Archivi per marzo, 2012

I NUOVI GATTOPARDI

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Sono stati diffusi tra ieri e oggi due comunicati della “casta” politica. Con il primo si informa la plebe che gli esperti dei partiti della attuale (sgangherata)  maggioranza che sostiene il governo degli oligarchi italiani avrebbero raggiunto un primo accordo sulla bozza di modifiche costituzionali che sono sostanzialmente due: la riduzione dei deputati da 630 a 500 (più 8 da eleggere nella circoscrizione estera) e la riduzione dei senatori da 315 a 250 (più 4 da eleggere nella circoscrizion estera). Quanti ai numeri principali si tratta di una riduzione rispetto a quelli attuli di appena il 20%, quindi molto meno del 50% sempre promesso, e cioè 300 deputati e 15o senatori, numeri questi più che sufficienti  a garantire   una equa ed efficace rappresentanza popolare. Ma evidentemente quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti i numeri sono saltati e  ci si è accordati sulla riduzione del 20% sotto la quale hanno messo la firma il PDL, il PD,  e il Terzo Polo. Naturalmente siamo appena al primo passaggio (non formale…) di un accordo che dovrà fare i conti con le forze politiche ora escluse dall’intesa e successivamente con quelli che con il voto in Parlamento, da esprimere più volte, senza che si possa “mettere la fiducia”, dovranno approvare la riforma così come è stata congegnata. Non è difficile ipotizzare, senza molti rischi di sbagliare, che siamo di fronte alla solita montagna che ha partorito il topolino. Del resto a confermarlo ci sono quegli 8 deputati e 4 senatori  da eleggere all’estero. Ma non si era convenuti tutti che quella del voto ai residenti all’estero era una grossa boiata, tra l’altro in violazione di uno dei principi su cui si poggiano le democrazie moderne da Tocqueville in poi e cioè che il diritto di voto si accompagna al dovere di pagare le tasse?   In nessun Paese al mondo ciò è consentito e non abbiamo necessità di richiamare uno dei precetti costituzionali secondo il quale ogni cittadino ha l’obbligo di farsi carico dei costi dello Stato in ragione delle sue possibilità. Orbene,  i firmatari della bozza dell’intesa se ne sono bellamene scordati ed hanno previsto di mantenere in vita in seno al Parlamento italiano parlamentari eletti da chi le tasse non le paga.  Non solo! Nella bozza non c’è alcun riferimento all’altra boiata, quella dei presidenti della Repubblica che al cessare del loro mandato si trasformano in senatori a vita. In America, che è l’America, gli ex presidenti ritornano alla loro vita privata e al massimo si fanno per conto loro le  fondazioni e se ne pagano le spese. Basta ciò a farci dubitare che la “casta” sia davvero decisa a autosmontarsi, anzi queste poche noterelle fanno pensare che invece accadrà,  e  anche molto peggio,  quello che è accaduto nel passato, quando ad occuparsi della riforma dello Stato furono impegnati non i cosidetti esperti, ma i più autorevoli uomini di governo del passato, dal liberale Bozzi, alla comunsita Iotti,  al democristiano De Mita e, perchè no, al postcomunista D’Alema, cioè nulla. A conferma di questa nostra brutale previsione viene il secondo comunicato della giornata, quello a firma del rappresentante del Terzo Polo, l’ex di tutto Adornato (UDC), che a proposito di un raggiunto accordo su una nuova legge elettorale  tra gli stessi tre partiti, PDL, PD, Terzo Polo, identificata con quella proporzionale alla tedesca con qualche spruzzata di quella spagnola, ha fatto sapere che la notizia dell’accordo è del tutto falsa, avendo conferma da Pisicchio (API) il quale ha rincarato la dose precisando che la legge elettorale tedesca può solo essere  un primo punto di partenza ma non di arrivo. La smentita dell’accordo sulla legge elettorale rimette la palla al centro, come suol dirsi, anche perchè evidenzia che l’accordo sulle riforme può camminare solo di pari passo con quello della legge elettorale, perchè, evidentemente, ciascun partito  parametra la sua posizione rispetto alle riforme istituzionali sulla base della legge elettorale, per trarne il massimo vantaggio. Ecco perchè i cittadini italiani rischiano di essere travolti da un nuovo ma sempre uguale gattopardismo: fa e finta di cambiare tutto, per non cambiare nulla (stipendi, vitalizi, privilegi compresi!). g.

