Archivio per la categoria ‘Costume’

MALTEMPO E MALA TEMPORA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 12 febbraio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Forza lupi, son tornati i tempi cupi. Rinevica a Roma, ma stavolta Gianni Alemanno non spala: fa la spola tra una televisione e l’altra procurandosi molti nemici e – lui crede, d’altronde è fascista – molto onore.

Ma è più probabile che stia dissipando molti consensi, ammesso che non ne avesse dissipati già abbastanza per garantirsi la sconfitta alle prossime elezioni. Qualcuno scommette. Se il sindaco riproporrà la propria candidatura, non supererà il 35- 37 per cento. Si consoli: essere battuti dal generale Inverno non è biasimevole. È successo anche a Napoleone e a Hitler, può succedere anche a lui.

Il fatto che in gennaio e in febbraio faccia freddo non dovrebbe sorprendere. Invece sono stupiti perfino gli scienziati. Ho letto su vari quotidiani che il pianeta non corre più il rischio del surriscaldamento e che l’effetto serra è una benedizione del cielo: ci salverà dalla glaciazione. Gli ecologisti della domenica, e della politica, come commentano questa faccenda, cioè che il guaio non è più il caldo bensì il freddo? Tacciono. Forse stanno riorganizzando le idee.

Mi piacerebbe conoscere in proposito l’opinione di Fulco Pratesi, guru del Wwf, che anni fa scrisse sul Corriere della Sera un editoriale memorabile, in cui spiegava come affrontare l’emergenza siccità (era estate e non pioveva da un paio di settimane, capirai che dramma). O, meglio, raccontava con dovizia di particolari il protocollo che egli aveva personalmente adottato, consigliando i lettori di fare altrettanto: evitare con cura di lavarsi, non azionare lo sciacquone del water, cambiarsi la biancheria (calze, mutande) ogni due o tre giorni. Con rispetto parlando, una porcata pazzesca.

Leggo sulla Repubblica che i clochard, abituati a pernottare al binario 19 della stazione Termini di Roma, non vogliono saperne, nonostante la temperatura siberiana, di trasferirsi al dormitorio pubblico, dove, se non altro, funziona il riscaldamento. Preferiscono morire assiderati (e, difatti, alcuni sono morti e probabilmente altri ne moriranno). Se fanno certe scelte, avranno le loro buone ragioni, ma le tengono per sé e continuiamo a non capire perché rifiutino ogni aiuto. Cosicché invece di suscitare in noi un sentimento di pena, ci fanno pensare che abbiano qualche filo staccato. Per non violare la loro libertà di campare come gli pare, assistiamo sbigottiti al loro suicidio. Chi avesse un suggerimento per convincerli a farsi dare una mano, non esiti a comunicarlo al Giornale. Provvederemo a inoltrarlo a chi di dovere.

Mentre in Italia si trema per il clima polare, in Vaticano si trama. Niente di nuovo. I preti sono uomini e ne hanno tutti i difetti, forse alcuni di più, tra cui un alto tasso di ipocrisia. E la notizia che un cardinale va in giro a dire (e a scrivere) che c’è un piano per uccidere il Papa viene minimizzata, nascosta, presa sottogamba. Gran parte dell’informazione laica (democratica, antifascista eccetera) intuisce che le alte gerarchie della Chiesa non gradiscono sia data pubblicità all’indiscrezione ( vera), e si presta al gioco. Giornali e tv rinunciano a gridare e parlano del progettato delitto con un fil di voce, in modo che pochi odano e, soprattutto, che all’ombradel Cupolone nessuno si irriti. Missione compiuta.

Ratzinger è angosciato, sta male? Conviene non amplificare. Il Vaticano, pur nel suo declino, rimane un potere. Chi gli si è messo contro si è sempre strinato. E non parlo per sentito dire.

Tanto per stare allegri, un accenno alla Grecia. Da un anno è sull’orlo della catastrofe e, a forza di ripeterlo, non ci facciamo più caso. Il problema è che adesso non è sull’orlo, ma sta precipitando. Questione di giorni. I conti dello Stato ellenico sono un cimitero. La gente, anziché rimboccarsi le maniche, scende in piazza a protestare, come se servisse a qualcosa. Il Paese si paralizza e non produce neanche quel poco che potrebbe.

Il default non è un pericolo: ormai è una realtà.

Il lettore obietterà: e io che ci posso fare? Nulla. Ma è opportuno tener presente che se la Grecia si schianta, e si schianterà a breve, la seguirà a ruota il Portogallo che si trascinerà appresso la Spagna. Tre nazioni fuori dall’euro, indebitate e non in grado di restituire i soldi che si sono fatte prestare, faranno implodere l’Unione europea. Addio moneta unica, addio sogni unitari. Addio Merkel e addio Sarkozy. Ciascuno tenterà di limitare i danni tagliando i ponti con i ruderi della Ue. Si tornerà al nazionalismo. E Mario Monti con i suoi professori? Auguriamo loro di non smarrire la sinderesi. Ci sarà bisogno di calma e sangue freddo. Che, data la stagione, non è impossibile avere. Vittorio feltri, Il Giornale, 12 febbraio 2012

.……Un pò di sana ironia e di altrettanto sano sarcasmo non fanno male, specie nei tempi bui che stiamo vivendo. E  per fortuna non siamo ancora giunti ai livelli da tragedia della vicina Grecia dove proprio in queste ore gli affamati delle Merkel e di Sarkozy tengono sotto assedio il Parlamento per costrinerlo a non votare le misure  deliranti imposte ai greci. A proposito di tragedia,  alcuni decenni fa, quando la “meglio” gioventù di destra  non aveva ancora trovato la sua musa nell’ex ministro Meloni, nei raduni giovanili missini si raccontava una barzelletta che pare attuale ancora oggi. Un papà e un ragazzino visitano Montecitorio e guardano dall’alto l’ampia Aula  dell’Assemblea. Passano alcuni giorni,   il ragazzino, tornando da scuola, interroga il papà: qual’è la differenza tra guaio e tragedia? E il papà, dopo averci riflettuto appena un attimo risponde: ti ricordi l’aula di Montecitorio che abbiamo visitato? Ebbene è crollata e sono morti tutti. Oh Dio, esclama il bambino, che tragedia! E il papà: è questo è  il guaio, che non succede mai! g.

