ADDIO AL PAPA BENEDETTO, UMILE SERVO NELLA VIGNA DEL SIGNORE
Pubblicato il 28 febbraio, 2013 in Storia | No Comments »

Congedandosi ieri dai fedeli, nella sua ultima udienza generale, Benedetto XVI ci ha fatto l’ultimo regalo di un altro, indimenticabile discorso. Intriso di commozione per il momento e di amore per la Chiesa, e di riconoscenza per quanto ricevuto. Un discorso semplice e, a un tempo, altissimo, per ringraziare di quanto gli è stato donato, e senza un cenno a quanto lui ha dato. Alla Chiesa, a tutti noi. A un mondo che ieri ha seguito il suo saluto in silenzio, trovando nelle sue parole pacate, quiete, serene, le risposte a tutti i “perché” – gli umanissimi, sgomenti perché? di chi il Papa lo ama, ma anche i perché, senza punto interrogativo, di chi ha preteso di spiegare le “dimissioni” in una logica mondana – che in questi giorni si sono affastellati l’uno sull’altro attorno alla rinuncia.
Adesso capiamo, sappiamo. Da stasera, il Papa è nascosto “agli occhi del mondo”, ma non “nascosto al mondo”. C’è. Ci è vicino. Un distacco necessario, dopo che «in questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite», maturato nella preghiera «per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa». Fino a una scelta compiuta «nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo».
Perché «amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi». Scelta grave, dunque. Stridente con un mondo che cerca disperatamente, quasi a tutti i costi, di vivere sotto i riflettori, e rispetto al quale Papa Benedetto ci ha mostrato l’imprescindibile valore dell’essere.
……Almeno questa volta Napolitano c’è!
Lontani dagli occhi, ma non dal portafoglio. Una lunga fila di politici e politicanti di professione non si presenterà più in parlamento ma non mancherà di passare, ogni mese, a ritirare una pensione con troppi zero.
Pensione che saranno i contribuenti italiani a pagare con i propri sacrifici.
Un esempio su tutti? Gianfranco Fini che, incassati la bellezza di 148mila voti (0,46% alla Camera), si prende un periodo sabbatico dalla politica. Si dedicherà ai suoi hobby (magari alle immersioni in quel di Giannutri) e alla cultura, senza la minima preoccupazione di dover sbarcare il lunario. Fra un paio di mesi il (quasi) ex presidente della Camera porterà a casa un assegno di fine mandato da 260mila euro netti. Tutto qui? Macchè. Dopo una lunga vita “spesa” a far politica, l’ex leader di An potrà finalmente ritirarsi in pensione percependo 6200 euro netti al mese.
A fare i conti ai “trombati” eccellenti è Franco Bechis su Libero (leggi l’articolo) che mette a nudo i politicanti di professione che si preparano a lasciare i palazzi romani con assegni a sei cifre. La lista è davvero lunga. E volti sono tutti noti. Sono i vari futuristi, gli immancabili radicali e il solito Antonio Di Pietro. Fino a qualche giorno fa, a sentirli parlare, si poteva addirittura pensare che il destino dell’Italia e gli equilibri del futuro governo fossero nelle loro mani. “Che fai mi cacci?”, aveva tuonato Fini a Silvio Berlusconi all’assemblea nazionale del Pdl. Alla fine ci hanno pensato gli italiani. Al leader del Fli non resta che portare a casa il “tapiro” che ieri gli è stato regalato da Valerio Staffelli e accontentarsi del vitalizio che gli è garantito dopo trentun lunghi anni di legislature, incarichi governativi e via via dicendo. Tra i futuristi non è certo l’unico a ringraziare le casse opulte dello Stato. Italo Bocchino lascia il parlamento con un assegno di fine mandato da 150mila euro. Mica male, se si pensa che non ha diritto né al vitalizio né la pensione per altri diciassette anni.
Di Pietro, che ieri ha presentato le proprie dimissioni dall’Italia dei Valori, tornerà a Montenero di Bisaccia? Dismessa la toga cosa farà? Nessun problema. L’ex leader dell’Idv, per pocoallato dei Antonio Ingroia nella breve e fallimentare esperienza della lista “Rivoluzione civile”, non è certo la prima volta che è costretto a fare valigie e schiodarsi dala parlamento. Proprio per questo, dovrà accontentarsi di un buono uscita da 60mila euro netti: la prima gli era già stata versata, tempo fa. Non solo. Come Fine, anche l’ex pm di Mani pulite potrà godere, da aprile, di una pingue pensioncina da 4300 euro al mese.
