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INTERVISTA BOMBASTICA DI FABIO MUSSI, EX PCI NON ENTRATO NEL PD

Pubblicato il 9 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Giorgio Meletti per “il Fatto quotidiano

penatipenati

“Me lo ricordo bene il congresso Ds del 2001. Se viene fuori che sono girati dei soldi per condizionarlo giuro che la class action la faccio io”. Scherza? “Un po’”

Vicenda dolorosa, come dice Pier Luigi Bersani?
Certamente sì. Dolorosissima.

Sconvolgente, come dice Massimo D’Alema?
No. Io non sono sorpreso.

Fabio Mussi, 63 anni, padre nobile di Sinistra e Libertà dopo una vita da fratello siamese di Massimo D’Alema ai vertici del Pci prima e nei Ds poi, vive lo scandalo Penati come un dramma collettivo. “Dico subito che prescindo dal dato giudiziario e dall’esito dell’inchiesta. C’è una grande questione politica. Bersani, con cui ho lavorato a lungo e che stimo, deve affrontare di petto la vicenda, guardare alle sue radici, dare un segno forte a tutta la sinistra, che deve riflettere sulla direzione di marcia”.

Più che direzione di marcia qui si parla di autostrade.
Prego il Signore che non ci sia connessione tra l’acquisto delle azioni della Milano-Serravalle fatta da Penati nel 2005 e la scalata alla Banca nazionale del lavoro lanciata negli stessi mesi dall’Unipol di Gianni Consorte.

penati bersanipenati bersani

E se il Signore non la esaudisce? Verrebbero coinvolti i vertici dei Ds e del Pd?
È un’ipotesi che non contemplo. Sarebbe la bomba atomica. Un sacco di gente dovrebbe andare a casa.

Penati è un mariuolo? O è un pezzo del sistema?
Non è un mariuolo. Karl Schmitt, grande filosofo della destra, disse in un’intervista degli anni ‘50 che quando c’è un potere costituito la vera lotta è per la conquista dell’anticamera del sovrano. Eletto Bersani segretario, Penati ha conquistato l’anticamera. Dobbiamo chiederci come sia arrivato così in alto.

Portando tangenti?
Non lo so e non è questo il punto. Questa vicenda ci racconta una dolorosa verità sul neo-riformismo, e sulla deriva culturale che ci ha portato dal Pci ai Ds e al Pd. Mi ha colpito che di fronte allo scandalo dirigenti lombardi del Pd hanno detto con rimpianto che Penati era un modernizzatore.

Lui che con i soldi della Provincia di Milano finanziava le ronde e non si vergognava di essere chiamato leghista. Io invece me ne vergognerei, e per questo quando mi propose di fare un comizio con lui per le Regionali del 2010 mi sono chiesto che cosa avessimo in comune e gli ho detto di no.

penati bersanipenati bersani

Penati è anche l’uomo che nel 2001 lascia il Comune di Sesto e diventa segretario della federazione di Milano mentre si infiamma il congresso Ds che porterà Piero Fassino alla segreteria mettendo in minoranza l’anima di sinistra che lei guidava.
Me lo ricordo bene. Ho visto che Bersani ha parlato di una class action degli iscritti contro i giornali ostili. Se per caso viene fuori che in quel congresso sono girati dei soldi per condizionarne l’esito giuro che la class action la faccio io a loro.

Scherza?
Un po’.

C’è un nesso tra lo spostamento a destra che lei ha denunciato per anni, fino ad andarsene alla nascita del Pd, e la questione morale?
Certo che c’è. E non perché gli uomini di sinistra abbiano un Dna migliore, che è una sciocchezza: le persone non possono vantare un Dna diverso, i partiti devono. È una certa visione della politica che ti vieta comportamenti disonesti.

PIERO FASSINOPIERO FASSINO

Una visione dei contenuti o dello stile?
Le due cose non si distinguono più. Lo ha scritto Anthony Giddens, teorico del blairismo: se vuoi capire un’evoluzione politica, guarda allo stile di vita dei leader. Qui, grazie a Berlusconi e a chi ne ha subito il fascino, è passata l’idea che la ricchezza dimostra la tua bravura. Così con lo slogan della modernizzazione ci hanno riportati al Medioevo. Un moderno capitalismo dovrebbe essere l’opposto: per diventare ricco devi dimostrarti bravo. Qui tutt’al più devi dimostrarti furbo.

MASSIMO D'ALEMA CON LA FASCIA DA 'NOBILUOMO'MASSIMO D’ALEMA CON LA FASCIA DA ‘NOBILUOMO’

Anche tra i dirigenti della sinistra?
Bè, io sono convinto che quando Enrico Berlinguer denunciò la questione morale nella famosa intervista a Scalfari del 1981, accusava i partiti di governo, ma cominciava a percepire che qualcosa succedeva anche a casa sua. Berlinguer vedeva il futuro quando diceva che la questione morale si pone quando i partiti diventano macchine di potere. Testuale.

Molti continuano a negare che ci sia una questione morale a sinistra.
Non io. Nel 2005 ho fatto una dura battaglia interna sulla vicenda delle scalate bancarie. Ricordo che Fassino non riusciva a scrivere una mozione su quel caso che ci andasse bene. Alla fine mi disse: scrivila tu. Non volevano il nostro voto contrario. In quei mesi feci anche, con Cesare Salvi, una mozione sulla questione morale dentro il partito, in seguito alle Regionali della Campania. Giorgio Napolitano la lesse e volle essere il terzo firmatario.

