Archivi per luglio, 2012

I PALLONI GONFIATI DEL 1929 E QUELLI DI OGGI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: “Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929″. Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati.

Quelli che abitano il Palazzo mi sembrano sempre più dei marziani. La crisi galoppa, la finanza sta spolpando quel che resta della sovranità degli Stati, l’economia reale dell’Europa dà segni lampanti di crac ma i partitanti sono concentrati sulle elezioni anticipate, cioè sul come far finta di staccare la spina a Monti sapendo che non ci sono alternative al professore. Si possono usare tutte le formule alchemiche, ma i fatti sono più forti di qualsiasi visione: l’Italia ha votato un Patto di bilancio europeo che prevede l’abbattimento del rapporto debito/pil al 60%, ha vincolato per l’eternità i governi al pareggio di bilancio e ha la pressione fiscale più alta del mondo. Un sistema dei partiti in caduta libera, in grave crisi di credibilità, senza leader che abbiano l’autorevolezza per convincere gli italiani che la vita a debito è finita, in queste condizioni dovrebbe fare altro. Per esempio pensare alla Fiat che potrebbe decidere di spostare all’estero la sua produzione e chiudere i conti con un Paese che non ha una politica industriale, come ha spiegato bene sul Sole 24Ore l’altro ieri l’ingegner Carlo De Benedetti. Oppure potrebbe dare una mano al ministro dello Sviluppo Passera che è molto loquace, ci parla del futuro ma è a corto di idee sul presente in cui vive. Invece no, l’agenda parlamentare è satura di imperdibili discussioni sul voto anticipato e improbabilissime riforme presidenzialiste. Avanti così, l’iceberg è all’orizzonte. Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: «Nell’autunno del 1929 gli americani più potenti si rivelarono, per un attimo, esseri umani. Come la maggioranza degli uomini il più delle volte, fecero cose molto stupide. In genere, quanto maggiore era la fame di onniscienza prima goduta, quanto più serena la precedente idiozia, tanto più grande fu la stupidità ora messa in luce. Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929». Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati. Sono quelli che si perdono in polemiche da quattro soldi (solitamente i loro) mentre nel mondo accadono cose che scombinano le nostre vite. Mi ha colpito il presidente onorario di Citigroup, Sandy Weill, che ieri ha detto chiaramente che bisogna separare l’ investment banking dal banking. Chi specula con la finanza fa un mestiere diverso da chi prende i depositi e poi li impiega per le imprese e le famiglie. Sono attività inconciliabili. E anche in Italia sono confuse e pericolose, intrecciate e tossiche. Servono la speculazione, non l’economia reale. Le mega banche vanno smontate. Se ne occupa qualcuno in Parlamento? O vogliamo andare avanti sognando le elezioni anticipate con l’orchestrina che suona sul ponte del Titanic? Mario Sechi, Il Tempo, 27 luglio 2012

ROSSELLA URRU, OVVERO UN ALTRO “SPRECO” ALL’ITALIANA

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

la sig.na urru, come tanti suoi coetanei, vive un senso di colpa esistenziale verso i poveri e ce l’ha col mondo intero perche’ lei sta bene e altri no. e cosi’ decide di salvare il mondo e cosa fa? se ne va in un campo profughi del sud algeria, posto infestato da bande criminali e malfattori di ogni risma. per questo suo capriccio, l’italia ha dovuto pagare 10 milioni di euro a terroristi di al-quaeda, oltre ad impiegare altri svariati milioni per sostenere l’operazione e l’apparato di intelligence. cara rossella, bastava che voltavi l’angolo di casa tua, stesso nel tuo paese, e avresti trovato migliaia di poveri da assistere e aiutare e avresti comunque “salvato” il mondo, senza combinare tutto questo casino.

..un capriccio costato allo stato italiano tra i 15 e i 20 milioni di euro….soldi che potevano essere impiegati per aiutare i poveri e gli affamati qui in italia. rossella urru, poi, ha dichiarato: <<ringrazio tutti quelli che hanno sostenuto la mia famiglia e la liberazione. ora voglio continuare il mio lavoro.>> vuoi continuare il tuo lavoro!? eh gia’…se ti rapiscono di nuovo, pagano i contribuenti italiani il tuo riscatto.
ma cara rossella, non possiamo sostenere con i nostri soldi i tuoi capricci…
liberateci dalla urru!!!

….Da www.dagospia.it

.……..ed ha anche il coraggio di dire che non vede l’ora di tornare laggiù…ma se ne stia a casa e aiuti i poveri, i derelitti, gli strangolati dalle tasse che sono servite per pagare i suoi capricci. A proposito, Monti invece di fare il cascamorto all’rrivo della urru, avrebbe fatto meglio ad occuparsi dello spread che cavalca come un cavallo al gran premio di tordivalle. g.

LA FINE INGLORIOSA DI FINI, SERIAL KILLER DELLA DESTRA CHE HA AFFOSSATO TRE PARTITI

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Missione compiuta, o quasi. John Francis Ends, il noto serial killer della Destra italiana, come ha scritto il Corriere della Sera del 1° luglio, è “pronto a sciogliere il Fli” dopo aver constatato, aggiustandosi la cravatta, che “alle amministrative abbiamo dimostrato la nostra marginalità e in certi casi ininfluenza”. E quindi dopo il Msi e dopo An, nel terzo episodio di questo film dell’orrore lungo diciassette anni, ecco ormai il terzo cadavere lasciato alle spalle, il Fli.
Per la verità, Mr. Ends, al secolo Gianfranco Fini, avrebbe detto: “Alle amministrative avete dimostrato marginalità e ininfluenza”, perché io, da presidente della Camera e quindi super partes, non ho partecipato alla campagna elettorale, quindi, va sottinteso, colpe non ne ho. Così riferisce chi ha partecipato alla riunione. Che si è svolta in un luogo quanto mai opportuno per gente di buon gusto come i finistei: all’appena inaugurato Eataly, “neotempio dei gourmet romani” dove, relaziona sempre l’autorevole Corriere, “all’ultimo piano del megacentro, dopo aver superato fritti e mozzarelle di bufala, culatelli di Zibello e piadine, ecco l’Assemblea nazionale” dei futuristi in libertà, dove il presidente del partito ha detto la sua. Insomma, l’ultima bufala doc.

