Archivi per febbraio, 2013

ADDIO AL PAPA BENEDETTO, UMILE SERVO NELLA VIGNA DEL SIGNORE

Pubblicato il 28 febbraio, 2013 in Storia | No Comments »

Dalle otto di questa sera, la Sede di Pietro sarà vacante. Secondo una modalità senza precedenti nei duemila anni di storia della Chiesa. Il Papa rinuncia al ministero petrino senza, per questo, scendere dalla barca di Pietro. Perché il suo accettare «sempre» e «per sempre» la chiamata rivoltagli dal Signore il 19 aprile del 2005, non è contraddetto dalla sua scelta. Perché «il “sempre” è anche un “per sempre”», e non c’è, da questo, ritorno a una vita “normale”. «Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro».

Congedandosi ieri dai fedeli, nella sua ultima udienza generale, Benedetto XVI ci ha fatto l’ultimo regalo di un altro, indimenticabile discorso. Intriso di commozione per il momento e di amore per la Chiesa, e di riconoscenza per quanto ricevuto. Un discorso semplice e, a un tempo, altissimo, per ringraziare di quanto gli è stato donato, e senza un cenno a quanto lui ha dato. Alla Chiesa, a tutti noi. A un mondo che ieri ha seguito il suo saluto in silenzio, trovando nelle sue parole pacate, quiete, serene, le risposte a tutti i “perché” – gli umanissimi, sgomenti perché? di chi il Papa lo ama, ma anche i perché, senza punto interrogativo, di chi ha preteso di spiegare le “dimissioni” in una logica mondana – che in questi giorni si sono affastellati l’uno sull’altro attorno alla rinuncia.

Adesso capiamo, sappiamo. Da stasera, il Papa è nascosto “agli occhi del mondo”, ma non “nascosto al mondo”. C’è. Ci è vicino. Un distacco necessario, dopo che «in questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite», maturato nella preghiera «per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa». Fino a una scelta compiuta «nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo».

Perché «amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi». Scelta grave, dunque. Stridente con un mondo che cerca disperatamente, quasi a tutti i costi, di vivere sotto i riflettori, e rispetto al quale Papa Benedetto ci ha mostrato l’imprescindibile valore dell’essere.

Un essere contrapposto a un apparire che, sempre più spesso, malinconicamente, è solo un sembrare. Essere uomo di fede radicalmente, fino in fondo, senza compromessi. Testimoniando, ancora una volta, la coerenza con la sua idea di essere sacerdote, che non può, non deve coincidere mai, in nessun modo, con l’attaccamento a un ruolo o a una carriera, ma ministero, servizio, a ogni livello, in ogni momento, della Chiesa e alla Chiesa. Chiesa che non è nostra, ma di Dio. C’è voluto un coraggio da leone, e una fede incrollabile, per fare quello che Papa Benedetto ha fatto. Non lo potremo mai ringraziare abbastanza, per questo e per come, da padre e da maestro, ce lo ha spiegato e sempre meglio fatto comprendere. E se, umanamente, non riusciamo a non sentirci un po’ tristi, anche questo, paradossalmente, fa parte di quella «gioia di essere cristiano» che Papa Benedetto, salutandoci, ci augurato di poter noi tutti, sempre, sentire. Salvatore Mazza, 28 febbraio  2013

L’ORGOGLIO NAZIONALE, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 28 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Ieri Berlusconi ha aperto il suo videomessaggio ricordando una frase del programma Pdl: l’Italia è il Paese che amo.

Sotto la neve di Monaco di Baviera lo ha pensato e lo ha fatto capire ai tedeschi anche Giorgio Napolitano, che con la voce rotta dalla commozione, ha detto: «Esigiamo rispetto per il nostro Paese». Ha difeso così l’Italia, all’indomani della tempesta perfetta del risultato elettorale, perché la frase di quel gaffeur di Peer Steinbrueck non gli è proprio andata giù. Del resto il candidato cancelliere della Spd aveva definito i due vincitori delle elezioni, Grillo e Berlusconi, «due clown». E meno male che Napolitano c’è.

Perché di quelle parole «fuori luogo e peggio», indirizzate a due esponenti politici, ma soprattutto alla metà del popolo italiano e sovrano che li ha votati, pare non essersi accorto nessuno. Un insulto ben più grave dell’epiteto «culona» con cui Berlusconi definì la cancelliera Merkel e per il quale si levarono cori di moralisti e benpensanti che presero le distanze da quel maleducato, rozzo, maschilista Cavaliere.

Ieri nessuna indignazione, nessun risentimento, nessun «vaffa» contro chi si ostina a considerarci «pulcinella» dell’Europa, spaghetti e mandolino o, peggio, spaghetti e pistola. Il presidente, già nel semestre bianco, ha difeso con un colpo solo l’unità e la dignità nazionale oltre che l’autonomia democratica di un’Italia che si appresta a vivere una fase politica inedita seppur preoccupante, difficilmente comprensibile per i tedeschi, con tre «minoranze» alla ricerca del dialogo impossibile. Quei partiti, Pd, Pdl e Movimento 5 Stelle, che lo stesso Napolitano, non solo riconosce come frutto della volontà dell’elettorato, ma che lui ascolterà senza alcuna preclusione, per poi decidere a chi affidare l’incarico.

