Archivi per marzo, 2012

ASPETTANDO SQUINZI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 21 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Si parla di quella del lavoro, ma la vera riforma che si chiede è quella del sindacato. Anzi, dei sindacati, quelli dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil) e quello dei padroni (Confindustria).

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Senza questa, qualsiasi altra riforma sarebbe, oltre che difficilmente raggiungibile, monca perché frutto di compromessi ideologici, di antiche ruggini e rivalse, di difesa della casta più che dei rappresentati della casta stessa. Proprio in queste ore sta emergendo con chiarezza quanto ormai sindacati e Confindustria siano due carrozzoni fuori dal tempo, tanto lenti e appesantiti da essere superati pure dalla terza casta dello Stato, quella della politica, che in confronto appare più responsabile e disponibile, sia pure perché costretta dai fatti a iniziare un percorso di autoriforma.

La Camusso, Landini e soci possono anche resistere a Monti, ma non alla storia, rispetto alla quale hanno accumulato un pesante ritardo. Va difeso, questo sì fino alla morte, il lavoratore, non il posto di lavoro. E l’unica via possibile è quella di renderlo un soggetto libero dentro il libero mercato, spinto e incentivato a cercare opportunità invece che ancorato come un peso morto ad aziende decotte destinate a sicura fine. Così come Confindustria deve smettere il piagnisteo continuo sul mondo cattivo, i governi incapaci, la congiuntura sfavorevole. Una sola battaglia, ma vera, dura e senza sconti: meno tasse per le aziende, cuneo fiscale più stretto per i lavoratori. Meno convegni e più palle, dovrebbe essere il programma del prossimo presidente che sarà eletto domani in sostituzione della Marcegaglia giunta, per fortuna, a fine corsa. In corsa ci sono due numeri uno dell’imprenditoria italiana: Giorgio Squinzi (patron del gruppo Mapei) e Alberto Bombassei (gruppo Brembo). È la prima volta, dopo tempo immemore, che si arriva all’atto finale dell’elezione senza accordo e quindi con uno scontro vero. Buon segno, significa che anche dentro l’ovattato mondo confindustriale si sono stufati di pagare quote associative da capogiro in cambio di poco o niente. I pronostici danno in vantaggio Squinzi. Noi ci auguriamo che non sbaglino. Ci sembra l’uomo giusto al momento giusto. È amico della Marcegaglia, e questo lo rende umano, è la prova che anche lui non è perfetto. Oggi non serve perfezione ma decisione. E dopo la doppietta Montezemolo-donna Emma, uno di Cisano Bergamasco è quello che serve alla categoria e al Paese. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 21 marzo 2012

.……………Il premier Monti ha annunciato che la riforma del lavoro è ormai problema del Parlamento che dovrà approvarla. Ed è sicuro, e con lui molti leader di partito salvo qualche eccezione, che questa riforma “liberererà risorse ed energie che consentiranno all’Italia di riprendere la crescita e lo sviluppo”. E’ una sciocchezza stratosferica perchè è solo un programma di buone intenzioni che prenderanno corpo, se mia lo prenderanno, solo nel 2017, salvo la rimodulazione del famigerato art. 18, che andrà in vigore da subito, e che ha una sola variante significativa: i licenziamenti disciplinari, cioè per ragioni soggettive, se accertati come ingiustificati daranno luogo ad insindacabile giudizio del solito giudice o al reintegro o all’indennizzo pari da 15 a 27 mensilità. In un Paese che da decenni dibatte sui problemi insoluti della giustizia, mette nelle mani di quella stessa giustizia ingiusta e tardiva  decisioni a dir poco scioccanti. Perchè è scioccante che un licenziamento ingiustificato si possa conlcudere per decisione di un giudice con un indennizzo di poche migliaia di euro. Immaginatevi la fine che farà  un lavoratore di 57/58 anni, licenziato ingiustificatamente ed indennizzato con qualche decina di miglia di euro con cui potrà tirare avanti per un anno o due e non riciclabile in un mercato del lavoro che stenta a inserire i giovani o a mantenere gli esperti, figuriamoci un lavoratore stanco e per giunta disamorato per via di una odissea che nessuno vorrebbe vivere e vedere. Ma intanto il premier Monti tanto decisionista in questioni che ci appaiono di lana caprina, fa finta di non vedere ciò che Sallusti, sia pure di sbilenco, accenna nel suo editoriale. Ci sono i sindacati che dopo i partiti sono l’altra casta che s’ingrassa suiu lavoratori. Fior di libri hanno narrato quanto sia vasto e redditizio il tesoro di cui godono i sindacati italiani,  dall’eredità dei beni dei sindacati fascisti alla gestione di incontrollabili  e enormi rendite finanziarie  provenienti  dall’assistenza dei lavoratori sempre miuficiamente remuenrata dallo Stato o direttamente o attraverso gli entiu di patronato che in Italia sono più numerosi delle mosche d’estate. Tutto ciò senza alcun controllo, poichè i sindacati come i partiti non hanno riconosicmento giuridico e perciò riescono a sfuggire ai controlli, proprio come i partiti i cui proventi dal finanzimentio pubblico è solo virtualmente  sottoposto a controlli, mentre in effetti non danno conto in alcun modo di come e dove e quando e con chi spendono e spandono i entinai di milioni di eurto che ricevono dallo Stato e quindi dai cittadini che per il solo fatti di avere 18 anni ed elettori costituiscono fonte di 2rimborso2 per i partiti. Come per i partiti, anche per i sindacati, Monti (che “è stato chiamato” ) fa finta di niente e mentre ne inventa una più del diavolo per tassare sempre di più gli italiani non muove iun dito er porr fne al paese dei balocchi di partiti e sindacati. g.