Tra un “in un certo qual modo” e un appuntarsi a spuntarsi i bottoni della giacchetta, Fini ha per la verità anche detto che “non siamo un partito in liquidazione”, ma nessuno gli ha creduto anche perché molti dei suoi sono occupati a dilaniarsi fra loro (per esempio Filippo Rossi ha chiesto che Fabio Granata sia espulso dal partito “per indegnità”). L’avventura politica di questo sessantenne è dunque giunta al Finis? Non lo si può sapere, ma di certo vi è giunto tutto un mondo umano e culturale che egli ha purtroppo rappresentato e trascinato nelle sue sciagurate performance. Guardandosi alle spalle ha lasciato soltanto macerie.
Macerie e tabula rasa di un mondo che bene o male aveva retto per mezzo secolo. Perché il risultato, dall’epoca dello scontro con Rutelli per Roma (1993), all’ingresso nel primo governo Berlusconi (1994) e il lavacro di Fiuggi (1995), con il progressivo abbandono delle posizioni che avevano caratterizzato la Destra italiana da sempre, è stata la sua pressoché totale rottamazione. Perché a forza di aver paura del passato e dei suo simboli (qualcuno ricorda la mitica “coccinella”?!), ripudiandolo nella maniera più rozza, a forza di voler entrare nei cosiddetti “salotti buoni”, a forza di adeguarsi nel modo più piatto al “politicamente corretto”, a forza di “strappi” su tutti i piani senza proporre altra alternativa se non posizioni assolutamente ridicole per voler puntare al Centro, oggi la Destra non c’è più.
Addirittura il tentativo del cosiddetto Terzo polo, nell’assemblea del 30 giugno, è stato clamorosamente sconfessato e anche con parole dure. Esso, ha detto con parole oracolari Fini, gesticolando secondo suo costume, “è stato concepito come una somma di entità, uno stare insieme per disperazione”. Perdinci, una somma di disperati! Anch’esso dunque nella polvere. Un record assoluto: dove il presidente della Camera pone mano compie disastri. Un Re Mida alla rovescia.

Il peggiore, il maggiore, è di aver distrutto la Destra, senza aver costruito assolutamente nulla. Un sessantenne con un grande avvenire alle spalle. E tutti quelli che avevano creduto nelle sue parole? In questi vent’anni, quelli che non vi avevano creduto sono stati emarginati, grazie anche a coloro i quali a livello locale e soprattutto negli assessorati alla Cultura di paesi, città, province e regioni, hanno pensato bene di nascondere e dimenticare cosa era una cultura non conforme e non di sinistra. Vent’anni di semi-oblio hanno prodotto il risultato attuale: il Nulla. Sicché, in mano ai Tecnocrati cosa è possibile fare? Se non si riesce a fare qualcosa, di un mondo umano e culturale, oltre che politico, non resterà nemmeno il ricordo. di Gianfranco de Turris, 21 LUGLIO 2012

IL TERREMOTO SPAGNOLO SPAVENTA MONTI E FRENA BERLUSCONI, ORMAI INDECISO A TUTTO

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Roma. Tardo pomeriggio, Via del Plebiscito. Gianni Alemanno è seduto su uno dei divani di Palazzo Grazioli, ha gli occhi sgranati e osserva il padrone di casa che lo ha appena tramortito con una rivelazione. “Ma se lo hai detto a tutti!”, esclama il sindaco di Roma incredulo. Il Cavaliere, che gli sta seduto accanto, non si scompone, al contrario insiste, assume un tono di voce fermo, lo sguardo più carico di verità del repertorio: “Gianni, te lo assicuro, non ho nessuna intenzione di ricandidarmi. E’ tutta una macchinazione”. Alemanno è comprensibilmente confuso, balbetta qualcosa, poi articola con decisione: “Posso portarti almeno dieci testimoni oculari”. E il Cavaliere, battendogli con la mano sul ginocchio, quasi si dispera: “Ma cos’avrò mai fatto? Perché nessuno mi crede più?”. Nel giorno in cui la sua foto appare sull’Economist sotto il titolo “The last thing Italy needs”, cioè “l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno”, Silvio Berlusconi fa in modo che si sappia in giro: ha cambiato idea. Ora non si candida più. Forse.

La Borsa ha chiuso in negativo, -4 per cento, solo Madrid, sull’orlo della bancarotta, ieri ha fatto peggio di Milano. Tutto precipita in un vortice di incertezza che il Cavaliere amletico condivide con un Mario Monti gelato dall’irresistibile progressione dello spread insensibile a qualsiasi cura, arrivato ieri oltre la soglia critica dei 500 punti, e con un Giorgio Napolitano – motore immobile del governo – indebolito dalla storiaccia delle intercettazioni palermitane. Le ultimissime inclinazioni di Berlusconi, il suo inarrestabile pencolare, sono l’effetto dei sondaggi più recenti e meno ottimisti commissionati ad Alessandra Ghisleri intorno alla sua possibile ridiscesa in campo. Ma l’incertezza del Cavaliere, che continua ad avere naso per quel mercato del consenso che per tutti gli altri si chiama politica, è il sintomo più esplicito di una condizione generale di allarme, di instabilità per l’intero sistema italiano. Francesco Giavazzi, sul Foglio, è arrivato a imputare il downgrade di Moody’s alla “minacciata ricandidatura” di Berlusconi a Palazzo Chigi. Il Cavaliere non sa che fare perché tutto, a questo punto, nel marasma, è davvero possibile.