L’INDIA METTE IN GALERA I DUE MARO’ ITALIANI…CHE FIGURACCIA PER LA DIPLOMAZIA ITALIANA

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

I due marò arrestati

I due marinai italiani illegittimamente deportati dalla nave italiana nella sede della Polizia indiana,  da oggi sono in carcere per ordine di un solerte giudice indiano. Il Ministero degli Esteri italiano ha diffuso una not ain cui esprime meraviglia per questa involuzione della controversa vicenda che vede i due marinai italiani accusati di omicidio, proprio loro che lì stavano compiendo aloro rischio una misisone di tutela in acque spesso teatro di insidiose scorribande di pirati del 21° secolo. L’arresto peraltro avviene ancor prima che siano accertate le loro responsabilità. Anche alcuni organi di stampa stanno stimolando i loro lettori ad inviare email di protesta all’Ambasciata indiana a Roma. Ci sembra che a prescidnere dalle iniziative di natura propagandistica e accertato che in base alle leggi internazionali la competenza a processare, eventualmente,  i due marinai apparteine all’Italia, ci pare che sia arrivato il momento di alzre il dito contro coloro che permisero ad uomni armati di un Paese straniero di metter epiede sulla nave italiana che essendo in acque internazionali era ed è territorio italiano. Averlo permesso è di per sè ragione di dubitare delle capacità di chi aveva il comando dela nave e anche della diplomazia romana che lo ha permesso. In altri tempi e per molto meno ci fu chi schierò i corpi armati poer impedire che sul suolo italiani agenti stranieri (di un Paese amico!)  facessero il loro comodo. Altri tempi e altri uomini. g.

ZITTIAMO I NON TAV, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Ieri, ai funerali di Lucio Dalla, una piazza piena di italiani commossi e solidali ha riscattato le tante piazze che negli ultimi giorni sono state popolate da gentaglia violenta che il Paese lo vuole denigrare se non distruggere.

È la prova che c’è un’Italia assolutamente per bene e maggioritaria, che non ne può più di una esigua minoranza che monopolizza attenzioni e risorse. Manca solo il coraggio, o il pretesto, perché questa maggioranza silenziosa esca allo scoperto per smentire che usa il suo silenzio per sostenere che «l’Italia non vuole la Tav» o panzane simili. Successe già una volta, eravamo nel 1980, quando proprio in Piemonte, per la precisione a Torino, dirigenti, quadri e operai Fiat scesero in piazza per dire basta a un sindacalismo arrogante e violento che paralizzava l’azienda e l’intero Paese. Fu una svolta,l’inizio di una nuova stagione di pace sociale, fiducia e benessere, il famoso secondo miracolo italiano.

Qui non è più una questione di destra o sinistra, di berlusconiani o antiberlusconiani. Con i No Tav si sta toccando il fondo del barile, siamo alla negazione della democrazia e al limite della sopportazione. Ieri il loro eroe dal palco della Val di Susa ha paragonato i nostri poliziotti ai nazisti che rastrellavano le campagne e le montagne piemontesi trucidando donne e bambini. Io non so se questo è reato, ma certo non è più possibile sopportare in silenzio. Io spero che una frase del genere non resti impunita: i sindacati dei poliziotti, il ministro degli Interni dovrebbero passare alle vie legali. Per farlo non dovrebbero più sentirsi soli e l’unico modo è che sentano e vedano che la stragrande maggioranza dei cittadini è dalla loro parte.

Il governatore del Piemonte, Roberto Cota, sabato ha evocato una riedizione della marcia della maggioranza silenziosa.È un’idea da non lasciare cadere. Rimanere zitti vuole dire rendersi complici di chi ha preso in ostaggio la Val di Susa e con essa l’Italia tutta. Il giornale 5 marzo 2012

PUTIN SI RIPRENDE LA RUSSIA

Pubblicato il 5 marzo, 2012 in Politica estera | No Comments »

Il patriarca della chiesa russa non lo ha detto apertamente, ma ci è andato davvero vicino. «Spero che il risultato di queste elezioni permetta al nostro paese di proseguire lo sviluppo spirituale e materiali degli ultimi anni», ha commentato ieri pomeriggio, mentre votava nel seggio speciale allestito a Chisty Pereulok, la sua dimora di Mosca.

