PARTITI CON LE CASSE PIENE E CITTADINI SEMPRE PIU’ POVERI
Pubblicato il 7 aprile, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »
 Prendiamo  per ora solo i quattro anni di crisi. Nel 2008 i partiti italiani hanno  ricevuto 503 milioni di euro di rimborsi. Hanno dichiarato spese per  136. Trecentosessantasette milioni sono rimasti nelle loro cassaforti  non proprio blindate, affidati a tesorieri dalla mente aguzza e dal  conto corrente veloce. Si tratta di un arricchimento netto del 456 per  cento. Nello stesso periodo, come ha documentato la Banca d’Italia, il  reddito delle famiglie italiane è diminuito del 6 per cento, quello  degli individui del 7,5. La quota di famiglie giovani nella fascia di  povertà è aumentata del cinque. Ora il Capo dello Stato chiede ai  partiti una autoriforma, tanto più indispensabile mentre il resto del  Paese è a stecchetto. Il presidente del Senato, Renato Schifani, e  quello della Camera, Gianfranco Fini, rispondono invocando il primo «uno  scatto d’orgoglio» delle forze parlamentari, il secondo un decreto «per  il quale serve però l’accordo dei leader» dei partiti stessi. Con tutto  il rispetto, le stesse promesse sono state fatte sulla riduzione del  numero dei parlamentari, sull’abolizione delle province, sul taglio di  indennità e benefici vari di deputati e senatori. Nessuna mantenuta. Sul  primo fronte siamo ad un accordo di massima del format ABC  (Alfano-Bersani-Casini), quando tutti sanno che in un anno di  legislatura la riforma costituzionale ha zero probabilità di attuazione.  Sul secondo, solo ieri è stato depositato un disegno di legge del  governo che non abolisce affatto le province ma stabilisce solo che  presidenti e consiglieri dovranno essere eletti da sindaci e consiglieri  comunali delle aree amministrate. Elezioni di secondo livello, peraltro  già contestate dall’Unione province italiane che lamenta «l’abbandono  dei territori con la scusa della crisi e dell’antipolitica». E chiede al  Parlamento di sanare il terribile errore: non dubitiamo che lo farà. Se  ci sono due parole che si dovrebbero evitare sono proprio “crisi” e  “antipolitica”. La prima, quasi ce la fossimo inventata. La seconda,  eterno alibi per non cambiare nulla e nascondere gli scheletri  nell’armadio, finché non vengono giù come per il tesoriere della Lega,  Belsito (un nome molto romano), e quello della Margherita, Lusi. Ma non  ci siamo dimenticati del terzo fronte di lotta e di governo, il taglio  di emolumenti e benefit dei parlamentari: qui la commissione incaricata  di allinearli alla media dei sei maggiori paesi dell’euro ha alzato  bandiera bianca dichiarando l’impossibilità di raffronti omogenei. Per  Enrico Giovannini, presidente dell’Istituto nazionale di statistica e  capo della commissione, la statistica pare dunque materia off limits. E  per capirlo ci ha impiegato quasi un anno: l’arduo compito gli era stato  affidato dal governo Berlusconi nel luglio 2011. Dunque di quale  autoriforma stiamo parlando? Curioso che per raddoppiare la tassa sulle  case basti un decreto, mentre ogni volta che ci si avventura nei  territori della politica si debba chiedere agli interessati la cortesia  di provvedere a se stessi. Come ha ricordato Mario Sechi, dal 1994 al  2008 i partiti, rispetto a spese documentate di 579 milioni, hanno  ricevuto 2,25 miliardi dei contribuenti. Più di quanto costeranno nel  2013 le nuove misure sul mercato del lavoro, esattamente quanto  incideranno una volta andate a regime, e per le quali dovremo  sobbarcarci altre tasse: sulle case date in affitto, sulle auto  aziendali, sulle imposte d’imbarco all’aeroporto. Non ne possiamo  davvero più: è giunto il momento di chiedere indietro dei soldi alla  politica. Soprattutto se questi denari pubblici risultano regali ai  partiti per i loro comodi. Per ogni euro speso ne incassano, in questa  legislatura, 4,5. Il record è appunto della Lega (un euro speso, 11  presi), a seguire i Democratici: un euro ogni dieci presi. Il Pdl