ECCO COME IL VICEMINISTRO NON SFIGATO E’ DIVENTATO DOCENTE UNIVERSITARIO ORDINARIO A 29 ANNI

Pubblicato il 8 febbraio, 2012 in Costume | No Comments »

Nel numero in edicola da domani, giovedì 8 febbraio, il settimanale Panorama ricostruisce nei dettagli come si è svolto il concorso per professore ordinario bandito dall’Università di Siena e vinto oltre otto anni fa dal viceministro al Lavoro, Michel Martone (il nome francese è una chicca che non si possono permettere gli sfigati…)

Il concorso era iniziato l’11 gennaio 2002 e si era concluso il 9 luglio 2003: era durato pertanto più di un anno e mezzo, tanto da richiedere una proroga. Sono state proprio queste lungaggini a permettere ad altri sei docenti, i concorrenti di Martone per il posto a Siena, di diventare ordinario in altre sedi. E di ritirare così la loro candidatura a Siena, lasciando campo libero a Martone. Ecco la ricostruzione dei fatti e delle date, nell’articolo pubblicato da Panorama.

MICHEL MARTONE

Un concorso della Lum di Bari, cui prende parte uno dei concorrenti di Martone, si conclude il 22 ottobre 2002. Un altro dell’Università del Molise, con due posti, termina una settimana prima. Il 30 ottobre 2002 parte poi un concorso dell’Università di Modena, cui partecipa un’altra possibile contendente del viceministro: e anche quella cattedra viene assegnata molto velocemente, in tre mesi e mezzo, il 10 febbraio 2003. A quel punto quattro concorrenti sono usciti di scena.

Ma sulla strada di Martone restano due candidati. Marco Marazza decide di ritirarsi e poco dopo vincerà un posto a Teramo. L’ultimo ostacolo è Gianni Arrigo, ma anche lui rinuncia. Così, una defezione dopo l’altra, l’enfant prodige del governo Monti vince la cattedra il 9 luglio 2003: ordinario a 29 anni. da DAGOSPIA 8 febbraio 2012

SCONGELARE L’ITALIA CON LA FANTASIA

Pubblicato il 4 febbraio, 2012 in Costume | No Comments »

Neve a Roma Roma bloccata per neve, Berlusconi chiude per sempre con Palazzo Chigi, Monti apre la partita dell’articolo 18. Cos’hanno in comune questi tre fatti? Una sola parola: l’emergenza, metafora dell’Italia di ieri e di oggi. Mentre passeggiavo per le vie della Capitale imbiancata, con la mente sospesa tra la poesia dell’inverno e la prosa del caos pensavo che sul nostro Paese fiocca senza pietà un po’ di tutto. È la nostra storia. Terra di conquista per gli imperi, poi divisa in staterelli con un «volgo disperso che nome non ha» e infine unita nel segno del campanile e della fazione. Eppure gli italiani in fondo riescono a cavarsela sempre, anche quando la loro sorte dipende da un inesorabile stato d’eccezione: la crisi politica, quella economica, la disoccupazione, l’ondata di freddo. Roma congelata, simbolo di un Paese che si risveglia quando c’è lo shock. E allora ecco che nei 280 chilometri di coda, nel traffico in tilt, nei bus senza gomme da neve, nel Grande Raccordo Anulare paralizzato, si consuma la nostra storia collettiva, si realizza la dimensione piccola e grande del nostro «carattere nazionale». Lo ritroviamo nel bene e nel male ogni volta che la cronaca ci offre il materiale buono per la rotativa, la prova, l’evidenza, l’indizio da seguire per capire come siamo fatti e disfatti, apparentemente vinti, perduti e invece mai domi e infine ritrovati. Ieri il naufragio del prode Capitan Schettino che scappa dalla nave Concordia, oggi la nevicata polare sulla Città Eterna. Abbiamo sempre una «via di mezzo» per separarci, unirci, litigare e poi fare la pace. Scuole chiuse, no aperte a metà, perché non si sa mai e in fondo serve a trovare il riparo per i figli, far andare la macchina sulla neve, discutere sul posto di lavoro della gran tormenta e poi la Roma non giocherà e accidenti nevica, governo ladro. E provate voi a spiegare tutto questo a quel buontempone che alla Balduina s’è improvvisato Alberto Tomba, ha messo gli sci, gli occhiali e s’è buttato in slalom tra le macchine parcheggiate. Ma quali Suv, macchè Cortina, questa è l’Italia. I sessantottini non hanno mai capito nulla: qui la fantasia è al potere da sempre. Mario Sechi,Il Tempo, 4 febbraio 2012

……………. E’ come dire che sognare aiuta a vivere, o a soppravivere.  Alla faccia di Monti e della Fornero, delle Banche e delle bollette, degli sceriffi di Equitalia e dei tanti  catoni che si aggirano come corvi intorno a noi per mangiarci vivi ma finiscono nella padella. Della fantasia. g.

