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NO A RITI DELLA MEMORIA, UCCIDONO L’OLOCAUSTO. LIBRO -CHOC DI ALVIN ROSENFELD

Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

“La morte di milioni è stata trasformata in intrattenimento popolare e in una forma di liturgia teologica, persino in una banale piattaforma di educazione civica”. Alvin Rosenfeld, storico americano dell’Università dell’Indiana e pioniere di fama negli studi sull’antisemitismo, è durissimo con i guardiani della memoria dell’Olocausto. Ha scritto un libro, “The end of the Holocaust”, la fine dell’Olocausto, per denunciare e sviscerare la “volgarizzazione”, la “banalizzazione” e i rischi dietro a questa dittatura della memoria.

Il professor Arnold Ages sul Jewish Tribune ha così commentato il libro: “Manca una categoria fra i premi Nobel, ovvero la critica culturale e intellettuale. Se questa categoria esistesse, l’opus magnum di Alvin Rosenfeld meriterebbe certamente questo premio Nobel”. Nelle pagine del libro ricorre spesso la figura di Anna Frank, la ragazzina di Amsterdam autrice del celebre “Diario” e assurta a simbolo della Shoah. Rosenfeld scrive che Anna Frank è stata oggetto di una “mistica della vittimizzazione”, ne è stata fatta una “santa laica” e un’icona della “bontà umana”. Secondo Rosenfeld, “la continua evocazione di Anne Frank come metafora di altri eventi ha trasfigurato la sua storia fino al punto che è stata privata di ogni base storica”. “Il termine ‘Olocausto’ è diventato plastico e senza significato”, è stato “americanizzato”, perfino “de-giudaizzato”, ovvero svuotato del suo carattere religioso specifico della distruzione del giudaismo europeo. Rosenfeld attacca il film “Schindler’s List” di Steven Spielberg, perché a suo dire descrive “gli ebrei come figure irreali, vittime passive o venali collaboratori”. Rosenfeld riprende qui la critica durissima che anche il più importante e controverso storico della Shoah, Raul Hilberg, rivolse al blockbuster hollywoodiano: “Non è un film sullo sterminio degli ebrei. E’ la storia di una persona, scandita da inesattezze. Ci vuole ben altro per raccontare l’annientamento di un popolo”.

Il libro decritta la martellante “retorica di pubblica e vuota pietà” che ha fatto sì che l’enormità della Shoah venisse alla fine “disumanizzata”. Una memoria vuota, “placida”, universale, facilmente politicizzabile a fini antiebraici. Un tema enucleato anche da “The Holocaust and Collective Memory”, il libro di Peter Novick in cui ha avvertito: “La memoria ha sensibilizzato e desensibilizzato”. Sempre più consistenti gruppi militanti di minoranza (gay, afroamericani, latinos, indiani, senza tetto, animalisti e malati di Aids) si sono appropriati facilmente dell’Olocausto. Secondo Rosenfeld si tratta di operazioni “revisioniste per esprimere il senso di ‘oppressione’ e ‘vittimizzazione’”. Un fenomeno particolarmente evidente negli Stati Uniti: “Il linguaggio dell’‘Olocausto’ è usato da coloro che vogliono attirare l’attenzione sui crimini, gli abusi e le presunte sofferenze che costituirebbero i mali sociali dell’America. Qualunque male che si abbatte su altri esseri umani è diventato ‘un Olocausto’”.

“Più diventa mainstream, più l’Olocausto diventa banale”
, afferma Rosenfeld. “Una versione della storia ancora ricolma di sofferenza, ma una sofferenza senza peso morale, più facile da sopportare”. Nel recensire il libro sul Tablet, Ron Rosenbaum, il celebre storico e giornalista americano autore del “Mistero Hitler”, ha scritto che lo scopo del saggio di Rosenfeld è salvare “l’ebraicità dello sterminio” contro un banale “universalismo” infarcito di frasi come “la barbarie dell’uomo sull’uomo”, che tanto ricorrono oggi nelle celebrazioni della giornata della memoria. “La libertà artistica porta alla corruzione della verità, alla ‘Vita è bella’”, scrive Rosenbaum riferendosi al film di Roberto Benigni.

Secondo Rosenfeld è stata anche compiuta una operazione culturale sui sopravvissuti tesa alla “trasformazione artificiale della vittima in prototipo culturale privilegiato”. Eccolo il paradosso: “Il successo stesso della disseminazione della conoscenza dell’Olocausto nella sfera pubblica può sminuirne la gravità e renderlo più familiare. La storia è stata normalizzata”. Nonostante tutti i musei, i curricula, i libri, i film, i documentari, gli articoli di giornale e le visite guidate ai campi, la memoria dell’Olocausto è diventata “pop”, una sorta di sacrario laico delle buone intenzioni per ipocrite promesse di “never again”. Mai più. “Così fra due generazioni la parola ‘Olocausto’ sarà ancora in circolazione, ma senza riferimenti storici. E’ la fine dell’Olocausto”. Secondo Rosenfeld, la vittima principale di questa operazione è stato proprio lo stato d’Israele. Mai quanto oggi la memoria è disseminata, eppure mai quanto oggi l’Olocausto viene usato contro l’eredità vivente dei sei milioni, il piccolo stato ebraico sotto assedio pre atomico. “La memoria dell’Olocausto, lungi dall’essere una profilassi, è stata capace di provocare nuove forme di ostilità antiebraica. In pochi presero Hitler sul serio. Il risultato fu Auschwitz, un avvertimento per il passato, il presente e il futuro”.Il titolo dell’ultimo capitolo del libro non poteva essere più chiaro: “Un nuovo Olocausto”. Giulio Meotti, Foglio quotidiano, 27 gennaio 2012