PER I DUE MARO’ LA FARNESINA E’ RIUSCITA A MINARE IL NOSTRO PRESTIGIO NEL MONDO

Pubblicato il 20 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Un buon ministro degli Esteri deve offrire risultati al proprio Paese e quando sbaglia accettare le critiche. Non è il caso di Giulio Terzi. Doveva essere informato per tempo del fattaccio imputato a due militari italiani di scorta a un mercantile in acque internazionali. Doveva chiedere e ottenere perentoriamente che scattasse la giurisdizione italiana e che la nave italiana non lasciasse le acque internazionali, invece che recriminare dopo. Doveva fornire la chiave diplomatica per una composizione e mobilitare allo scopo tutti i mezzi dello Stato, servizi compresi, non la sua persona e la sua carica in missione pubblica con pernacchio della magistratura del Kerala. Certo, non è facile quadrare il cerchio nell’Oceano Indiano, ma questo ci si aspetta da un ministro dotato di tutti i poteri necessari per l’azione.

Quel che ci resta in mano della vicenda dei marò, oltre all’inutile missione di business & umanitarismo del titolare della Farnesina, è un lungo e infruttuoso soggiorno del sottosegretario di Terzi, Staffan de Mistura, nella funzione di badante esterno dei nostri militari. Il soggetto è simpatico, ebbe la ventura come rappresentante dell’Onu di andare a Sanremo e di affermare dal palcoscenico dell’Ariston di essere felice per il fatto di trovarsi «a Rapallo». Un lapsus delizioso, ma non esattamente una garanzia per chi ora si trovi ristretto in una prigione del Kerala, con un iter giudiziario che non avrebbe mai dovuto cominciare per evidenti ragioni di giustizia e di codice diplomatico.

Quanto al caso molto doloroso dell’ingegnere italiano ucciso nel corso di un blitz britannico in Nigeria, e della sorte affidata al vento delle indiscrezioni di altri ostaggi italiani in Africa, andiamo di male in peggio. Fosse capitato un simile luttuoso incidente al predecessore di Terzi, sarebbe stato pubblicamente linciato sulla pubblica piazza. L’improntitudine con cui siamo stati trattati, la mancanza di scuse formali da parte del governo britannico e il ritardo nelle spiegazioni che ci sono dovute cumulato con il tentativo di scaricare il tutto sui servizi, i soliti stracci di funzionari che volano, sono insuccessi che parlano da soli. C’è stata un’epoca in cui i servizi italiani, poi criminalizzati da campagne di stampa e magistratura, si raccordavano con Palazzo Chigi e con la Farnesina per riportare a casa dall’inferno iracheno giornaliste del Manifesto e della Repubblica dall’Afghanistan, per non parlare delle solerti impiegate di organizzazioni umanitarie dedite al benessere del «valoroso popolo iracheno» in lotta contro l’imperialismo, e lo facevano senza farsi scucire un baffo dai mozzorecchi jihadisti più feroci al mondo. C’era una guida politica e diplomatica che seppe far funzionare gli organi di sicurezza dello Stato, evidentemente.

Visto il fallimento, ci si aspettava dal ministro degli Esteri una misura se non di umiltà di equilibrio e di rassicurazione. Invece è da lui che sono venute polemiche politiche scollacciate con Roberto Maroni, totalmente fuori contesto. E spiegazioni a mezzo stampa infarcite da banalità e argomenti pro domo sua che privano di ogni autorevolezza una funzione delicata e decisiva della pubblica amministrazione. Un ministro non scrive articoli autocelebrativi sul Corriere della sera, soprattutto non dall’alto di preoccupanti batoste prese a nome e per conto del suo Paese. Ricostruire un certo peso dell’Italia in Europa, ecco un risultato del governo Monti nel teatro dei mercati e della politica di Bruxelles. Disfare il nostro prestigio operativo nel resto del mondo, accusando i critici di insensibilità per i concittadini indifesi all’estero, è quanto è riuscito a fare il capo della Farnesina. Giuliano FERRARA, Panorama, marzo 2012

QUELLA STRANA CORSA AL RIALZO DEI MERCATI,di Mario Sechi

Pubblicato il 20 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Incontro Governo-parti sociali al Ministero del Lavoro I mercati segnalano sempre una febbre in corso da qualche parte. La finanza ha ripreso a correre. I trader fanno il loro lavoro, speculano. Negli Usa gli indici volano e in molti si interrogano: dura o no? C’è chi sostiene che siamo al livello della primavera 2011 e dunque vicini a un altro crollo dei listini, ma c’è una scuola di pensiero che raffronta l’impennata con quella del 1995, anno in cui l’indice S&P 500 guadagnò il 34 per cento. Per me valgono sempre le due regole d’oro di Buffett: prima regola, ricordati di non perdere soldi; seconda regola, non dimenticarti la prima regola. Detto questo, quel che accade nei mercati – come abbiamo visto nel caso del cambio di governo in Italia – ci interessa da vicino. La sbornia da spread in Europa è passata (per ora) solo perché il presidente della Bce Mario Draghi ha immesso un fiume di liquidità nelle banche. Nessuno parla più della Grecia, ma in realtà tra Atene e il resto del mondo accadono cose notevoli: come per esempio il fatto che chi si era assicurato sui bond greci con i Credit Default Swaps (Cds) sta ricevendo un rimborso che non è il cento per cento del valore investito. Chi aveva 100 euro di debito greco assicurato, ne sta ricevendo in cambio 78 in base a un meccanismo che apre un buco nero sulla validità di questi strumenti di protezione del rischio. La Grecia resta un problema. È uscita dalla porta, ma rientrerà dalla finestra. Nel frattempo l’opinione pubblica – dalla crisi dei mutui subprime nel 2008 – ha maturato la convinzione che le banche si muovano come locuste che divorano il raccolto per conto dell’industria finanziaria. Italiani, brava gente. Quando leggo che Salvatore Ligresti si è fatto liquidare quaranta milioni di euro di consulenze da Fonsai e Milano Assicurazioni nel periodo 2003-2010, mi chiedo come si possa far digerire all’opinione pubblica tutto questo. I comportamenti etici non sono un problema della sola politica, ma anche dell’impresa e dei suoi protagonisti. Se la produzione in Italia è colata a picco, ci sono responsabilità grandi da parte degli imprenditori e dei sindacati. Le barricate che hanno alzato sulla riforma del lavoro ne sono la prova. Se un simbolo della sinistra come Giorgio Napolitano arriva a invocare un barlume di saggezza da parte di Confindustria e sindacati, vuol dire che non c’è consapevolezza del rischio in corso, nonostante il crollo del fatturato industriale. La riforma del mercato del lavoro non ci farà crescere subito, ma libererà risorse ed energie. I partiti sembrano più seri. Forse hanno compreso che se ieri il problema ero lo spread, domani per la speculazione sarà una riforma del lavoro senza capo né coda. Sono in ballo punti di pil futuro, cioè quello che manca all’Italia. Se i mercati non tengono botta, abbiamo fatto lo stesso un passo avanti. Mario Sechi, Il Tempo,  20 Marzo 2012

