Archivi per marzo, 2013
Chiedevano, i dirigenti, la libertà di lavorare. Ieri erano solo, si fa per dire, in duecento, quanti sono i deputati e senatori del Pdl. Hanno marciato su Palazzo di giustizia di Milano per manifestare contro quella magistratura che ha sferrato un attacco micidiale per togliere dalla scena politica Silvio Berlusconi. Ormai siamo oltre l’accanimento, c’è chiara la volontà di umiliare un imputato, di farlo passare per malato immaginario quando fior di specialisti di fama internazionale giurano sulle precarie condizioni del suo cuore e dei suoi occhi.
BARBARI, di Alessandro Sallusti
Pubblicato il 10 marzo, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »
Se dei presunti intellettuali, come è successo ieri dalle colonne di Repubblica, fanno un appello a un comico capo partito, allora vuole dire che il Paese è davvero alla frutta. Vedere questi tromboni di sinistra alla Barbara Spinelli in ginocchio davanti a Grillo è un vero spettacolo: ti preghiamo, ti scongiuriamo, sostieni Bersani, dicono in lacrime. Non hanno coraggio né dignità, sono uno scarto della società che ha solo paura di perdere per sempre. Via Berlusconi, avevano pensato, finalmente tocca a noi. E invece niente, si ritrovano appesi al pollice di Grillo strozzati nella loro boria.
Non meritano ascolto. Sono patetici, pensano di rappresentare un Paese che esiste solo nei loro salotti e nei loro giornali. E nelle Procure che assetate di sangue pensano di poter sparare il colpo alla nuca a Silvio Berlusconi. Quello che è successo ieri a Milano va oltre l’accanimento, siamo alla barbarie, a un Piazzale Loreto due punto zero. Berlusconi è malato in ospedale, fior di primari hanno certificato la sua impossibilità a presenziare all’ennesimo processo. Niente, i periti del tribunale hanno ammesso la malattia ma sostengono che se trasportato in ambulanza, l’ex premier può essere domani in aula. Lo vogliono finire anche fisicamente, da Napoli rimbalza la voce di una possibile richiesta di arresto sul caso dei parlamentari di sinistra passati al centrodestra. Se ci sarà una nuova campagna elettorale, come probabile, Berlusconi dovrà essere o morto o in galera, perché così hanno deciso. E non importa che nella sola ultima legislatura 161 parlamentari abbiano cambiato casacca per motivi più o meno nobili in base a un diritto costituzionale (non esiste il vincolo di mandato).
Non importa che Prodi non cadde per il tradimento di De Gregorio (il parlamentare passato col centrodestra e finito sotto inchiesta) ma per un’inchiesta giudiziaria di tale pm De Magistris, oggi sindaco di Napoli, che coinvolgeva l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Ormai la verità non conta, sono bestie che sentono l’odore del sangue del nemico braccato e ferito e hanno la bava alla bocca. Vogliono esibire il corpo di Berlusconi, ma cercano tutti noi, i nostri ideali e le nostre libertà. Sono dei pazzi, nel senso clinico della parola, vanno fermati. Possiamo farlo solo noi alzando la voce. Non so che cosa deciderà di fare Berlusconi. Il mio consiglio non richiesto è di non consegnarsi, non arrendersi. Se sarà necessario combattere, lo faremo. Per noi, oltre che per lui. Il Giornale, 10 marzo 2013
……La prima Repubblica cadde per mano di un analfabeta, la seconda per mano di un superburocrate, la terza, appena nata, rischia di cadere per mano di un manipolo di giudici, tutti aspiranti Vysinskij, il famigerato pubblico ministero di Stalin che mandò a morte decine di migliaia di oppositori del feroce dittatore russo. Ma se tutto ha un limite, a noi sembra che questo limite sia stato raggiunto e ampiamente superato. Il PDL, se c’è, anche oltre la preparazione delle liste dei nominati, questo è il momento di dimostrarlo. g.