Se si pensa che la parola usata più spesso da Vladimir Putin in questa campagna elettorale è stata «stabilità», non è difficile immaginare quale nome fosse scritto sulla scheda del patriarca Cirillo. Ieri la Russia è andata alle urne per scegliere il nuovo presidente, i risultati definitivi ancora non ci sono ma Putin ha conquistato il suo terzo incarico al Cremlino dopo una parentesi di quattro anni alla guida del governo. Putin ha votato nel centro della capitale con la moglie Ludmylla: poche ore più tardi le attiviste di Femen, il movimento di ragazze ucraine conosciuto in tutta Europa per le proteste in topless contro banche, governi e personaggi politici, ha cercato di rubare l’urna con la scheda del presidente. Quel che si sa è che si trovano agli arresti e che potrebbero essere espulse dal paese già nelle prossime ore.

I movimenti di opposizione hanno già denunciato brogli e irregolarità nei seggi, anche se le percentuali degli exit poll e dei primi risultati, che oscillano fra 59 e 63%, riportano Putin, che ha festeggiato in lacrime, alla presidenza della Federazione senza passare dal secondo turno di ballottaggio. Alla fine dello spoglio il suo rivale più pericoloso, il comunista Gennady Zyuganov, dovrebbe arrivare secondo; lontano il milionario Alexandr Prokhorov, che aveva deciso di scendere in politica per portare vento liberale in Russia.

La popolarità di Putin è trasversale, parte dai ranghi della chiesa ortodossa (che pure lo avevano criticato nel corso della campagna elettorale) e arriva alle grandi masse delle periferie urbane. Negli ultimi mesi si sono registrate decine di proteste contro il Cremlino, che hanno avuto come protagonisti giovani intellettuali, manager ed esponenti della classe media. La grande maggioranza della popolazione, tuttavia, resta con il leader. «Noi crediamo che sia un buon politico, Putin ha sempre fatto il bene del nostro paese», dice Dmitri, un uomo sui cinquanta seduto a un tavolo del ristorante Le Borshch, nel centro di San Pietroburgo.

In questa città, la città in cui sono nati sia Putin sia il suo delfino, Dmitri Medvedev che oggi siede al Cremlino ma presto prenderà la guida del governo, la domenica del voto è passata come se fosse un giorno qualunque: le mamme con il cappotto accompagnano i bambini alle piste da hockey trascinando i loro borsoni enormi e le coppie passeggiano lungo le strade eleganti del centro. Non ci sono molti manifesti elettorali, quelli di Putin non hanno la sua fotografia ma soltanto il nome. «Non sono andata a votare, la politica non mi interessa per niente», racconta Ksenia, una ragazza di vent’anni che studia all’università. Viene proprio dal dato dell’astensionismo la grande incognita di queste elezioni: ieri, intorno alle 13 di Mosca, il tasso di partecipazione viaggiava intorno al 30 per cento, il 4 in più rispetto alla tornata precedente.

Il governo ha fatto installare centinaia di telecamere nei seggi prima del voto, un sistema per tenere sotto controllo la fase del conteggio. L’operazione sembra efficace: a San Pietroburgo la polizia ha già confermato un caso di urne truccate. A Mosca, i sostenitori di Putin si sono radunati già ieri pomeriggio in attesa degli annunci ufficiali. Il ministero dell’Interno ha rafforzato i controlli in città, aumentando il numero degli agenti in servizio. Quel che si teme non è la festa dei Nashi, il giovane esercito del presidente: oggi l’opposizione potrebbe organizzare un grande corteo di protesta, come dicono gli accordi siglati nei giorni scorsi nel palazzo del governatore, e il pericolo di scontri è elevato. Alla marcia non dovranno partecipare più di diecimila persone, ha detto il numero uno di Mosca, Sergei Sobyanin: «Non permetteremo a nessuno di mettere le tende nelle nostre piazze».