A NOI SCHETTINO, A VOI AUSCWITZ, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

Una nota di protesta del nostro ambasciatore a Berlino e nulla di più. Sta passando sotto silenzio l’aggressione all’Italia messa in atto da Der Spiegel: copertina sul caso Concordia e un titolo che non lascia spazio a equivoci: “Italiani mordi e fuggi”, traducibile come “italiani codardi”. Secondo loro siamo tutte persone da evitare, un ostacolo allo sviluppo della moneta unica. Loro sì che sono bravi, “con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza”.

Una nota di protesta del nostro ambasciatore a Berlino e nulla di più. Così sta passando di fatto sotto silenzio l’aggressione all’Italia messa in atto da Der Spiegel, il più importante settimanale tedesco: copertina sul caso Concordia e un titolo che non lascia spazio a equivoci: «Italiani mordi e fuggi» letteralmente, ma traducibile come «italiani codardi».

La copertina di Der Spiegel

Secondo Der Spiegel siamo un popolo di Schettino e non c’è da meravigliarsi di ciò che è successo al largo del Giglio. Di più: siamo tutte persone da evitare, un peso per l’Europa, un ostacolo allo sviluppo della moneta unica.

Loro, i tedeschi, sì che sono bravi, «con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza».

Che i tedeschi siano una razza superiore lo abbiamo già letto nei discorsi di Hitler. Ricordarlo proprio oggi, giorno della memoria dell’Olocausto, quantomeno è di cattivo gusto. È vero, noi italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni. Erano gli ebrei trasportati via treno fino ai campi di sterminio. E nessuno della razza superiore tedesca ha tentato di salvarne uno. A differenza nostra, che di passeggeri ne abbiamo salvati 4.200 e di ebrei, all’epoca della sciagurate leggi razziali, centinaia di migliaia. Era italiano anche Giorgio Perlasca, fascista convinto, che rischiò la vita per salvare da solo oltre 5mila ebrei. È vero, noi italiani siamo fatti un po’ così, propensi a non rispettare le leggi, sia quelle della navigazione che quelle razziali. I tedeschi invece sono più bravi. Li abbiamo visti all’opera nelle nostre città obbedire agli ordini di sparare su donne e bambini, spesso alla schiena. Per la loro bravura e superiorità hanno fatto scoppiare due guerre mondiali che per due volte hanno distrutto l’Europa. Fanno i gradassi ma hanno finito di pagare (anche all’Italia) solo un anno fa (settembre 2010) il risarcimento dei danni provocati dal primo conflitto: 70 milioni di un debito che era di 125 miliardi. Ci hanno messo 92 anni e nel frattempo anche noi poverelli li abbiamo aiutati prima a difendersi dall’Unione Sovietica, poi a pagare il conto dell’unificazione delle due Germanie.

Questi tedeschi sono ancora oggi arroganti e pericolosi per l’Europa. Se Dio vuole non tuonano più i cannoni, ma l’arma della moneta non è meno pericolosa. Per questo non dobbiamo vergognarci. Noi avremmo pure uno Schettino, ma a loro Auschwitz non gliela toglierà mai nessuno. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 27 gennaio 2012

.…………Questa pubblia denuncia di Sallusti non trova riscontro nè sulla carta stampata, cioè gli altri organi di informazione su carta italiani, nè sui siti online di informazione, nè vi ha fatto cenno ieri sera il re dei rimproveri, Bruno Vespa, nel suo programma ieri  dedicato all’Olocausto, nè questa mattina vi ha fatto alcun riferimento  il pur ciarliero Napolitano nel corso delle commemorazioni della Shoao. Poichè non immaginiamo neppure lontanamente che Sallusti se la sia inventata, resta il dubbio  che,  come lo stesso Sallusti scrive,stia passando sotto silenzio una aggressione che ha dell’inverosimile se si pensa che  chi,  prendendo come movente il comportamento del comandante Schettino,  identifica come codardi tutti gli italiani,  sono gli stessi che la storia ha conseganto per sempre nel ruolo dei carnefici di sei milioni di persone ree solo di appartenere ad un’altra razza. Ma se ciò fosse vero, e parrebbe di si, ci si deve domandare il perchè del silenzio assordante e ingiustificato da parte delle Autorità italiane,  e la domanda, per ora senza risposta, induce al sospetto che si tratti di prudenza (talvolta la vigliaccheria prende questo nome!) per non irritare i tedeschi, in primis l’ex tedesco-orientale Angela Merkel,  dipendente pubblica della Germania Est,  rimasta silente sino alla caduta del Muro, nonostante certo le fossero note le uccisioni dei suoi connazionali che tentavano di saltare il fosso dell’obbrobiosa segregazione fisica dal mondo libero e la violenta appropriazione delle vite dei suoi connazionali da parte dell’ onnipresente polizia comunista. Sospetto che se da una parte finisce col dare ragione a chi dalla Germania (pare che l’autore del servizio contro di noi sia un emigrante italiano, originario di Castellamare di Stabbia!) ci accomuna tutti a Schettino, dall’altra ci conferma che il ruolo dell’Italia è ormai quello di serva della Germania. Di qui alla deportazione  coatta nei moderni campi di concentramento non recintati da filo spinato ma dal potere economico è assai breve. Povera Italia, solo il tuo stellone ci può salvare dai tanti pulcinella in circolazione,  tra il Quirinale e Palazzo Chigi. g.