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Qual è il problema?
Sono tre. Primo, l’idea che per vincere bisogna convergere su tutto e con tutti. Infatti le hanno perse tutte e Milano l’ha riconquistata Pisapia, non Penati. Secondo: il cedimento a un pensiero dominante secondo il quale il capitalismo è ineluttabile, che tutto è inevitabile, che devi subire e adattarti per mostrarti uomo di mondo. Da tutto questo consegue il terzo problema, quello doloroso davvero.

COLANINNOCOLANINNO

Quale?
La politica, quando non vede la crisi del capitalismo e non se ne occupa, abbassa lo sguardo verso terra e si mischia con gli affari. Non riesce a stare dignitosamente al di sopra, stabilendo le regole del gioco, ma entra in partita, scegliendosi l’imprenditore amico da aiutare e per cui tifare. La chiamano modernità.

Faccia degli esempi a sinistra.
Aspetti, dobbiamo chiarire una cosa. Nella destra vediamo cose molto più gravi, perché certe distorsioni sono connaturate a quel mondo. Insomma, le differenze ci sono. Però… scalata a Telecom Italia dei ‘capitani coraggiosi’ di Colaninno. Scalata Unipol alla Bnl. E uno stile in costante discesa. Telefonate, incontri segreti, sussurri, strizzate d’occhio. Ma che cosa gli è preso nel cervello a questi qui?

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A questi chi?
Ai dirigenti politici che vivono così. Ma anche a tanti militanti che mostrano simpatia per chi non è moralista, per chi sa come va il mondo, per chi sa godersi la vita e fa i soldi, pur rimanendo un leader di sinistra. A quelli che vedono un dirigente cooperativo come Consorte che ha messo da parte 50 miliardi di lire, per consulenze… e non gli si accenda la lampadina.

Quale lampadina?
Quella che si accende in me che ripenso a mio zio dirigente cooperativo per una vita e morto con una pensione da operaio. Io di fronte ai soldi di Consorte mi sento personalmente ingiuriato. Li sento come un’offesa alla storia della mia famiglia, alla memoria della nonna di mia moglie che nel ‘44 a Piombino ha fondato con altre donne la cooperativa La Proletaria per resistere al mercato nero. La base del Pd è fatta da milioni di persone ammodo. Meritano molto di più.

TUTTO E’ PRONTO PER SOSTITUIRE BERLUSCONI…SOLO CHE A LUI NON C’E’ CHI GLIELO DICE….

Pubblicato il 9 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

In teoria è tutto pronto, ma in pratica c’è un problema: chi lo va a dire a Silvio Berlusconi? Nel Pdl in cui, per citare Denis Verdini (fonte Corsera) “è tutto uno sbattere d’ali”, esiste un piano apparentemente perfetto per sostituire in corsa il Cavaliere con Angelino Alfano alla presidenza del Consiglio. Ne hanno discusso alla corte di Palazzo Grazioli, lunghi conciliaboli (un po’ tremebondi) che fino a ieri si sono sempre interrotti sulla soglia dello studio privato del presidente del Consiglio. Ci vuole fegato. Anche se negli ambienti del Pdl circola una leggenda: un coraggioso sarebbe riuscito a pronunciare di fronte al grande capo la parola “dimissioni”, ma pare sia finita malissimo (per lui). Il premier a farsi da parte non ci pensa nemmeno. E sono forse solo due, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, le persone in grado di affrontare senza rischi un argomento di cui il Cavaliere talvolta si diverte a parlare, molto meno a sentirne parlare.

Ma che cosa si dice ai piedi del trono?
Lo schema è più o meno il seguente: il Cav. dovrebbe salire da Giorgio Napolitano facendogli presente di essere disposto a un passo indietro se il presidente della Repubblica gli usasse la cortesia di offrire un mandato esplorativo al presidente del Senato, Renato Schifani. Un’operazione che ha un precedente, il modello Prodi-Marini del 2008. Come si sa, Schifani in Sicilia è socio anziano del segretario del Pdl Alfano e dunque, secondo questo piano tutt’altro che fantasioso, il presidente del Senato, dopo aver fatto le opportune verifiche, direbbe a Napolitano che un presidente del Consiglio in grado di mantenere l’alleanza con la Lega e di allargare gli orizzonti della maggioranza verso il centro (Udc, Rutelli, Popolari pd) c’è, ed è Alfano.