LA CASTA DEI DEPUTATI SI TAGLIA LO STIPENDIO. MA E’ SOLO UNA FINTA.

Pubblicato il 31 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Casta taglia lo stipendio Ma è solo una finta
liberoquotidiano.it

La Camera ha annunciato lunedì sera il taglio di 700 euro netti al mese di stipendio. Peccato che sia l’ennesimo bluff della Casta e di sforbiciate immaginarie: il provvedimento sbandierato in realtà è soltanto la rinuncia a un altro aumento non ancora entrato in vigore. In pratica non c’è nessun taglio. E’ solo una partita di giro: non è un taglio ma è la rinuncia a un altro aumento. Perché passando dal sistema retributivo a quello contributivo, i deputati si sarebbero visti lievitare la busta paga di circa 700 euro netti al mese, perchè non è più loro chiesto di versare tutti e due i contributi che versavano prima. Non si sono tagliati lo stipendio, i deputati in realtà hanno solo rinunciato a un aumento. I settecento euro in meno in busta paga sono compensati dal mancato versamento delle ritenute che ammontava a 780 euro.  Confermato invece il giro di vite per le spese relative ai collaboratori parlamentari: il rimborso di 3690 euro sarà erogato a forfait per il 50% mentre il restante 50% dovrà essere giustificato. Si tratta di un regime transitorio visto che a partire dalla prossima legislatura la materia sarà disciplinata da una proposta di legge che sarà presentata entro un mese. Libero, 31 gennaio 2012

…….Per una volta vogliamo citare Fini: siamo alle comiche finali. Ed è una vergogna. g.

I PRODIGI DI “NONNO MARIO”

Pubblicato il 31 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

Il premier mette sul sito del governo le lettere dei fan. Compare una bimba di 2 anni: “Fa le cose giuste per il futuro”.

Lettere dei cittadini sul sito del governo. Spicca quella che cita le parole di una bimba di due anni: Ascolti «nonno Mario», faccia una cosa utile a sé, agli italiani e all’umanità che ancora riesce a ridere e inorridire: licenzi su due piedi il soggetto che è riuscito a mettere nel sito della presidenza del Consiglio, sotto lo stellone della Repubblica, una lettera in cui si sostiene che una bimba di due anni (povera innocente) la riconosce come «nonno Mario, quello che dice le cose giuste per il futuro». Perché vede, gentile Signor presidente del Consiglio, senatore a vita e professor Mario Monti, esiste un limite al rincitrullimento, ma mettere in bocca queste cose a una bimba di quell’età, solennizzarle in una pubblicazione governativa, porta con sé un ridicolo potente, talché, nel breve volgere di poche ore, lei potrebbe divenire assai meno sobrio del suo predecessore. E non so se mi spiego. Credo, voglio credere, e voglio chiarirlo in modo inequivocabile, che lei non c’entri nulla. Che certi zelanti leccapiedi uno se li trova sulla strada e neanche li riconosce. Sono sicuro, voglio esserlo, che lei non ha mai visto quella pagina vergognosa (questo è l’indirizzo: http://www.governo.it/GovernoInforma/dialogo/estratti.html, controlli e agisca in prima persona). Ma ciò non toglie che ora noi la stiamo informando e che lei è tenuto a provvedere subito, al volo, prima che si possa anche solo supporre un qualche suo compiacimento. Perché in un Paese civile quella roba non è consentita. E se non provvederà a tambur battente sarebbe autorizzato il sospetto circa il passo successivo: chiedere alla bambina di denunciare i genitori, ove non assolvano onestamente agli obblighi fiscali o commettano una quale che sia infrazione al codice del vivere in pace con la legge. A utilizzare quel sistema fu Pol Pot, in una sfortunata Cambogia. Confesso di non avere fatto una ricerca specifica, ma credo d’indovinare se affermo che neanche in quel disgraziato regime nessuno s’è mai spinto a immaginare che i bimbi da usare come spie potessero avere meno di tre anni. Immediatamente prima del citato, e disgustoso, messaggio se ne trova un altro, adulto, di chi afferma d’averla vista ospite di Lucia Annunziata e di averne dedotto che lei è persona degna di fiducia. Per quel che può contare, lo penso anch’io. Ma penso anche che se il suo predecessore avesse pubblicato messaggi di tale natura sarebbe stato sommerso da meritate pernacchie. E siccome non posso escludere che l’abbia fatto, ove così sia gli dedico anche la mia. Sentitamente. Però, oggi, in quel posto c’è lei, e, oggi, è lei a prendere spazio nei salotti della televisione di Stato, che quando cesserà di essere tale sarà sempre troppo tardi, ed è oggi che il sito della presidenza del Consiglio pubblica, sotto la dicitura “dialogo con i cittadini”, roba di tal fatta. La faccia rimuovere. Sul serio, e ci faccia sapere che il responsabile sarà assegnato a compiti più consoni alla sua natura, possibilmente non pagati con i soldi delle nostre tasse. A proposito di mestieri, la bambina di due anni non ha scritto la lettera a lei indirizzata, perché, com’è facile intuire, se fosse di così prodigiosa intelligenza e precocità non si dedicherebbe ad un’adulazione così rozza e imbarazzante. A riportare il suo (presunto) pensierino è, così si firma: «una coordinatrice pedagogica di una cooperativa sociale». Faccia cosa di cui tutti le renderanno merito: individui tale sabotatrice d’infanzia, smascheri quest’agente provocatore e, assieme a chi ha messo in pagina cotanto delirio, li avvii verso il loro destino. Servirà anche a chiarire che non sempre strisciando e sbavando s’ottiene il risultato di commuovere e usare il potente di turno. Chiudiamo questo capitolo, attendendo che lei provveda. Grazie, ci faccia sapere. Più in generale, però, occorre guardarsi da un mondo che, come sempre, pratica il servo encomio in attesa di dedicarsi al codardo oltraggio (sintesi perfetta che dobbiamo ad Alessandro Manzoni, il quale discettava di Napoleone, mica cotiche). Mario Monti gode di ottima stampa, e non è difficile supporre che gli faccia piacere. Farebbe piacere a chiunque. Ma il potere è una strana bestia, una mantide che pratica l’amore preparando la morte. Se quando lo spread arriva al 420 i giornali scrivono che va alla grande, che bene così, che solo ora si respira, poi sarà difficile spiegare che a quei livelli facciamo rotta verso il naufragio. E siccome i lecchini odierni saranno feroci, proprio perché vili, domani scriveranno che il governo ha fallito, laddove, invece, la questione era, è e sarà del tutto diversa: o si ristruttura l’euro e l’Unione europea o nulla di quel che vediamo è destinato a durare. Se quando il governo annuncia che si farà un’autorità nazionale per stabilire quante licenze taxi ci vogliono a Bari i giornali scrivono che questa è l’alba delle radiose liberalizzazioni, domani saranno pronti a gettare l’onta del fallimento su chi ebbe l’idea bislacca di chiamare in quel modo ciò che somiglia, più che altro, ad un incubo centralista, statalista e programmatore. Se per mettere le tasse si procede decretando e per cancellare il rudere del valore del titolo di studio si avvia una «consultazione pubblica» (ma che è?), mentre chi commenta omette d’osservare che la cosa è vagamente dissennata, va a finire che il massimo delle contestazioni si concentrerà su quel che non esiste, resuscitando l’estremismo sconclusionato. Se si lascia che il presidente del Consiglio continui a ripetere, con un vezzo di falso imbarazzo simile alla pudicizia dell’amante focoso, che pare, sembra, mi dicono che nei sondaggi il governo è popolarissimo, e nessuno fa mostra di volere ricordare che le democrazie non funzionano con l’applausometro, va a finire che quando poi si vota e il Parlamento si riempie d’antagonisti taluno, per non ammettere la propria imbecillità, sosterrà essere colpa del governo in carica. Con tutti i suoi pregi, che ci sono, e i suoi difetti, che non mancano punto, il governo Monti è il migliore possibile in questo scorcio di legislatura. Sappiamo tutti che non ha legittimazione elettorale, mentre è affollato d’ambizioni politiche. E passi. Ma è un grave errore lasciarsi cullare dal dondolio del consenso acritico e un po’ buffonesco, perché è vero che nessuno resiste all’adulazione, ma è anche vero che chi si lascia andare con tanta lascivia rischia di precipitare in un incubo. Quindi, gentile «nonno Mario»: le si offre una ghiotta occasione, consistente nel far vedere che certe cretinerie non le sono solo estranee, ma anche odiose. Che le ripugna anche la sola idea si possa praticare questo genere di pedofilia lecchina e che, quindi, il responsabile va a casa. Davide Giacalone, Il Tempo, 31 gennaio 2012