DIMORA DI LUSSO A META’ PREZZO PER I PALADINI DEI SENZA TETTO

Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Sandro Medici, presidente del X Municipio di Roma Piazza Cavour, palazzo d’epoca, quarto piano sopra lo storico cinema Adriano, 150 metri quadrati, posto auto. La lussuosa dimora è stata aquistata nel 2010 al prezzo stracciato di 500mila euro. Poco più di 3.300 euro al metro quadro nel cuore di Prati, uno dei quartieri più chic della Capitale, dove i prezzi degli appartamenti al metro quadro partono minimo da 7.000 euro fino a superare, proprio in piazza Cavour, i 10.000. In questa casa signorile risiede dal 2005 il presidente del X Municipio Sandro Medici (Sel), paladino dei movimenti per la casa nella Capitale, l’uomo che nel 2007 requisì decine di appartamenti ai privati per evitare lo sfratto di altrettante famiglie opponendosi «all’avidità degli speculatori immobiliari che con arroganza vessano fino allo stremo famiglie povere e disagiate». Dal settembre del 2010, dopo 5 anni di affitto, Medici e la sua convivente possono risparmiare sul canone per dedicarsi al pagamento del mutuo di 350mila euro, ereditato dalla società venditrice, di proprietà di un noto impreditore romano particolarmente attivo nel campo immobiliare. Sandro Medici, giornalista e già direttore nei primi anni Novanta del quotidiano comunista Il Manifesto, a forza di combattere l’emergenza abitativa dilagante nella Capitale al fianco dell’amico e leader di Action, Tarzan – al secolo Andrea Alzetta – deve aver fatto tesoro di quelle esperienze «immobiliari». Deve invece aver preso un vero abbaglio l’amministratore della società che ha venduto l’appartamento per una cifra inferiore alla metà del suo reale valore di mercato, lasciando all’acquirente, per il prezzo di mezzo milione di euro, anche un posto per un’automobile nel cortile del palazzo. È più realistico credere che non si tratti di un affare – pur essendolo – ma semplicemente di un considerevole sconto. Per dovere di cronaca, è bene precisare che la compravendita è firmata davanti al notaio dalla signora L.S., con la quale il minisindaco convive come testimoniato anche dalla targhetta sulla cassetta della posta, a nome Sandro Medici.Matteo Vincenzoni, Il Tempo, 27/01/2012

…….Della serie: fai come dico e non fare come faccio. Protaginsita un esponente di SEL, il partito di Vendola, degno emulo del maestro che difende a spada tratta i suoi privilegi economici e di potere, affabulando solo la gente con i suoi discorsi inneggianti al bene comune ma facendo solo il suo. g

LO SCOPRE L’EURISPES: GLI ITALIANI NON HANNO FIDUCIA IN MONTI

Pubblicato il 26 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

L’istituto, ha reso noto  il Rapporto Italia 2012 e   fotografa un Paese stanco e disilluso: solo il 21,1 per cento degli italiani ha fiducia nel governo del Professore

Anche quest’anno l’Eurispes con il suo “Rapporto Italia 2012″ ci scatta un’istantanea e chiude un altro anno. E ritrae tutti noi italiani, con i nostri vizi, le nostre virtù, le nostre abitudini, il nostro benessere, le tendenze, le preferenze, la nostra idea di vita, e l’idea che ci siamo fatti dell’Italia di oggi, di come funziona e di come mal funziona.

Il Parlamento

Un popolo variegato, attivo, e imperfetto. Un popolo sempre e comunque disilluso e sfiduciato anche, e soprattutto, dal punto di vista politico. Se non convinceva il Cav non convince neppure il Prof. E i dati dell’istituto di studi politici lo conferma.

Ecco alcune delle categorie esaminate nel Rapporto Eurispes.

GOVERNO: Il passaggio dal Governo politico di Berlusconi al Governo tecnico di Monti non ha cambiato l’idea dei cittadini, che continuano a non aver fiducia nell’azione politica promossa da chi ci governa, politici o tecnici che siano. Nonostante il favore iniziale dell’opinione pubblica nei confronti del Governo tecnico, i primi provvedimenti in materia economica hanno riportato scontento, malumore e sfiducia negli animi scoraggiati degli italiani. Solo il 21,1% si dichiara fiducioso, il 76,4% dimostra poca o nessuna fiducia e il 2,5% non risponde. In sintesi, l’effetto Monti vale al momento solo il 6% in più nella fiducia degli italiani.