Sulle stesse cifre si aggira anche Emma Bonino che gli elettori hanno deciso di lasciar fuori dalla politica. Sempre che qualcuno non voglia “piazzarla” sullo scranno del Quirinale come successore di Giorgio Napolitano, l’esponente radicale lascerà l’agone politico con un assegno da 60mila euro e una pensione da 6500 euro al mese. Più alto il buono uscita dell’ex presidente del Senato Franco Marini (188mila euro) che potrà godere di 5300 euro di pensione al mese a cui si aggiungerà quella da sindacalista. Insomma, trombati sì, ma col portafoglio bello gonfio. Il Giornale, 27 febbbraio 2013
Attenzione, i nemici non sono Bersani o Grillo, che ad abbattere Berlusconi ci hanno provato senza successo.
Ancora una volta il pericolo arriva dalla magistratura che, come dimostra il patetico caso Ingroia, era ed è politicizzata. E da ieri pure furente per la sonora bocciatura subita nelle urne da Rivoluzione civile, il partito dei pm manettari e dei giornalisti complici. Direte: ci risiamo con la menata della giustizia. Già, ci risiamo. E attenzione a non sottovalutare il problema. Perché il tribunale di Milano ha stilato un calendario di udienze e sentenze che riguardano Silvio Berlusconi che non ha precedenti nella storia. Eccolo: venerdì requisitoria del processo di appello per i diritti Mediaset, che andrà a sentenza il 23 marzo (presunta tangente pagata da Berlusconi a se stesso). Il 7 marzo sentenza per il processo Unipol (la pubblicazione dell’ormai famosa intercettazione: «Abbiamo una banca» pronunciata da Fassino). L’8 marzo, festa della donna (guarda caso), requisitoria della Boccassini per il processo Ruby, che andrà a sentenza il 18 o al più tardi il 25 dello stesso mese.
Una concentrazione tale di appuntamenti è incompatibile, oltre che con il buon senso, con i diritti della difesa e dell’imputato, che peraltro negli stessi giorni sarà impegnato a decidere se, come e con chi governare il Paese su mandato di una decina di milioni di italiani che, pur sapendo tutto, ma proprio tutto dei suoi presunti guai giudiziari, ha deciso di confermargli per l’ennesima volta un’ampia fiducia.
Questa ultima porcata ha un obiettivo chiaro: indebolire e delegittimare il leader del centrodestra agli occhi degli italiani e del mondo nei giorni della trattativa più delicata per la sinistra che, dopo aver perso la faccia nell’urna, ora rischia anche tutto il resto in Parlamento. Insomma, ci risiamo. Più il Pdl tiene, più il suo leader deve essere abbattuto per altre vie, nella fattispecie quella giudiziaria.
Calcolare i tempi dei processi in base alle esigenze politiche della sinistra è da criminali, oltre che incivile. Basterebbe congelare le prescrizioni e rinviare lo show a dopo il chiarimento politico. Questione di poche settimane per fatti (sulla cui fondatezza vi rimando all’articolo di Luca Fazzo) datati anni e anni fa. Non sarebbe la fine del mondo. Ma Ingroia insegna. Il loro mondo non è il nostro, è fatto di odi, partigianerie e impunità. Almeno che Napolitano ci metta una pezza e richiami tutti all’onestà che dovrebbe avere chiunque abbia deciso di servire lo Stato. Il Giornale, 27 febbraio 2013
Silvio Berlusconi ha compiuto il miracolo di non consegnare questo Paese alle sinistre e di sbarrare il campo alla setta di Grillo. Noi liberali eravamo stati dati per morti già un anno fa. Hanno provato in tutti i modi a spartirsi il bottino, ma niente. I giochi di salotto alla Montezemolo, abilmente amplificati da giornali e televisioni compiacenti, non hanno ottenuto il risultato sperato. Per governare, questo dicono le elezioni di ieri, bisognerà fare i conti ancora con il nostro mondo, maggioritario nel Paese, sia pure distratto da sirene alla Giannino. Un mondo che politicamente è ancora saldamente nelle mani di Silvio Berlusconi.