Il giovane segretario che ne pensa?
Ha ricandidato per tre volte in pochi giorni il Cavaliere a Palazzo Chigi. Di fronte ai militanti leghisti ha tentato di pronunciare questa frase: “Per il 2013 abbiamo già il candidato, ed è…”. Non ha fatto in tempo a dire “Berlusconi” che il popolo in camicia verde si è messo a urlare: “Maroni! Maroni!”, e quando è finalmente riuscito a dire “Berlusconi”, giù fischi. Segno dei tempi. Non a caso Alfano, da mesi, tesse rapporti trasversali. Non più soltanto con Pier Ferdinando Casini o con l’amico Maroni, ma anche con le gerarchie vaticane, con la Cei, con la Cisl di Raffaele Bonanni e con quel Beppe Fioroni (“io tifo per Angelino”, ha detto il leader dei Popolari all’Avvenire) al quale il Pd filo Cgil di Bersani va stretto. Della partita è ovviamente Roberto Formigoni: lo scalpitante governatore va sistemato in una posizione di prestigio ancora da individuare, malgrado lui – dicono – accetterebbe di fare il capo del Pdl se Alfano andasse a Palazzo Chigi. L’operazione, sostengono gli architetti che l’hanno studiata “per salvare Berlusconi” dal massacro delle intercettazioni e dalla trappola della crisi economica, è conveniente per il premier: gli permetterebbe di salvare la sua storia personale rilanciando il centrodestra con un governo dei quarantenni; gli permetterebbe di salvare la sua classe dirigente; gli consentirebbe di continuare a muovere le leve del potere, da fondatore del Pdl e consigliere paterno del giovane Alfano; lo garantirebbe dal punto di vista finanziario, il patrimonio personale e le aziende sarebbero protetti da un governo amico. Si allenterebbe anche l’accanimento mediatico-giudiziario. Ma il problema rimane: chi riuscirà a spiegarlo al capo? Salvatore Merlo, Foglio Quotidiano, 9 settembre 2011

……………………Sin qui il gossip che gira per le stanze del potere che conta.Ci sarà del vero, ci sarà  del falso, chissà, intanto bisogna attendere che la Camera approvi defnitivamente la manovra economica bis, senza della quale e nonostante la quale non sembra che la crisi allenti la morsa intorno alla nostra economia. E ciò costituisce una prima seria ragione per dubitare che si realizzi quanto ipotizzi il Foglio, in quanto un cambio di governo, sia pure a guida Alfano, potrebbe danneggiare la corsa a frenare le conseguenze della crisi. Ma in politica  come nella vita mai dire mai. Del resto, che Berlusconi sia logorato è più che evidente, non dall’età, nè dagli affanni che gli derivano dall’uso delle sue energie nelle attività extra governo, ma dalla continua e defatigante fuga dinanzi all’accerchiamento che gli viene da certa magistratura militante che pare si occupi solo e soltanto di lui, abbandonando ogni qualsiasi  altra preoccupazione che pure nel disastrato Paese in cui viviamo  non mancano e per le quali dovrebbero sentirsi impegnati i magistrati. Invece non c’è giorno che intorno a Berlusconi, a torto o a ragione, non vengano stese tele di ragno perchè vi incappi, sia pure solo con qualche parola di troppo che non  ha valenza penale ma che puntualmente finisce sui giornali  per la gioia dei gossipari di ogni luogo e colore. Non è il caso che noi si citi qualche esempio perchè basta al riguardo sfogliare qualche giornale o navigare in qualsiasi sito internet. E’ ovvio che tutto ciò finisce col ricadere sull’attività di govenro e sulla capacità/possibilità di Berlusconi di andare avanti sino al 2013. E siccome lui non è diverso dai tanti altri “condottieri”, grandi e piccoli,  di cui la Storia  nel corso dei secoli si è occupata, è ovvio che chi gli sta intorno,  almeno alcuni, che sinora da lui ha tratto vantaggi e poltrone, si preoccupi di tentare, come  milioni di altri hanno fatto nel passato,  di non affogare insieme a lui e quindi ipotizza scenari nei quali l’unico a pagare sia Berlusconi, facendo salva per sè poltrona e appannaggio. Così va il mondo e così continuerà ad andare. E se gli “amici” pensano a sostituirlo, i “nemici” fanno di peggio: lo trattano come Gheddafi. A Gheddafi, gli insorti”,  che non sono altro che gli ex amici e cortigiani e complici dello stesso Gheddafi, hanno promesso un processo regolare prima di…impiccarlo magari per impedirgli di chiamarli a correità. A Berlusconi i “nemici”, prima Buttiglione, poi Bocchino, il primo UDC, il secondo FLI, entrambi ex cortigiani ,  gli hanno “promesso”, se se ne va e si toglie dai c…i , di assicurargli immunità dai processi in cui è imputato, tutela dalla galera, salvaguardia delle sue imprese. Cosicchè in Italia,  un cittadino imputato di reati gravissimi, almeno stando alle tesi accusatorie dei pubblici ministreri che hanno speso la loro vita per incastrare Berlusconi, questi può farla franca se lo vogliono Buttiglione e Bocchino. Delle due l’una, o Berlusconi è colpevole e deve pagare le sue responsabilità secondo i canoni della giustizia italiana, oppure se non ne deve essere chiamato a risponderne vuol dire che è innocente e che quindi l’azione giudiziaria contro di lui è davvero una vera e propria caccia all’uomo attraverso un complotto che vede compromessi insieme parte della politica, parte  della magistratura, parte dei mass-media. Se così non è,   Buttiglione- Bocchino stanno millantando credito e i millantatori in un Paese serio dovrebbe stare dietro le sbarre. Magari a Bocchino lo si potrebbe far accompagnare dalla fata Began giusto per non lasciarlo solo a sbattere la testa contro il muro della cella. g.

LA BANCA CENTRALE EUROPEA “APPROVA” LA MANOVRA DEL GOVERNO CHE DELIBERA L’ABOLIZIONE DELLE PROVINCIE: CHE SIA LA VOLTA BUONA?!