SIGARETTE: Fanno male, ormai lo dicono tutti, dalle mamme preoccupate ai più illustri scienziati, ma il 35,5% degli italiani ne fuma ancora. Il 10,4% ne gradisce una ogni tanto, invece i fumatori più accaniti consumano circa un pacchetto al giorno, ma c’è anche chi ne fa fuori di più. I non fumatori sono invece il 63,8%, in aumento, grazie alla maggior attenzione ai danni provocati dal fumo. C’è chi invece smette di fumare per una questione legata al portafoglio, stufandosi di spendere eccessivamente per un bene nocivo e soggetto a continui rincari. A fumare di più restano i giovani, dai 18 ai 34 anni.

DIETA: O mangiamo meglio o siamo all’ingrasso, ma il 65,1% degli italiani non segue una dieta, che sia dimagrante o purificante, e neanche prima dell’estate. Il 74,8% preferisce la pappa, e della prova costume, proprio, se ne infischia. Meglio dar sfoggio ai rotolini da buone forchette. Ma qualcuno che prima di andare al mare vuole asciugare un po’ la silhoutte c’è ancora, il 26,1%. Più attente, non c’erano dubbi, sono le donne, che si impegnao più degli uomini (65,4% vs 58,1%) a seguire un regime alimentare equilibrato.

CRISI: Colpa della classe politica, non importa di che colore, su questo siamo tutti d’accordo. Per i cittadini la crisi è logica conseguenza all’incapacità della classe politica (52,9%) e della classe dirigente in generale (30,8%).

DIVORZIO: È favorevole l’82,2% degli italiani, almeno a quello breve, cioè alla possibilità di dire fine al “sì, lo voglio” entro un anno dalla fatidica data, ma solo se entrambi i coniugi sono d’accordo e se nel frattempo non sono nati dei figli.

PILLOLA ABORTIVA: Il 58% degli italiani è favorevole all’introduzione della pillola abortiva Ru-486.

GIOVANI ED ESTERO: Questo dato fa preoccupare ormai da tempo, ma ad oggi quasi il 60% dei giovani tra 18 e 24 anni si dichiara ben propenso a spostarsi all’estero, per studiare, per lavorare, per avere un’esperienza di vita più forte o per cercare fortuna.

INTERNET: Ormai fa lo sgambetto alla vecchia tv, e nel tempo libero è il mezzo di evasione più utilizzato. Il 52,6% dei ragazzi tra i 12 ed i 18 anni guarda meno la tv da quando utilizza internet. Solo per il 47,9% la televisione costituisce il principale canale di informazione.

ISTITUZIONI: ll Parlamento tocca il fondo, gli italiani lo “sfiduciano” e solo il 9,5% gli riserva un occhio di riguardo. Il consenso vira dalla parte dei carabinieri (75,8%), della polizia (71,7) e della guardia di finanza (63,3%).

RATE: Sono sinonimo di guai e di un Paese che arretra, ma negli ultimi dodici mesi il 25,8% degli italiani ha potuto fare acquisti proprio grazie ai pagamenti a rate. Soprattutto per elettrodomestici (49,2%), automobili (46,4%), pc e telefonini (25,6%), arredamenti (28,9%), moto e scooter (14,4%). Una modalità di pagamento scelta anche per sostenere le spese mediche.

VACANZE: Il 72,2% ha optato per il taglio delle spese per viaggi o vacanze nel 2011, il 2,2% in più rispetto al 2010.

CENE: Il 56,7% degli italiani rinuncia alla pizza del fine settimana e si mette ai fornelli di casa: gli amici si possono sempre inviatare e intanto si risparmia. Generalmente il 73,1% limita le uscite fuori casa, e quasi il 56% sostituisce il cinema con un dvd.

STIPENDI: Decisamente male: il 27,3% degli italiani non arriva a fine mese; più del 70% non riesce a risparmiare.

TELEVISORI: Il 43,9% degli italiani ne possiede due, c’è chi ne ha tre, il 22,8%, e l’8,6% ne ha quattro ma anche di più.

Il 21% ne ha uno soltanto, poi chi non lo vuole, non lo usa, e non ce l’ha: il 3,1%.

CELLULARI: Quasi la metà, il 47%, ha uno smartphone. Ma la maggior parte, l’81,4% ha un telefonino qualsiasi, con le funzioni base, cioè telefona e manda sms. Il benessere di un Paese si misura anche da queste cifre: il 35,4% ne ha uno, il 25,7% ne ha due, l’11,5% tre e l’8,8% quattro o più.

PALESTRA: IL 62,2% degli italiani non è iscritto. L’attività fisica viene meno alla pigrizia, e a non praticarla o a farlo raramente è il 61,6% dei maschi e il 63,6% delle femmine, senza distinzioni d’età.

ANIMALI: No alla vivisezione: lo dice l’86,3% degli italiani, anche se il 12,1% degli intervistati sostiene l’ammissibilità della vivisezione per fini di ricerca. Ma gli animali domestici sono amati dagli italiani, tanto che il 42% ne possiede uno, se poi li abbandonano come miserabili è un altro par di maniche. Purtroppo non c’è una percentuale che ci ragguagli. Intanto i vegetariani diminuiscono, lo sono il 3,1%. L’amore per gli animali si esprime infine anche nei giudizi sulla caccia, che vede un 76,4% di contrari.

VOTO: Diminuisce la percentuale di chi si astiene del tutto, l’84,1%.

Eccoci: descritti, esaminati, interrogati, siamo noi italiani.