Nei suoi incontri privati, Monti si è lamentato di una stampa allarmista. Il professore chiede responsabilità a tutti, a comiciare dai partiti, dal Parlamento ammanettato e inattivo che non riesce a tirarsi fuori dalla palude nemmeno con quella riforma della legge elettorale che anche Napolitano invoca con urgenza e crescente stanchezza. “Nell’interesse del paese le forze politiche non devono allentare l’impegno e il ritmo delle decisioni”, ha detto Monti con una certa, per lui irrituale, inclinazione politica. Il professore teme che il tessuto, la trama del governo tecnico, possa non reggere all’urto dei mercati, al collasso della Spagna e all’indebolirsi del Quirinale; cioè del muro maestro che regge l’impalcatura. Il capo dello stato ieri è tornato a difendere con forza le sue scelte e le sue prerogative; ma la sua polemica più o meno diretta con chi tenta il linciaggio istituzionale ha dato l’impressione che il presidente abbia accusato il colpo sparato da Palermo con il megafono di alcuni giornali e il complemento militare di Antonio Di Pietro (“Napolitano ha tradito la Costituzione”). “In questo momento stanno suonando tutti i campanelli d’allarme”, dice Enrico Letta. L’ombra di Berlusconi sbiadisce, ma all’orizzonte appare lo spettro degli aiuti, e della Troika. Dice Maurizio Gasparri: “Esisteranno ancora gli stati nazionali?”. Salvatore Merlo, Il Foglio, 21 luglio 2012

MAI ANDATO VIA

Pubblicato il 20 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

La scena politica è tale che nessun attore ha più alcuna sicurezza di sé, nessuna sicurezza nei rapporti con gli altri attori, nessuna sicurezza sullo scenario complessivo del paese. Ogni giorno la scena cambia, la situazione si presenta diversa, in un sostanziale impazzimento mascherato dalla continuità, in apparenza normale, del discorso politico e della chiacchiera politica. Ma un paese sull’orlo dell’agosto italiano, in cui non sappiamo se faremo la fine della Spagna o no, non è un paese in cui la politica ha un decorso normale o prevedibile. Non riesco a immaginare ipotesi dotata di maggiore probabilità. La stessa discesa in campo di Berlusconi è tutt’altro che sicura. E, rispetto a quello che dovrebbe eventualmente fare, è fin troppo facile rispondere che dovrebbe fare quello che non ha fatto in vent’anni. Credo che lui, se torna in campo e ha successo, starà tra il 15 e il 20 per cento, altrimenti attorno al 10 per cento.

Ritengo più probabile la seconda ipotesi: non può parlare di scendere in campo, dal campo non si è mai mosso. La discesa in campo si fa una volta, nessuno può credere alla capacità innovativa di una scena berlusconiana. Perché o si porterà appresso gli stessi protagonisti di prima, del suo non governo, oppure saranno nuovi del tutto improvvisati e improbabili. I soliti orribili imprenditori, i soliti orribili avvocati, i soliti orribili signori che hanno lavorato per la Fininvest… Rischio di ripetermi ma devo dirlo: è il solito partito di plastica, e se mi ripeto è perché è Berlusconi a ripetersi, dimostrando un’incapacità assoluta di allevare una classe dirigente credibile. Non c’è stato nessun dibattito, ed è davvero incredibile, nemmeno per capire perché abbiano fatto la fine miserabile che hanno fatto nel novembre del 2011. Un partito con la maggioranza parlamentare, che sta al governo, assiste alle dimissioni del leader che dice “non ce la faccio”, e questo non crea nessuna discussione interna, nessuna riflessione sugli errori fatti? Oggi, il potere di coalizione di Berlusconi è zero, ma nessuno nel Pdl sembra porsi il problema, e tutti sembrano contenti per il ritorno del capo. Perché? Ma perché il loro problema è solo essere rieletti, e il ritorno di Berlusconi a questo deve servire, è l’unica cosa che possa assicurare l’abbonamento al posto in Parlamento. di Ernesto Galli della Loggia, Il Foglio, 20 luglio 2012

.……….Tutto vero, purtroppo. La classe dirigente del PDL si è rivelata non solo inadeguata, ma effimera, e inconcludente. Nè mai ha pensato di trasformarsi. Una volta, un alto papavero di Forza Italia a chi decantava le capacità di un modesto dirigente periferico rispose, algido e arrogante: si, va bene, ma tanto i voti li prende Berlusconi. E sulla scia di questa sicura cassaforte, mai nessuno dei tanti signor nessuno trasformati da tangentopoli in leader a 24 carati si è preoccupato di pensare al dopo, cioè al dopoBerlusconi. E così ora si ritrovano in braghe di tela, costretti a far finta di credere che la nuova “discesa in campo” (ma non si ridiscende lì da dove non si mai risaliti, chicca Galli della Loggia)di Berlusconi sia salvifica e riesca a salvare prima in Parlamento e poi un pò ovunque una classe dirigente per molti aspetti (salvo qualche sporadica eccezione) spregevole  che pensa solo al proprio c..o e assai poco, anzi per niente, a quello degli italiani. E’ vero che questo riguarda tutta intera la classe dirigente italiana, senza nessuna eccezione, ma questo non ci consola. Anzi ci fa ancor più incazzare. A proposito, dove sono gli incazzatos italiani? Al mare, a mostrar le chiappe chiare, come cantava una orecchiabile canzone di successo un pò di anni fa, quando nessuno avrebbe immaginato che al governo sarebbero arrivati  tecnici incompetenti capeggiati da una specie di boy scout alla rovescia, un vecchio rottame trasformato per decreto legge, anzi per decreto napolitano in abile statista. Ma non ci faccia ridere, direbbe il grande Totò indirizzando una sonora pernacchia all’indirizzo di chi si dice soddisfatto dello spread a 470….indovinate chi è? g. Sbagliavamo: lo spread si è chiuso a 500, con la borsa di Milano che ha perso 4 punti. E l’abile statista, algido quanto incapace, quest’oggi si è deddicato ad inutili alchimie, le ennesime per riuscire a far finta di ridurre le Provincie che invece vanno cancellate onsieme alle Regioni. g.