si  attesta sul rapporto di uno a tre. L’Italia dei Valori di Antonio Di  Pietro, che tuona contro lo scandalo, incassa 3,75 euro per ognuno di  spese documentate. Ma anche quando scriviamo “documentate”, bisogna  intendersi. Luigi Lusi, ex senatore del Pd ed ex tesoriere della  Margherita autore di un imboscamento di 20 milioni, avrebbe sottoposto  il bilancio ad un organismo interno che però non si è mai riunito. Chi  aveva avvertito da anni puzza di bruciato, come il prodiano Arturo  Parisi, fa sapere di essersene andato «sbattendo la porta». Già, ma  perché non ha invece bussato a quella di qualche organo giudiziario?  Impressiona anche l’oscillazione nel rapporto tra dare e giustificare.  Nel ‘94, forse sulla scia del rinnovamento, si era partiti bassi (si fa  per dire): la plusvalenza fu di “appena” il 130 per cento. Con le  regionali del ‘95 eravamo già al 420. Il top è delle politiche 2001:  circa il mille per cento. Poi un calo, fino alla nuova impennata di  questa legislatura. Credere quindi che i partiti si autoriformino è  quanto meno ingenuo. E, sia detto senza offesa, nello stesso richiamo di  Giorgio Napolitano c’è qualcosa che non convince. Si invoca pulizia per  evitare che i cittadini «si estranino con disgusto, il che può sfociare  nella fine della democrazia e della libertà». No: la pulizia va fatta  non per tutelare i politici dal disgusto, ma in primo luogo per tutelare  noi contribuenti, visto che i soldi sono nostri. Del resto lo stesso  capo dello Stato cita l’articolo 49 della Costituzione. Ma, come lo  stesso Quirinale fa notare, quell’articolo stabilisce «il diritto dei  cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo  democratico a determinare la politica nazionale». Non parla affatto di  finanziamenti. Che del resto, nella forma diretta, vennero aboliti con  il referendum del ‘93, e prontamente sostituiti con i rimborsi  elettorali. Dunque se il diritto diventa un abuso, e l’abuso un furto,  non c’è altra via che togliere ai beneficiari la possibilità del  coltello dalla parte del manico. Anche qui bisogna guardare all’estero:  dove non mancano certo gli scandali, e tuttavia è giusto ricordare che  il presidente tedesco Christian Wulff si è dimesso per un prestito  agevolato al 4 per cento, ed una vacanza pagata da 800 euro. La  Germania, dunque, ha contributi pubblici ai partiti di 133 milioni  l’anno, rispetto ai nostri 285. La Francia di 80 milioni. La Gran  Bretagna di cinque. Gli Usa di zero: le campagne elettorali sono  finanziate da privati ed aziende, con obbligo (penale) di dichiarazione  dei fondi versati, e di restituzione da parte dei candidati non eletti.  In Italia si è sempre obiettato che quel sistema favorisce i ricchi.  Eppure Bill Clinton, da governatore del povero Arkansas, riuscì a  sconfiggere il ricchissimo George Bush senior, tra l’altro presidente in  carica. Ma se non vogliamo il modello privato americano proviamo almeno  ad avvicinarci a quello pubblico inglese: dove Margaret Thatcher, che  era nata figlia di un droghiere, battè il laburista Lord Leonard James  Callaghan, barone di Cardiff e cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera.  Ridateci i nostri soldi. Marlowe, Il Tempo, 7 aprile 2012
………………Lo abbbiamo già detto e lo ripetiamo. Ecco un banco di prova della fermezza di Monti. Domani mattina, giorno di Pasqua, riunisca il suo consiglio di facoltà, ed emetta un decreto legge con cui faccia due cose: 1. abolisca la legge sui rimborsi elettorali; 2. ordini ai partiti di restituire immediatamente allo Stato i soldi, un miliardo e 700 milioni, incassati dal 1994 ad oggi a titolo di rimborso spese e non utilizzati per le campagne elettorali. Così per un verso metterà alla prova se stesso e in secondo luogo metterà alla prova i partiti il quali o ubbidiscono, approvando il decreto, o lo cacciano con gli stivali chiodati.  E metterà alla prova il signor Giorgio Napolitano che nella serata di domani  deve controfrimare il decreto. Domani vedremo. g.