Fonte: Il Giornale, 26 gennaio 2012

FLORIS E I SONDAGGI TRUCCATI

Pubblicato il 26 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Chiunque saltabeccando con il telecomando da un canale all’altro ieri sera sia capitato su Ballarò- Rai Tre, mancando gli unici minuti da tv libera in libero paese (quelli di Maurizio Crozza), deve avere immaginato di trovarsi davanti a un cinegiornale del ventennio. Cerrto Mario Monti non ha il fisico da Benito Mussolini, e anche Corrado Passera è agli antipodi. Fosse stato però per Giovanni Floris glieli avrebbe disegnati di proprio pugno, pur di ritrarli pettorali in fuori a trebbiare il grano o impettiti in stazione a mostrare i treni che arrivavano in orario. Il culmine da nuovo regimetto tv Floris l’ha toccato però alla fine della trasmisisone, quando in coppia con uno stupefacente Nando Pagnoncelli, ha snocciolato quelli che venivano impudentemente definiti sondaggi. Il più clamoroso era fatto di tue tabelle. Prima domanda: “Che cosa le piace di più del governo Monti?”. Seconda domanda: “Che cosa le piace di meno del governo Monti?”. Li ho voluti vedere e rivedere, perchè non potevo credere che la Rai e uno dei suoi conduttori si abbassassero a operazioncine così da regimetto. Ma le domande erano proprio quelle. Non “che cosa le piace di Monti?”, contrapposto a “cosa non le piace di Monti?”, perchè è vietato anche solo immaginare che qualcosa di Monti possa non piacere a qualcuno. Al limite può piacere un po’ meno, ma per forza deve comunque piacere. Mai visto in trenta anni di giornalismo una cosa così. Incredibili anche tutti gli altri sondaggi, che valevano come il due di picche perchè solo alla fine si è compreso che ogni risultato aveva alla base il fatto che il 45%, quasi uno su due, non rispondeva. Siccome si è liberi di non rispondere a Pagnoncelli-Floris, e non è un reato, come si è liberi di votare come si vuole senza confessarlo ai gerarchi del nuovo regimetto, è chiaro che qualsiasi risultato monco di metà degli italiani va preso con le pinze. Non  da Floris, che invece di premettere a ogni sondaggio come era suo dovere che non aveva risposto il 45% degli intervistati, se l’è presa con loro, facendogli pure la ramanzina dalla tv di Stato: “chi non risponde e non decide alla fine non conta nulla. Quindi se si andasse a votare oggi il risultato sarebbe quello deciso dal 55%”. Viva il regimetto, e non preoccupatevi. Tramonterà anche quello…. Franco Bechis, Libero, 26 gennaio 2012

.………….L’abbiamo vista quella trasmissione  che faceva venire il voltastomaco anche a chi ha lo stomaco di ferro. Neppure una parola di critica da parte di Floris al nuovo governo, rappresentato in studio del ministro Passera che, in verità, più che per le parole piene di vuoto che ha pronunciato, incuriosiva per la scioccante bellezza bionda e occhi azzurrissimi  che gli stava alle spalle e che ha provocato una vera e propria caccia alla sua identità  e si è poi scoperto che era lì per conto di Rutelli (nemmeno di vuoto si può dire che fossero  riempite le parole di Rutelli, trite e ritrite, e pronunciate  con l’occhio di merluzzo saettante vero la telecamera) dopo essere stata da quache parte d’Italia candidata di Di Pietro. Ritornando a Floris, neppure una volta che abbia interrotto come era solito fare con i ministri del passato governo le esternazioni di Passera e neppure quelle di Rutelli che del governo in carica si considera e lo è un perfetto ascaro (con tutto il rispetto possibile per gli ascari abissini e somali e libici ed etiopi  che durante la esperienza coloniale italiana fuorno ottimi soldati e fedeli sudditi del Re e Imperatore – quello vero, mica quello arbitrariamente  incoronato recentemente seppure residente nella stesso palazzo dell’altro – e, infine neppure quelle dell’unico oppositore presente, cioè l’ex ministro Maroni anche perchè non se ne avvertiva il bisogno visto che le poche volte che è intervenuto Maroni ha biascicato qualche parola e al più sembrava un pesce lesso pronto per essere servito. Infine i sondaggi. Ha ragione Bechis, oltre che essere formulate male le domande, erano palesemente falsi, visto che il 45% degli italiani  non aveva voluto rispondere o perchè non intenzionato a votare o perchè non vuol dire per chi intende votare, quando e se riusciremo a tornare ad essere una democrazia reale e quindi a votare per eleggere il Parlamento che,a sua volta, dovrà eleggere  il governo, evitando per sempre di attingere alla peggiore burocrazia del mondo, quella italiana, ladra, arrogante, brutale e familistica per scegliere i ministri, i sottosegretari e sopratutto il premier. L’unica  sondaggio che a noi è sembrat se non  vero, almeno verosimile e quello relativo alla domanda: chi sceglieresti come premier del futuro, Monti o il leader del tuo partito? Il 70% degli elettori definitisi di centrodestra hanno risposto che sceglierebbero il leader del proprio partito. Il che vuo, dire che il 70% degli eletttori di centrodestra non digerisce Monti. Una ulteriore riprova che staccare la spina a questo govenro è la cosa che di più conviene al centrodestra, evitando di cullarsi sulle dichiarazioni latte, miele e convenienza che Monti ogni tanto, anche ieri, rilascia a comando: che il suo governo è in continuità con quello precedente. Cosa ovvia, che viene venduta come una prova di lealtà. Se qualcunmo ci crede, o è uno sciocco o è un candidato al riposizionamento che in altri tempi si sarebbe chiamato tradimento. g.