NON BASTANO LE PROVINCIE, BISOGNA TAGLIARE LE REGIONI

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Lo ammettiamo: c’eravamo sbagliati. Avevamo peccato di ottimismo. Pensavamo che bastasse abolire le province (battaglia comunque giusta, che non abbandoneremo) per dare un po’ più di razionalità al nostro sistema pubblico, ridurre sprechi e privilegi, risparmiare qualche miliardo. Invece dovremmo mirare al bersaglio grosso: le regioni. Sparare sulla Sicilia è giusto ma in fondo fin troppo ovvio. Ha 5.2 miliardi di debito corrente, un bilancio solo apparentemente in pareggio, 90 consiglieri regionali tutti con il rango di deputati, e quindi i più pagati d’Italia (17 mila euro). Ha il record di baby pensionati e di indennità di pensionamento, nonostante i suoi abitanti continuino immancabilmente a svettare ai primi posti nelle classifiche di povertà «assoluta» e «relativa» come l’ultima dell’Istat. La regione, rigorosamente a statuto speciale, finanzia l’ippoterapia e i maestri di sci, e con l’attuale giunta di Raffaele Lombardo ha anche pagato tra il 2010 e il 2011 oltre 400 rinfreschi, il che ha contribuito agli ulteriori 1,9 miliardi d’indebitamento che in 24 mesi si è aggiunto ai 3,5 delle gestioni precedenti. «Un aumento minimo» dicono i due assessori (alla Sanità e all’Economia) protagonisti della «operazione verità» che ha portato alla brusca convocazione a palazzo Chigi di Lombardo e al suo probabile e imminente commissariamento. Sarà anche minimo, ma si tratta di un 50 per cento in più che, se avesse riguardato il debito italiano, ci avrebbe spediti automaticamente in default, con conseguente calata dal Brennero delle panzerdivisionen spedite da frau Angela Merkel. Ma, appunto, prendersela solo con la Sicilia e il suo presidente è fin troppo ovvio (anche se per la verità nessun capo di governo finora ci aveva provato, lasciando l’incombenza alla magistratura). Che dire delle altre regioni, speciali o ordinarie? Soltanto guardando alla sanità, l’indebitamento record è della Campania, seguita da Lazio, Puglia, Sicilia, e perfino il piccolo Molise rischia di esplodere quasi fosse un’area sub-tropicale a rischio di epidemie rare. Ma il Nord non sta messo molto meglio. I debiti sanitari gravano su Piemonte e Liguria; quanto alla Lombardia che a lungo ha costituito il benchmark, il modello virtuoso nazionale, vedremo che cosa racconterà davvero l’inchiesta su Formigoni e amici. Eppure di come si sia formato questo sistema distorto che non riesce ad amministrare circa 220 miliardi (le ricchezze a disposizione delle regioni) si sa ormai tutto. Gli snodi principali sono tre: l’istituzione delle regioni nel 1970; l’istituzione del servizio sanitario su base universale nel 1980, con il quale chiunque, anche i miliardari, hanno acquisito il diritto alle cure gratis, e il trasferimento alle regioni degli ospedali e dei poteri delle vecchie mutue; infine nel 2001 la riforma del titolo Quinto della Costituziona, varata in extremis dal moribondo governo dell’Ulivo, che concesse alle stesse regioni piena autonomia in fatto di sanità, oltre a una sfliza di poteri esclusivi e diritti di veto su materie come le infrastrutture, l’edilizia, l’ambiente. Tutti business sulla carta promettenti, che si sono spesso trasformati in gigantechi buchi neri. La riforma, infatti, ometteva di istituire oltre ai diritti i relativi doveri in fatto di controlli, bilanci in ordine, conformità con i budget nazionali e con le direttive europee. Senza contare i fondi comunitari, che nessuno, dalle Alpi a Punta Pesce Spada (Lempedusa) riesce a spendere. Nel marzo 2007 l’ex ministro socialista delle Finanze, Franco Reviglio, pubblicò sul sito lavoce.info uno studio sulle spese sanitarie regionali; un grido di allarme ben prima della grande crisi finanziaria che da lì a poco avrebbe travolto tutti, e che l’esperto di finanza pubblica della sinistra proponeva alla riflessione del secondo governo Prodi, quello dell’Unione. Reviglio rilevava che nel solo periodo 2001-2005, in seguito all’autonomia concessa dalla riforma costituzionale, si era formato un disavanzo medio di 4 miliardi, mentre la spesa sanitaria stava superando il 7 per cento del Pil. Tre regioni – Calabria, Lazio e Sicilia – sommavano allora il 68 per cento dell’indebitamento totale. Reviglio stimava inoltre che i crediti accesi dalle regioni con i fornitori, senza alcuna regola e controllo, avrebbero negli anni successivi aumentato la spesa del 30 per cento. Ma questo era ancora nulla. «Perché», osservava il dossier, «il vero problema sono debiti sommersi, stimabili in 38 miliardi, 24 dei quali verso fornitori». In altri termini, il costi non erano (e non sono) derivanti dal servizio ai cittadini, ma dalle spese per acquistare i beni dai privati. L’ex ministro aveva visto giusto, ma non poteva certo prevedere la spirale tra spese folli e tasse che la crisi mondiale avrebbe da lì a poco innescato. Per abbattere i debiti le regioni sono infatti state obbligate ad aumentare le imposte dirette, Irpef ed Irap, con percentuali che proprio nel Lazio hanno raggiunto il record e che si sommano a quelle comunali. Una cura obbligata in mancanza di autocontrollo, ma che ha prodotto i seguenti risultati: il progressivo abbassamento degli standard sanitari in cambio del progressivo innalzamento della pressione fiscale sui cittadini. Quanto alle imprese, l’Irap, un’idea dell’ex ministro Vincenzo Visco per sostituire e regionalizzare i contributi sanitari, si è via via trasformata in una delle gabelle più odiose perché non solo va a cercare di coprire buchi che con l’attività imprenditoriale non c’entrano nulla, ma colpisce soprattutto il numero di dipendenti e il costo del lavoro. Di conseguenza non solo le regioni erogano una pessima assistenza sanitaria, ma non svolgono neppure il loro altro compito di promuovere l’attività imprenditoriale e il lavoro. Un cane che si morde la coda e che di questo passo finirà per divorare se stesso. Fin qui la sorte delle regioni brutte, sporche e cattive. Ma che dire dei virtuosi tedeschi dell’Alto Adige, anzi, pardon, del Sud-Tirolo, e dei loro cugini stretti del Trentino? Si tratta di due province autonome, i cui benefici, nel caso di Bolzano, sono addirittura sanciti da un accordo internazionale, quello del 1946 tra Alcide De Gasperi e l’allora ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, firmato a Parigi e garantito nel 1960 e ’61 da ben due risoluzioni delle Nazioni Unite. Il bilinguismo ne è solo la parte più appariscente. La vera polpa sta nella possibilità concessa agli altoatesini di trattenere il 90 per cento di tutte le imposte raccolte sul territorio, distribuendo alla popolazione e alle aziende, sotto forma di mutui a tasso zero, gli eventuali residui di cassa. Il risultato? La Provincia di Bolzano vanta un tesoretto di circa sei miliardi di euro, mentre ogni singolo abitante, dai neonati ai centenari, riceve ogni anno dallo Stato 8.500 euro di trasferimenti fiscali, rispetto ai 2.200 della Lombardia e ai 1.800 del Veneto. La Svp, il partito egemone guidato dal presidente della provincia Luis Durnwalder, che con il collega trentino si alterna anche alla testa della regione autonoma, è poi abilissimo nello sfruttare le debolezze dei governi nazionali, che certo non difettano. Quando a Prodi mancavano un paio di voti, Durnwalder lì garantì in cambio di ulteriori sconti sul carburante. Quando la stessa cosa accadde con Berlusconi ottenne mano libera (cioè proprietà e introiti) sul parco dello Stelvio. Naturalmente i trentini non vogliono sentirsi i parenti poveri. Hanno già ottenuto, per gli insegnanti ed i dipendenti pubblici, un soprassoldo del 50 per cento in conto bilinguismo. Adesso mirano a sottrarsi alla spendig review sulle spese pubbliche che invece colpirà le altre amministrazioni dello Stato, ed anche le altre regioni, ordinarie e autonome. Con tanti saluti all’irredentismo ed a Cesare Battisti: bastano un museo nel castello del Buon Consiglio a Trento. Per il resto la manna parla ovviamente tedesco, mentre i risparmi finiscono in gran parte nelle banche austriache. Nel 2008 Durnwalder risultò da un’inchiesta del quotidiano di lingua tedesca Tageszeitung il politico italiano più pagato: 25.600 euro netti al mese di stipendio. «Me li merito», disse; poi ha annunciato un taglio. Resta il fatto che in tutto il Veneto, che pure non si lamenta, è partita la corsa dei comuni che vogliono farsi annettere al Trentino-Alto Adige, o in subordine al Friuli-Venezia Giulia. Capofila dei primi è Cortina d’Ampezzo, dei secondi Sappada; entrambi in provincia di Belluno. Così come in Piemonte si chiede il passaggio alla Val d’Aosta; ed in Lombardia addirittura al Canton Ticino. La realtà è che – a parte i pochi davvero ricchi e felici – le regioni, tutte, si avviano ad essere entità ed esperienze bollite. Sono le grandi malate dell’amministrazione italiana, e non solo per i buchi della sanità. E se le province sono sostanzialmente enti inutili, le regioni si stanno rivelando un fallimento. Certo, la Sicilia dei Lombardo e dei Cuffaro lo è anche sul piano politico ed etico: per esempio con i suoi infiniti trasformismi. È prassi che chi inizia il mandato con una maggioranza lo porti a termine con lo schieramento avverso: un fenomeno che è stato studiato e nobilitato alla voce «milazzismo» da quando nel ’58 Pci e Msi si allearono per sostenere il democristiano Silvio Milazzo contro lo stesso scudocrociato. “Tutto nel nome dei superiori interessi dei siciliani” dissero in un famoso comunicato congiunto comunisti e missini. Ma se Palermo è la patologia, Roma, Perugia, Bari, perfino Venezia e Milano rischiano di essere ben presto i simboli premonitori di un’epidemia. L’Umbria ha il record delle pensioni d’invalidità civile, seguita dalla Liguria. La Puglia di Nichi Vendola, in epoca di tagli alla spesa pubblica, ha pensato bene di rimettere a carico integrale della regione il famoso Acquedotto pugliese, il più grande e inefficiente d’Europa, noto per distribuire più che l’acqua, i favori. Domanda: ma che ce ne facciamo di queste regioni? Non era meglio lo Stato napoleonico? E dire che ci avevano perfino venduto il federalismo. Ora però arriveranno un bel po’ di «città metropolitane». Teniamoci stretti, e occhio al portafoglio. Marlowe, Il Tempo, 19 luglio 2012