.…………Abbiamo grande stima del direttore de Il Tempo e leggiamo sempre con attenzione i suoi editoriali, condividendone le analisi. Anche oggi Sechi evidenzia le difficoltà in cui versa il Paese,   ad onta di quel che un giorno si e l’altro no, a corrente alternata, a seconda della bisogna, sostiene il premier unto da Dio, Monti, e cioè che grazie a lui e al suo governo le difficoltà maggiori starebbero dietro le spalle.  Ciò che scrive Sechi a proposito dei mercati e dei problemi finanziari è la verità. Quel che non ci convince è invece la tesi secondo cui i mercati stanno a guardare la riforma del lavoro per valutare la credibilità dell’Italia e quindi essere invogliati ad investire, anzi a ritornare ad investire nel nostro Paese. A questo riguardo ancor più esplicito è stato il segretario del PDL, Alfano, il quale in una dichiarazione alla stampa di questa mattina ha sostenuto che tutto dipende dall’art. 18  che rallenterebbe gli investimenti delle aziende straniere in Italia. Da sempre siamo convinti che il famigeraro art. 18 non è un totem e che una sua riformulazione è auspicabile, pur nell’ambito di una riconfermata tutela dei lavoratori dipendenti, ma considerarlo il colpevole dei mancati investimenti stranieri in Italia e/o dell’altrettanta latitanza di investimenti degli imprenditori italiani ci sembra una baggianata, esplicita quella di Alfano, più soft quella di Sechi. E’ una baggianata, intanto perchè da più parti ci si preoccupa di sostenere che l’art. 18 tutela poche persone e forse sarà vero, ma se ciò è vero, allora, perchè impantanarsi su un aspetto marginale e quasi inifluente? La verità è che quella dell’art. 18 è solo una barricata sulla quale si stanno arrampicando da una parte il governo Monti che vuol far mostra di polso e dall’altra tutti coloro che fanno finta di ignorare che il male italiano è la burocrazia, che lungi dall’essere  stata messa agli angoli, continua imperterrita, ad ogni livello, ad imperversare, aiutata da un legislazione ferraginosa e tortuosa che atterrisce sia gli imprednitori italiani, sia, sopratutto, quelli stranieri. Basta ricordare da una parte il rigassificatore di Brindisi per il quale dopo quasi un decennio di guerriglia burocratica l’impresa  inglese che doveva realizzarlo ha alzato le mani, con grave danno per l’economia – diretta e indiretta – sia nazionale, sia del Sud che ha perso centinaia di posti di lavoro, e dall’altra la TAV,  la ferrovia ad alta velocità tra Italia e Francia, e quindi verso il resto dell’Europa,  la cui realizazzione  consentirebbe enormi risparmi per il trasporto delle merci che segna ilpasso ad opera di qualche centinaio di invasati che sino a qualche settimana fa hanno avuto la copertura di forze politiche che le hanno usate per mero calcolo antigovernativo. Sono questi i veri nemici e gli eterni ostacoli alla ripresa degli investimenti e non l’art. 18, falso tabù e altrettanto falso totem.  Il quale, va detto, è comunque uno strumento di tutela, non necessariamente giudiziario, contro iniquità che nel mondo del lavoro non sono poi tanto infrequenti. g

LA COZZA PELOSA ATTACCATA ALLA POLITICA, di Mario Sechi

Pubblicato il 19 marzo, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

Michele Emiliano Il sindaco di Bari Michele Emiliano è finito nel frullatore per una storia di «cozze pelose» che sono arrivate in casa sua poco prima di Natale. Regalo di un imprenditore che gareggiava per gli appalti del Comune. Emiliano si è definito un «fesso» per aver accettato quel regalo. Sono d’accordissimo con lui: è un fesso ed ora il sindaco del Pd è protagonista di un «fishgate» dal quale non sarà facile uscire. Ho seguito il suo profilo twitter e debbo ammettere che ce la sta mettendo tutta per apparire inadeguato. Ha dato mille risposte ai suoi lettori-elettori indignati, ma non una convincente. Non vuole dimettersi e si dipinge come un allocco. Giudicate voi. È vero, non c’è reato né mai penso ci sarà, ma non siamo di fronte a un problema da codice penale, semplicemente si tratta di una materia chiamata «politica». Se uno che va a caccia di appalti pubblici e ti regala scampi, orate e cozze, e tu per soprammercato fai il sindaco, ti devi chiedere: «Perché lo fa?». Al suo posto, io che sono un fan di Machiavelli, avrei fatto un ragionamento del tipo: «Meglio rimandarle indietro, sono pure pelose ’ste cozze e le devo pulire. E non si sa mai che questo canti ai quattro venti che io le ho prese e mangiate». Cosa che è regolarmente successa. Altro marginale elemento di questa storia: Emiliano è un magistrato in aspettativa, uno che dovrebbe avere naso particolare nel fiutare i lestofanti. E invece no, ha sottovalutato le relazioni pericolose tra business e politica. Ha sempre fatto alti discorsi sull’etica e sui danni dell’era berlusconiana, poi però ha trovato il suo contrappasso dantesco, il «più puro che ti epura». Non mi interessa la sua carriera, non era destinato certo a entrare nel pantheon degli statisti, ma la sua storia sì che è esemplare, è una metafora dello sbrego tra politica e realtà. Così a Bari la seduta di autocoscienza del centrosinistra è da giorni concentrata sulle dimensioni delle spigole, la carne bianca e morbida degli astici e la polpa prelibata delle ostriche imperiali. Il tavolo della politica è diviso in fazioni che si fronteggiano tra cotto e crudo, sfilettato e marinato, al vapore o alla griglia. Se vanno avanti così, sono fritti. Mario Sechi, Il Tempo, 19 marzo 2012