Governo a parte, l’Europa ci guarda e il Paese va orgogliosamente difeso. L’arma più adatta è l’unità dell’Italia fatta di Comuni e Regioni non di «macroregioni». Con rispetto di Maroni. Sarina Biraghi, Il Tempo, 28 febbraio 2013

……Almeno questa volta Napolitano c’è!

I TROMBATI D’ORO: A FINI UNA LIQUIDAZIONE DI 260 MILA EURO E UN VITALIZIO DI 6200 AL MESE

Pubblicato il 27 febbraio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Lontani dagli occhi, ma non dal portafoglio. Una lunga fila di politici e politicanti di professione non si presenterà più in parlamento ma non mancherà di passare, ogni mese, a ritirare una pensione con troppi zero.

Pensione che saranno i contribuenti italiani a pagare con i propri sacrifici.

Un esempio su tutti? Gianfranco Fini che, incassati la bellezza di 148mila voti (0,46% alla Camera), si prende un periodo sabbatico dalla politica. Si dedicherà ai suoi hobby (magari alle immersioni in quel di Giannutri) e alla cultura, senza la minima preoccupazione di dover sbarcare il lunario. Fra un paio di mesi il (quasi) ex presidente della Camera porterà a casa un assegno di fine mandato da 260mila euro netti. Tutto qui? Macchè. Dopo una lunga vita “spesa” a far politica, l’ex leader di An potrà finalmente ritirarsi in pensione percependo 6200 euro netti al mese.

A fare i conti ai “trombati” eccellenti è Franco Bechis su Libero (leggi l’articolo) che mette a nudo i politicanti di professione che si preparano a lasciare i palazzi romani con assegni a sei cifre. La lista è davvero lunga. E volti sono tutti noti. Sono i vari futuristi, gli immancabili radicali e il solito Antonio Di Pietro. Fino a qualche giorno fa, a sentirli parlare, si poteva addirittura pensare che il destino dell’Italia e gli equilibri del futuro governo fossero nelle loro mani. “Che fai mi cacci?”, aveva tuonato Fini a Silvio Berlusconi all’assemblea nazionale del Pdl. Alla fine ci hanno pensato gli italiani. Al leader del Fli non resta che portare a casa il “tapiro” che ieri gli è stato regalato da Valerio Staffelli e accontentarsi del vitalizio che gli è garantito dopo trentun lunghi anni di legislature, incarichi governativi e via via dicendo. Tra i futuristi non è certo l’unico a ringraziare le casse opulte dello Stato. Italo Bocchino lascia il parlamento con un assegno di fine mandato da 150mila euro. Mica male, se si pensa che non ha diritto né al vitalizio né la pensione per altri diciassette anni.

Di Pietro, che ieri ha presentato le proprie dimissioni dall’Italia dei Valori, tornerà a Montenero di Bisaccia? Dismessa la toga cosa farà? Nessun problema. L’ex leader dell’Idv, per pocoallato dei Antonio Ingroia nella breve e fallimentare esperienza della lista “Rivoluzione civile”, non è certo la prima volta che è costretto a fare valigie e schiodarsi dala parlamento. Proprio per questo, dovrà accontentarsi di un buono uscita da 60mila euro netti: la prima gli era già stata versata, tempo fa. Non solo. Come Fine, anche l’ex pm di Mani pulite potrà godere, da aprile, di una pingue pensioncina da 4300 euro al mese.

Sulle stesse cifre si aggira anche Emma Bonino che gli elettori hanno deciso di lasciar fuori dalla politica. Sempre che qualcuno non voglia “piazzarla” sullo scranno del Quirinale come successore di Giorgio Napolitano, l’esponente radicale lascerà l’agone politico con un assegno da 60mila euro e una pensione da 6500 euro al mese. Più alto il buono uscita dell’ex presidente del Senato Franco Marini (188mila euro) che potrà godere di 5300 euro di pensione al mese a cui si aggiungerà quella da sindacalista. Insomma, trombati sì, ma col portafoglio bello gonfio. Il Giornale, 27 febbbraio 2013

ASSALTO A BERLUSCONI (E ALL’ITALIA), di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 febbraio, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »

Attenzione, i nemici non sono Bersani o Grillo, che ad abbattere Berlusconi ci hanno provato senza successo.