Pubblicato il 8 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge per l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione a partire dal 2014. In particolare sarà introdotto nella prima parte del testo costituzionale, quella su Diritti e doveri dei cittadini e varrà anche per i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni.

Il provvedimento prevede: “Non è consentito ricorrere all’indebitamento, se non nelle fasi avverse del ciclo economico nei limiti degli effetti da esso determinati, o per uno stato di necessità che non può essere sostenuto con le ordinarie decisioni di bilancio” e impatterà sugli articoli 81 (modalità di approvazione del bilancio dello stato), 53 (contribuzione tributaria) e 119 (federalismo fiscale). “Il pareggio di bilancio non sarà solo un criterio contabile ma un principio ad altissima intensità politica e civile”, ha detto il ministro Tremonti, che poi ha auspicato “un ok rapido in Parlamento nell’interesse del paese”. Il provvedimento inizierà adesso l’iter parlamentare rafforzato con doppia lettura e doppia votazione in Camera e Senato, con un intervallo non inferiore a tre mesi tra una lettura e l’altra.

Un’altra novità decisa dal Cdm, ma già contenuta nella prima versione della manovra e poi stralciata, riguarda l’abolizione delle province, le cui competenze saranno trasferite alle regioni.

Lunedì pomeriggio il decreto e la manovra saranno discussi alla Camera. Il voto finale è previsto tra mercoledì e giovedì. Secondo quanto riferito dal capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, il governo potrebbe porre la fiducia. E’ quanto emerso dopo la riunione della conferenza dei capigruppo di Montecitorio.

Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, insieme alle preoccupazioni per l’incertezza dell’economia in area euro, ha espresso soddisfazione per l’approvazione della manovra. “Le misure prese con la manovra italiana “confermano una cosa che era molto importante per il consiglio direttivo, e cioé un primo impegno del governo italiano”, ha detto Trichet.

…………La approvazione del disegno di legge costituzionale che prevede l’abolizione delle provincie è un fatto concreto nella direzione da tutti auspicata e che si attendeva da 40 anni, cioè dal varo delle Regioni. L’atto del Cionsiglio dei Ministri è solo il primo di un lungo e periglioso percorso, ma senza dubbio è un fatto concreto visto che è la prima volta che dalle parole si passa ai fatti. Ora bisognerà vedere quale velocità, sia pure nell’ambito delle procedure previste dalla Costituzione,  si vorrà dare al disegno di legge per capire se esso è destinato ad arrivare in porto prima delle scadenza dell’attuale Parlamento oppure se è destinato a “perdersi” con la fine della legislatura. Certo è che ora i partiti, tutti, da destra a sinistra, non potranno giocare a rimpiattino o peggio a ping-pong, palleggiandosi la responsbailità delle scelte: tutti hanno detto che le Provincie vanno abolite. Lo si faccia senza perdere tempo e si eliminino questi inutili carrozzoni buoni solo a parcheggiare personale politico di terza o quarta scelta, ma comunque ben pagato. Sarebbe non solo un grande risparmio per le esauste casse del sistema politico ma anche un bel segnale per la gente. Speriamo che non finisca con una presa in giro. Perchè i partiti la pagherebbero molto cara. g.

A TORITTO COMMISSARIATA LA POLIZIA MUNICIPALE….ARRIVANO I “MERCENARI”

Pubblicato il 7 settembre, 2011 in Notizie locali | No Comments »