.………..Siamo garantisti, per davvero,   e quindi non tireremo bordate ad Emiliano che ad oggi non è indagato di alcunchè. Ma, al di là  della barca(è il caso di dire!)  di pesce che, beato lui, s’è mangiato tra  Natale e l’Epifania,  quel che non è perdonabile sul piano etico di cui, come ricorda Sechi, spesso Emiliano s’ fatto portabandiera, è l’aver dato forma alla sua vicinanza con costruttori che avevano rapporti economici con il Comune, nominando la figlia di uno di loro suo assessore. Imperdonabile e visto il personaggio del tutto inspiegabile. O forse si sentiva un padreterno e qui è cascato l’asino. Attendiamo gli eventi. g.



SCUSACI MARCO (BIAGI) PER QUESTA RIFORMA (DELL’ART.18)

Pubblicato il 17 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Poche ore dopo che alla Camera dei deputati le più importanti autorità della Repubblica avranno commemorato il X anniversario dell’assassinio di Marco Biagi (rievocato, sere fa, in un ottimo servizio de La storia siamo noi), il presidente del Consiglio Mario Monti convocherà le parti sociali per concludere il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro. Si profila un’intesa su tutti i punti, anche sui più controversi. Come sia potuto cambiare all’improvviso uno scenario convulso ed inconcludente, intessuto di veti, polemiche e minacce di scioperi più o meno generali, può sembrare incomprensibile ad osservatori sempre disposti a sorvolare sui contenuti e a valorizzare gli aspetti mediatici di ogni vicenda. In questa logica è fin troppo facile tenere insieme i due eventi – la ricorrenza del professore bolognese e l’accordo “storico” sottoscritto da tutte le parti sociali (il solito eufemismo per dire che ha firmato anche la Cgil) – e magari stabilire tra di loro un nesso. Un collega ha addirittura proposto di dedicare la riforma a Marco Biagi. Eppure, se le cose non cambieranno entro martedì (ed è improbabile che ciò accada), saranno i nemici di Biagi ad avere vinto una importante battaglia, perché la legge che porta il nome del professore bolognese verrà smontata pezzo per pezzo, in cambio di un simulacro di revisione dell’articolo 18 dello statuto. In sostanza, sulle tipologie contrattuali flessibili – le stesse che tra il 1997 e il 2007, pur in presenza di una modesta dinamica di crescita del Pil, hanno consentito di dimezzare la disoccupazione ed aumentare l’occupazione giovanile – calerà una coltre di sospetto, opererà una vera e propria presunzione di illegittimità. Per potersi avvalere di queste forme di impiego, fino ad ora riconosciute dalla legge, i datori saranno costretti a subire una sorta di inversione dell’onere della prova, nel senso che dovranno essere loro a dimostrare la regolarità di rapporti altrimenti ritenuti elusivi di quel contratto di lavoro a tempo indeterminato assunto ed indicato come condizione di lavoro normale e prevalente. Sarà il trionfo dei teorici di un precariato descritto ormai come una classe sociale, alla stregua di quello che fu (o pretese di essere nelle ideologie dominanti del secolo scorso) il proletariato. A sentire la Cgil e certi settori della sinistra, i problemi dell’Italia non derivano dall’alto livello di disoccupazione giovanile, dal numero elevato di persone che non studiano, non hanno un lavoro e non si preoccupano neppure di cercarlo; e neanche dall’occupazione irregolare. È la precarietà il “male assoluto”, da vincere scardinandone l’impianto, mediante una scorciatoia normativa, che annulla, vieta, proibisce, autorizza. Lo stesso governo che si vanta di aver liberalizzato l’economia, rimuovendone i lacci e i laccioli che le impediscono di volare, che pretende di aver semplificato la vita dei cittadini e delle imprese, in materia di mercato del lavoro si affida ai controlli, alle ispezioni, agli adempimenti amministrativi, alle presunzioni relative ed assolute, nel nome di un XI comandamento che recita: solo il rapporto a tempo indeterminato è vero lavoro. I contratti flessibili devono guadagnarsi il diritto di cittadinanza sottoponendosi alla vigilanza quotidiana degli ispettori del lavoro e dell’Inps e all’ultima parola dei giudici, i quali potranno in ogni momento sanzionare i comportamenti dei datori ritenuti inadempienti stabilizzando automaticamente il rapporto. Nessuna traccia di un eventuale potenziamento degli strumenti di certificazione dei rapporti di lavoro, allo scopo di dare alle imprese affidamenti sulla correttezza delle relative modalità di assunzione e di fornire garanzie di regolarità ai lavoratori. Era, quella della certificazione, un’intuizione importante di Marco Biagi. Tutti diranno e scriveranno, adesso,che l’accordo rappresenta una svolta storica. E lo faranno per motivi che nulla hanno a che vedere con i contenuti di merito. Questo quadro politico – ecco la ragione – deve andare avanti a tutti i costi. Il Pd e la Cgil ottengono un importante risultato (Cisl e Uil potrebbero essere più realisti del re e rifiutare ciò che il governo è pronto a riconoscere a Susanna Camusso?). Il Pdl sembra avere una sola preoccupazione: che nei vertici di questa stramba maggioranza non si parli di Rai e giustizia. La Confindustria tace. Le piccole imprese si preoccupano solo dei costi degli ammortizzatori sociali come se avessero il diritto di averli riconosciuti gratis. Tutto qui. Marco scusaci. Giuliano Cazzola, ex segretario confederale della CGIL, ora  deputato del Pdl, 17 marzo 2012

.………………Allora sii coerente. Quando arriverà alla Camera dei Deputati il provvediumento legislativo che darà sostanza all’accordo che tutti (da noi a Vendola) definiscono il topolino partorito dalla montagna, capeggia la rivolta dei deputati contro un accordo che ha solo valore propagandistico ma nessun effetto reale. Come tutti gli altri porvvedimenti di Monti, salvo quelli relativi allo strangolamento mediante tassazione degli italiani. Altrimenti Cazzola stia zitto e si goda le prebende del regime. g.