.…………….Nel 1968 il solo MSI di Arturo Michelini, che doveva morire di lì a poco, combattè una generosa ma inutile battaglia in Parlamento contro l’istituzione delle Regioni. “No all’Italia in pillole” era lo slogan coniato per l’occasione che coincideva con le elezioni politiche di quell’anno che però registrarono un lieve arrettramento del partito che combatteva quella battaglia. Perduta, ovviamente, e vinta da quelli che predicavano la grande utilità delle regioni di cui tutti dicevano un gran bene. Si  visto quale è stato il bene, o meglio, per chi è stato un gran bene: politci trombati, burocrati inventati, esperti del nulla, consulenti di ogni specie e d’ogni risma, tutti attovogliati alle tavole regionali, con gradn dispendio di quattrini e di risorse. Sperare che si riesca a porre fine a questo bengodi è follia, visto, oltrettuo, che dopo un gran parlare, anche il governo dei tecnici (tecnici di che!?) ha alzato bandiera bianca sulla abolizione delle privincie. E ci potete scommettere, se dovessero nascere le città metropolitane, previste dalla legge 142 del 1990, cioè ben 22 anni fa,  statene certi che esse saranno un doppione delle Provincie che resteranno in piedi anche nelle 10 città che dovrebbero diventare “metropolitane”. Alla faccia delle riduzione dei costi della politica, gli unici che non saranno mai tagliati insieme alle tasse che strangolano i contribuenti italiani. g.