LUCIA ANNUNZIATA PRENDE DUE STIPENDI PER FAR EUN SOLO LAVORO (IN RAI). E INSULTA GLI STUDENTI.

Pubblicato il 23 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

La giornalista ha ottenuto il programma in mezz’ora con una doppia paga: una per averlo creato, l’altra per averlo ideato come format originale

Annunziata Donna Lucia prende due stipendi per fare un solo lavoro. E insulta gli studenti

Che Lucia Annunziata non fosse imparziale lo sapevamo già. Ma che negasse la verità appurata da un tribunale lo scopriamo adesso. Il 19 gennaio la conduttrice di «In mezz’ora» incontra gli studenti di una scuola di giornalismo. Alla fine della relazione, il sottoscritto fa cenno alla superliquidazione che l’Annunziata avrebbe percepito dopo la sua esperienza come presidente Rai nel 2004. A quel punto, la giornalista perde le staffe. «Quella volta Libero prese una sòla. E lei ha fatto una figura di merda, si dovrebbe informare prima di fare domande». Fedele al suo monito, mi sono informato. Il 30 luglio 2004 mio zio, Marcello Veneziani, consigliere uscente della Rai, pubblica su “Libero” un articolo in cui accusa Lucia Annunziata, presidente uscente, di aver stretto un patto segreto con Rai Holding, che le avrebbe garantito dopo le dimissioni un’indennità e una liquidazione di 1 milione e duecento mila euro in due anni. La Annunziata querela l’ex consigliere Rai.

Poi, nella commissione Commissione parlamentare del 7 ottobre 2004, fornisce la sua versione. Il suo trattamento di fine rapporto, dice, è pari a “soli” 48 mila euro. In realtà però, «essendo tale impegno a non dimettersi se non per giusta causa previsto per la retribuzione come Presidente, a lei spetterebbe l’equivalente di 10/12esimi di tale retribuzione». Tradotto: la giornalista avrebbe percepito una liquidazione di almeno 600 mila euro in due anni (i 5/6 del suo stipendio di allora), purché il ministero del Tesoro avesse ritenuto le sue dimissioni motivate da giusta causa. Le cose non vanno così, solo perché «il Tesoro si rifiuta di riconoscere la giusta causa». In compenso Lucia ottiene il programma “In mezz’ora” con una doppia paga: una per averlo creato, l’altra per averlo ideato come format originale. Ma soprattutto la Annunziata non ricorda che il 26-03-2008 il tribunale civile di Roma ha dato ragione a Marcello Veneziani perché «esercitava legittimamente il suo doppio ruolo di giornalista e consigliere d’amministrazione» e «ha respinto la richiesta di risarcimento della Annunziata». Il giornalista, dunque, non si era inventato nulla, “Libero” non aveva preso una sòla e chi scrive non ha fatto una figura di merda.di Gianluca Veneziani, Libero, 23 gennaio 2012

.. ….Ieri la Annunziata ha ricevuto nel suo programma il premier Monti. Per carità, nessuna domanda imbarazzante, nessuna contestazione, nemmeno una risata quando Monti ha confermato l’aumento del PIL dell’11% grazie alle “sue” presunte liberalizzazioni. E ovviamente nessuna domanda sul mancato tagli dei costi delle caste, compresa quella dei giornalisti RAI, come la Annunziata che per un solo lavoro prende due stipendi. Ma forse il secondo lo prende per l’elegante e forbito linguaggio usato incontrando gli studenti  di una scuola di giornalismo ai quali ha lasciato un bel messaggio: chi non è d’accordo con lei fa una figura di “merda”. Anzi, è una “merda”. g.