SETTIMO: NON RUBARE, di Mario Sechi

Pubblicato il 17 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Il sindaco di Bari Emiliano riceveva spigole e champagne da un imprenditore. Lusi mangiava spaghetti a peso d’oro con i soldi della Margherita. Il leghista Boni prendeva la sua parte di stecca in un oliato sistema di esazione alle imprese. Per carità, tutti sono innocenti e qui siamo davvero garantisti, ma queste tre storie sono la metafora del Paese e della sua politica, di quello che a Roma con efficacia figurativa viene chiamato “magna magna”. Non ho intenzione di fare demagogia, tuttavia bisogna prendere atto che la corruzione, lo sbrego dei costumi etici, l’incuria della forma e della sostanza nell’amministrare il bene pubblico, sono fenomeni diffusi, nitroglicerina sul patto di solidarietà fra i cittadini e lo Stato. L’Espresso nel 1956 coniò il titolo “Capitale corrotta, nazione infetta”. È ancora valido, ma Roma non detiene più il primato, perché i centri d’affari si sono moltiplicati e soprattutto perché la rappresentanza politica è passata dai partiti a leader e funzionari onnipotenti che esercitano un potere personale di azione e riscossione. Il caso Lusi è esemplare: fa sparire dal bilancio della Margherita svariati milioni di euro e nessuno se ne accorge. Compra, investe, taglia impietosamente i rimborsi dei colleghi mentre lui fa la bella vita. Viene preso con le mani nella marmellata. Non si dimette. Addirittura fa la voce grossa. E ora minaccia Rutelli e soci. Un pasticciaccio brutto che va chiarito in fretta. Non è casuale che questa vicenda riguardi un partito che non esiste più, se non in forma di associazione. Quando i partiti diventano deboli o si creano feudi senza controllo, alla fine l’eccesso di potere si traduce in nepotismo e dispotismo che spesso degenerano in malaffare. È una storia antica come il mondo, ma occorre un rimedio e più che riscrivere il codice penale (le norme buone esistono) va fatto un lavoro di selezione della classe dirigente. Inutile girarci intorno: la qualità della rappresentanza italiana è peggiorata a vista d’occhio. E questo è frutto dell’impoverimento dell’educazione civica, del prendi i soldi e scappa applicato a ogni evento, dell’autoaffondamento della politica a favore delle logiche di clan, del brutale allontanamento del merito, della cultura dell’immagine che si è mangiata la parola e il ragionamento lasciandoci l’arroganza sbattuta in faccia, di una legge elettorale che favorisce solo la costituzione di “cerchi magici” e corti di regnanti. Si parte da qui, dalle regole del voto. E dalla ricostruzione dei partiti. La corruzione si combatte rimettendo al centro della scena la politica, cancellando la logica del business e riscoprendo quella del servizio pubblico. Chi sbaglia, a casa. Non c’è bisogno di inventare niente, sono regole scritte da molto tempo, in maniera semplice, comprensibile a tutti. Settimo, non rubare. Mario Sechi, Il Tempo, 17 marzo 2012

………….I primi a rubare sono i partiti attraverso  i finanziamenti pubblici, valanghe di soldi dei contribuenti elargiti dallo Stato ai partiti che non hanno personalità giuridica e quindi operano al di fuori di ogni legge e controllo, anche con i soldi che ricevono dallo Stato che essendo soldi pubblici non possono essere usati come soldi privati. Bisognerebbe incominciare da questo. Intanto eliminare di colpo il finanziamento pubblico con una leggina che si può fare in dieci minuti, anticipandola con un decreto legge, magari chiamandolo “bloccaladri”  e prevedere nella stessa legge, sempre anticipata con decreto legge, che i partiti, quelli viventi e quelli defunti, diano conto dei quattrini ricevuti e restituiscano ciò che hanno ricevuto in eccedenza rispetto alle aspese sostenute per le ragioni per cui hanno ricevuto i soldi dei contribuenti. Ecco, il signor Monti, se ne è capace faccia questo. E magari loconcordi in qualche altro summit notturno con  i vari Alfano, Bersani e Casini, anzi inconminci quest’ultimo che quando si trova un microfono davanti alla bocca anche quando dice cose ovvie (dobbiamo salvare l’Italia!!!!) sembra che stia facendo chissà quale rivelazione e stia per fasre chissà quale rivelazione a quanti lo ascoltano. La verità, amara, anzi amarissima,  che a differenza della nota pubblicità non fa benissimo, almeno al 90% degli italiani, è che a questi loschi figuri non interessa alcunchè nè dell’Italia, nè, sopratutto, degli italiani. Essi hanno a cuore solo la permanenza lì dove si trovano e er farlo hanno bisogno di usare i nostri soldi, i soldi sottratti con una tassazione selvaggia che non ha precedenti nella storia del mondo, con i quali assicurarsi l’avvenire per se e per i propri discendenti sino alla millesima generazione. g. P.S. Che pena oggi ascoltare Alfano rivolgersi al ministro del lavoro, con un “forza Elsa, abbi coraggio (di che?) siamo con te”: forse pensava di essere allo stadio a tifare per il Milan?