In altre parti del paese, questo giorno non sarà ricordata soltanto per il (probabile) successo di Putin. In Inguscezia, la Repubblica più piccola e più povera del Caucaso, un anziano signore è arrivato al seggio per firmare un record stravagante: con i suoi 116 anni compiuti, Appas Iliyev è diventato il più vecchio elettorale nella storia del paese. «Quest’uomo è nato nel 1896 e ha votato nel villaggio di Guli», ha fatto sapere il presidente della commissione elettorale. Ma le elezioni del 2012 hanno anche un altro primato, decisamente meno triviale: ben cinque persone sono morte per arresto cardiaco ai seggi. Ma questa è l’unica notizia luttuosa nella domenica di Putin.Il Giornale 5 marzo 2012

LE RONDINI HANNO DATO L’ULTIMO ADDIO A LUCIO DALLA

Pubblicato il 4 marzo, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

Sono state Le Rondini, uno dei brani più belli sgorgati dalla grande vena poetico-musicale di Lucio Dalla a dargli l’ultimo addio, a Bologna,  nella Piazza Grande inondata di sole e di gente, che ha partecipato alle esequie dell’indimenticabile cantautore. Queste le parole de Le Rondini che si sono innalzate nella Cattedrale di San Petronio, al termine della funzione religiosa.

Vorrei entrare dentro i fili di una radio

E volare sopra i tetti delle città

Incontrare le espressioni dialettali

Mescolarmi con l’odore del caffè

Fermarmi sul naso dei vecchi mentre Leggono i giornali

E con la polvere dei sogni volare e volare

Al fresco delle stelle, anche più in là

Vorrei girare il cielo come le rondini

E ogni tanto fermarmi qua e là

Aver il nido sotto i tetti al fresco dei portici

E come loro quando è la sera chiudere gli occhi con semplicità.

Vorrei seguire ogni battito del mio cuore

Per capire cosa succede dentro

e cos’è che lo muove

Da dove viene ogni tanto questo strano dolore

Vorrei capire insomma che cos’è l’amore

Dov’è che si prende, dov’è che si dà

ALFANO NON SARA’ UNA METEORA?

Pubblicato il 4 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Il segretario del Pdl Angelino Alfano Non so, francamente se Angelino Alfano ha veramente quello stomaco di ferro attribuitogli ieri da Silvio Berlusconi. Che, volendo sotterrare gli equivoci provocati da quel certo «quid», addirittura «la storia», di cui aveva lamentato la mancanza parlandone come di un possibile candidato a Palazzo Chigi nelle elezioni dell’anno prossimo, ha ieri assicurato che Angelino «si mangia a colazione, pranzo e cena tutti i segretari» degli altri partiti «in campo». Ce ne vuole di stomaco, sotto tutti i punti di vista, per mandare giù e digerire tanta roba. Ma lo stomaco di Alfano ha il supporto di quello del Cavaliere. Che, per quanto affaticato, e costretto alla dieta dallo scorso autunno con le dimissioni da presidente del Consiglio, ne ha mangiati e digeriti di avversari e concorrenti in diciotto anni di battaglie elettorali e parlamentari. Non è del tutto immaginario, o per forza destinato ad una breve ed effimera stagione politica, quello che mi viene voglia di chiamare BerluscAlfano: un personaggio sintesi di Berlusconi, con la sua imprevedibilità, il suo coraggio, la sua irriducibilità, e non solo i suoi errori, e di Alfano, con la sua origine democristiana, la sua giovane età, una certa tecnica della politica sperimentata anche a livello istituzionale nei circa tre anni trascorsi alla guida del difficilissimo Ministero della Giustizia, spesso a contatto di gomito con un presidente della Repubblica di spessore com’è stato ed è Giorgio Napolitano. Sono esperienze che segnano e formano un uomo politico. Esse avrebbero dovuto sconsigliare l’altra sera ad Eugenio Scalfari, dall’alto della sua pur venerabile età ed esperienza professionale, nel salotto televisivo di Daria Bignardi, di equiparare barbaricamente Alfano, in linea con il titolo della trasmissione, ad un uomo al servizio del «padrone». E l’estate scorsa a Pier Luigi Bersani di salutarne l’arrivo alla guida del Pdl definendolo «segretario del segretario», come se si trattasse -che so?- di una riedizione politica, rispetto a Gianfranco Fini, di Italo Bocchino. Il quale peraltro è stato, fra tutti quelli intervenuti a commentare e interpretare quel certo «quid» non avvertito da Berlusconi in Alfano, il più tempestivo ma anche il più imprudente, aiutando a capire meglio ciò che bolle nella pentola del terzo polo. Dove le pur legittime ambizioni di crescita, per carità, rischiano di diventare così smodate da finire come le rane. In particolare, Bocchino ha paragonato il Pdl attuale, alla vigilia delle elezioni amministrative del 6 maggio, alla Dc di Mino Martinazzoli dell’autunno 1993, quando lo scudo crociato perse dappertutto, non riuscendo a portare il suo candidato al ballottaggio neppure a Roma, dove la partita capitolina si giocò tra Francesco Rutelli e Fini. E peraltro vinse Rutelli, nonostante la preferenza per Fini espressa da Berlusconi, pur non votando nella Capitale, con dichiarazioni che in qualche modo ne anticiparono la decisione di «scendere in politica» nelle ormai imminenti elezioni politiche generali. «Raccoglieremo i cocci del Pdl -ha detto Bocchino in una intervista pubblicata l’altro ieri su il Riformista- come noi quelli della Dc nel 1993». Ecco quindi che cosa aspettano da quelle parti: una sonora sconfitta amministrativa del Pdl il 6 maggio, e negli eventuali ballottaggi di quindici giorni dopo, per ingoiarne i resti. Proprio per facilitare questo obbiettivo sono venute dal partito di Bocchino, cioè di Fini, le maggiori resistenze ai tentativi di Alfano di fare accordi con il terzo polo per gli appuntamenti elettorali di maggio, magari propedeutici ad intese politiche più generali, per una ricomposizione dello schieramento di centrodestra o, più in generale, dei moderati. La cui unità Berlusconi non a caso è tornato ieri ad auspicare per scongiurare nelle elezioni politiche del 2013 una vittoria della sinistra: quella della foto di Vasco, pur tanto indigesta a Walter Veltroni e a molti altri nel Pd, con Bersani, Vendola e Di Pietro. Ma, più che dal partito di Bocchino, che era allora il Movimento Sociale, la maggior parte dell’elettorato della Dc di Martinazzoli, come degli altri vecchi partiti di governo spazzati da Tangentopoli, fu raccolto con Forza Italia da Berlusconi. Che ospitò nelle sue liste l’allora Ccd di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Molta acqua è certamente passata da allora sotto i ponti della politica, ma vendersi la pelle dell’orso prima di averlo ucciso rimane sconsigliabile. Non a caso il pur critico Casini non parla, e forse non pensa, come Bocchino. Francesco Damato, Il Tempo, 4 marzo 2012

