Noi italiani scambiamo le regole per tegole. Sicché, quando ci  cascano addosso, le schiviamo. E un minuto dopo corriamo a fabbricare  un’altra tegola (pardon, regola), cercandovi riparo. È già successo  mille volte, sta forse per succedere di nuovo. Oggi il Movimento 5  Stelle proporrà una modifica al regolamento del Senato, allo scopo  d’ottenere un voto palese sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Consensi  dalla Lega, applausi da Sel, aperture dall’Udc e da Scelta civica,  benedizioni da autorevoli esponenti del Pd. E ovviamente un altolà dal  Pdl, che difende la regola vigente, ossia lo scrutinio segreto.
 
C’è una nobile ragione di principio sotto quest’ennesima baruffa  sulle regole? Macché, c’è un calcolo politico. Il Pdl spera che il  segreto dell’urna favorisca smottamenti nel fronte avverso, sulla carta  largamente superiore. Perché la decadenza di Berlusconi rischia di  trascinarsi dietro la decadenza della legislatura, con una crisi di  governo e poi con lo scioglimento anticipato delle Camere. E perché, si  sa, nessuno degli eletti ha voglia di fare le valigie. Dal canto suo il  Pd teme giochetti da parte dei grillini: potrebbero salvare in massa  l’illustre condannato, per poi addossarne la colpa alla sinistra. Ma  soprattutto teme imboscate al proprio interno, giacché i 101 franchi  tiratori che affondarono la candidatura di Prodi al Quirinale sono  ancora lì, e tramano nell’ombra. Dunque la nuova parola d’ordine è la  stessa che Gorbaciov coniò negli anni Ottanta: glasnost , trasparenza.  D’altronde come si fa a non essere d’accordo?
 
Si fa, si fa. Intanto per una ragione di merito, perché non è  affatto vero che la segretezza convenga solo ai ladri. Non a caso la  Costituzione proclama il nostro voto d’elettori «libero e segreto».  Questi due attributi si tengono a vicenda: il voto è libero unicamente  se resta segreto. Altrimenti potremmo subire ritorsioni dal datore di  lavoro, minacce dai politici, o più semplicemente potremmo farne  mercatino, vendendolo al miglior offerente. E il voto degli eletti? Qui  la libertà deve coniugarsi con la loro responsabilità verso gli  elettori. Dopotutto se ti ho dato fiducia devo pur sapere se la meriti,  se stai mantenendo le promesse. Però siccome ogni democrazia  parlamentare accoglie il divieto di mandato imperativo, siccome ormai  l’imperatore non è tanto il cittadino bensì il capopartito, allora la  segretezza dei voti espressi nelle assemblee legislative suona come il  riscatto dei peones, l’ultimo presidio della loro dignità.
 
 Queste due opposte esigenze possono combinarsi in varia guisa.  Fino al 1988 era regola il voto segreto, mentre quello palese veniva  usato in casi eccezionali. Dopo la riforma dei regolamenti parlamentari  s’applica la regola contraria; tuttavia l’eccezione – e cioè il voto  segreto – continua a governare le votazioni sui diritti di libertà, sui  casi di coscienza o infine sulle singole persone. Il caso Berlusconi,  per l’appunto; quantomeno al Senato, giacché alla Camera funziona anche  qui il voto palese. Merito di Craxi, salvato nel 1993 dai franchi  tiratori, sicché Montecitorio s’affrettò a riformare la riforma. Alla  fine della giostra la questione sta allora nel metodo, prima ancora che  nel merito. Possiamo calibrare come più ci aggrada il rapporto fra  scrutini segreti e palesi. Possiamo anche sbarazzarci della prerogativa  che rende i parlamentari giudici di se medesimi, trasferendola per  esempio alla Consulta. Ciò che invece non possiamo fare è di scrivere  un’altra regola ad personam o meglio contra personam . Per rispetto  delle regole, se non della persona. Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 17 settembre 2013
………………………Alla vigilia del voto sulla decadenza di Berlusconi, questo breve saggio di un “saggio” (Ainis è uno dei 40  incaricati di  elaborare le riforme costituzionali ed istituzionali) è quanto mai utile, quanto meno per stabilire che se sono una vergogna le leggi ad persona,  lo sono altrettanto quelle contra personam. Conme quella che si vuole adottare nel casi di Berlusconi, per cui i cacciatori di streghe divengono essi stessi streghe, anzi stregoni. g.