianfry dovrebbe emigrare a Montecarlo. Pensate che An, la sua ex compagine fiorita all’ombra del berlusconismo, nelle ultime elezioni in cui si presentò, quelle del 2006, raccolse oltre il 12 per cento dei suffragi. E anche dopo la fusione nel Pdl, An e Fi uniti ebbero più voti di quanti non ne avessero separatamente. Ora, invece, dopo essersi fatto comandare a bacchetta da un livore da pastore anatolico (categoria nota per le faide), Fini è diventato un’entità politica pari a Turigliatto. Ma non ci bada, perché gli basta che pure il Berlusca sia in disgrazia, anche se la disgrazia del Berlusca veleggia- presumiamo, in attesa di calcoli – sul 25-30 per cento. Perciò, avvolto dai fumi di un’infantile euforia, si è spudoratamente vantato: «Io ho fatto tutto quello che potevo fare per fare finire il governo». È l’ammissione di come ha ridotto la «neutrale» presidenza della Camera: un’occulta casamatta da cui tramare contro l’istituzione Palazzo Chigi. Nutriamo speranza che Napolitano trovi uno spiraglio, tra le esternazioni di pranzo e quelle di cena, di spiegare a Gianfry la differenza tra la penisola italiana e l’atollo della Spectre. Ci sono poi i residui centristi. Una sottospecie di tre cartista politico alla Fini, è il ventriloquo di Casini, Lorenzo Cesa, che ha venduto la stessa fuffa: «Siamo stati determinanti ai ballottaggi». Il giorno che lo dimostri, Lorenzo, il Giornale ti offre cena. Gli altri perdenti del Terzo polo – che so, Rutelli, Tabacci, Bocchino ecc. – tacciono sulla propria catalessi. Manifestano però illimitata contentezza per la sconfitta dell’orrido facocero arcoriano e la fine del berlusconismo. Antevedono l’inizio di un nuovo mondo, senza però- ahi loro- chiedersi se ne faranno parte. Una prece. Due parole per concludere su Bersani e il Pd. Si sentono vincitori e non hanno vinto niente. Dopo venti anni di danni, hanno perso Napoli. Il loro candidato è stato espulso al primo turno. Al secondo, senza essere invitati, si sono uniti al banchetto di De Magi-stris, infilandosi tra le gambe dei commensali come cagnetti a caccia di briciole. A Milano, hanno dovuto inghiottire Pisapia al posto del loro candidato Boeri e inchinarsi alla supremazia della sinistra vendoliana ( contro la quale il Pd era nato tre anni fa). Ambivano allearsi col centro, ma è crollato. Adesso sono a rimorchio della sinistra che detta le condizioni. Sognavano di essere le mosche cocchiere. Si sono risvegliati con un pugno di mosche. Il Giornale,  1° giugno  2011