Bersani era partito per smacchiare il giaguaro Berlusconi ed è stato smacchiato dal comico Grillo. Il segretario del Pd ha fallito e si appresta ad andare a pettinare le bambole. Renzi se la ride e scalda i motori. Alla Camera, grazie al premio di maggioranza, il Pd ha più deputati, ma al Senato dovrà provare ad allearsi con un nemico. Due le ipotesi. O compera in blocco i grillini, cosa difficile e comunque, stante i numeri, non risolutiva, oppure si dovrà mettere in ginocchio da Berlusconi per tentare un governissimo che faccia qualche cosa di urgente e poi ci riporti al voto.
Questo anche perché l’alleato occulto Mario Monti ha preso una tranvata tecnica bestiale. Tanto che i suoi soci Casini e Fini stanno per fare le valigie e, forse, andranno a lavorare per la prima volta in vita loro. Cosa che dovranno sicuramente fare Ingroia e Di Pietro, che restano fuori dal Parlamento. Questa probabilmente è la notizia più bella della giornata. Vuol dire che il Paese dei «forza magistrati» e dei mafiologi a tempo pieno non esiste fuori dagli studi di Santoro e dai fogli di Travaglio. Volevano ammanettare l’Italia, gli elettori li hanno arrestati come ladri di polli.
Il Pd smonta la gioiosa macchina da guerra. Enrico Letta e soci ripongono negli armadi i vestiti già acquistati per il giuramento da ministri. Ora tocca a Napolitano sbrogliare la matassa. Non mi fido. Vediamo che cosa si inventeranno, ma se Dio vuole, grazie a voi che avete creduto in Berlusconi, a quel tavolo saranno rappresentate con forza anche le nostre ragioni. Nessuno faccia il furbo. E, per iniziare, Monti si dimetta da senatore a vita e Ingroia non torni in magistratura. Lo dico così, tanto per ripartire col piede giusto. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 26 febbraio 2013
……Però..però Sallusti sa anche che i miracoli non si ripetono. La rimonta di Berlusconi è certamente il frutto di una straordinaria ed irripetibile perfomance di Berlusconi che, come nel 2006, da solo, da solo!, ha affrontato la traversata del deserto, ha incrociato la spada con guerrieri di ogni tipo, si è infilato nelle tane dei suoi più acerrimi persecutori e ne ha avuto ragione. Ma la rimonta che porta scritto innegabilmente e solitariamente il nome di Berlusconi, diciamolo francamente, certifica anche che il centrodestra, quello che non ha perso ieri l’altro, è il centrodestra targato Berlusconi senza del quale non esiste o diventa, prima ancora che elettoralmente minoritario, quasi evanescente, un “fuoco fatuo” come il celebre romanzo di Pierre Drieu La Rochelle, il cui protagonista si suicida dopo aver constatato l’inutilità di una esistena mediocre. Perciò, prima che sia troppo tardi, bisogna dare vita ad un partito che sia tale, che sia presente sul territorio, che sia presente sempre e non solo alle scadenze elettorali, e sopratutto sia di tutti e non chiuso in conventicole cui si è ammessi solo se si è parte di cerchi più o meno magici. Altrimenti il dopo Berlusconi che prima o poi incomincerà riserverà amare sorprese per tutti. g.
La stella di Nichi Vendola, o Nikita il rosso come lo chiamano in Puglia, sembra essersi appannata.
Oggi i giornali nazionali dedicano articoli ai comizi degli altri politici, ignorando completamente la kermesse organizzata a Bari ieri sera dal centro-sinistra, dove l’ospite di punta era proprio Vendola. Con lui sul palco, allestito in piazza Castello, c’erano anche il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e il sindaco Pd del capoluogo, Michele Emiliano. Il quale ha provato a rinfrancare le truppe invitando i presenti a tirarsi su di morale in questo modo: «A Piazza San Giovanni piove». E sì, perché, il convitato di pietra degli ultimi comizi della sinistra italiana sono state le piazze stracolme di grillini che hanno fatto da contraltare a quelle semivuote di Pd e Sel (tanto da costringere Pierluigi Bersani a chiudersi, per l’ultimo appello al voto, in un teatro).