Checchè ne dicano sindaco e comandante della polizia municipale,  “intervistati”  per la bisogna dal solito accomodante pennivendolo ( quanti ce ne sono  in circolazione di “manzoniani che tirano quattro paghe per il lesso” per dirla con  Carducci), lo “sbarco” a Toritto di un paio di agenti  motociclizzati della Polizia Municipale di Bari ha sapore di “commissariamento” della locale polizia municipale.  Commissariamento di un settore del Comune preposto alla cura e alla salvaguardia del territorio,  che alza bandiera bianca, si arrende per impotenza dinanzi al nemico (leggasi: violatori delle leggi e dei regolamenti) e chiama in soccorso,  per svolgere il lavoro che dovrebbero svolgere, che avrebbbero dovuto svolgere,  i vigili urbani dipendenti del Comune di Toritto, i vigili urbani di un altro Comune. Non per un lavoro stroardinario in  collaborazione e ad aiuvandum di quelli di Toritto, ma sostituendoli….E’ una dichiarazione di fallimento, altro che euforica soddisfazione espressa da sindaco e da comandante dei vigili urbani. Di quest’ultimo, della sua incompetenza  non è il caso di parlare, parla anche troppo il fatto stesso che per multare gli occupanti abusivi di luoghi e spazi pubblici si sia dovuto attendere  che a farlo fossero i due motociclisti in transferta da Bari come se la violazione si sia  verificata solo ora e non perdurasse  invece da tempo,  o sia stata  scoperta solo ora  e non fosse nota, anzi,  non dovesse essere nota al comandande dei vigili urbani che il suo “ricco” stipendio lo  riceve proprio per far rispettare le leggi e i regolamenti e perchè conosca, prevenga, reprima,  ciò che avviene sul territorio (che, detto per inciso, non  è quello di New York!) su cui esercita autorità e vigilanza,  oppure come se le violazioni al codice della strada da parte di automobilisti e motociclisti indisciplinati e molesti,   per essere sanzionate dovesse aspettarsi che a farlo fossero  i due motociclisti  “esterni” e non potessero, anzi non dovessero farlo per mestiere ( e stipendio) i vigili urbani di Toritto che, comunque, il loro orario di servizio lo svolgono o dovrebbero svolgerlo sulla strada e nel controllo del territorio,   a meno che, come si diceva una volta,  con una battuta che fece la felicità dei loro detrattori “ i vigili urbani sono come i cornetti, se li vuoi trovare devi andare al bar“. Certo gli uomini sono pochi,  ma sei, ci sembra!,  sono di più di due e se due sono stati in grado di mettere in riga il paese (come si  legge tra le riga delle dichiarazioni rese da sindaco e comandante dei vigili urbani) e di fare esplodere di gioia neppure contenuta  sindaco e comandante, figuriamoci sei, se, opportunamente guidati, supportati e indirizzati da guide esperte e sopratutto incalzanti, lavorassero  o avessero lavorato come hanno lavorato i due “venuti dal mare”, che hanno elevato contravvenzioni per violazioni del codice della strada  per 5000 mila euro (che poi sono un centinaio di multe….) e emesso alcuni  verbali contravvenzionali per violazioni ai regolamenti comunali  e alle leggi sul collocamento e sul lavoro nero. Senza dimenticare che il lavoro straordinario se lo si può far fare ai motociclisti di Bari, ben avrebbero potuto e dovuto farlo i vigili di Toritto, peraltro autodotati.  Diciamolo, senza ingingimenti, l’euforia di sindaco e di comandante dei vigili urbani  per questo  vero e proprio arruolameto di “mercenari” (sia detto con garbato rispetto per gli onesti lavoranti comandati da Bari),  chiamati, forse, per fare il lavoro “sporco” da “poteri”- amministrativo e burocratico -  che inneggiano la mattina e anche la sera  alla “legalità” ma così  confessano clamorosamente  di non essere neppure  in grado di usare gli strumenti a loro disposizione  (personale e mezzi) per far rispettare  leggi, regolamenti, viver civile,  è del tutto fuori luogo ed  è solo una maschera che nasconde il fallimento  dell’uno e dell’altro. E il fallimento più clamoroso, prima ancora che della burocrazia, è della politica, cioè del sindaco, di questo sindaco,  che in  13 anni di potere assoluto  è riuscito a sfasciare anche quel poco di buoco che nonostante le non eccelse capacità  del comandante,   la locale  Polizia Municipale era riuscita  a conservare: il rispetto per se stessa. Dopo l’arrivo dei “mercenari” e la loro esaltazione per un lavoro che francamente  era solo di routine e che non dubitiamo che i vigili urbani di Toritto avrebbero ben potuto svolgere,  chi mai nutrirà più rispetto e considerazione per la polizia  locale,  commissariata, derisa e vilipesa? E con quale spirito da ora in poi questa svolgerà le sue funzioni? Prima di euforizzarsi, il sindaco, almeno lui, se ne è capace, ci pensi e, magari, ci ripensi. g.

…………Naturalmente ai finti euforici fanno codazzo gli sciocchi che non vogliono essere da meno, almeno nell’euforia.  Cosicchè il solito pennivendolo è tornato  a lessare la questione informando che il locale assessore alla polizia urbana è stato multato e che è felice di esserlo stato. Contento lui, che si confessa anche felice violatore della legge,  contenti tutti. Ma eviti  di rivendicare  vanto  e di sollecitare  apprezzamenti (almeno presso le persone che sanno far di conto)  per aver  dichiarato fallimento e contribuito a commissariare il settore cui, diciamo così,  è  nominalmente preposto, senza contare più del due di bastoni quando la briscola è a denari. g.

APPROVATA DAL SENATO LA MANPVRA BIS: 165 A FAVORE, 141 CONTRARI

Pubblicato il 7 settembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

E alla fine manovra fu. In tempo per affron­tare l’esame della Banca centrale euro­pea che domani deve decidere se rinnova­re l’acquisto dei nostri titoli di Stato e so­stenere quindi i conti pubblici italiani pericolosa­mente in bilico. Le novità sono ormai note. Aumen­to di un punto dell’aliquota dell’Iva oggi al 20 (sono quindi esclusi il comparto turistico e i generi alimen­­tari), aumento del 3 per cento delle tasse sopra i 300mila euro di redditi,anticipo al 2014 dell’adegua­mento dell’entrata in pensione delle donne a quello degli uomini nel settore privato, subito una legge per l’abolizione delle Province. Così i conti dovreb­bero quadrare e permettere di avviarsi verso il tra­guardo del pareggio di bilancio.

Le manovre, per definizione, non sono né belle né brutte. Inevitabilmente si paga dazio. Il compromes­so raggiunto può anche scontentare qualcuno, ma sicuramente non si accanisce contro nessuno. Quantomeno apre un varco nel muro di gomma con­tro il­quale rimbalzava chiunque tentasse di moder­nizzare il Paese. Si tocca lo statuto dei lavoratori che ingessava le aziende e alla fine danneggiava pure i la­­voratori stessi. Si scardina il veto assoluto sull’invio­labilità dell’attuale sistema pensionistico (la que­stione femminile non è decisiva ma aiuta i conti Inps). Inizia finalmente e per davvero il dimagri­mento dell’infernale macchina ( e dei costi) della po­litica. I ricchi sono chiamati a dare un contributo maggiore (sia pure modesto, poche migliaia di euro a testa) nei momenti di crisi. E ultimo, come avviene nei Paesi più avanzati,la tassazione (col balzello del­­l’Iva), comincia a spostarsi dalle persone ai consu­mi.