……………E dire che Monti ogni volta che apre bocca lo fa sciorinando tutto il vocabolario della sobrietà. Ci ha pensato Gaicalone a smascherarlo perchè se non lui almeno uno di famiglia quel sito di certo lo vede ogni secondo e non può essergli sfuggito l’appello, chiamiamolo così, della bimba di due anni. Che tristezza per questo paese essere passato dalla nipotina di Moubarak alla “nipotina” di Monti.  Ma qualche cugina di pari età non c’è in circolazione ? g.

MELANDRI, DEPUTATA DEL PD, VUOLE IL VITALIZIO A 50 ANNI. ALLA FACCIA DEL RIGORE E DEL’EQUITA’ SI SAN MARIO MONTI

Pubblicato il 30 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Dopo il ricorso alla riforma dei vitalizi di venti deputati, tra cui esponenti di Pd, Pdl e Lega,  un altro nome noto si erge a difesa dei privilegi dei parlamentari. Il suo nome? Giovanna Melandri, 50 anni, deputata Pd, ministro della Cultura con D’Alema e Amato e responsabile dello Sport con Prodi. La parlamentare non si vergogna a dire di aver lasciato il suo lavoro d’economista alla Montedison per entrare in politica, forse attratta dai possibili facili guadagni. L’onorevole, per giustificare la sua levata di scudi in difesa degli emolumenti ai deputati, tira in ballo addirittura Berlinguer e Fanfani. “Loro erano d’accordo sulla nozione di vitalizio – ha detto al Corriere della Sera -  e anche io penso che quel concetto non sia sbagliato. Non ho da recriminare nulla, ma ho paura di quello che resterà sotto le macerie del populismo”. La Melandri ovviamente ha il suo perché nel lamentarsi. Due giorni fa ha compiuto 50 anni. Con le vecchie regole avrebbe avuto già diritto ad una corposa pensione, mentre ora? “La prenderò fra dieci anni, nel 2022″ dice sconsolata la deputata Pd. La Melandri al tiro al bersaglio contro il politico non ci sta e accarezza l’idea di presentare ricorso anche lei. “Gli estremi ci sarebbero e non solo per i contributi già versati. Non mi piace l’idea del forcone contro i politici e la logica in cui stiamo entrando”. Pur di non vedere il suo vitalizio sparire, la deputata rivela la sua ricetta per risparmiare “Ci sono tante forme per ridurre i costi ad esempio il taglio dei parlamentari”. Ma guai a toccarle la dorata pensione. “Va bene invece di darci 5.000 euro di pensione a cinquant’anni potrebbero darcene la metà. Ma eliminare i vitalizi no – dice agguerrita la Melandri – Io non sono d’accordo”.