GRAZIE GIUDICI…. BERLUSCONI ORA PRENDERA’ PIU’ VOTI
Pubblicato il 9 marzo, 2013 in Giustizia, Politica | No Comments »
La persecuzione giudiziaria contro Silvio Berlusconi non s’arresta dinanzi a nulla. Neanche dinanzi a certificati malesseri agli occhi che secondo medici diversi da quelli ospedalieri dove è ricoverato Berlusconi non impediscono a Berlusconi di parteciapre oggi ,a differenza di ieri, all’udienza in corso per il processo d’appello per i diritti Mediaset per il quale in primo grado Berlusconi è stato condannato a 4 anni e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Non v’è chi non constati il particolare accanimento di certa “giustizia” che fa durare un modesto contenziosi civile anche una quindicina d’anni tra rinvii, scioperi, sospensioni… Ma Berlusconi è diverso. Da vent’anni assistiamo ad una speciale caccia alla volpe dove la volpe è Berlusconi e i suoi cacciatori agiscono in nome e per conto…. E’ una inciviltà giuridica senza precedenti, come altrettanto incredibile è la pretesa dell’Associazione magistrati che vorrebbe proibire il libero esercizio della protesta da parte della gente, dei circa 10 milioni di elettori che appena 2 settimane fa hanno tributato consenso e fiducia a Berlusconi dimostrando così di non fregarsene più di tanto di cosa lui faccia sotto le lenzuola di casa sua sotto le quali invece prurigionosi pubblici ministeri si sono infilati a curiosare. L’accanimenmto è così evidente che di per sè è ragione per cui chi lo ha votato lo continuerà a votare. E a giugno, se si vota a giugno o comunque quando si voterà di nuovo, Berlusconi, non il PDL, ma Berlusconi, prenderà più voti di quanti non ne ha presi lo scorso 24 febbraio: anche questo è un modo per esprimere la protesta contro un sistema che fa acqua da tutte le parti e si autoassolve perseguitando in maniera così sfacciata Silvio Berlusconi al quale oggi, più di ieri, esprimiamo la nostra solidarietà. g.
…….Credo che Madame Boccassini muoia dal desiderio di sbattere Berlusconi in galera e buttare via la chiave…….ma dopo averlo fatto non rischia di rimanere senza il suo hobby preferito? non rischia di rimanere senza il suo LAVORO preferito? e poi con chi se la prenderà? quale sarà più la sua ragione di vita? come farà senza fare la caccia a Berlusconi? dovrà poi essere costretta a ritornare a fare quello che deve fare un magistrato? ma forse quello è un ruolo che non le si addice più…. signora Boccassini la prego lasci stare altrimenti potrebbe stare male e ammalarsi…….POI LE MANDANO LA VISITA FISCALE! Francesco.
IL FANTASMA SENZA TEMPO, di Angelo Panebianco
Pubblicato il 6 marzo, 2013 in Politica | No Comments »
Chi pensa che la democrazia necessiti di governi forti, dotati di tutti gli strumenti istituzionali necessari per attuare le proprie promesse elettorali, è un pericoloso golpista, un fautore di disegni autoritari, un nemico della «vera» democrazia? Da più di trenta anni è sempre a questa domanda che siamo inchiodati tutte le volte che insorgono conflitti intorno a progetti di riforma costituzionale. Oggi, una classe politica con un piede nella fossa (come Grillo, graziosamente, le ricorda ogni giorno), potrebbe avere interesse a non dare a quella domanda la risposta che è fin qui sempre prevalsa.
Senza una radicale ristrutturazione delle loro offerte politiche, centrosinistra e centrodestra non riuscirebbero a invertire la corrente, a riconquistare i consensi perduti. Ma la ristrutturazione dell’offerta politica è possibile solo se vengono cambiate le regole del gioco. Diversi editorialisti di questo giornale hanno ricordato, nei giorni seguiti alle elezioni, che la condizione di stallo in cui siamo potrebbe essere avviata a soluzione, se si realizzasse uno scambio virtuoso (fra sistema maggioritario a doppio turno e semi-presidenzialismo). Se si trovasse la volontà politica, basterebbero pochi mesi per fare tutto. Poi si tornerebbe a votare.
Ma occorrerebbe un consenso almeno sul fatto che la democrazia necessiti di quella stabilità che solo governi istituzionalmente forti sono in grado di assicurare, e che maggioritario e semi-presidenzialismo servono a quello scopo.