.…………Che siano in molti e non solo il FLI di Fini ad attendere che il PDL imploda sono in tanti che su questo poggiano i loro programmi futuri. A dar loro qualche mano ci si mettono e di molto non solo i dirigenti del PDL, trasformatosi suo malgrado in una sorta di grande cerchio magico oltr eil cui perimetro nln è cobncesso a nessuno di andare, ma lo stesso Berlusconi che, diciamolo francamente, non è più lo stesso del 1994, sia perchè sono mutate le condizioni, sia perchè è sicuramente mutato lui stesso, non solo anagraficamente, che pure conta, ma anche e sopratutto psicologicamente. Ieri a Milano, nella città che tenne a battesimo Forza Italia prima e il PDL poi, ha rassicurato tutti, ma non basta. La prova del fuoco la si dovrà affrontare alle amministrative prossime senza perdere di vista l’obietti vo che è quello di tornare al passato (recente): ricostruire un grande rassembramento delel forze moderate, lasciando al proprio destino i recalcitranti alla Bocchino la cui sopravvivenza politica è direttamente legata a nuove stagioni che vedano definitivamente la resa dei moderati di centrodestra al falsi moderati di centrosinistra. g.



“TUTTI PER L’ITALIA”, LA NUOVA IDEA DI BERLUSCONI

Pubblicato il 2 marzo, 2012 in Politica | No Comments »

Sciogliere il Pdl, tendere la mano a Pier Ferdinando Casini e a Gianfranco Fini, salvare il bipolarismo: tutti in un nuovo cartello elettorale dal nome patriottico, evocativo, ecumenico. Questo: “Tutti per l’Italia”. L’idea circola dentro e fuori della nomenclatura di partito, impegnata in questi giorni con i congressi e il tesseramento del Pdl. Berlusconi ci pensava e ieri l’ha confidata in giro: il Cavaliere è pronto a buttarla lì, tra le gambe dei moderati italiani del Terzo polo, di Francesco Rutelli, di Casini, di Fini. “Il Pdl appartiene al passato”, ha esaurito la sua forza propulsiva, pensa il Cavaliere, che più volte nelle ultime settimane ha ripetuto che “quel nome non mi piace e non funziona”. Torna dunque la parola “Italia” nel simbolo elettorale, affiancata alla parola “tutti”; perché – dicono – “non è una di quelle cose alle quali si può dire di no. E non è contro nessuno, ma aperta a chiunque”.