………….E brava l’on. Melandri! Già si era fatta notare per le vancanze in Kenia ospite di Briatore e per quelle nell’esclusiva isola di Lampedusa, alla faccia dei lavoratori che questa vacanze non se le possono permettere. Ora recrimina contro la decisione di modificare la normativa sulle retribuzioni e sopratutto sui vitalizi dei parlamenteri. Senza arrivare alle chiassose e sconce dichiarazioni della sua collega Alessandra Mussolini che lamentava il rischio di finire sul lastrico (sic!), la Melandri lamenta il fatto che con la riforma del vitalizio lei dovrà aspettare i 60 anni, nel 2022, per poterlo percepire, sia pure, forse,  ridotto. E nemmeno le passa per il cervello che a causa dei diktat del suo amato San Mario Monti milioni di lavoratori e soprattuo lavoratrici dal  2018 se non avranno compiuto 67-68  anni non potranno andare in  pensione, qualsiasi lavoro, fisico o intellettuale,  abbiamo svolto. Lei tutto sommato svolge un lavoro poco pesante e molto ben remunerato,  e a 60 anni, senza che il suo fisico avrà  risentito (e non fatichiamo ad augurarglielo) più di tanto delle fatiche della vita lavorativa, potrà godersi la sua pensione, comunque assai  più congrua rispetto a quelle delle tante lavoratrici dell’impiego  pubblico e  privato,  magari accompagnata da quella della Montedison dalla quale è probabile sia solo in aspettativa.  E si lamenta pure e anzi minaccia di ricorrere alla legge. Ci asteniamo dal commentare la protervia della signora Melandri,  perchè dovrenmmo far ricorso al più volgare dei linguaggi, ma  non possiamo far torto ad un nostro amico che ci legge e che ci ha rimproverato per aver usato, di recente,  lo stesso del capitano De Falco verso il comandante Schettino, pur magnificato dai mass media.  Noi non siamo De Falco e la Melandri non è Schetttino, ma la rabbia è la stessa. g.