La Costituzione vigente fu redatta quando incombeva il fantasma del tiranno e il Paese era spaccato fra comunisti e anticomunisti. Si scelse di costruire un sistema di governo fondato sulla permanente debolezza degli esecutivi. E da lì non ci siamo mai schiodati. La fine della Guerra fredda aprì una «finestra di opportunità»: la riforma elettorale maggioritaria dei primi anni Novanta doveva favorire un cambiamento della forma di governo ma poi, con il fallimento della Bicamerale (il mancato accordo fra Berlusconi e D’Alema nella Commissione per le riforme costituzionali presieduta da quest’ultimo nel 1997), quella finestra si richiuse. Forse ora, proprio perché si trova con le spalle al muro, la classe politica potrebbe finalmente fare ciò che non seppe fare allora. Per riuscirci dovrebbe sconfiggere radicati e diffusi pregiudizi. Secondo i quali è un bene che l’Italia, unica fra le grandi democrazie europee, manchi dei requisiti istituzionali necessari per dare stabilità e forza ai governi.
Tutte le volte che la nostra forma di governo viene messa in discussione, nel Paese parte la mobilitazione dei «Giù-le-Mani-dalla-Costituzione-Boys» (acronimo: GMCB), una variopinta compagnia di ultraconservatori, spesso travestiti da progressisti, afflitti da inguaribile provincialismo. Così provinciali da non essersi mai degnati di studiare seriamente costituzioni e prassi degli altri grandi Paesi europei.
A riprova del fatto che non basta intervenire sulla legge elettorale per uscire dai guai si consideri la questione del bicameralismo simmetrico (due Camere con uguali poteri). È oggi quasi impossibile per chiunque (fanno fatica a farlo persino i GMCB) difendere un simile obbrobrio. Ma perché i venerandi costituenti si macchiarono di tale colpa? Erano forse stupidi o pazzi? Non lo erano.
Il bicameralismo simmetrico serviva al loro scopo, era coerente con il disegno costituzionale nel suo insieme, quello che condannava l’Italia ad avere sempre governi istituzionalmente debolissimi. Assicurando alle varie frazioni parlamentari, grazie anche al bicameralismo simmetrico, i margini di manovra e la chance per stravolgere ogni decisione governativa.
Una cosa è il potere (che a nessun Parlamento può essere negato) di respingere i provvedimenti del governo, tutt’altra cosa è il potere di stravolgerli sistematicamente, di svuotarli dall’interno. È questo potere che la nostra Costituzione esalta. Per inciso, Mario Monti voleva dire proprio questo quando, qualche mese fa, affermò che i governi non dovrebbero essere alla mercé dei Parlamenti, suscitando la reazione sdegnata dei tedeschi (i quali però non sanno che il loro Parlamento non ha lo stesso potere che ha il nostro di «conciare per le feste» i governi, di fare carne di porco dei loro provvedimenti). Le tanto lodate riforme del lavoro che fece a suo tempo il governo Schröder in Germania sarebbero impossibili in Italia (come si è visto nella vicenda della riforma del lavoro targata Fornero). Due Camere con uguali poteri erano, e sono, una garanzia di governi sempre in balia di qualunque frazione, o sottofrazione, parlamentare, e di massima lentezza e inefficienza dei processi decisionali. Più in generale, la debolezza istituzionale dell’esecutivo era, ed è, una assicurazione contro gli eventuali pruriti riformatori di questo o quel governo.
E naturalmente i regolamenti parlamentari vennero costruiti in modo coerente con il disegno costituzionale di cui sopra: fortunate, ad esempio, sono quelle democrazie (parlamentari o semi-presidenziali) in cui quasi nessuno ricorda i nomi dei presidenti delle Camere in carica, talmente irrilevanti, istituzionalmente e politicamente, sono le loro funzioni.
Basterebbero pochi mesi per dare alle istituzioni quella forza e quella efficienza la cui mancanza, alla fine, ha pesantemente e pericolosamente logorato la Repubblica. Non ha senso rassegnarsi a quel logoramento solo per fedeltà alle scelte contingenti (e, all’epoca, giustificate) di uomini – i costituenti – che uscivano da venti anni di dittatura. Il Corriere della Sera, 6 marzo 2013
.…….E’ sacrosanto: prima della riforma della legge elettorale, è necessaria ed improcastinabile la riforma dell’assetto istituzionale dello Stato e dei poteri del governo. Altrimenti non si esce dall’imbuto, o, come ha scritto ieri Ainis, dall’ingorgo. Sono le cose che va dicendo da tempo Berlusconi il quale ha un demerito ed un merito. Il demerito è quello di aver fatto saltare nel 1997 il tavolo delle riforme presieduto da D’Alema, il più “cattivo” dei postcomunisti ma anche il più intgelligente. Il merito è quello di aver varato (nonostante e contro Casini e Fini) alla fine del quinquenio 2001-2006 la riforma costituzionale (che tra l’altro poneva fine al bicameralismo perfetto, oggi lamentato da Panebianco) che però non avendo ricevuto il suffragio dei due terzi del Parlamento dovette essere sottoposta al referendum confermativo che invece non la confermò. E quasi dieci anni dopo ci ritroviamo al punto di partenza, anzi all’interno di un tunnel del quale non si intravede nè la fine nè la luce, come coferma il rifuto poche ore fa di Bersani ad un governo che coinvolga il PDL , finalizzato appunto alle riforme, senza delle quali nè si governa, nè si ferma il populismo, questo si davvero tale, di Grillo. Insomma siamno al 1997, con i due contendenti che non trovano la “quadra”, direbbe Bossi, a tutto discapito degli italiani. g.