Ieri pomeriggio hanno squillato in sequenza i telefoni del segretario Angelino Alfano, del coordinatore Denis Verdini, e del gran visir del berlusconismo, Gianni Letta. Drin drin, drin drin. Sono stati informati. Il Cavaliere vuole battezzare una “cosa” nuova, vuole chiudere in bellezza la sua storia politica, da regista, vuole rifondare il centrodestra con (e per) Casini e Fini (se ci staranno). Comunque vada, nel 2013 ci sarà un nuovo cartello elettorale pronto a sostenere ancora un governo Monti (se necessario) anche in un rapporto di grande coalizione con il Partito democratico (se possibile). E stavolta senza predellini, nessuna prestidigitazione che possa irritare le legittime aspirazioni, e le ambizioni, di Casini e di Fini. Berlusconi offre ai leader dell’Udc e di Fli la formula che anche gli ex amici e alleati cercano, il rassemblement (ma non il partito) dei moderati italiani. La leadership? Aperta, contendibile, americana.

Il Cavaliere ha già fatto il suo passo di lato ed è pronto a fare anche il passo indietro se questa dovesse essere la condizione per recuperare gli ex alleati – che diffidano – e salvare, con il bipolarismo, anche la sostanza, leggera e fantasiosa, del berlusconismo. Sarà un processo lungo, complicato. Negli ambienti dell’Udc chiedono retoricamente: “Di chi è l’idea?”; “Di Berlusconi”, gli si risponde; “ecco, appunto”. Ieri sia Casini sia Berlusconi erano insieme a Bruxelles, alla riunione dei leader del Ppe. “Non farei mai un partito con Berlusconi. Ma con il Pdl non posso escludere di continuare a sostenere il governo Monti anche dopo il 2013”, ha detto il leader dell’Udc. Mentre il Cavaliere si è lanciato: “Sì, sono favorevole all’ipotesi di una grande coalizione”. Tuttavia non sarà facile capirsi, e per questo la mediazione, la mano tesa, dovrà essere quella di Alfano e non quella di Berlusconi. Il Cavaliere non ci sarà nella foto inaugurale di “Tutti per l’Italia”, reclama per sé soltanto la proposta, l’idea – a suo avviso l’unica – che possa seppellire definitivamente la strisciante guerra civile, sociale, politica e culturale di cui l’Italia è rimasta vittima: una mossa rigeneratrice di tutti i soggetti in campo, cattolici, liberali, socialisti e repubblicani.

Berlusconi rimuoverà definitivamente la sua icona vecchia, incarnazione di ogni divisione politica degli ultimi vent’anni. L’opzione delle liste civiche, da affiancare al Pdl, rimane in campo: saranno costituite per le elezioni amministrative di maggio. Ma nella logica del Cavaliere sono poco più di un espediente, mentre il grande cartello elettorale “Tutti per l’Italia” è la soluzione di sistema per le elezioni politiche del 2013, l’investimento duraturo, la conclusione gloriosa di una carriera. Nel Pdl c’è già chi applaude (tutti quelli che non hanno investito particolari attenzioni nel processo del tesseramento e dei congressi) e chi, invece, intravvede il proprio incubo nel sogno del Cavaliere. “Qui stiamo costruendo un partito, anche al di là di Berlusconi”, diceva ieri Fabrizio Cicchitto a quanti gli facevano notare come il Cav. sbadigliasse al solo sentir parlare di tessere e congressi.Salvatore Merlo, Il Foglio quotidiano, 2 marzo 2012