Ieri sera piazza Castello faceva malinconia. Ad applaudire i loro aspiranti rappresentanti c’erano non più di trecento persone, riuniti come si fa tra vecchi amici al bar: saluti, abbracci e confidenze.
Un dirigente, desolato dalle notizie che provenivano da Roma e che parlavano di centinaia di migliaia di persone allo Tsunami tour grillino, ha sibilato a un parlamentare appena sceso dall’auto blu: «A questi bisogna offrirgli la presidenza della Repubblica». In attesa di vedere Grillo al Quirinale, per ora, l’unico risultato concreto è che, alla vigilia del voto, Vendola è scomparso dalle pagine dei giornali, superato alla vigilia delle urne, persino da Antonio Ingroia e il dimissionario Oscar Giannino.
Oggi l’unico pensiero al leader di Sel lo ha dedicato il vicedirettore del Fatto, Marco Travaglio, nel suo consueto editoriale. Un endorsement al contrario di cui Vendola, ne siamo certi, avrebbe fatto volentieri a meno. Il titolo eloquente è «La foto di Fasano», con chiaro riferimento all’immagine pubblicata da Panorama.it, in cui si vede Vendola a tavola con il giudice per l’udienza preliminare che il 31 ottobre scorso lo ha prosciolto da un’accusa di abuso di ufficio.
L’incipit di Travaglio è un calcio negli stinchi: «Non è un bello spettacolo quello immortalato dalla foto pubblicata da Panorama, che ritrae il già allora governatore della Puglia in compagnia di quattro pm pugliesi (Carofiglio, Pirrelli, Iodice, Bianchi) e due giudici (Manzionna e De Felice), oltre a una giornalista e al capo della Mobile di Foggia. Dopo la foto di Vasto, abbiamo la foto del pranzo. E francamente era molto meglio la prima». Di fronte ai «non ricordo» autoassolutori di Vendola, Travaglio conciona in questo modo: «Siccome di quel pranzo si vocifera da mesi, Vendola avrebbe dovuto verificare presso la cugina (la festeggiata Paola Memola ndr) o gli altri commensali l’eventuale presenza della gip e poi ammetterla con le dovute spiegazioni. Il che avrebbe innescato il meccanismo previsto in questi casi dalla legge per dissipare ogni sospetto e dietrologia: l’astensione del gip».
Infatti secondo il vicedirettore del Fatto il giudice non poteva non ricordare quell’incontro: «Sicuramente la dottoressa De Felice sapeva di aver pranzato con il governatore Vendola e avrebbe dovuto astenersi dal processo a suo carico».
Per Travaglio un giudice che pranza con il suo futuro imputato è sospettabile, qualunque decisione prenda. «Ora che è uscita quella foto molti penseranno che Vendola fosse colpevole e abbia beneficiato di un trattamento di favore. Tanto più in quanto il governatore aveva posto la gip in una situazione imbarazzante, annunciando che in caso di rinvio a giudizio si sarebbe ritirato dalla vita politica».
Infine Travaglio, ispirato dall’episodio ritratto nella foto pubblicata da Panorama.it, fa una riflessione sui rapporti tra politica e giudici: «Il magistrato politicizzato non è quello che lascia la toga e si candida in politica, ma quello che conserva la toga e frequenta i politici e poi magari li giudica».