SCALFARO: QUEL SOSIA ELETTO AL QUIRINALE, di Francesco Damato

Pubblicato il 30 gennaio, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

Oscar Luigi Scalfaro Dell’uomo e del politico Oscar Luigi Scalfaro sono stato a lungo tra gli estimatori e amici. Di un’amicizia da lui ricambiata e rafforzata da una comune disavventura, al termine del congresso nazionale della Dc nel 1976, conclusosi con l’elezione diretta di Benigno Zaccagnini a segretario. Alcuni scalmanati, di notte, ci attesero all’uscita per deriderci e gridarci: «Per voi borghesi è finita». Io lavoravo al Giornale. Lui si era inutilmente speso per l’elezione di Arnaldo Forlani. Memore anche di quella notte, stentai a riconoscerlo nei panni di presidente esordiente della Repubblica nella primavera del 1992. Fui talmente sorpreso, diciamo pure traumatizzato, dal contributo che il nuovo capo dello Stato decise di dare, sotto l’effetto delle indagini e degli arresti per Tangentopoli, allo sconfinamento delle Procure della Repubblica che mi rifugiai in un’allucinazione. Pensai e scrissi che quello in attività al Quirinale fosse un sosia di Scalfaro, essendo stato quello vero sequestrato da qualche misteriosa banda. Fu naturalmente anche la fine della nostra amicizia. L’ombra del sosia mi comparve la prima volta il giorno in cui seppi che il Presidente, alle prese con gli incontri politici di rito per la formazione del primo governo della legislatura uscita dalle urne del 5 e 6 aprile di quell’anno, aveva ritenuto di consultare anche il capo della Procura della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli, per informarsi sulle indagini note come “Mani pulite”. E ne ricavò la convinzione che Bettino Craxi, per quanto destinato a ricevere i primi avvisi di garanzia solo a fine anno, dovesse sin d’allora pagare pegno. Al suo posto egli mandò a Palazzo Chigi Giuliano Amato, facendolo proporre dallo stesso segretario del Psi. La seconda volta l’ombra del sosia mi comparve nel 1993, quando il Quirinale annunciò che Scalfaro aveva negato la firma a un decreto legge appena varato dal governo per la cosiddetta uscita politica da Tangentopoli. Eppure l’allora Guardasigilli Giovanni Conso riteneva di avere concordato ogni cosa direttamente o indirettamente con il capo dello Stato. Ma, tra le decisioni del Consiglio dei Ministri e l’annuncio del diniego della firma del presidente della Repubblica, vi fu una clamorosa protesta pubblica del capo della Procura di Milano in persona. Si era ormai passati dalle Procure della Repubblica alla Repubblica delle Procure. Di lì a poco l’ombra del sosia tornò a farmi capolino con un messaggio televisivo del presidente della Repubblica contro il tentativo mediatico da lui ravvisato di coinvolgerlo in una brutta storia di fondi segreti passati anche per le sue mani, o i suoi uffici, negli anni in cui era stato il ministro dell’Interno di Craxi. A chiamarlo in causa erano stati alcuni funzionari finiti sotto indagine e in carcere. Ai quali poi nella Procura di Roma, anche a costo di contrasti interni rivelati in un libro da Francesco Misiani, che ne aveva fatto parte, si decise di reagire contestando loro il reato gravissimo di attentato al funzionamento delle istituzioni. «Io non ci sto», gridò il capo dello Stato nel pieno della bufera davanti alle telecamere. Ma per uscire davvero dalla vicenda, riproposta con un esposto giudiziario dal suo ex amico ed ex guardasigilli Filippo Mancuso, egli dovette aspettare la fine del suo mandato presidenziale. Un’altra volta ancora l’ombra del sosia mi comparve nella primavera del 1994. Fu quando il capo dello Stato, non potendo proprio fare a meno di conferire l’incarico di presidente del Consiglio a Silvio Berlusconi, uscito vittorioso dalle urne del 27 e 28 marzo, decise e annunciò di accompagnarne la nomina con una lettera quanto meno inusuale di indirizzo politico. Il nuovo capo del governo avrebbe dovuto attenervisi nella sua azione, al di là degli stessi vincoli parlamentari connessi alla fiducia. Impertinente e ossessiva, quell’ombra tornò dopo qualche mese ad allungarsi. E trovò anche una descrizione nei racconti di Umberto Bossi. Che rivelò, in particolare, la cordialità e gli incoraggiamenti ottenuti al Quirinale nella preparazione della prima rottura con il Cavaliere. Fu sul Colle che il leader leghista si sentì assicurare che una crisi di governo non sarebbe sfociata nelle elezioni anticipate, temutissime allora dalla Lega. Esse infatti seguirono non di pochi mesi ma di più di un anno il primo allontanamento di Berlusconi da Palazzo Chigi e la sua sostituzione con Lamberto Dini: il tempo necessario perché la sinistra e il centro post-democristiano si organizzassero sotto l’Ulivo di Romano Prodi e vincessero le elezioni del 1996. Tre anni dopo si concluse il mandato presidenziale di Scalfaro. Ed io mi illusi che fosse finito anche l’incubo del sosia. Ma mi sbagliavo. Anche da ex presidente, o presidente emerito della Repubblica, continuarono a mischiarsi e a sovrapporsi impietosamente nella mia immaginazione i due Scalfaro: quello buono di una volta, scampato con me alla «fine dei borghesi», e quello irriconoscibile del Quirinale. E di Palazzo Madama, dove egli continuò a ritenersi mobilitato contro il Cavaliere, sia quando questi era di suo all’opposizione, sia quando questi tornò al governo. E osò varare nel 2006 una riforma della Costituzione con una maggioranza inferiore ai due terzi del Parlamento, per cui fu necessaria la verifica referendaria. A guidarne la campagna fu proprio Scalfaro, avvolto sulle piazze nella bandiera di una Repubblica e di una Costituzione a suo avviso minacciate dal Cavaliere. Se quella riforma non fosse stata bocciata, avremmo potuto avere già adesso, fra l’altro, meno parlamentari e un bicameralismo differenziato. Un’occasione quindi mancata grazie anche a lui. La cui morte merita naturalmente rispetto, ma non l’ipocrita partecipazione ad un coro d’elogi sperticati. Francesco Damato, Il Tempo, 30/01/2012

…………..Storace, sanguigno, ha detto che  di Scalfaro non va dimenticata la faziosità e che fu il peggior presidente della Repubblica.Damato, con elegante ironia,  lo ha dimostrato.  g.

DALLA BANDANA AL LODEN SENZA FANTASIA, di Mario Sechi

Pubblicato il 28 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Monti durante l'intervento alla Camera Sarà il governo Monti a liquidare i partiti della seconda Repubblica? A quattro mesi dalla nascita dell’esecutivo dei tecnici possiamo cominciare a tracciare uno scenario. I partiti hanno alzato bandiera bianca e abbandonato la trincea disorganizzata da maggioranza e opposizione. Tutti insieme mestamente nelle retrovie. Le ragioni del dietrofront le conosciamo: numeri scarsi in Parlamento, litigiosità continua, crisi economica galoppante. I tecnici, vista l’età media del governo, appaiono piuttosto arzilli. Il loro problema in fondo non è la durata: scadono nel 2013, hanno un annetto e rotti di legislatura davanti e poi si vota. A quel punto dovrebbero rientrare in campo i partiti. Scrivo mentre sono appena scoccati diciotto anni dalla discesa in campo di Berlusconi. Qualche era geologica fa, secondo alcuni. Ma attenzione, ricordo a chi non ha mai capito niente del Cavaliere (e ha regolarmente perso le elezioni per questo) che il berlusconismo era preesistente a Berlusconi, il quale lo ha interpretato al meglio. L’uomo di Arcore aveva e ha ancora un gran fiuto per gli umori delle piazze. Chi pensa dunque all’archiviazione tout court di una esperienza collettiva come quella fa male i conti. Come dall’altra parte immaginare una sinistra che mastica il polpettone bocconiano dimenticando di avere le proprie origini nella Rivoluzione d’Ottobre è una pia illusione. Pier Luigi Bersani non sarà un grande timoniere, ma come ogni tanto ricorda «è un uomo di fiume» e alla fine non abbocca all’amo. Parliamoci chiaro, la politica è molto più divertente, più vera e in fondo più fedele specchio del Paese di quanto non lo sia un governo di tecnocrati non eletti. Il provvedimento sulle semplificazioni è da Italietta, da pane fresco la domenica per decreto, da Paese low cost che ormai riesce a immaginarsi solo in seconda classe e dimentica di essere la terza economia d’Europa, la fucina dello stile, del lusso e del buon vivere. Siamo passati dalla bandana al loden. Sarà pure sobrio e senza alternativa, ma che tristezza.  Mario Sechi, Il Tempo, 28 gennaio 2012