DEMOCRAZIA E’ SCEGLIERE. E MONTI NON E’ IL NUOVO MORO.

Pubblicato il 17 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Il compromesso storico che sognava Moro è arrivato con i tecnici. Casini invoca il clima di “solidarietà nazionale” come negli anni Settanta, ma lo spirito emergenziale che unisce i partiti è letale per la democrazia

Qual è il è il bello della democrazia, dividere o unirsi? La maggior parte degli italiani è stata indotta a rispondere unirsi. Ma è sbagliato. Il carburante della democrazia è invece proprio la divisione: programmi, stili e leader contrapposti per stimolare l’offerta di diversi modelli di governo.

Il premier Mario Monti

Se l’offerta permette delle scelte, il cittadino può esercitare la sua libertà. Ma se il mercato offre un unico prodotto, la scelta è nulla e la libertà inutile.
Perché parlare dei fondamenti della democrazia? Perché se già tirava un’aria eccezionale a causa di un governo efficace ma figlio di uno stato di necessità, ora sembra di assistere all’inizio di una nuova fase in cui si gettano le basi del dopo. E quel che sembra emergere, sotto forma di atteggiamento virtuoso, è l’intenzione di arrivare a eliminare, o almeno limare, tutte le differenze fra i partiti avendo come obiettivo finale una politica non soltanto pacificata, ma omogeneizzata. Il più attivo in questa direzione ci sembra il leader dell’Udc Casini che, nell’anniversario del rapimento di Aldo Moro e del massacro della sua scorta, privilegia dell’antico leader l’invocazione per la «solidarietà nazionale» che 35 anni fa fu scelta per combattere le Brigate rosse, le stesse che poi rapirono e uccisero Aldo Moro. La «solidarietà nazionale» era infatti una creatura tipica della prima repubblica generata dalla situazione internazionale: i partiti democratici governavano lasciando fuori il Partito comunista sia perché quel partito non vinse mai le elezioni, sia perché i Paesi della Nato avevano posto il veto.
E a causa di quel veto il Pci invocava ogni volta che poteva lo stato di emergenza nazionale per spingere affinché si formassero governi di «solidarietà» che gli permettevano di avvicinarsi all’area di governo aggirando il veto americano e alleato. Questa situazione mise l’Italia in una posizione di frizione molto grave che spinse Aldo Moro a farsi garante davanti agli alleati occidentali del cammino che avrebbe portato il Pci verso le democrazie occidentali, dopo aver finalmente rotto con Mosca, cosa che non avvenne mai finché l’Urss non collassò da sola. La sua uccisione però mise fine all’esperimento, che morì con la morte dello statista democristiano. Fare appello oggi alla memoria di Moro per usarla come sponsor di un’operazione di trasformismo, ci sembra una forzatura un bel po’ opportunistica,
Eppure vediamo rifiorire lo spirito emergenziale dei vecchi tempi, stavolta per consentire non a un solo partito, ma a tutti i maggiori partiti oggi in Parlamento, di formare un blocco, come una zattera di sopravvivenza sotto forma di imbarazzante alleanza: la foto che vede insieme tutti i leader da Alfano a Casini e Bersani, sembrerebbe indicare il desiderio di una coalizione sfrondata di ogni spigolo e spina. Il messaggio che dovrebbe suggerire questa operazione sarebbe: tutti uniti per il bene del Paese. Molto generoso, ma purtroppo letale per la rianimazione della democrazia in coma chimico.
Anche le celebrazioni per gli anniversari di Capaci e via D’Amelio sono diventate paramenti per la messa emergenziale benché nessuno sappia o voglia rispondere all’unica domanda che conta per quelle stragi: perché? Perché Falcone, che era ormai un dirigente ministeriale romano, fu assassinato in quel modo così spettacolare, più da corpi speciali, che da mammasantissima? E perché Borsellino morì quando disse di aver capito il motivo per cui Falcone era stato ucciso? Io so soltanto una cosa: Falcone stava dando un eccezionale aiuto – promosso da Cossiga – alla Procura di Mosca dopo che l’ambasciatore russo, Adamiscin, era andato al Quirinale a protestare perché il tesoro ex sovietico del Pcus e del Kgb era stato portato in Italia per essere riciclato. Quello fu l’ultimo lavoro pericoloso di Falcone. Ma quando morì fu subito lanciata un’assordante campagna di santificazione che sigillò ogni spazio per le inchieste meno banali, annichilendo qualsiasi ricerca del movente, che infatti ancora oggi nessuno sa indicare. Le due stragi divennero però strumenti per rilanciare l’emergenza, e oggi per suggerire l’opportunità di una politica senza politica, senza articolazioni, senza differenze. Ora comprendiamo bene perché il governo Monti sia stato e sia necessario e abbia richiesto per nascere una procedura, questa sì, eccezionale.

Ma l’autoriduzione della politica in poltiglia ci sembrerebbe a questo punto la ratifica di un suicidio. Non tanto quello dei partiti, ma della democrazia stessa. Paolo Guzzanti, Il Giornale, 17 marzo 2012

I QUATTRO CABALLEROS ALL’ARREMBAGGIO DELL’ITALIA

Pubblicato il 16 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Cosa cambia sui licenziamenti Basta con l'articolo 18