Fatti concreti e passi poco più che simbolici. Non si può dire che Berlusconi sia entusiasta, ma certo ha tirato un sospiro di sollievo e resta ottimista. Così facendo è stato possibile, come promesso e necessa­rio, tenere insieme le anime della maggioranza, pez­zi dell’opposizione e parti sociali. Non tutti, ovvia­mente. L’unanimità non è di questa terra,figuriamo­ci della politica. Il dissenso è legittimo, la protesta pure (quella di ieri della Cgil, peraltro, è fallita nei nu­meri e nei contenuti) ma chi di fronte a questi provve­dimenti continua sulla strada dello sfascismo è in malafede e ha obiettivi da raggiungere (la caduta del governo) diversi dal risanamento. Perché, sia chia­ro, l’alternativa non è qualche cosa di più leggero, ma di molto più pesante. Auguriamoci di non dover­ci arrivare. Il Giornale, 7 settembre 2011

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Pubblicato il 2 settembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Caro presidente Silvio Berlusconi, mi permetta di darle alcuni consigli sulle imposte e gli evasori in queste ore in cui il centrodestra parla tra l’altro di “caccia” ai “grandi evasori”.
Sin dalla sua entrata nel campo della politica, lei ha sventolato una bandiera liberale contro la vessazione fiscale.
Le do del lei, perché il tu potrebbe essere equivoco. Nel mio collegio elettorale  di Como-Sondrio-Varese, durante la buonanima della Prima Repubblica, nel Psi, quando non ci si conosceva, ci si dava del lei, perché ciascuno considerava gli altri come persone private. Sembra banale ma non lo è.

Secondo Franz Böhm, il giurista tedesco che assieme all’economista Walter Eucken ha fondato il movimento di Ordo, quella del “liberalismo delle regole” è una società di diritto privato. Questo concetto riguarda anche la materia fiscale di cui sto discorrendo. Quando lei afferma che non intende mettere le mani nelle tasche degli italiani, non dice soltanto che non li vuole aggravare fiscalmente. Dice   anche e soprattutto che non vuole entrare nella loro privacy, per prelevare l’obolo per il fisco.
L’ex ministro delle Finanze, Ezio Vanoni, mio maestro, ha stabilito la dichiarazione dei redditi, affinché si determinasse un rapporto di fiducia fra fisco e contribuente, portando nel rapporto tributario qualcosa di simile al contratto, cioè la società di diritto privato, non lo stato di polizia inquisitorio.

Nella mia esperienza, come ministro delle Finanze che aveva fatto la gavetta al ministero come ragazzo di bottega di Vanoni e di Tremelloni (il ministro socialdemocratico con cui ci si dava del lei, pur essendo dello stesso partito), le posso assicurare che non servono le manette agli evasori, né i libri rossi con l’elenco dei contribuenti, per incrementare i gettiti e ridurre l’evasione.
Nella società di diritto privato la dichiarazione dei redditi è un atto privato, che non va reso pubblico come se fosse una lista di proscrizione. E l’evasione tributaria non va concepita come reato penale da punire col carcere (magari preventivo, con pubblici ministeri amanti delle manette come metodo di confessione). E’ un’omissione di cifre dovute, da penalizzare con sanzioni pecuniarie e la temporanea chiusura degli esercizi che hanno evaso. Credo di essere stato il ministro delle Finanze che ha incrementato il gettito semestrale della maggiore percentuale, per colmare paurosi deficit di bilancio. E l’ho fatto attuando la trattenuta alla sorgente, il registratore di cassa sigillato, il redditometro fondato su indici oggettivi, su base statistica; attuando il principio per cui non importa la proprietà ma il possesso effettivo dei beni e la verifica contabile.
L’amministrazione finanziaria è una grande azienda. Bisogna cercare di farla operare con efficienza, con regole semplici e poco mutevoli. La moltiplicazione di obblighi invasivi complica inutilmente le cose.

La “caccia” ai “grandi evasori” è un fatto classista, in cui i “grandi” sono odiati perché capitalisti e in cui la parola “caccia” dà la sensazione che il contribuente non sia uno che deve pagare il prezzo dei servizi pubblici, ma selvaggina da impallinare. L’imposta, se è moderata, appare giusta e chi non paga è mal giudicato.

Caro presidente Berlusconi, non tradisca il suo Dna. Lasci il fisco come tortura e l’evasione come delitto alla sinistra giustizialista e ai finti liberali. Non si vergogni di  parteggiare per la società di diritto privato. Francesco Forte,  FOGLIO QUOTIDIANO, 2 settembre 2011

Perchè premiare la delazione fiscale è un vero metodo tribale

Cosa penseremmo di un governo che obbligasse i sindaci a rendere pubblici, su appositi registri, gli orientamenti sessuali dei cittadini dei rispettivi comuni? Ne saremmo, com’è giusto, inorriditi. C’è un’idea di “privatezza” che è cresciuta nei secoli, fino a diventare parte integrante del nostro vivere civile. Quest’idea si basa sul fatto che non siamo obbligati a dire tutto di noi ad altri esseri umani. Man mano che le società si sono fatte più estese, le relazioni hanno smesso di essere inevitabilmente “faccia-a-faccia”. Siamo usciti dalla logica del piccolo gruppo, imparando a sviluppare rapporti anonimi che fanno, in buona sostanza, la nostra libertà.