.…………..Quella del pane fresco la domenica che viene indicata come decisione storica da parte di Monti e compagni è secondo noi la barzelletta del secolo, sebbene siamo appena agli inizi del 21°. Certo non è da poco avere il pane frescxo tutti i giorni, compreso i festivi, magari anche il giorno di Natale e di Capodanno e anche a Ferragosto, ma ci sembra che non era il caso di scomodare per sei ore, innaginate, sei ore!, il Consiglio dei Ministri e i suoi componenti, tutti pensosi uomini di cervello che si sono spremute le meningi per arrivare ad assumere questa decisione, assai complessa,  come l’altra che secondo sempre lor signori  è destinata a semplificare la nostra vita, cioè far scadere la carta di identità mica in un giorno qualsiasi come ora, ma nel giorno del compleanno di ciascuno di noi. Vuoi mettere che scada in un giorno qualsiasi, magari, per fatale dsisgrazia,  nel giorno di nascita del nostro peggior nemico, vuoi mettere che il giorno del tuo compleanno devi solo limitarti a  controllare se l’anno che corre è quello di scadenza della documento di identità.  Vuoi mettere! ? ! Davvero non si sa se ridere o piuttosto piangere, per la disperazione mica per altro, per la disperazione di essere stati affidati ad un manipolo di tecnocrati, da sempre impegnati a fare i c..i loro e mai preoccupati del bene degli altri, quello che retoricamente viene chiamato “bene comune” . Ed è per questo, per la loro totale ignoranza di cosa sia il bene comune che questi superman da cartoni animati   finiscono per considerare bene comune ordinare per decreto ministeriale la vendita del pane fresco la domenica e sempre per decreto ministeriale far scadere di domenica la carta di identità. Sciocchezzuole da uffici del ministero degli interni. Quando si tratta invece di cose un pò più serie, ecco venir fiuori che si deve approfondire, perchè trattasi di cose complesse. Ultima della serie, la questione del valore legale del titolo di studio che si dava per certo sarebbe stato eroicamente affrontata da Monti e compagni l’altro ieri. Invece no, contrordine compagni, avrebbe chiosato l’indimenticabile Giovannino Guareschi: siccome la cosa è complessa (lo era già dai tempi della Costituente e  di Luigi  Einuaidi che vi dedicò alcuni suoi saggi),  ha dichiarato un funereo e sempre più supponente Monti al TGRAI1 di questa mattina, abbiamo  rinviato ogni decisione a dopo un approfondimento della materia,. Oh, bella! E i chiurughi del sapere non erano stati chiamati per decidere, dando per certo che avessero  da lunga pezza già   approfondito tutto e anche di più di tutto? Povera Italia, ti salvi il tuo stellone perchè da Monti e comapagni è difficile che ti possa salvare da sola. g.

CONTRO IL NEORAZZISMO TEDESCO L’ITALIA DICE:NEIN. TUTTI MENO DUE: MONTI E NAPOLITANO

Pubblicato il 28 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Da ieri, almeno per noi, lo spread è sceso e non di poco. La distanza tra la Germania e l’Italia si è accorciata, e non mi riferisco al valore dei titoli di Stato.

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Parlo della consapevolezza che i tedeschi non sono una razza superiore, che noi italiani non siamo il loro zerbino né servi di nessuno. Lo deduco dopo aver letto molti dei commenti recapitati a migliaia al nostro giornale e circolati in rete, da Facebook a Twitter, sul titolo: «Tedeschi, a noi Schettino, a voi Auschwitz», con il quale abbiamo aperto la prima pagina di ieri in risposta allo sprezzante articolo pubblicato dal settimanale Der Spiegel sul fatto che gli italiani, lo proverebbe l’incidente del Giglio, sarebbero una «non razza di codardi».

Il senso del mio articolo era che i tedeschi possono insegnarci alcune cose ma non come stare al mondo. La loro storia glielo impedisce e la devono smettere di fare i maestrini d’Europa perché, indipendentemente dal Pil, hanno seminato solo lutti e disastri. La sorpresa è stata che su questa tesi si è ritrovato un popolo che non ha colore politico ma dignità e senso di appartenenza. E che è stufo di pendere dalle labbra della Merkel e soci. È un buon segno. Perché adesso basta. Non meritiamo di essere declassati da oscure agenzie di banchieri che negli scorsi anni ci hanno imbrogliati e depredati. Non meritiamo di essere sbeffeggiati nel mondo e insultati da giornalisti da salotto, palloni gonfiati dell’informazione. Non meritiamo di essere commissariati da una Europa che nega le radici sulle quali proprio gli italiani, nei secoli,l’hanno prima costruita e poi fatta diventare il centro del Mondo.

Se tutto questo è successo è perché noi italiani glielo abbiamo permesso in nome dell’antiberlusconismo: denigrare l’Italia per colpire l’ex premier. Qualcuno ci ha provato anche ieri, prendendo le parti dello Spiegel. A questi signori, che ci hanno criticato e insultato per aver evocato Auschwitz, vorrei ricordare che la giornata della memoria dell’Olocausto, che cadeva proprio ieri, non è una questione di stile. A rimuovere le responsabilità tedesche nella caccia agli ebrei in nome del politicamente corretto si rischia il negazionismo. A parlare di razza, come ha fatto il giornalismo dello Spiegel, si rischia il nazismo. Non ci pentiamo di averlo scritto, perché, parafrasando la frase simbolo del caso Schettino: Italiani, torniamo a bordo, cazzo. Alessandro Sallusti, Il Giornale 28 gennaio 2012

……………Tutti d’accordo, cazzo! Meno Monti e Napolitano ai quali non passa per la capa di unirsi alle proteste, anzi di capeggiarle. g.