I quattro caballeros sono Alfano, Bersani, Casini ( il moderno ABC della vecchia Italia) cui si aggiunge  Monti che secondo un sondaggio che spopola sul web è uno che ci fa, o ci sa fare, ovviamente con i soldi degli italiani, sopratutto degli italiani che lavorano e faticano e tirano la carretta perchè una parte residua,  e peggiore!, del Paese continui a vivere nella pacchia. Ieri sera i quattro caballeros si sono riuniti e si sono amabilmente intrattenuti a discutere di cose importanti, mica delle tasse che hanno toccato quota 50, 55% delle scarse retribuzioni degli italiani, mica della benzina che ha sfondato il muro del suono dei 2 euro al litro, mica dei consumi che stanno precipitosamente scendendo a riprova delle crescenti difficoltà degli italiani, mica dei posti di lavoro che continuano a perdersi grazie alla difficoltà degli imprenditori di accedere al credito per fare impresa e quindi crescita, mica per discutere del fatto che le Banche ricevono dalla BCE 130 miliardi di euro al modesto tasso dell’1% e rivendono i soldi ricevuti quasi gratis a interessi da capogiro agli italiani (escluso ovviamente le caste alle quali alla faccia di ogni ritengno le banche elargiscono mutui a tassi di favore, molto più bassi di quelli praticati in Germania al presidente della Repubblica Federale che per questa ragione si è dovuto dimettere), insomma non hanno parlato di nulla che interessasse da vicino gli italiani che arrancano ogni giorno di più. Si sono riuniti e hanno parlato: 1. di articolo 18,  che è un totem ma che non è di certo l’ostacolo principale alla crescita del Paese e comunque  partorendo una specie di topolino, visto che l’accordo raggiunto – cui si è messa di traverso immediatamente la CGIL – è in fondo un non accordo; 2.  di giustizia,  ma non per fare in modo di assicurare ai cittadini italiani una giustizia veloce, equa e “giusta” visto che  oggi un processo, civile o penale, addirittura anche quelli di lavoro,  può durare da 20 a 40 anni!  ma per aggiustare la questione che fa incazzare i giudici, cioè la cosiddetta responsabilità personale quando sbagliano come capita a qualsiasi altra professione del nostro Paese e del mondo conosciuto meno le dittature di ogni colore e per darsi apputamento in seguito per approfondire gli altri temi legati alla giustizia  con la sicurezza 8nostra!)  che come nel passato anche nel presente e nel prossimo futuro non se ne farà niente; 3. della RAI,  che è stata rinviata ad altra puntata…..Insomma hanno cinguettato – come piace fare a Casini che è, dice lui, un patito di twitter per 5 o sei ore e dopodichè hanno diramato un comunicato a firma di Monti (nella foto diffusa da Casini e che oggi campeggia su tutti i giornali il prof. Monti sembra il bidello dietro i professori….) che si dice altamente soddisfatto. Di che?  Del fatto che come ha fatto con gli italiani è riuscito a fare anche con il Trio Lescano, cioè li ha presi per il c..o. Non si illuda: ad essere stato preso per i fondelli è lui, da ben più navigati  esperti nell’arte più vecchia del mondo. g.

HO VISTO UN PAESE CHE ……, di Mario Sechi

Pubblicato il 15 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Anche la giornata di ieri è stata ricca di insegnamenti. Ho visto e sentito una donna tenace, il ministro Elsa Fornero, dire cose molto sagge sul mercato del lavoro e la sua “liberazione” dal consociativismo e dalla zavorra novecentesca che impedisce al Paese di crescere. Ho ancora una volta preso atto della realtà immutabile di una magistratura che non ne vuol sentire di mettersi in gioco, di accettare la sfida che milioni di italiani hanno compreso. Le toghe si sono arroccate. Loro, non pagano mai, in rivolta per gli stipendi ieri, contro la responsabilità civile oggi. Il Csm si comporta da terza camera legislativa, mettendo il veto sul Parlamento. E tutto va bene. Ho visto le banche italiane mettersi al tavolo della politica e cominciare a discutere più di credito all’economia reale e meno di finanza. Quello dell’Abi è un primo passo, serve più coraggio cari banchieri, avete rivendicato il vostro ruolo d’impresa e allora prendete qualche rischio. Non ho ancora visto iniziative degne di nota nei confronti dell’India che detiene illegalmente, calpestando il diritto internazionale, due marò che facevano il loro dovere su una nave battente bandiera italiana. È ora di darsi una svegliata, le relazioni internazionali non sono il circolo degli scacchi e non si abbandona mai nessuno sul campo di battaglia. Come italiano non ci sto a vedere due nostri uomini in divisa marcire in una prigione in India. Non ho ancora visto iniziative concrete per la crescita. E non parlo della riforma del lavoro (che va fatta, ma da sola non basta) ma delle attività del ministero dello Sviluppo guidato da Corrado Passera. Non pervenuto. Per ora è una nebulosa. Attendiamo una schiarita. Ho visto Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini giocare al gatto con il topo: segretari di partiti che perdono tempo a rincorrersi, mordersi, lasciarsi, riprendersi. Mi hanno ricordato un passato che mi piacerebbe fosse archiviato. La politica deve tornare, ma possibilmente con qualcosa di più forte del gioco a nascondino. Ho visto che i buoni consigli non vengono ascoltati. Mettere nell’agenda del governo il riassetto della Rai è un errore e liquidare la questione giustizia – come dimostra il niet del Csm – a un paio di norme sulla corruzione per fare bella figura senza aver risolto niente è una stupidaggine. Sono le scorie di un passato ancora vicino che ha fatto comodo alle carriere di tantissimi, ma molto male al Paese. E le colpe sono ben distribuite, a destra e a sinistra.

Ho visto tanti italiani perdere il lavoro in questi mesi. Ho letto centinaia di curriculum di gente che cerca un posto, uno qualsiasi. E non posso fare niente. Ho provato rabbia di fronte a lettere disperate di padri che non ce la fanno a pagare i conti e assicurare un futuro ai figli. E ho visto decine e decine di giovani inseguire lavori che declinano o non esistono più. Ho visto un Paese, l’Italia. È da rifare.  Mario Sechi, 15/03/2012, Il Tempo

.………..A parte che la Fornero dice una cosa saggia (forse) e tra strambalate (certe), compreso la “paccata” di miliardi per la riforma del lavoro che significhi occupazione, che non ha, Sechi ha scritto il suo editoriale quando non era ancora noto il ping-pong  sulle commissioni bancarie tra un sottosegretario e l’altro, andato in onda stamattina. Uno, Polillo, in Aula a Montecitorio ha annunciato che il governo avrebbe eliminato con un decreto legge la norma emendata in Senato per cui le Banche non possono caricare di commissioni i conti correnti dei pensionati con assegno sino a 1500 euro mensili, perchè, ha detto il sig. Polillo che di euro ne prende una valigiata ogni mese, questa norma è un danno per le Banche,  le stesse che ricevono dalla BCE 130 miliardi all’1% e li rivendono ai privati al 5,6,7,anche all’8%; ad horas gli ha replicatio un altro sottosegretario, De Vincenzi, che lo ha smentito e che anzi ha detto che il governo è invece d’accordo sulla norma. Ecco, il direttore Sechi ha buttato giù il suo sconsolato editoriale quando questa ennesima riprova che i professori non sono migliori dei politici non era ancora andata in onda. g.