LA RIFORMA DEI TAXI VISTA DA UN MARZIANO, di Davide Giacalone

Pubblicato il 23 gennaio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Sono appena arrivato da Marte e mi serve un taxi. Non lo trovo, perché sono in sciopero. Siccome sono curioso degli usi e costumi in questa parte del pianeta Terra, cerco di capirne le ragioni. Ed è qui che scopro alcune cose interessantissime, utili a capire il modo in cui s’intende e vive la democrazia, il mercato e la legge in Italia. Il Paese in cui diventa eroe chi lascia passare quotidianamente le navi da crociera laddove d’estate vengono multati i gommoni. I primi cui chiedo sono i tassisti stessi, assiepati numerosi e arrabbiati laddove avrei voluto prendere l’auto pubblica: lavoriamo tutto il giorno, siamo oppressi dal fisco, siamo gli unici imprenditori che non solo non scaricano il costo, ma neanche l’iva dei beni strumentali (la vettura) e siamo arcistufi di essere additati manco fossimo monopolisti del petrolio o del pane. Pensare che la grande battaglia di modernizzazione sia aumentare il numero dei taxi non è fantasioso, ma demenziale. Hanno ragione, cribbio. Poi aggiungono: siamo contrari all’aumento delle licenze, perché, in alcune grandi città, le abbiamo comprate pagandole fino a 200 mila euro, facendo debiti, quindi consideriamo un esproprio sottrarre loro valore. Accipicchia, osservo, le amministrazioni locali di quelle città devono essere ricchissime, se riescono a vendere le licenze a quel prezzo. Ma che hai capito, marziano! Mica le paghiamo ai comuni, le compriamo da un collega. Quindi, ragiono, è proprio il numero chiuso delle licenze a far sì che alcuni s’indebitano e altri s’arricchiscono, senza contare che il commercio privato di licenze pubbliche dovrebbe essere considerato un reato, o, almeno, tale lo considerano in altre galassie. Quindi hanno torto, questi tassisti. Come se non bastasse non solo hanno fatto esplodere petardoni nei centri cittadini, ma hanno anche conciato male un loro collega, reo di lavorare. Il torto tende a farsi marcio. Trascino il bagaglio verso la metropolitana e mi fermo all’edicola. Leggo il titolone: il governo liberalizza le licenze taxi. Ecco un buon governo, penso, composto da gente seria. Poi scorro il testo del decreto e non ci capisco più nulla. Le licenze non verranno rilasciate dai comuni, c’è scritto, e capisco il sott’inteso: i tassisti sono una lobby potente, e anche prepotente, che pesa in ambito municipale, sicché è meglio evitare che siano i sindaci a decidere. Ma così procedendo questi italiani dimostrano di non sapere cos’è la democrazia, ovvero la consegna del potere (ai suoi vari livelli) nelle mani di chi ha maggiore consenso, salvo il fatto che l’operato dell’eletto sarà sottoposto al giudizio degli stessi elettori. Siccome si suppone che quanti cercano un taxi siano più numerosi di quanti lo guidano, ne discende che se la democrazia funziona il sindaco che si mette in combutta con la lobby, e priva i cittadini del trasporto, è destinato a essere cacciato. Funziona così, dove funziona. Qui, invece, ragionano in modo diverso: dato che i sindaci s’inciuciano, passiamo il potere a un organismo centrale. Ma, allora, cancellate anche i sindaci, così risparmiate sui costi e sui nastri da tagliare. E pensare che volevano fare il federalismo fiscale, poi manco le licenze gli affidano. A decidere sarà un’autorità nazionale. Mi viene da ridere: e che ne sanno quelli di quanti taxi ci vogliono in una determinata località? La risposta è nel decreto: lo chiedono ai sindaci. Sembra un sopraffino gioco degli specchi, invece è una superba cavolata che crea l’ennessima struttura burocratica inutile, istituisce una nuova procedura, allunga i tempi delle decisioni, deresponsabilizza tutti, non risolve i problemi (veri) dei tassisti e non sana il mercato nero delle licenze. Il mercato resterà opaco, il numero delle licenze crescerà in tempi lunghi e nessuno ne risponderà agli elettori. In un colpo solo fregano la democrazia, il mercato e la legge. Il tutto ribadendo l’idolatria statalista, secondo cui solo lo Stato sa quanti taxi ci vogliono, solo lo Stato è immune da corruzione. Ove la seconda cosa è più credibile della prima. Ci vuole umorismo, per chiamarla liberalizzazione. Nella metro vedo accanto a me un collega, arrivato da Venere. Anche lui appiedato. Provo a raccontargli quel che ho appena scoperto sui taxi, ma mi accorgo che quello piange. Ha dei lucciconi che gli scendono per le gote. Ti senti bene? Parla a fatica, gli manca il fiato. Digrigna i denti e stringe gli occhi. È in preda ad una ridarella devastante. Capisco a stento le sue parole: guarda qui, singhiozza indicando il giornale, il capo del loro governo, che fa il professore d’economia, sostiene che con quel tipo di decreto il pil crescerà dell’11% (i consumi e l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18 e i salari del 12). Ma sono le ultime parole, poi s’accascia piegato in due a reggersi la panza. E pensare che eravamo venuti nella penisola attirati dall’idea che si facesse solo bunga-bunga. Mai avremmo immaginato un tale sollazzo. Gratis. Davide Giacalone, 23/01/2012, Il Tempo

..…………Ha dimenticato di sottlineare, Giacalone, che l’Autoritànazionale  che sarà costituita per rilasciare le licenze dei taxi  costerà alcuni milionmi di euro l’anno, tra indennità, locali, stipendi al personale  e auto blu,  che più ne riducono più ne mettono in circolazione. Per il resto la lucida analisi del marziano Giacalone sulla liberalizzizione dei taxi pensata come capace di far aumentare il PIL dell’11%  provoca tante risate da riuscire a seppellire anche un totem come Monti. g.

ECCO LA CRICCA DI CARTA CHE “PROTEGGE” NIKI VENDOLA, di Carlo Vupio

Pubblicato il 23 gennaio, 2012 in Costume, Il territorio | No Comments »

Caro direttore, il vostro articolo che denunciava la «cricca di Vendola», è solo uno dei tanti «incroci pericolosi» che vedono protagonista il governatore pugliese.

Nichi Vendola

Nichi Vendola
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A me è capitato diverse volte, mio malgrado, di finire al centro di questo incrocio. Due vicende esemplari aiuteranno a capire meglio.