Il celeberrimo passo in cui Adam Smith ci rammenta che non dobbiamo appellarci alla benevolenza del macellaio per avere carne sulle nostre tavole dice tutto su quanto di più miracoloso vi sia stato nella nostra storia: l’aver trovato il modo di superare le relazioni tribali, di amicizia e inimicizia sanguigne e viscerali, che ci hanno costretto da che l’uomo è sulla terra. Oggi sono atavismi relegati ad ambiti intensi ma periferici della nostra esistenza, tipo il calcio e la politica. Il risultato non è solo “più efficiente” che andare a comprare il pane esclusivamente da parenti-dei-parenti, perché di loro soltanto ci si può fidare, ma è anche più “civile”. La “privatezza”, lo scegliere di ignorare intere dimensioni gli uni degli altri, è figlia e madre della nostra libertà. Noi sappiamo tutto dei componenti del “piccolo gruppo”, di madri padri figli e nonni, non del resto del mondo. Il non sapere ci aiuta a non giudicare. Il non giudicare ci facilita una convivenza serena e serenamente superficiale.

Per quale motivo i rapporti economici dovrebbero seguire regole diverse? Perché il denaro dovrebbe esigere una dimensione scrupolosamente “non-privata”? Costringere i sindaci a pubblicare i redditi degli italiani è lo stesso che fargli distribuire triangoli di diversi colori, da appuntare sul bavero. Se comprendiamo che esiste un diritto del nostro prossimo a selezionare cosa vuole e non vuole farci sapere di sé, non c’è ragione di fare eccezione per i redditi, il patrimonio, il quattrino. E’ proprio questo il vero nodo. Da anni ci fabbrichiamo difese contro il “controllo sociale”, cerchiamo di stemperare le influenze improprie dei gruppi sul comportamento degli individui. I comportamenti economici dovrebbero fare eccezione? Solo in questo frangente, a una società ritenuta altrimenti inabile a governarsi da sé, viene chiesto di supplire all’inefficienza dei controllori, facendo leva sull’invidia sociale. Perversa sussidiarietà esattoriale.

In un paese come l’Italia, in cui la cultura politica resta soverchiamente incapace di accettare il successo economico come altro che un’intollerabile beffa del destino ai danni di chi non è riuscito a raggiungerlo, gli esiti di un pubblico invito alle spiate fiscali sono prevedibili. E sarebbero disastrosi anche per i “controllori”, dacché la moltiplicazione delle anticamere della verità non rende certo più veloce arrivarci, alla verità.

Ma soprattutto: vogliamo davvero essere tutti “ausiliari della tassa” in borghese, vogliamo davvero fare del sospetto fiscale un elemento costitutivo del nostro essere con gli altri, vogliamo davvero disossare di ogni elemento “economico” la dimensione del privato? I pubblici elenchi preludono alla gogna: sono pensati per quello. La lotta non all’evasione ma alla dimensione del “privato”, perché di questo stiamo parlando, farà di noi sempre meno una società libera e sempre più una grande tribù. Coi suoi stregoni, coi suoi ostracismi, coi suoi sacrifici umani.

di Alberto Mingardi, Direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni


SERVE (SERVIREBBE!) UN PREMIER DI “FERRO”

Pubblicato il 1 settembre, 2011 in Politica | No Comments »