Ancora una volta il pericolo arriva dalla magistratura che, come dimostra il patetico caso Ingroia, era ed è politicizzata. E da ieri pure furente per la sonora bocciatura subita nelle urne da Rivoluzione civile, il partito dei pm manettari e dei giornalisti complici. Direte: ci risiamo con la menata della giustizia. Già, ci risiamo. E attenzione a non sottovalutare il problema. Perché il tribunale di Milano ha stilato un calendario di udienze e sentenze che riguardano Silvio Berlusconi che non ha precedenti nella storia. Eccolo: venerdì requisitoria del processo di appello per i diritti Mediaset, che andrà a sentenza il 23 marzo (presunta tangente pagata da Berlusconi a se stesso). Il 7 marzo sentenza per il processo Unipol (la pubblicazione dell’ormai famosa intercettazione: «Abbiamo una banca» pronunciata da Fassino). L’8 marzo, festa della donna (guarda caso), requisitoria della Boccassini per il processo Ruby, che andrà a sentenza il 18 o al più tardi il 25 dello stesso mese.
Una concentrazione tale di appuntamenti è incompatibile, oltre che con il buon senso, con i diritti della difesa e dell’imputato, che peraltro negli stessi giorni sarà impegnato a decidere se, come e con chi governare il Paese su mandato di una decina di milioni di italiani che, pur sapendo tutto, ma proprio tutto dei suoi presunti guai giudiziari, ha deciso di confermargli per l’ennesima volta un’ampia fiducia.
Questa ultima porcata ha un obiettivo chiaro: indebolire e delegittimare il leader del centrodestra agli occhi degli italiani e del mondo nei giorni della trattativa più delicata per la sinistra che, dopo aver perso la faccia nell’urna, ora rischia anche tutto il resto in Parlamento. Insomma, ci risiamo. Più il Pdl tiene, più il suo leader deve essere abbattuto per altre vie, nella fattispecie quella giudiziaria.
Calcolare i tempi dei processi in base alle esigenze politiche della sinistra è da criminali, oltre che incivile. Basterebbe congelare le prescrizioni e rinviare lo show a dopo il chiarimento politico. Questione di poche settimane per fatti (sulla cui fondatezza vi rimando all’articolo di Luca Fazzo) datati anni e anni fa. Non sarebbe la fine del mondo. Ma Ingroia insegna. Il loro mondo non è il nostro, è fatto di odi, partigianerie e impunità. Almeno che Napolitano ci metta una pezza e richiami tutti all’onestà che dovrebbe avere chiunque abbia deciso di servire lo Stato. Il Giornale, 27 febbraio 2013

MIRACOLO BERLUSCONI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 26 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Fa testa a testa al Senato, è prima coalizione al Nord, in Campania, Sicilia, Puglia, sotto di un solo punto al Pd alla Camera.

Silvio Berlusconi ha compiuto il miracolo di non consegnare questo Paese alle sinistre e di sbarrare il campo alla setta di Grillo. Noi liberali eravamo stati dati per morti già un anno fa. Hanno provato in tutti i modi a spartirsi il bottino, ma niente. I giochi di salotto alla Montezemolo, abilmente amplificati da giornali e televisioni compiacenti, non hanno ottenuto il risultato sperato. Per governare, questo dicono le elezioni di ieri, bisognerà fare i conti ancora con il nostro mondo, maggioritario nel Paese, sia pure distratto da sirene alla Giannino. Un mondo che politicamente è ancora saldamente nelle mani di Silvio Berlusconi.

Bersani era partito per smacchiare il giaguaro Berlusconi ed è stato smacchiato dal comico Grillo. Il segretario del Pd ha fallito e si appresta ad andare a pettinare le bambole. Renzi se la ride e scalda i motori. Alla Camera, grazie al premio di maggioranza, il Pd ha più deputati, ma al Senato dovrà provare ad allearsi con un nemico. Due le ipotesi. O compera in blocco i grillini, cosa difficile e comunque, stante i numeri, non risolutiva, oppure si dovrà mettere in ginocchio da Berlusconi per tentare un governissimo che faccia qualche cosa di urgente e poi ci riporti al voto.

Questo anche perché l’alleato occulto Mario Monti ha preso una tranvata tecnica bestiale. Tanto che i suoi soci Casini e Fini stanno per fare le valigie e, forse, andranno a lavorare per la prima volta in vita loro. Cosa che dovranno sicuramente fare Ingroia e Di Pietro, che restano fuori dal Parlamento. Questa probabilmente è la notizia più bella della giornata. Vuol dire che il Paese dei «forza magistrati» e dei mafiologi a tempo pieno non esiste fuori dagli studi di Santoro e dai fogli di Travaglio. Volevano ammanettare l’Italia, gli elettori li hanno arrestati come ladri di polli.

Il Pd smonta la gioiosa macchina da guerra. Enrico Letta e soci ripongono negli armadi i vestiti già acquistati per il giuramento da ministri. Ora tocca a Napolitano sbrogliare la matassa. Non mi fido. Vediamo che cosa si inventeranno, ma se Dio vuole, grazie a voi che avete creduto in Berlusconi, a quel tavolo saranno rappresentate con forza anche le nostre ragioni. Nessuno faccia il furbo. E, per iniziare, Monti si dimetta da senatore a vita e Ingroia non torni in magistratura. Lo dico così, tanto per ripartire col piede giusto. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 26 febbraio 2013

……Però..però Sallusti sa anche che i miracoli non si ripetono. La rimonta di Berlusconi è certamente il frutto di una straordinaria ed irripetibile perfomance di Berlusconi che, come nel 2006, da solo, da solo!, ha affrontato la traversata del deserto, ha incrociato la spada con guerrieri di ogni tipo, si è infilato nelle tane dei suoi più acerrimi persecutori e ne ha avuto ragione. Ma la rimonta  che porta scritto innegabilmente e solitariamente  il nome di Berlusconi, diciamolo francamente, certifica anche che il centrodestra, quello che non ha perso ieri l’altro, è il centrodestra targato Berlusconi senza del quale non esiste o diventa,  prima ancora che  elettoralmente  minoritario, quasi evanescente, un “fuoco fatuo” come il celebre romanzo di  Pierre Drieu La Rochelle, il cui protagonista si suicida dopo aver constatato l’inutilità di una esistena mediocre.  Perciò,  prima che sia troppo tardi, bisogna dare vita  ad un partito che sia tale, che sia presente sul territorio, che sia presente sempre e non solo alle scadenze elettorali,  e sopratutto sia di tutti e non chiuso in conventicole cui si è ammessi solo se si è  parte di cerchi più o meno magici. Altrimenti il dopo Berlusconi che prima o poi incomincerà riserverà amare sorprese per tutti. g.