ECCO L’ITALIA DEI SACRIFICI: IL MORALISMO FASULLO DI CELENTANO COSTERA’ A NOI CHE PAGHIAMO LE TASSE SINO A 750 MILA EURO

Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Come già per Benigni, il cachet del Molleggiato sarà esorbitante: 300mila euro a puntata con un tetto massimo di 750mila euro. Alla faccia dei sacrifici per tutti

Adriano Celentano ci sarà. Trecentomila euro a puntata e un tetto massimo di settecentocinquantamila euro. Niente spot pubblicitari, perché il maestro non può essere interrotto dal bieco capitalismo, e blocchi da venticinque minuti.

Adriano Celentano

I termini dell’accordo tra i vertici della Rai e il Molleggiato sono un colpo durissimo. Dopo un lungo teatrino fatto di polemiche, accuse di censura e contrattazioni serrate viale Mazzini ha raggiunto l’intesa con Clan Celentano per riuscire ad avere il cantante al festival di Sanremo. Una presenza che agli italiani costerà oltre diecimila euro al minuto.

Alla fine hanno vinto il Molleggiato e la sua cricca. Un cachet con troppi zero che di sicuro farà imbestialire non pochi italiani. Un cachet con troppi zero come già se ne sono visti per ospiti come Roberto Benigni. Questa volta, però, oltre all’esborso economico Celentano ha messo tutta una serie di paletti che, inizalmente non trovavano il consenso dei vertici di viale Mazzini. Il contratto, oltre ai punti già concordati da tempo come appunto il compenso economico, recepisce l’accordo verbale raggiunto lunedì sera al telefono dal direttore delle Risorse Artistiche Valerio Fiorespino e l’avvocato del Clan Celentano sugli altri punti: dalla massima libertà per il Molleggiato (nel solo rispetto del codice etico) al diktat sugli spot pubblicitari. Insomma, l’intesa comporta solo minime limature dopo l’invio, mercoledì scorso, da parte del Clan a viale Mazzini della bozza definitiva.

“La firma – spiegano fonti vicine alla Rai in una anticipazione della Adnkronos – permette all’organizzazione del festival di arrivare con più serenità all’appuntamento con la conferenza stampa ufficiale del Festival, prevista al Teatro del Casinò di Sanremo martedì prossimo”. Adesso Celentano è stato accontentato in tutto e per tutto. Dopo una settimana di teatrino (con Claudia Mori che accusava la tivvù di Stato di censurare il marito), è stato superato anche l’ostacolo delle interruzioni pubblicitarie separando la prima performance di Celentano da eventuali altri interventi nelle serate successive. Con un piccolo trucco: il primo intervento del cantante milanese sul palco dell’Ariston verrà inquadrato come evento eccezionale e, per questo motivo, non verrà interrotto da alcuna pubblicità. La stessa prassi fu seguita l’anno scorsi per l’esegesi dell’Inno di Mameli fatta da Benigni.

Tutt’altro discorso è stato portato avanti da viale Mazzini per gli interventi che Celentano farà nelle serate successive: questi potranno essere interrotti solo se supereranno i tempi degli intervalli tra un break pubblicitario e l’altro. Tempi che sono comunque corposi: all’incirca 25 minuti. Se da una parte il Molleggiato “schifa” gli spot pubblicitari, dall’altra non disdegna certo i lauti compensi: come già circolato nei giorni scorsi, il Molleggiato percepirà 300mila euro a puntata per un massimo cumulabile di 750mila euro. Una cifra importante, soprattutto se a sborsarla è la televisione pubblica in tempi crisi economica in cui agli italiani vengono chiesti continui sacrifici. Il Giornale, 27 gennaio 2012

…………..Vergogna! Mentre milioni di italiani non ce la fanno più e non riescono a nemmeno più ad arrivare alla seconda settimana del mese per via delle tasse che il govenro dei professoroni  issati sul ponte di comando della sgangherata nave Italia, c’è chi se la ride alle loro spalle, alle nostre spalle! Il molleggiato, il supermoralista da barzelletta, Celentano, ha ottenuto dalla RAI qualcosa come 750 mila euro per le sue apparizioni al Festival di Sanremo, qualcosa come diecimila euro al minuto, diecimila, avete capito bene, al minuto,  per assistere per lo più ai silenzi angosciosi di  un ex cantante trasformatosi in predicatore ma solo dei peccati altrui. Ci piacerebbe che su questo schiaffo alle povertà italiane , ai 12-16 milioni di italiani che non pososno nemmeno più stringere la cinghia perchè anche quella gli è stata pignorata, se non sequestrata,  dai ministri e sottosegretari, tutti superburocrati dello Stato, che ogni giorno se ne inventano una per fingere di fare qualcosa ma che alla fine l’unica cosa che riescono a fare è tassare, tassare, e ancora tassare, facesse sentire la sua voce  il signor presidente della Repubblica e quanti pretendono di rappresentare il popolo italiano. Che anche questa volta dovrà mettersi una mano davanti e l’altra dietro e che avrà come unica consolazione quella di sedersi davanti al televisore per vedere come sperpera i soldi degli abbonati il più vergognoso carrozzone italiano, la Rai, appunto. g.