IN ITALIA PRESSIONE FISCALE AL 55%, E’ RECORD MONDIALE!

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Una busta paga

Nel 2012 la pressione fiscale effettiva o legale in Italia, cioe’ quella che mediamente e’ sopportata da un euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, e’ pari al 55%. Lo indica l’Ufficio studi di Confcommercio, precisando che si tratta di un record mondiale, e che la pressione fiscale apparente e’ al 45,2%. Il valore della pressione fiscale effettiva, precisa Confcommercio nel rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà, “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto”.

L’Italia si posiziona infatti al top della classifica davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%)e Svezia (48%). Fanalino di coda Australia (26,2%) e Messico (20,6%). “Non solo l’Italia è al primo posto” nel mondo, “ma è difficile che in un futuro prossimo saremo scavalcati” dagli altri Paesi, ha detto il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, spiegando che gli altri paesi alle spalle dell’Italia non solo stanno riducendo la pressione fiscale, ma hanno un sommerso economico molto ridotto rispetto a noi”. “Sotto il profilo aritmetico – si legge nel rapporto – il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali”.

L’Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e Pil: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto su 35 paesi considerati, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (entrambi 45,8%). Il dato è il livello più alto del periodo per il quale si dispone di statistiche attendibili, precisa il rapporto, spiegando che il balzo del 2012 “é dovuto alla strategia di restrizione fiscale che dovrebbe portare il nostro Paese al close to balance nel 2013″. Tra il 2000 e il 2012, mentre la pressione apparente media è scesa di nove decimi nell’area euro e di un punto nell’Ue27, l’Italia è tra gli unici Paesi europei ‘grandi’ ad aver innalzato il prelievo: +3,4 punti percentuali, insieme al Portogallo (+3 punti) e Francia (+0,4 punti). E anche nel mondo, dove prevale la tendenza alla riduzione, l’Italia guida la classifica, seguita dal Giappone (+2,9 punti).

Il sommerso economico in Italia è pari al 17,5% del Pil e l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). E’ quanto emerge dal rapporto ‘Una nota sulle determinanti dell’economia sommersà dell’Ufficio studi di Confcommercio, che precisa che il 17,5%, che si riferisce al 2008 ma si può ipotizzare costante fino ad oggi, posiziona l’Italia al primo posto nel mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) ma è una tendenza moderatamente alla riduzione. Fonte ANSA, 19 luglio 2012

RAI: ECCO LA SOBRIETA’ DI MONTI, UN MILIONE DI EURO PER DUE

Pubblicato il 19 luglio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Roma – Super poteri (al presidente) e superstipendio (al direttore generale). Inizia con poca sobrietà la stagione Rai dei manager-banchieri in quota Monti. Il sacrificio, se c’è stato, non è stato il loro. In due fanno più di 1milione di euro di compensi: 650mila per il Dg Gubitosi, e – anticipano fonti Rai, perché lo stipendio verrà formalizzato nei prossimi giorni – circa 430mila per la presidente Tarantola (trattamento simile a quello che aveva a Bankitalia e al predecessore Garimberti).

Gubitosi, indicato dal premier già un mese fa per la direzione generale Rai, lascia un posto (da consulente?) in Bank of America per un contrattone a vita a Viale Mazzini, tempo indeterminato, con un fisso di 400 mila euro, più 250mila per l’incarico di Dg. Vuol dire che nel momento in cui Gubitosi lascerà la poltrona di direttore generale, la Rai dovrà trovargli un’altra sistemazione interna se non vorrà pagare a vuoto mezzo milione di euro l’anno, cose che già succedono in Rai. Dopo le polemiche sul super ingaggio il Cda ha rimodulato il contratto, abbassando la parte fissa, che pesa di più sul bilancio e che inizialmente era di 500mila euro, e alzando quella variabile. Ma il totale resta sempre quello, 650mila euro. L’unico che si è astenuto sul contratto di Gubitosi è stato il consigliere del Pdl Antonio Verro, mentre gli altri hanno dato il via libera alla richiesta della Tarantola, che subito dopo la nomina del dg ha tirato fuori il contratto con cifra e inquadramento massimo, a tempo indeterminato, chiedendo al consiglio di ratificare. Ora l’unico spiraglio per un cambiamento viene da Luciano Calamaro, il magistrato della Corte dei conti che vigila sulle delibere del Cda Rai. In consiglio, l’altro giorno, Calamaro si è riservato di analizzare il caso del maxistipendio di Gubitosi e della sua assunzione in Rai. Il «Salva italia» del governo, nel caotico iter sui tetti dei manager pubblici, esclude dall’ultima versione i membri delle authority e quelli della Rai. Che dunque possono sforare il limite di 300mila euro l’anno. Ma la giurisprudenza sulla Rai è complessa, e la Corte dei conti dovrà valutare se l’acquisto a peso d’oro del neo dg Gubitosi, dopo il trucco dei 100mila euro spostati dalla parte fissa a quella variabile dello stipendio, sarà corretto in tutto e per tutto.Il caso però è già politico. Orfini, delegato del Pd per le questioni Rai, parla di un «passo falso» del Cda, e anche da Udc, Idv, Lega e sindacati arriva la stessa critica. Né i consiglieri di Pd e Udc, però, hanno avuto da ridire sul compenso di Gubitosi. Ora si passa al secondo capitolo, quello dei super poteri della Tarantola, che ieri, nel Cda, voleva chiudere subito la partita. La regola prevede però che passino 48 ore, al massimo 24 in casi urgenti, tra la consegna delle carte al Cda e il voto. Il solito Verro ha quindi chiesto di rimandare a stamattina la decisione sulle deleghe della Tarantola. Il documento che andrà in approvazione, dopo faticose limature soprattutto sulla parte delle nomine, prevede che il presidente possa decidere contratti fino a 10milioni di euro (purchè «coerenti» con le scelte del Cda); e poi che spettino a lei e al dg tutte le nomine «non editoriali» di primo e secondo livello. Che vuol dire tre quarti delle poltrone, e non solo quelle puramente «corporate»: dalle direzioni Risorse umane alla Produzione tv, dalle Risorse televisive alle Relazione Esterne. Tutte, di fatto, tranne Reti, Testate, Intrattenimento, Fiction e Teche, che parte dei consiglieri, dopo un dibattito, sono riusciti a «strappare» dal controllo della Tarantola. Ma è ovvio che il governo avrà un peso anche nelle nomine editoriali, come quelle dei tg. La Tarantola è una fiera sostenitrice delle pari opportunità per le donne. E di sicuro gradirebbe qualche donna ai vertici di reti o tg. Magari partendo dal Tg1.Il Giornale, 19 luglio 2012