ELEZIONI POLITICHE: DOPO IL VOTO PENSATE AL PAESE, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 26 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

La smacchiatura si è fermata al primo ciclo. Poi il giaguaro è uscito fuori e ha dato la sua zampata. Così l’imprevedibile Silvio Berlusconi ha sbaragliato i sondaggi e tramortito la sinistra. Ancora una volta un voto storico. Che va rispettato. Il risultato delle urne propone alcuni dati inequivocabili. Il centrodestra, condotto dal Cavaliere, è vivo e solido e, seggio più seggio meno, ieri lo ha certificato. Bersani è stato sconfitto due volte: alle Primarie con Renzi aveva mostrato tutta la sua debolezza, ora non perde, ma la sua è una vittoria di Pirro perché è così risicata che da solo non riuscirà a governare. Flop di Monti che, sarà pure soddisfatto del risultato, ma si è suicidato con l’Imu oltre a non aver salvato l’Italia e a non aver ascoltato con umiltà la gente. Non pervenuti Casini, con un centrino infeltrito, e Fini che scompare, dopo trent’anni, da Montecitorio. La rivoluzione di Ingroia non ha appassionato gli italiani e non perché non ha avuto spazio sui giornali o in tv. Una rivoluzione che riesce a fare però una vittima eccellente: Di Pietro, anche lui fuori dalla Camera. Giannino con Fare ha fatto tutto da solo e non ha superato neanche lo sbarramento. Forse ha perso anche il presidente Napolitano con l’idea del governo tecnico che ha «annullato» il vantaggio che avrebbe avuto la sinistra tredici mesi fa.

Il vero vincitore, quello che ha raccolto il default del sistema politico italiano, è Beppe Grillo che diventa il primo partito alla Camera e che promette di combattere ogni inciucio tra centrodestra e centrosinistra facendo mettere i grillini «dietro ognuno di loro».

Tra vincitori e vinti il rischio per l’Italia è l’ingovernabilità. Servirà un governo di larga solidarietà nazionale, un’alleanza, anche a breve termine con lo scopo preciso di attuare almeno tre cose necessarie e non rinviabili per il Paese. Va cambiata la legge elettorale, va eletto il prossimo presidente della Repubblica, si deve far ripartire lo sviluppo e la crescita. Servono buon senso e una prova di responsabilità. Anche da parte dei grillini. La spallata l’hanno data alla politica, ora bisogna pensare all’Italia.  Sarina Biraghi, Il Tempo, 26 febbraio 2013

.……Sottoscriviamo questo commento, pacato quanto equilibrato, , del Direttore de Il Tempo, sui risultati elettorali delle elezioni politiche appena conclusesi. I risultati certificano, al di la ogni sofisma, la ingovernabilità del Paese dopo i 14 mesi del governo tecnico  voluto da Napolitano che ne ha determinato il crollo economico sotto il peso della valanga fiscale e il blocco delo sviluppo insieme a quello dei consumi. Le elezioni di ieri non hanno eletto un Parlamento capace di esprimere  un governo in grado di affrontare con la forza e l’autorevolezza necessarie i gravi problemi del Paese. E se non si vuole ricorrere ad un nuovo passaggio elettorale che potrebbe provocare un tsunami ancor più travolgente di quello che ha appena  visto protagonista assoluto Grillo e i suoi grillini, per una volta, alemno per una volta, le forze maggiori, benchè comunque  entrambe ampiamente penalizzate dagli elettori, dovrebbero, debbono!,  lavorare insieme.  In  questo momento, mentre incombe lo spettro di una nuova aggressione alla nostra economia da parte dei mercati e degli speculatori, bisogna mettere da parte ciò che divide per ricercare le ragioni della  reciproca consapevolezza dei doveri di ciascuno verso gli elettori. Fuor di metafora, pensiamo che in questo momento, con il Senato di fatto ingovernabile, occorre che le due forse maggiori, il PD e il PDL diano vita ad un governo di emergenza nazionale, di salute pubblica, di grandi intese, o comunque lo si voglia chiamare, che fissi i problemi improcastinabli del Paese, delinei i confini sia programamqtici che temporali di questa intesa, salvi il Paese e poi, solo poi, si potrà tornare alle urne per restituire agli elettori, con una nuova e più ragionata e democratica legge elettorale, la parola con il compito di individuare con certezza il vincitore e lo sconfitto. E’ una strada indubbiamente difficile, in un Paese abituato da sempre a dividersi in brutti e belli, in  buoni e cattivi, alti e bassi,  ma se davero si vuole il bene del Paese è un sacrificio che va compiuto. Berlusconi che non è lo sconfitto se ne è dichiarato consapevole, dall’altra parte ieri sera è venuto un alt da parte di un portavoce molto  prolisso, tal Mogor, si attende ancora che ne parli Bersani. Pensi Bersani che dopo non essere stato il vincitore non è il caso che si trasformi in affossatore di quel che resta di questo Paese.   Si può passare alla cronaca per aver fatto per un breve periodo il presidente del consiglio ma si può passare alla storia per aver fatto scelte penalizzanti per se stessi ma lungimiranti per il proprio Paese. g.