………..Ieri siamo stati colti da improvvisa delusione. Il fatto che Berlusconi proponesse per dopo il 2013 una grande coalizione tra PDL, PD e Terzo Polo, ci ha infastiditi, per usare un eufemismo. Era l’ultima cosa, anzi era una cosa che mai avremmo ritenuto possibile che potesse accadere. Già vedere il centrodestra sostenere lo stesso governo con il centrosinistra non è facile da digerire, perchè a prescindere da tutto, sono siderali le distanze tra centrodestra e centrosinistra rispetto ai problemi del Paese e alle soluzioni adottabili. Immaginare che questa esperienza innaturale possa protrarsi nel tempo, anche dopo il ritorno alla normalità democratica dopo l’attuale   periodo di commissariamento della politica e degli organi istituzionali – Camera e Senato -  ci è parso del tutto impossibile e siamo stati colti dal dubbio che Berlusconi volesse in tal modo  fra prevalere le effimere  ragioni della (sua) quotidianità a quelle immanenti della politica che si proietta nel futuro. L’abbiamo temuto e abbiamo trovato in ciò una ragione di più per sentirci slegati da vincoli di solidarietà che ci sono sembrati essere stati  amaramente traditi proprio da chi aveva pur realizzato un grande sogno, quello di un grande e unitario movimento di centrodestra al quale avevano lavorato, senza successo, purtroppo, e per decenni, illustri e autorevoli esponenti moderati. Un sogno che è sembrato svanito per sempre, con il conseguente frammentamento del pur vasto mondo di centrodestra. Quanto scrive  Salvatore Merlo sembra rimettere le cose a posto. Lo ha fatto direttamente Berlusconi questa mattina ritornando sull’argomento e precisando meglio il suo pensiero circa la “grande coalizione”, tranquillizzando l’elettorato di centrodestra, anche attraverso  l’ipotesi, che viene resa pubblica da Merlo,  di un grande raggruppamento – molto simile al degolliano raggruppamento per la Repubblica che battezzò la V° Repubblica francese – che Berlusconi vorrebbe promuovere sotto il nome di  “Tutti per l’Italia”. Abbandonando al suo destino una creatura politica, il Popolo della Libertà, che non ha portato fortuna e che sopratutto si sta trasformando in un totem  elitairo preposto solo ad assicurare e garantire ai notabili il loro posto al sole. Vedremo se questa idea di Berlusconi si trasformerà in qualcosa di concreto e se riuscirà nell’intento di arginare il deflusso dal centrodestra verso altri lidi politici di valanghe di elettori, sfiduciati e  delusi. In attesa congeliamo la nostra delusione di ieri. g.

L’ADDIO A LUCIO DALLA DOMENICA NELLA SUA BOLOGNA

Pubblicato il 2 marzo, 2012 in Costume, Cronaca, Spettacolo | No Comments »

Si celebreranno domenica 4 marzo, giorno del suo compleanno, le esequie di Lucio Dalla. Si celebreranno nella cattedrale della  “sua” Bologna, nella “sua”  piazza grande, a pochi passi dalla “sua”  abitazione, fra i tanti amici che incontrava ogni giorno e con i quali ha trascorso ogni momento libero dagli impegni che lo portavano in ogni parte del mondo. Intanto è incessante  e inarrestabile la partecipazione al grande dolore e sgomento per la perdita di un grande,  inimitabile cantautore, mentre le emittenti di tutto il mondo trasmettono incessantemente le note della “sua” Caruso, la più famosa canzone italiana nel mondo degli ultimi 30 anni, che ha venduto nella versione di Dalla quasi 30 milioni di dischi. Domenica il nostro cuore insieme a quello di milioni di italiani ed estimatori di Lucio Dalla sarà a Bologna a renderGli omaggio, l’ultimo! g.

E’ MORTO LUCIO DALLA, IL POETA DELLA MUSICA

Pubblicato il 1 marzo, 2012 in Il territorio, Spettacolo | No Comments »

Lucio Dalla

L’avevamo seguito, con l’ammirazione di sempre,  a Sanremo,  nella quasi inedita veste di direttore d’orchestra, lo seguivamo da sempre, innamorati delle sue canzoni, della sua musica, del suo saper essere famoso,  con discrezione,  senza sconfinare, mai, se non attraverso le parole delle sue poesie musicate nella vita degli altri. Abbiamo nel cuore i suoi versi, i titoli che ci hanno accompagnato nelle vicende della vita, da quel 4 marzo 1943 a Piazza grande, alla suggestiva, malinconica, struggente melodia di Caruso, interpretata da tanti cantanti, per la sua incomparabile bellezza, ma che nessuno riusciva a far vivere nella immaginazione come sapeva fare solo lui, Dalla. E’ stato stroncato da un infarto mentre si accingeva ad incantare ancora,  in giro per il mondo,  giovani ed anziani, che nelle sue interppretazioni trovavano occasione di annullare le distanze anagrafiche perchè Dalla cantava per tutti. Ci mancherà, continueremo ad ascoltarlo. g.