Ronald Reagan, 40° presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989 e Margaret Thatcher, primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990 Non sappiamo se quando, nel 1981, licenziò 11.345 controllori di volo che paralizzavano gli Stati Uniti, Ronald Reagan si pose il problema di che cosa avrebbero detto non solo i sindacati, ma la Corte suprema, che era per giunta ancora quella nominata da Jimmy Carter. Né se gli stessi dubbi tormentarono Margaret Thatcher quando nell’84 resistette al picchettaggio dei minatori inglesi (o anche quando tolse concessioni e privilegi ai rampolli dell’aristocrazia con i quali lei, conservatrice del popolo, era notoriamente in urto).
Di certo entrambi vinsero, segnarono un’epoca e passarono alla storia.Le vicende di queste ore della manovra finanziaria ci insegnano che un premier italiano può al massimo aspirare di passare alla cronaca. Gli emendamenti usciti dal summit di Arcore vengono già emendati da chi li ha partoriti. Figuriamoci l’opposizione, i sindacati, le magistrature di ogni ordine e grado, le infinite corporazione del Paese.
Siamo al punto che i decreti di finanza pubblica si potrebbero titolare come i sequel di Guerre Stellari: Manovra; Manovra due, il Ritorno; Manovra tre, la Vendetta. E visto che – come non fa che puntualizzare la Banca d’Italia – ciò che conta non siamo tanto noi italiani quanto i mercati, auguriamoci che non si assista a qualcosa tipo L’Impero colpisce ancora. Tornando sulla terra, era abbastanza evidente che la soppressione tout court del riscatto del servizio militare o della laurea non avrebbe retto alle minacce di incostituzionalità. Se solo Silvio Berlusconi avesse imposto all’alleato leghista il completamento della riforma delle pensioni (per esempio con l’estensione a tutti del metodo contributivo pro-rata, con la parità di pensionamento tra uomini e donne nel settore privato, come già in quello pubblico) avrebbe colto tre obiettivi in uno: risparmi significativi, una riforma strutturale e far vedere chi governa.
Ma il Carroccio, che pure nel 2001-2006 fece approvare lo scalone Maroni, si è fatto paladino di pensionati ed enti locali, proponendosi come nuova Cgil e nuovo Pd. Ed il Cavaliere si adegua. Ancora più disastroso è lo stato dell’opposizione e dei vari poteri del Paese. La prima, lasciando il volante in mano al sindacato, per natura difensore dei propri interessi, ha rinunciato ad ogni velleità riformatrice. Si torna in piazza, che bellezza. I secondi, specialisti in buoni consigli nei convegni, hanno dato abbondante spettacolo di sé in questi giorni. Organizzazioni imprenditoriali una contro l’altra: la Confindustria vuole l’aumento dell’Iva e la liberalizzazione di orari e professioni. Per la Confcommercio non se ne parla proprio. Poi si sono armati gli ordini professionali: sono ben 27, si va dagli assistenti sociali agli attuari (874 iscritti), dai giornalisti alle ostetriche, dagli avvocati agli spedizionieri fino ai notai. Rappresentano 2,1 milioni di persone e relativi congiunti, e ognuno si considera irrinunciabile.
Quindi sindaci, minisindaci, assessori, consiglieri, presidenti di provincia e di regione. I tagli, naturalmente, li costringeranno a chiudere asili e spegnere lampioni. Non, magari, a ridurre consulenze o commissioni. I magistrati hanno scoperto che l’abolizione del famigerato contributo di solidarietà sui super-redditi lascia intatto quello sulla dirigenza pubblica. È vero, ma se è per questo ci sono anche le cosiddette pensioni d’oro, che non si fila nessuno. E poi: non è proprio la Corte dei conti a fare continue prediche sul rigore? Sempre nella stessa area, è di queste ore anche la protesta del Cnel. Questo formidabile ente ha 121 consiglieri, ventuno più dei senatori americani. Se andate sul suo sito, alla voce Eventi, potete leggere: «Nessun evento in programma». Il governo ha proposto un taglio di 50 membri. Ma ecco che Confindustria, banche, coop, assicurazioni, commercianti, artigiani, Cgil, Cisl e Uil hanno tutti assieme «messo nero su bianco» una ferma richiesta al presidente del Consiglio, al ministro dell’Economia, ai presidenti di Camera, Senato, delle «commissioni competenti» e di tutti i gruppi parlamentari: un immane sforzo di tempo e di carta per perorare «il rispetto dell’attuale rapporto tra le categorie».
E a proposito di coop: tra le norme in bilico ci sono anche i tagli alle generose agevolazioni di cui esse hanno finora goduto, passando indenni dalla prima alla seconda repubblica, dai governi di sinistra a quelli di destra e viceversa. Da sempre le cooperative rosse (ma ci sono anche quelle bianche) rivendicano la «finalità mutualistica». La coop sei tu, come nel ricco spot con Woody Allen. Eppure non ci vuole certo il caso di Sesto San Giovanni per capire che le coop hanno terminali miliardari nel mondo delle costruzioni e della grande distribuzione, dove spesso agiscono in regime esclusivo alla faccia della concorrenza. La coop sono loro, e basta.
Domanda: e questa sarebbe una classe dirigente? O piuttosto un pollaio di interessi, dove se le galline si coalizzano sono in grado di far fuori qualsiasi volpe? Certo, le lobby esistono in tutto il mondo, a cominciare dagli Usa che le hanno brevettate. Ma lì alla lunga generano fenomeni popolari di rigetto, come i Tea Party. O presidenti in grado di tenerle a bada, come Roosevelt, Eisenhower, Reagan, anche Bill Clinton: quelli più amati e più forti.

Ecco: se governo e partiti non fanno una grande figura, l’Italia delle associazioni e dei sindacati non ne fa una migliore. La politica potrebbe dare una formidabile lezione: il Cavaliere ha annunciato una riforma costituzionale per eliminare le province e dimezzare i parlamentari. Tutti hanno ridacchiato. Siccome destra, sinistra e centro hanno detto di condividere questo obiettivo, si mettano al lavoro e in sei mesi approvino con la doppia lettura la nuova legge. Siamo sicuri che i cittadini trangugerebbero qualsiasi manovra. Marlowe, Il Tempo, 1 settembre 2011

.………………Marlowe mette il dito nella piaga. Non basta dirle le cose, bisogna farle. Le piroette contrinue sulla manovra, gli avanti e indietro a seconda delle presisoni e degli interessi particolaristici non solo non aiutano ad affrontare la crisi economica, ma fniscono col minare le basi della maggiorana che regge il governo. Berlusconi smetta il ruolo di mediatore e si rimetta fare il capo effettivo del governo e della maggioranza, altrimenti l’attende una fine sconsolante della sua “discesa in campo”. g.