FORZA, ITALIA! di Vittorio Feltri

Pubblicato il 24 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

Finito il tormentone della propaganda, ne comincia un altro: quello del voto. Da oggi urne aperte. Domani pomeriggio, ore 15, chiusura e spoglio; entro sera, all’incirca, si saprà com’è andata. Ma la discussione sull’esito dei conteggi proseguirà chissà per quanto tempo, perché questa non è una consultazione di routine. Probabilmente sarà l’ultima con l’attuale legge elettorale, nata per rafforzare il bipolarismo e scopertasi, a gioco lungo, un bidone.

Non poteva essere diversamente: non esiste un sistema di voto che funzioni se non funziona la politica. E la politica italiana ha dimostrato di essere un cimitero in cui si agitano solamente anime morte. I partiti sono più sensibili all’egoismo che all’intelligenza: apparati che puntano alla conservazione di se medesimi e non pensano a riformarsi, figuriamoci se si preoccupano di riformare le strutture obsolete del Paese. Nonostante ciò, si definiscono, tutti, riformisti. Conviene riderci su.

Se il Pd avesse capito che il vento è cambiato, avrebbe favorito l’ascesa di Matteo Renzi: con lui candidato non ci sarebbe stata gara; avrebbe vinto il giovanotto, dato che piaceva anche a destra e dintorni. Silvio Berlusconi non sarebbe ridisceso in campo, Beppe Grillo non avrebbe avuto tanto spazio, Mario Monti non si sarebbe improvvisato tribuno di complemento. E per un paio di anni i cittadini avrebbero atteso pazientemente che il ragazzo fiorentino terminasse il rodaggio, salvo poi linciarlo in caso di fallimento.

Invece, secondo costume nazionale, Pier Luigi Bersani ha voluto a ogni costo anteporre l’interesse personale (e dei propri supporter) a quello del Pd, e ora è lì che trema davanti ai grillini volanti: ipotizza già di reclutarne qualcuno, ingolosendolo con poltrone e relative prebende. Il comico genovese è diventato lo spauracchio: tutti a chiedersi dove si fermerà, e molti ad augurarsi che non si fermi. Un’incognita che impedisce perfino ai sondaggisti più esperti di valutare le percentuali sia del M5S sia degli altri gruppi partecipanti alla competizione.

Monti si è rivelato una montatura, un fuoco di paglia, anzi un fuoco fatuo. I suoi due mentori, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, a furia di lodare il loden lo hanno imbrodato e si sono imbrodati: il primo è scomparso sotto le macerie del Fli; il secondo lotta per non affogare nella pozzanghera dei consensi residuali attribuiti all’Udc. Oscar Giannino è caduto: vittima del proprio narcisismo, grande almeno quanto l’ingegno che lo aveva distinto nel grigiore dei giornalisti non soltanto economici.

Senza infingimenti, questa è la radiografia dei partiti tra cui ci accingiamo a scegliere il preferito. Bella impresa. Nessuno di essi dice – forse non la conosce – la verità: l’Europa è una iattura e l’euro un cappio. Il solo ad averlo detto (a denti stretti) è il Cavaliere. Se invece di sussurrare, avesse gridato a voce alta che questa Ue è la causa di ogni nostra disgrazia, e che urge ricostruirla o fuggirne, più della metà degli italiani gli sarebbe corsa appresso. Non lo ha fatto, nel timore di essere attaccato violentemente dai propri detrattori, suppongo. Non ha valutato che i compatrioti, anche i più conformisti in pubblico, nel segreto del seggio premiano chi va contro corrente. Sono infastiditi dal luogo comune: bisogna fare così perché lo pretende l’Europa. Della quale non si può parlar male, altrimenti sei guardato con sospetto, peggio: con disprezzo.

L’argomento principe usato per tacitare i critici del castello burocratico di Bruxelles è il seguente: uscire dall’Unione significa schiattare. Ma dove sta scritto? Semmai è il contrario: la Grecia è soffocata dall’euro, sta agonizzando. L’Inghilterra si è tenuta la sterlina e organizzerà un referendum per fuggire dalla Ue. Tutte cose note a Berlusconi che, in cuor suo, medita di affrontarle. Non fosse che per questo egli merita un estremo atto di fiducia. O ci toglie lui dalle fiamme (anche monetarie) che incendiano i Paesi del Sud Europa, o saremo ridotti a un cumulo di cenere. Non è questione di orgoglio tardonazionalistico: qui ne va della nostra sopravvivenza. Vittorio Feltri, 24 febbraio 2013

VERSO IL VOTO: L’ULTIMA SPIAGGIA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Non voglio vivere in un Paese dove un leader politico chiama i carabinieri per buttare fuori da una manifestazione pubblica i giornalisti.