IL PM PALERMITANO INGROIA IRRIDUCIBILE: DELL’UTRI E’ AMICO DELLA MAFIA

Pubblicato il 14 marzo, 2012 in Giustizia | No Comments »

La Cassazione ha demolito il suo teorema ma il pm palermitano pontifica: “Il senatore ambasciatore della mafia”

La sentenza ha seminato dubbi e la requisitoria del procuratore generale Francesco Mauro Iacoviello si è quasi trasformata in un’arringa in difesa di Marcello Dell’Utri, ma lui non ha smarrito le sue certezze.

Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, colonna dell’antimafia siciliana e accusatore da una vita del senatore e bibliofilo, senza aspettare di leggere le motivazioni del verdetto che ordina la celebrazione di un nuovo processo. Anzi, in qualche modo Ingroia prova a riscrivere la sentenza in un’intervista senza freni al programma di Radio24 la Zanzara. Per lui Dell’Utri era e resta «un ambasciatore di Cosa nostra nel mondo imprenditoriale e finanziario milanese, un portatore di interessi della mafia».
Un giudizio durissimo che, evidentemente, scavalca la Cassazione e le sue preoccupazioni. Il parlamentare infatti è finito sotto inchiesta per concorso esterno e la Suprema corte, per superare una sorta di nouvelle vague giudiziaria e processi basati su suggestioni più che su prove, aveva fissato a suo tempo paletti rigidi. Ora i giudici hanno stracciato il verdetto di Palermo ritenendolo non in linea con gli standard della Suprema corte. Questo non significa che Dell’Utri sia innocente, ma la Cassazione afferma in sostanza che le prove non reggono.
Un ragionamento esplosivo che non modifica di una virgola il convincimento di Ingroia: Dell’Utri lavorava per Cosa nostra. Di più, l’avventura politica del senatore «nasce per gli interessi di Cosa nostra. L’idea della costituzione di Forza Italia è del senatore Dell’Utri ed è anche nell’interesse della mafia». Ingroia non arretra di un millimetro: già la sentenza della Corte d’Appello, che pure aveva condannato il senatore a 7 anni di carcere, l’aveva assolto per gli episodi successivi al 1992 e dunque collegati alla nascita di Forza Italia e alla presunta trattativa fra Cosa nostra e spezzoni dello Stato. Ora la Cassazione va oltre e contemporaneamente la magistratura fiorentina, al termine del processo contro un boss condannato per la bomba agli Uffizi, spiega che non ci sono riscontri all’ipotesi che Forza Italia abbia dialogato con i capi di Cosa nostra. Non importa.
Per Ingroia, invece, le prove «non ci sono» su Silvio Berlusconi che pure è stato sotto i riflettori della magistratura per anni e anni. Ora il magistrato tende a distinguere i ruoli, ma al Cavaliere riserva una stilettata ancora più graffiante: «Berlusconi ha detto che Dell’Utri ha sofferto 19 anni di gogna? Si potrebbe replicare che quando lui era al governo poteva fare una riforma per accorciare i tempi dei processi, invece ha fatto esattamente il contrario. Anche il processo Dell’Utri è durato così tanto per colpa di Berlusconi, questo è sicuro». Dunque, comunque si rigiri la questione, per Ingroia, che pure si sente «sconfitto» dalla Cassazione, questo non è il tempo della prudenza.
E così respinge anche le parole, davvero controcorrente, scandite in aula dal procuratore generale Francesco Mauro Iacoviello che aveva bollato «il concorso esterno, un reato in cui non crede più nessuno». Non è così per Ingroia che manda in prescrizione solo i dubbi dei colleghi e difende il concorso esterno così come è oggi. Anzi, il magistrato stila una spericolata classifica virtuale dei procedimenti più noti. In questo caso «ci sono molte più prove e più concrete. Sarebbe ingiusto rispetto a Bruno Contrada, per esempio, se Dell’Utri se la cavasse mentre lui è finito in galera. Su Contrada c’erano meno prove a carico».
Naturalmente è possibile ribaltare le conclusioni del procuratore aggiunto: se vacillano le prove raccolte contro Dell’Utri, allora si può sostenere che la condanna di Contrada poggia su palafitte marce e forse l’ex 007 è stato vittima di un errore giudiziario.

Ma Ingroia è sempre stato un magistrato senza peli sulla lingua e anche questa volta non si smentisce. E rivendica anche la propria passione civile: «Non mi pento di essere andato al congresso del Pdci, ci tornerei anche domani e devo dire che andrei anche da altri partiti. Sì, se mi invitassero Alfano e Berlusconi andrei a parlare di giustizia pure dal Pdl. Basta che non mi interrompano». Manlio Contento, avvocato e deputato del Pdl, si rivolge però al ministro della Giustizia Paola Severino perché avvii l’azione disciplinare. Alla fine la Zanzara rischia di pungere proprio lui. Stefano Zurlo, Il Giornale, 14 marzo 2012

…………...Su questo Pm che non rispetta le sentenze e le giudica senza neppure leggere le motivazioni, e quindi solo per partito preso, vi invitiamo ad ascoltare il commento di Giuliano Ferrara,  su Radio Londra di questa sera. g. (ascoltare  il commento andare sul Foglio e cliccare su Radio Londra).