L’INGORGO DELLE SCELTE, di Michele Ainis
Pubblicato il 5 marzo, 2013 in Politica | No Comments »
L’ingorgo delle scelte
Un vecchio regolamento ferroviario del Kansas innalzava un monumento alla prudenza: «Quando due treni s’incrociano sul medesimo binario devono fermarsi entrambi, e nessuno dei due può ripartire se non sia prima ripartito l’altro». Eccola qui, in questa norma paradossale e assurda, la fotografia dello stallo in cui ci siamo ficcati. Ma il paradosso investe pure il capostazione, non soltanto noi viaggiatori immobili. Perché è a lui, Giorgio Napolitano, che tocca dirimere l’ingorgo; e perché il Quirinale è a sua volta intrappolato in un ingorgo, dato che a metà aprile le Camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente. Qualora viceversa il nuovo coincidesse con il vecchio, tireremmo un respiro di sollievo; ma difficilmente il Parlamento ci farà questo regalo.
Da qui, allora, una domanda: e se fosse il successore di Napolitano a cresimare il premier battezzato dal suo predecessore? Situazione inedita, ma niente affatto impossibile. Per metterla a fuoco, osserviamo l’orologio della crisi: 12 o 15 marzo, prima convocazione delle Camere. A quel punto bisognerà eleggerne i rispettivi presidenti, e non sarà una passeggiata; poi costituzione dei gruppi, delle commissioni, delle giunte. Diciamo che la settimana dopo, a essere ottimisti, sul Colle può iniziare il valzer delle consultazioni. Quali? Quante?
A occhio e croce, c’è da aspettarsi un triplo giro. Prima quelle di Napolitano coi partiti, e con le personalità di cui reputerà utile il consiglio. Ma se i partiti gli dipingeranno un quadro politico ostaggio dei veti incrociati (probabile, se non proprio sicuro), al presidente non resterà che conferire un mandato esplorativo, per favorire la decantazione della crisi. D’altronde Napolitano ne ha già fatto uso: nel gennaio 2008, quando si rivolse a Marini, all’epoca presidente del Senato.
Dunque nuove consultazioni dell’esploratore, questa volta ristrette all’essenziale. Poniamo che riesca il gioco di prestigio, che un coniglio sbuchi fuori dal cilindro: c’è un personaggio che ha buone chance d’ottenere la fiducia, sicché riceve l’incarico di formare il gabinetto. Lui si riserva d’accettare, perché così vuole la prassi; e intanto verifica i numeri con un altro giro di consultazioni. E tre. Dopo di che torna al Quirinale per sciogliere la riserva, decidere i ministri, prestare giuramento; ma salendo le scale del palazzo, può capitargli di venire accolto da un nuovo padrone di casa. Come una fanciulla promessa in matrimonio, la quale – giunta ai piedi dell’altare – scopra che lo sposo è un altro uomo rispetto al fidanzato.
Disse una volta Bobbio: «La nostra storia costituzionale si è svolta attraverso un continuo alternarsi di crisi di governo (spesso molto lunghe) e di governi in crisi (spesso molto brevi)». Lui si riferiva alla Prima Repubblica, segnata da 50 crisi di governo in cinquant’anni; ma quella diagnosi può forse valere anche per la Terza, di cui scorgiamo nel frattempo un’alba livida, spettrale. Dove i fantasmi s’inseguono l’un l’altro senza mai riuscire ad acciuffarsi: il Pdl stringerebbe un accordo col Pd, che invece lo stringerebbe con il M5S, che invece si divincola. Da qui l’oroscopo sulla durata della crisi: toccammo il record nel 1996, dopo la caduta del governo Dini (125 giorni), e magari stavolta lo supereremo. Ma da qui, inoltre, il rischio d’uno slalom del nuovo premier fra due capi dello Stato.