Forse per questo Vendola ha preferito in questi giorni non rispondere alle domande dei giornalisti su quel pranzo e su quella foto. Invece di dare spiegazioni, ha trovato più comodo insultare Panorama, dichiarando, per esempio, ieri sera: «Non rispondo al fango». Chissà come avrà valutato questa mattina l’editoriale di Travaglio. Lo avrà liquidato come «fango amico»? O invece, zitto zitto, lo avrà mandato giù con il caffè, visto che non tutti i fanghi sono uguali? Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato. Se rispondesse. Giacomo Amadori, Panorama on-line, 23 febbraio 2013
A 24 ore dal voto di domani, i sondaggi sulle elezioni politiche italiane restano secretati, ma se anche fossero pubblici non aiuterebbero a fare sufficiente chiarezza sull’esito finale delle consultazioni. Quel che è certo, ha scritto ieri il commentatore Anatole Kaletsky sull’International Herald Tribune (la versione globalizzata del New York Times), è che “Angela Merkel potrebbe finire come il principale sconfitto delle elezioni italiane”. Anche per questo i mercati europei si preparano a ballare di nuovo. I dati macroeconomici, di per sé, non contribuiscono a rassicurare sul futuro dell’euro. Ieri mattina la Commissione europea ha reso note le sue previsioni aggiornate per l’inverno 2013, dalle quali emerge che il pil dell’Eurozona diminuirà nel complesso dello 0,3 per cento (e non più dello 0,1 per cento come previsto nel novembre scorso). La Francia, seconda economia dell’area, non crescerà quest’anno come non è cresciuta nel 2012, mentre il rapporto deficit/pil raggiungerà il 3,7 per cento quest’anno per poi salire al 3,9. Il pil italiano calerà di un punto percentuale nel 2013, e non più di mezzo punto come stimato finora da Bruxelles, mentre il tasso di disoccupazione continuerà a salire almeno fino al 2014, arrivando al 12 per cento. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, ha comunque enfatizzato gli aspetti positivi: “Per l’Italia è prevista l’uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013”, e poi “il paese ha corretto il deficit di bilancio nei tempi stabiliti e che anche nei prossimi anni rispetterà gli obiettivi”. In tutto questo Berlino si consola quest’anno con una crescita di mezzo punto percentuale. Poca cosa. A Bruxelles non a caso si discute sempre più apertamente di “concessioni” da fare a questo o a quel paese per raggiungere gli obiettivi di risanamento senza strozzare la ripresa.
Qui entra in campo il voto di domani: “Le elezioni italiane potrebbero avere effetti più distruttivi per il resto d’Europa che per l’Italia”, ha scritto Kaletsky. A generare appresione non sono gli scenari considerati comunque poco probabili, come un trionfo di Beppe Grillo o una decisiva rimonta di Silvio Berlusconi. E’ sufficiente l’“umiliante quarto posto che i sondaggi assegnano a Monti”, dietro Pd, Pdl e Beppe Grillo – si legge sul New York Times – perché presto “Merkel si troverà in un terribile imbarazzo: o sostenere un governo italiano che rifiuta ulteriori dosi di austerity e riforme ispirate da Berlino, oppure consentire il break-up dell’euro”. Entrambi gli scenari influirebbero pesantemente sul voto di settembre in Germania. Da qui l’idea che la cancelliera possa uscire come la “principale sconfitta” di un risultato incerto in Italia. Pessimista anche il think tank americano Center for strategic and international studies: “Quale che sia il risultato, l’Italia si allontanerà dal suo sentiero di austerity e responsabilità fiscale e, a seconda del tipo di coalizione, avrà un governo debole, instabile, con un’opposizione rafforzata”. Di diverso avviso gli analisti della banca londinese Barclays: “Un’alleanza tra centrosinistra e centristi guidati da Monti sarebbe positiva nel breve termine per i mercati finanziari”. Se tale maggioranza esistesse al Senato, garantirebbe il rispetto del risanamento fiscale previsto dal Fiscal compact.
La pensa in maniera simile Guido Rosa, presidente dell’associazione Banche estere in Italia, che pure precisa di non esprimere preferenze per questo o quel partito: “Le banche che rappresento vorrebbero lavorare anche di più nel nostro paese che è fortemente finanziarizzato. Il rischio principale adesso è l’instabilità politica. Si tratta di capire infatti se sarà perseguito il rigore fiscale come nell’ultimo anno. Poi però ci sono anche le riforme strutturali, non abbastanza discusse finora”. Sul medio-lungo termine si spinge anche la riflessione di un operatore di un’importante banca inglese che al Foglio spiega: nel giro di pochi mesi, gli investitori inizieranno a “prezzare” l’eterogeneità della coalizione Pd-Monti e la sua eventuale difficoltà a promuovere riforme come quella del mercato del lavoro. Lo ricordano i dati di Bruxelles: con la tendenza attuale, infatti, il pil non si riprende velocemente e il debito pubblico non diminuisce. di Marco Valerio Lo Prete – Il Foglio Quotidiano, 23 febbraio 2013