È accaduto ieri al comizio finale di Beppe Grillo. E non difendo i giornalisti, ma i loro lettori, di qualsiasi orientamento, che hanno il diritto di essere informati. Non voglio vivere in un Paese dove l’indicazione di voto dei Carc (gli estremisti sostenitori dei brigatisti e della lotta armata) è per un partito, il Cinquestelle, che si candida a governarci. Anche per questo è necessario uscire dall’impazzimento di una campagna elettorale violenta e carica d’odio contro noi moderati. E ritrovare in queste ultime ore prima del voto lucidità e buon senso. Facciamolo per noi, per gli interessi nostri, del nostro lavoro e dei nostri figli. Al diavolo risentimenti e moralismi. Non mi interessa premiare Berlusconi, Maroni o chi per loro. Ma so per certo che solo le politiche di Berlusconi e Maroni potranno provare a risolvere i miei problemi e a rispettare i miei princìpi. Non me ne può fregare di meno della loro vita privata o dei malandrini che si erano infiltrati nei loro partiti. Qui c’è in gioco la nostra vita, privata e professionale. E allora non si può scherzare o farsi abbagliare da comici, cantanti, attori, improvvisati santoni del bene comune o professori arroganti. La questione è semplice, ed è come noi immaginiamo il futuro – oltre che del mondo – anche della nostra famiglia e del nostro lavoro. Qui a fianco abbiamo riassunto la proposta che ci fanno gli amici del centrodestra. È incompleta, ma l’essenziale c’è. Meno tasse, meno Stato, più solidarietà e libertà personali e d’impresa, più sicurezza. Qualcun altro ci offre di più? Baratteremmo tutto questo per il gusto di vedere qualche cialtrone rimanere a casa? La mia risposta in entrambi i casi è: no, sugli uomini si può discutere e arricciare il naso, sui princìpi fondamentali non si deroga.
Per questo mi appello a chi, pur pensando da liberale, ha ancora qualche dubbio se, o come, votare domani e dopo. Bene. Grillo è un neofascista violento che ci vuole indottrinare facendo leva sulle debolezze del sistema. Monti, bene che andrà, dal basso del suo risultato potrà solo fare da stampella, insieme con Fini, ai post-comunisti di Bersani. Che ci piaccia o no, per continuare a sperare e non essere travolti, ci resta il vecchio ma non ancora domo centrodestra. Diamogli fiducia, non ce ne pentiremo. Buon voto a tutti.
Alessamdro Sallusti, Il Giornale, 23 febbraio 2013

.…………….Pensavamo di scrivere qualcosa di nostro a proposito del voto di domani. Ce ne toglie l’incomodo Alessandro Sallusti con questo suo editoriale di cui ci piace oltre che il merito, il titolo. Ultima spiaggia, appunto. Perchè siamo davvero all’ultima spiaggia, le cui ragioni non  le declina Sallusti ma sono individuabili negli editoriali di Galli Della Loggia, di Valerio Lo Prete, di Giacomo Amadori, pubblicati stamattina dal Corriere della Sera, dal Foglio e da Panorama on-line  e che noi abbiamo ripreso, nei quali qualsiasi attento lettore può trovare i mille motivi per cui milioni di elettori, di qualsiasi tendenza, o sono tentati di non votare o alzano gli occhi verso il fenomeno del grillismo pur consapevoli che un voto a Grillo non è un rimedio ma  una scorciatoia verso l’abisso, nella speranza, però,  che nell’abisso, prima degli elettori e dell’Italia, ci finiscano quelli che da anni e anni ci malgovernano, sopratutto ci ignorano, ignorano i diritti del cittadini, ignorano le loro speranze, ignorano le loro attese, ignorano le loro necessità, pur, tutti, mettendo “al centro” di tutto il cittadino., ipocritamente consapevoli di dire il falso. In verità al centro (del potere e del malaffare)  ci sono loro,  le caste, politiche,  sindacali,  giudiziarie, professionali,  giornalistiche, e lobbistiche, dalle industrie farmaceutiche a quelle  assicurative, passando per la mamma di tutte le lobby, cioè quella bancaria, mentre i cittadini, gli elettori, di   fatto sono estranei nella vita del Paese, trattati come muli da soma, peggio, come asini, da usare e poi scorticare, estromessi da ogni decisione, salvo quella, quando capita, di votare  senza neppure poter scegliere chi debba o possa meglio rappresentarli. In questo quadro così maledettamente squallido, è ovvio che siano in tanti a manifestare il proprio scetticismo, la propria voglia di estraniarsi: se la vedano loro, quelli che sono attaccati  alla poltrona e non la lasciano neppure con le cannonate, e ci lascino in pace. Pare di risentire i romani alla fine della seconda guerra mondiale quando  dinanzi alle macerie gridavano: andatavene tutti,  lasciateci piangere da soli. Questo lo scenario drammatico creato dai partiti, tutti, senza distinzione di sorta.  E dinanzi a questo scenario, escluso di poter dare il voto al rimedio che è peggiore del male, cioè al grillismo, non ci resta che o disertare le urne o votare per il male minore, che, per quel che ci riguarda, è votare per il centrodestra. Il quale, sia detto con chiarezza e fermezza, ha tante colpe e tante promesse mancate, non mantenute, la prima delle quali è di dover essere diverso dalla sinistre e  non ci pare, che, al di là delle parole, tanto possa dirsi che sia avvenuto. E, però, come potremmo, al di là delle recriminaziomi sul non fatto, passare dall’altra parte seguendo l’onda dei tanti voltagabbana che anche nel nostro piccolo paesello abbondano più delle pietre in campagna? Non ci sentiremmo in pace, non tanto con  tanti presuntuosi  giudicanti, quanto con l’unica nostra giudice che è la nostra coscienza: e la nostra coscienza ci dice che non si può tradire una scelta di vita. Ci tureremo il naso, alla  Montanelli, e voteremo a destra. g.