.……….Eccola la sobrietà dell’era Monti: mazzate di tasse sulle spalle dei pensionati con 50o euro al mese e centinaia di migliaia di euro all’anno per i “sobri” manager di stato, ultimi in ordine di tempo la neo presidente dfella Rai e il neo direttore generale, entrambi pupilli di Monti, ai quali andranno, in due, più di un milione di euro all’anno. Alla faccia della sobrietà e del contenimento della spesa pubblica. g.

ECCO PERCHE’ IL CAVALIERE NON PUO’ ( E NON DEVE) TIRAR BIDONI

Pubblicato il 18 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Maglie: Ecco perché il Cav non può tirar bidoni

Il Cav è tornato, ma quanto è cambiato? Davvero crede che la sua faccia straordinaria e la sua disinvoltura eccezionale, tanto più se paragonate col materiale umano esistente, siano sufficienti? Non è più così, se gli dicono invece di sì gli mentono, che lo sappiano o no. Crede che basti un nome nuovo, come fecero e continuano a fare i comunisti italiani, salvo poi dimostrarsi sempre quelli che non ti fanno neanche votare? Nel suo elettorato deluso, tra i giovanotti ultra liberal che potrebbero essere la sua nuova falange, c’è chi non si ricorda nemmeno che cosa fu Forza Italia, per età o per incultura politica, per diffidenza, tant’è.  Non ha qualcosa da dirci, qualche colpa grave da ammettere esplicitamente, tasse non diminuite, riforme indispensabili mancate, bugie sulla situazione del Paese, e dunque qualche promessa per il futuro da fare giurando che stavolta non la tradirà? Non ha qualche coglione da cacciare, che poi sono parecchi, che si accomodino e facciano un nuovo partito, o anche due, dopo tanto danno fatto al suo? Lo sa che l’età non c’entra, anche perché godiamo di gagliardo presidente della Repubblica quasi novantenne, e perché il giovanilismo è l’ultimo degli imbrogli all’italiana, ma anche che l’età e l’esperienza non sono più l’alibi per imbrogliare nessuno?

Potrebbe essere il mantra dei prossimi mesi, ma sarebbe meglio se la domanda e il tormentone si esaurissero invece nel giro di qualche settimana al massimo. La cosa è possibile solo con una risposta seria, e la risposta può darla solo lui, il Cav, possibilmente mettendoci la faccia e la voce, non affidandosi a intervista, nemmeno se a giornale straniero prestigioso, tantomeno a esegeta o guru del giorno, badanti please astenersi, possibilmente evitando l’effetto “un passo avanti e due indietro”, causato da rettifiche e o smentite del giorno seguente.

Il momento è grave e solenne, a nessuno in realtà viene in mente di irridere sul serio al ritorno del Cav. Chi lo fa, quanto chi si indigna, nasconde un timore neanche tanto sottile. Chi, chiamandosi Pierluigi Bersani, ovvero essendo un leader agghiacciante di un partito abbastanza esposto al freddo, dichiari che il ritorno del Cav è appunto agghiacciante, dovrebbe almeno cambiare ghost writer, o acquisirne infine uno degno di questo nome. Ma ripresentarsi non basta, questo al Cav dovrebbe essere chiaro, né basta un sondaggio o il rispolvero di un vecchio nome che nacque glorioso e liberale, e quando fu buttato sotto un predellino, era già stato allegramente sepolto dal tax and spend,  spreca denaro pubblico e intanto fregali aumentando le tasse, di cui i democristiani e i comunisti sono sempre stati maestri, ma che lui aveva lasciato rientrare dalla porta principale. Forza Italia non basta evocarla, bisogna volerla , bisogna aver capito che se è sempre stato l’unico modo etico di governare, oggi è da una parte l’unica via d’uscita, dall’altra l’unico momento propizio per farlo digerire agli italiani statalisti e assenteisti, l’ultimo momento possibile per ridare fiducia agli italiani imprenditori piccoli e medi, sui grandi stendiamo un velo pietoso, comunque si stiano riciclando.

Se non è così, se non intende scusarsi profondamente e intimamente, se non è pronto a provare a far credere che gli è tornata la voglia liberale, liberista e libertaria grazie alla quale salvò il Paese, ma anche sé stesso e i suoi affari, dalla morsa gelida e vischiosa di Tangentopoli tanti anni fa, allora lasci perdere. Avrà solo delusioni, farà brutte figure.  Ha tenuto in piedi un governo imbelle   acquistando voti e dando strapotere agli ex An rimasti dopo il tradimento di Fini, non ha chiesto le elezioni quando doveva e poteva, non ha fatto la faccia feroce a Merkel e Sarkò, perfino la Libia si è trangugiato, ed è stata amara, infine ha fatto un passo indietro non dovuto, si è fatto intortare da un bel complottone internazionale ma anche da grandi e piccoli congiurati della sua corte, ha lasciato al delfino sbagliato, democristiano e talmente provinciale da non avere nello staff nemmeno uno che non fosse di Agrigento, fan del solito Casini e del calderone democristiano, che francamente non se ne può più.

Oggi il Cav deve parlare, essere chiaro, delineare se ce la fa un soggetto politico completamente nuovo, poi lo chiami come gli pare. Gli servono persone nuove, contenuti forti, ideologia leggera, speranza da iniettare in un corpo agonizzante.