Un cantautore che rinnovò la musica Lucio Dalla era nato a Bologna il 4 marzo 1943. Aveva cominciato a suonare sin da giovane, prima la fisarmonica poi il clarino. Fece parte della Second Roman New Orleans Jazz Band e poi dei “Flipper”. Nel 1963 quando al Cantagiro, Gino Paoli si offre come produttore e l’anno successivo approda alla scuderia discografica Rca. Incide “Lei” e “Ma questa sera”, ma senza successo. Debutta nel 1966 al Festival di Sanremo con “Paff…Bum”, in coppia con i “Yardbirds” di Jeff Beck. Del 1971 è l’album “Storie di casa mia”, contenente canzoni quali “Il gigante e la bambina”, “Itaca”, “La casa in riva al mare”. Dal 1974 al 1977 collabora con il poeta bolognese Roberto Roversi realizzando tre album: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa” e “Automobili”. Sciolto il sodalizio con Roversi, diventa anche paroliere e realizza dischi quali “Com’è profondo il mare” e “Lucio Dalla”, che contiene classici quali “Anna e Marco” e “L’anno che verrà“. Nel 1979 si esibisce dal vivo con Francesco De Gregori nel tour di grande successo “Banana Republic” (da cui l’omonimo “live”). Seguono nel 1980 “Dalla”, con le stupende “La sera dei miracoli”, “Cara” e “Futura”. Incide nel 1981 “Lucio Dalla (Q Disc)”, “1983″ nel 1983 e “Viaggi organizzati” nel 1984. Nel 1985 esce l’album “Bugie” e nel 1986 “Dallamericaruso”. In questo disco è inclusa la canzone “Caruso”, riconosciuta dalla critica come il capolavoro di Dalla. Vende oltre otto milioni di copie, viene incisa in trenta versioni, tra cui la versione di Luciano Pavarotti. Nel 1988 si forma un’altra coppia vincente: Lucio Dalla e Gianni Morandi. Scrivono un album insieme, “Dalla/Morandi”, a cui segue una trionfale tournee. Nel 1990 in televisione, presenta il suo nuovo brano “Attenti al lupo” e il seguente album “Cambio”. Il disco totalizza quasi 1.400.000 copie vendute. Il 1996 segna l’ennesimo successo discografico con l’album “Canzoni”, che supera la cifra di 1.300.000 copie vendute. Il 9 settembre 1999 pubblica “Ciao”, a 33 anni dal suo primo album che si intitolava “1999″. L’album contiene undici brani, prodotti ed arrangiati da Mauro Malavasi. La tiltle-track “Ciao” diventa il brano radiofonico dell’estate 1999. L’album conquista il doppio disco di platino. Oltre ad essere autore e interprete Dalla è anche un talent scout. A Bologna ha sede la sua etichetta discografica Pressing S.r.l., che ha lanciato gli Stadio, Ron, Luca Carboni, Samuele Bersani e ha permesso la rinascita artistica di Gianni Morandi. E’ autore di colonne sonore per i film di Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, Carlo Verdone, Giacomo Campiotti e Michele Placido. Ha anche aperto la galleria d’arte No Code, in Via dei Coltelli a Bologna. E’ autore di programmi televisivi di successo: Te vojo bene assaie, Capodanno, RaiUno – Taxi, Rai Tre – S. Patrignano. Non ultimo il programma con Sabrina Ferilli, “La Bella e la Besthia” (2002). Il 2010 si apre con la notizia di un concerto insieme di Dalla con Francesco De Gregori, a trent’anni da “Banana Republic”. E soltanto di poche settimane fa la sua apparizione al Festival di Sanremo per accompagnare il giovane cantautore Pierdavide Carone, con il brano Nanì. da Il Tempo, 1/03/2012