Diciamolo da subito: non sarebbe una tragedia. Perché le istituzioni sono abitate da persone, però al contempo sono anonime, spersonalizzate. Le persone passano, le istituzioni restano. E perché Napolitano, quando conferirà un mandato, non potrà certo scegliere in base alle proprie simpatie. No, dovrà indicare chi sia in grado di coagulare attorno a sé una maggioranza; e tale qualità dipende dal mandatario, non dal mandante. Semmai il paradosso deriva da una regola del galateo istituzionale, fin qui sempre rispettata (l’unica eccezione risale al 1849). Quella che impone all’esecutivo di dimettersi dopo il giuramento del capo dello Stato, che a sua volta respinge poi le dimissioni. Sicché il nuovo governo dovrà bussare comunque alla porta del nuovo presidente, dovrà ottenerne la benedizione; e sia pure a costo di spegnersi e riaccendersi come un fiammifero. Ma il problema è tutto lì: trovare un cerino, e dargli fuoco. Michele Ainis, Il Corriere della Seea, 5 marzo 2013
IL POST ELEZIONI: ECCO LA CARTA VINCENTE
Pubblicato il 4 marzo, 2013 in Politica | No Comments »
Guardare avanti. Imporsi di gestire l’esito del voto per il bene dell’Italia.
Detta così appare un’ovvietà e non sembrerebbe neppure tanto difficile da realizzare. Eppure, come sosteniamo fin dal titolo di copertina, siamo coscienti che quello di Giorgio Napolitano sia un rompicapo in piena regola. Visti i risultati e le non-maggioranze, nessuno dei partecipanti alle elezioni può seriamente rivendicare oggi il diritto di proporsi come possibile presidente del Consiglio. Una soluzione, però, va trovata con questo Parlamento. Che è il Parlamento dei tre blocchi (Bersani, Berlusconi e Grillo) più uno strapuntino (Monti).
Il presidente della Repubblica ha già iniziato le sue consultazioni in via informale prima di avviarle ufficialmente nella seconda metà di marzo. Esponenti di centrodestra e centrosinistra, nel frattempo, convengono sulla necessità di trovare un’intesa su alcuni punti per evitare di tornare a votare nel 2013 avendo ben chiaro il pericolo (la certezza, anzi) di consegnare definitivamente il Paese all’imbonitore Beppe Grillo. Un programma è presto fatto: riduzione delle spese della politica, ripensamento dell’Imu, misure per lo sviluppo, lotta all’evasione fiscale, nuova legge elettorale.
Bene, c’è innanzitutto da trovare una figura autorevole e riconosciuta come tale da Pd e Pdl, che insieme possono dar vita a una straordinaria forza di maggioranza e stabilità alla Camera e in Senato (siamo certi che Mario Monti si unirà ai due poli). Questa figura non deve essere di parte, deve avere standing e credibilità internazionale, deve anche avere l’autorevolezza che gli consenta di battere i pugni sui tavoli che contano in Europa.
Inutile dilungarsi ancora, l’uomo c’è, ha molti altri pregi e il suo nome è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea.
Ha già dimostrato di non essere un grigio burocrate (vedi gli interventi salvaeuro dell’ultimo anno e mezzo), di saper dettare l’agenda nei momenti cruciali (vedi il programma salvastati), di avere personalità da vendere. Prendete una delle più recenti dichiarazioni, è del 18 febbraio ed è stata pronunciata davanti al Parlamento europeo e potrebbe essere inserita in un programma condiviso da destra e sinistra:
«Quello che bisogna fare è cercare di mitigare gli effetti delle politiche di austerità, visto che il livello delle tasse è già molto elevato nell’eurozona (si legga, in proposito, il commento di Wolfang Münchau a pagina 84, ndr)».
Sappiamo che Draghi è già stato sondato sull’eventualità di essere richiamato in patria e che ha sollevato non poche perplessità. Ma, da straordinario civil servant già impegnato al ministero del Tesoro e in Banca d’Italia prima di essere eletto alla Bce grazie al sostegno del governo italiano, Draghi sa bene che ci sono momenti in cui si impongono atti di responsabilità davanti ai quali ogni personale ritrosia deve lasciare spazio al superiore interesse del Paese. Questo è uno di quei momenti. Giorgio Mulè, Direttore di Panorama