Gli serve anche un po’ di populismo,  come ridurre il numero dei parlamentari e i loro privilegi; sappiamo tutti che è poca roba, ma è giusto in linea di principio e scava la fossa a Grillo. Scelga quale che sia il porcellum persone credibili, popolari, esperte, anche se nuove alla politica, a casa gli sputtanati di ogni sesso. Il programma dica poche cose: riduzione della spesa pubblica, riduzione delle imposte, liberalizzazioni, riforma della scuola e dell’università, sistema pensionistico a capitalizzazione privata, riforma sanitaria, possibilità di fare impresa subito e con poca burocrazia, decentramento dei poteri. Infine, se gli riesce ancora, parli al cuore delle persone, che oggi è in un inverno perenne. Dica loro che c’è ancora un progetto per l’Italia. Sennò ci lasci al nostro destino. di Maria Giovanna Maglie, Libero, 18 luglio 2012

UN BILANCIO (QUELLO DELLA REGIONE SICILIA) DA FILM HORROR, di Mario Sechi Sechi

Pubblicato il 18 luglio, 2012 in Politica | No Comments »

Crac. Ci stiamo preoccupando della Grecia – e facciamo bene – ma la nostra guerra del Peloponneso finanziario ce l’abbiamo in casa e si chiama Sicilia. Passato lo Stretto, il bilancio si fa largo, larghissimo, fino a trasformarsi in un buco leggendario: quello della Regione governata da Raffaele Lombardo e una giunta che sembra un’armata Brancaleone. Mario Monti ha scritto al presidente: caro, di grazia, mi fai sapere se ti dimetti o no entro il 31 luglio come hai annunciato urbi et orbi? Sai, i conti del tuo ente sono un colabrodo, c’è il rischio di un default e se dobbiamo intervenire da Roma, forse è il caso di sapere con chi parlare… Alt! Quelli del consiglio regionale, un’idrovora del bilancio pubblico e dei soldi dei contribuenti, si sono indignati: è stata offesa la nostra autonomia. Autonomia? Non scherziamo. La Sicilia – che è in buona compagnia – è una tragedia finanziaria e politica che pesa sulle spalle dei contribuenti. Consiglio alla pattuglia degli offesi e ai lettori che hanno voglia di saperne di più, la lettura della Relazione della Corte dei Conti sul rendiconto della Regione siciliana per l’esercizio 2011: un film horror. Bastano le prime cinque righe delle considerazioni generali del Presidente della Corte: «Il rendiconto generale relativo all’esercizio finanziario 2011 registra una situazione di notevole, preoccupante deterioramento: tutti o quasi i saldi fondamentali di bilancio presentano valori negativi. Così per il saldo netto da finanziare e per il ricorso al mercato, mentre crescono a dismisura le obbligazioni da onorare in esercizi futuri in corrispondenza con un volume di residui passivi cresciuti da 5 a 7 miliardi di euro». Non scendo nei dettagli, ma vi assicuro che la lettura dei bilanci potrebbe farvi diventare leghisti. E questo non vale solo per la Sicilia, ma per quasi tutte le Regioni italiane. Sono un pozzo di spesa senza fine e gestiscono la voce di bilancio più delicata: la Sanità. Vedendo i loro conti, ho maturato l’idea che senza una classe dirigente all’altezza, la devoluzione di poteri è solo una moltiplicazione della spesa. Vogliono il federalismo? Allora le Regioni che non tengono i conti in ordine dovranno fare crac. E chi lo provoca farà la fine dei bancarottieri: andrà in cella. Mario Sechi, Il Tempo, 18 luglio 2012

.…………….Il guaio è proprio questo: che nessuno va in cella. O meglio in cella ci vanno i pirla, compreso tra questi Calisto Tanzi, l’ex patron della Parmalat nei cui confronti la Magistratura si è mostrata particlarmente dura e intransigente. Giusto! Ma altrettanto fura e intransigente dovrebbe o avrebbe dovuto essere la Magistratura nei confronti ei tanti politici e dei banchieri che assecondando Tanzi favoriorno il crac ella Parmalat e tutto ciò che ne conseguì. Così per la Sicilia. Lombardo e insieme a lui i tanti disinvolti amministratori siciliani di ogni colore, da destra a sinistra, passando per il centro, e di ogni tempo,  responsabili della allegra finanza siciliana, quella che ha consentito il dilagare di una spesa pubblica senza precedenti, con l’ assunzione di migliaia e migliaia di dipendenti nella pubblica amministraizone, tra cui le decine di migliaia di guardiaboschi il cui numero è pari alla moltiplicazione per dieci del totale dei guardiaboschi  di tutte le altre regioni italiane messe insieme, e che ha favorito il pensionamento d’oro di altre decine di migliaia di dipendenti pubblici attraverso  provvedimenti legislativi asssunti in virtù della cosiddetta autonomia statutaria che si è trasformata in autonomia di commettere abusi,  dovrebbero essere assocaiti alle pubbliche galere per rispondere dello spreco dei soldi pubblici a danno non solo dei contribuenti siciliani, ma di tutti i cntribuenti italiani, chiamati ora a far fronte allao scandaloso disavanzo procurato da anni di allegra gestione. Invece la magistratura siciliana, è notizia i queste ore, apre un nuovo procedimento contro il senatore Dell’Utri, sotto schiaffo dal 1996, per, udite, udite, estorsione nei confronti di Berlusconi, il che è evidentemente una bufala di proporzioni pazzesche, non foss’altro per i rapporti intercorrenti tra lo stesso Berlusconi e Dell’Utri. Ma siccome in Italia al ridicolo non c’è mai limite, ecco spuntare questa nuova indagine, appendice a quella sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia che ha lambito addirittura il presidente della Repubblica…………… e come si può sperare che i ladri  finiscano in galera quando la magistratura si occupa di inseguire fantasmi e fantasie di quaklche decennil addietro,  impegnando tempo, uomini e materiali, distratti dalla lotta ai disastri dell’oggi? Poveri noi, e povera Italia, nave senza nocchiero, non donna di provincia,  ma di bordello...g