IN ATTESA DEL VOTO: L’AUTUNNO DEL GENERALE, di Giacomo Amadori

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio | No Comments »

L'autunno del generale

Vendola al famoso pranzo con il giudice De Felice. Qui bacia un’altra delle invitate, Paola Memola

La stella di Nichi Vendola, o Nikita il rosso come lo chiamano in Puglia, sembra essersi appannata.

Oggi i giornali nazionali dedicano articoli ai comizi degli altri politici, ignorando completamente la kermesse organizzata a Bari ieri sera dal centro-sinistra, dove l’ospite di punta era proprio Vendola. Con lui sul palco, allestito in piazza Castello, c’erano anche il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e il sindaco Pd del capoluogo, Michele Emiliano. Il quale ha provato a rinfrancare le truppe invitando i presenti a tirarsi su di morale in questo modo: «A Piazza San Giovanni piove». E sì, perché, il convitato di pietra degli ultimi comizi della sinistra italiana sono state le piazze stracolme di grillini che hanno fatto da contraltare a quelle semivuote di Pd e Sel (tanto da costringere Pierluigi Bersani a chiudersi, per l’ultimo appello al voto, in un teatro).

Ieri sera piazza Castello faceva malinconia. Ad applaudire i loro aspiranti rappresentanti c’erano non più di trecento persone, riuniti come si fa tra vecchi amici al bar: saluti, abbracci e confidenze.

Un dirigente, desolato dalle notizie che provenivano da Roma e che parlavano di centinaia di migliaia di persone allo Tsunami tour grillino, ha sibilato a un parlamentare appena sceso dall’auto blu: «A questi bisogna offrirgli la presidenza della Repubblica». In attesa di vedere Grillo al Quirinale, per ora, l’unico risultato concreto è che, alla vigilia del voto, Vendola è scomparso dalle pagine dei giornali, superato alla vigilia delle urne, persino da Antonio Ingroia e il dimissionario Oscar Giannino.

Oggi l’unico pensiero al leader di Sel lo ha dedicato il vicedirettore del Fatto, Marco Travaglio, nel suo consueto editoriale. Un endorsement al contrario di cui Vendola, ne  siamo certi, avrebbe fatto volentieri a meno. Il titolo eloquente è «La foto di Fasano», con chiaro riferimento all’immagine pubblicata da Panorama.it, in cui si vede Vendola a tavola con il giudice per l’udienza preliminare che il 31 ottobre scorso lo ha prosciolto da un’accusa di abuso di ufficio.

L’incipit di Travaglio è un calcio negli stinchi: «Non è un bello spettacolo quello immortalato dalla foto pubblicata da Panorama, che ritrae il già allora governatore della Puglia in compagnia di quattro pm pugliesi (Carofiglio, Pirrelli, Iodice, Bianchi) e due giudici (Manzionna e De Felice), oltre a una giornalista e al capo della Mobile di Foggia. Dopo la foto di Vasto, abbiamo la foto del pranzo. E francamente era molto meglio la prima». Di fronte ai «non ricordo» autoassolutori di Vendola, Travaglio conciona in questo modo: «Siccome di quel pranzo si vocifera da mesi, Vendola avrebbe dovuto verificare presso la cugina (la festeggiata Paola Memola ndr) o gli altri commensali l’eventuale presenza della gip e poi ammetterla con le dovute spiegazioni. Il che avrebbe innescato il meccanismo previsto in questi casi dalla legge per dissipare ogni sospetto e dietrologia: l’astensione del gip».

Infatti secondo il vicedirettore del Fatto il giudice non poteva non ricordare quell’incontro: «Sicuramente la dottoressa De Felice sapeva di aver pranzato con il governatore Vendola  e avrebbe dovuto astenersi dal processo a suo carico».

Per Travaglio un giudice che pranza con il suo futuro imputato è sospettabile, qualunque decisione prenda. «Ora che è uscita quella foto molti penseranno che Vendola fosse colpevole e abbia beneficiato di un trattamento di favore. Tanto più in quanto il governatore aveva posto la gip in una situazione imbarazzante, annunciando che in caso di rinvio a giudizio si sarebbe ritirato dalla vita politica».

Infine Travaglio, ispirato dall’episodio ritratto nella foto pubblicata da Panorama.it, fa una riflessione sui rapporti tra politica e giudici: «Il magistrato politicizzato non è quello che lascia la toga e si candida in politica, ma quello che conserva la toga e frequenta i politici e poi magari li giudica».

Forse per questo Vendola ha preferito in questi giorni non rispondere alle domande dei giornalisti su quel pranzo e su quella foto. Invece di dare spiegazioni, ha trovato più comodo insultare Panorama, dichiarando, per esempio, ieri sera: «Non rispondo al fango». Chissà come avrà valutato questa mattina l’editoriale di Travaglio. Lo avrà liquidato come «fango amico»? O invece, zitto zitto, lo avrà mandato giù con il caffè, visto che non tutti i fanghi sono uguali? Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato. Se rispondesse. Giacomo Amadori, Panorama on-line, 23 febbraio 2013

IN ATTESA DEL VOTO: IL NOSTRO VOTO E’ UN MID-TERN A RISCHIO PER MERKEL E UE, di Marco Valerio Lo Prete

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Politica | No Comments »

A 24 ore dal voto di domani, i sondaggi sulle elezioni politiche italiane restano secretati, ma se anche fossero pubblici non aiuterebbero a fare sufficiente chiarezza sull’esito finale delle consultazioni. Quel che è certo, ha scritto ieri il commentatore Anatole Kaletsky sull’International Herald Tribune (la versione globalizzata del New York Times), è che “Angela Merkel potrebbe finire come il principale sconfitto delle elezioni italiane”. Anche per questo i mercati europei si preparano a ballare di nuovo. I dati macroeconomici, di per sé, non contribuiscono a rassicurare sul futuro dell’euro. Ieri mattina la Commissione europea ha reso note le sue previsioni aggiornate per l’inverno 2013, dalle quali emerge che il pil dell’Eurozona diminuirà nel complesso dello 0,3 per cento (e non più dello 0,1 per cento come previsto nel novembre scorso). La Francia, seconda economia dell’area, non crescerà quest’anno come non è cresciuta nel 2012, mentre il rapporto deficit/pil raggiungerà il 3,7 per cento quest’anno per poi salire al 3,9. Il pil italiano calerà di un punto percentuale nel 2013, e non più di mezzo punto come stimato finora da Bruxelles, mentre il tasso di disoccupazione continuerà a salire almeno fino al 2014, arrivando al 12 per cento. Il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti, ha comunque enfatizzato gli aspetti positivi: “Per l’Italia è prevista l’uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013”, e poi “il paese ha corretto il deficit di bilancio nei tempi stabiliti e che anche nei prossimi anni rispetterà gli obiettivi”. In tutto questo Berlino si consola quest’anno con una crescita di mezzo punto percentuale. Poca cosa. A Bruxelles non a caso si discute sempre più apertamente di “concessioni” da fare a questo o a quel paese per raggiungere gli obiettivi di risanamento senza strozzare la ripresa.

Qui entra in campo il voto di domani: “Le elezioni italiane potrebbero avere effetti più distruttivi per il resto d’Europa che per l’Italia”, ha scritto Kaletsky. A generare appresione non sono gli scenari considerati comunque poco probabili, come un trionfo di Beppe Grillo o una decisiva rimonta di Silvio Berlusconi. E’ sufficiente l’“umiliante quarto posto che i sondaggi assegnano a Monti”, dietro Pd, Pdl e Beppe Grillo – si legge sul New York Times – perché presto “Merkel si troverà in un terribile imbarazzo: o sostenere un governo italiano che rifiuta ulteriori dosi di austerity e riforme ispirate da Berlino, oppure consentire il break-up dell’euro”. Entrambi gli scenari influirebbero pesantemente sul voto di settembre in Germania. Da qui l’idea che la cancelliera possa uscire come la “principale sconfitta” di un risultato incerto in Italia. Pessimista anche il think tank americano Center for strategic and international studies: “Quale che sia il risultato, l’Italia si allontanerà dal suo sentiero di austerity e responsabilità fiscale e, a seconda del tipo di coalizione, avrà un governo debole, instabile, con un’opposizione rafforzata”. Di diverso avviso gli analisti della banca londinese Barclays: “Un’alleanza tra centrosinistra e centristi guidati da Monti sarebbe positiva nel breve termine per i mercati finanziari”. Se tale maggioranza esistesse al Senato, garantirebbe il rispetto del risanamento fiscale previsto dal Fiscal compact.

La pensa in maniera simile Guido Rosa, presidente dell’associazione Banche estere in Italia, che pure precisa di non esprimere preferenze per questo o quel partito: “Le banche che rappresento vorrebbero lavorare anche di più nel nostro paese che è fortemente finanziarizzato. Il rischio principale adesso è l’instabilità politica. Si tratta di capire infatti se sarà perseguito il rigore fiscale come nell’ultimo anno. Poi però ci sono anche le riforme strutturali, non abbastanza discusse finora”. Sul medio-lungo termine si spinge anche la riflessione di un operatore di un’importante banca inglese che al Foglio spiega: nel giro di pochi mesi, gli investitori inizieranno a “prezzare” l’eterogeneità della coalizione Pd-Monti e la sua eventuale difficoltà a promuovere riforme come quella del mercato del lavoro. Lo ricordano i dati di Bruxelles: con la tendenza attuale, infatti, il pil non si riprende velocemente e il debito pubblico non diminuisce. di Marco Valerio Lo PreteIl Foglio Quotidiano, 23 febbraio 2013