La prima. Per il mio giornale, il Corriere della Sera , scrivo che la giunta Vendola incarica un consorzio guidato dal gruppo Marcegaglia di realizzare in Puglia alcune discariche, tra le quali una a ridosso di un sito neolitico. Non vengo querelato, né smentito. Ma quando sul litorale di Brindisi viene trovata una finta bomba con un messaggio di protesta per un depuratore non realizzato, Vendola coglie al balzo l’occasione e a reti (Rai) unificate pronuncia una «fatwa » gravissima: dice in sostanza che il mandante morale di quella bomba sono io. Lo querelo. Ma passano due anni e mezzo e non succede nulla. Presento un esposto alla procura generale di Bari, chiedendo che, come vuole la legge, il caso venga avocato dal procuratore generale a causa dell’inerzia nell’esercizio dell’azione penale da parte del pm a cui era stato assegnato.

Improvvisamente, quel pm si fa vivo, tira fuori dal cassetto la querela e dice che deve astenersi perché lei (è una signora) è molto amica di Vendola. Il pm è Romana Pirrelli in Carofiglio (pm anch’egli e senatore Pd). La vicenda finisce dunque sulla scrivania del procuratore capo, Emilio Marzano (ora in pensione, di area Ds), il quale chiede l’archiviazione (ma va?) con una motivazione a dir poco fantastica: «È vero che Vendola ha gravemente diffamato Vulpio dice il procuratore – ma Vulpio lo ha provocato». Sì, hai capito bene, pur non avendo ricevuto querele e smentite, il mio diritto di cronaca e di critica garantito dalla Costituzione è diventato «provocazione». La seconda vicenda si svolge nel pieno dell’inchiesta sui disastri della Sanità pugliese. A Vendola non erano piaciute le cose che avevo scritto sull’argomento.Ma poiché erano cose vere non ha potuto querelarmi, né smentirmi. E allora, interrogato dal pm Desireé Digeronimo, mi tira in ballo senza ragione e con un livore senza eguali, e nonostante sappia bene che sono incensurato, mi definisce «noto diffamatore professionale». L’atto giudiziario viene pubblicato da quasi tutti i giornali e finisce su tutti i siti web. Questa volta, oltre a querelarlo, poiché pure lui è un giornalista, lo deferisco anche all’Ordine dei giornalisti della Puglia.

Sì, lo stesso di cui parlate nel vostro articolo, proprio quello presieduto dalla moglie del capo di gabinetto di Vendola.L’Ordine,esaminati gli atti, archivia. Avrebbe fatto lo stesso a parti invertite, se fossi stato io a definire Vendola «noto diffamatore professionale »? Ah, saperlo… In ogni caso, c’è sempre la querela. Di cui si occupa il procuratore aggiunto di Bari, Annamaria Tosto. La quale chiede l’archiviazione con un’altra,meravigliosa motivazione: sostiene, la pm, che le parole di Vendola non possono considerarsi diffamatorie, poiché il sottoscritto ha subito molti procedimenti per diffamazione (che poi non sia mai stato condannato, è per la pm un dettaglio), dando così a Vendola «licenza di uccidere» con tutte le parole che vuole. Adesso, attendo la pronuncia della Camera di consiglio sulla mia opposizione all’archiviazione.

Intanto, tacciono tutti. Dai «paladini » della libertà di stampa e di espressione alle ronde anti-bavaglio, dall’Ordine dei giornalisti nazionale alla Federazione nazionale della stampa, il cui presidente, Roberto Natali, ha recentemente fatto passerella accanto a Vendola, elogiando i giornalisti che ne elogiano le gesta: l’ Istituto Luce , al confronto, è il New York Times . Carlo Vupio, Il Giornale 23 gennaio 2012

AU REVOIR, STRONZ, di Annalena Benini

Pubblicato il 20 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »

Finché restiamo nello strascico emotivo di De Falco, potremmo anche trovare il coraggio di dire: “Adesso lei sale su quel taxi, accende il tassametro, mi porta fino a casa e vede se ci sono altre donne e bambini che hanno bisogno di aiuto”, naturamente aggiungendo: “Cazzo”, perché senza non c’è pathos, senza ormai non funziona più nulla. Ma potremmo anche guardarci intorno in questi giorni di targhe alterne e niente taxi, e ammettere che Roma non è mai stata così tanto bella. Tranquilla, scorrevole, limpida, panorami a perdita d’occhio, il rumore del Tevere, i gabbiani, le biciclette, le carrozze con i cavalli, le ragazze che camminano veloci (i turisti smarriti con le valigie, la gente che impreca per strada, i loschi tassisti abusivi che perlustrano le stazioni, il Circo Massimo bloccato). Dopo le prime ore di disagio, niente auto bianche su cui dimenticare telefonini, documenti, sciarpe, si inizia a contare il denaro e la cellulite che si risparmia camminando, pedalando, rincorrendo autobus, infilandosi in metropolitana, uscendo di casa prima, facendo l’autostop (la solidarietà esiste, e offre passaggi in auto, in moto, in botticella). In tempo di crisi si prendono a volte decisioni irriflessive, come è accaduto ieri ai tassisti, che al Circo Massimo non hanno nemmeno lasciato parlare i sindacalisti dell’accordo con il governo, li hanno fatti scappare, hanno urlato: “Venduti”, sparso spazzatura e deciso che si sciopera ancora e ancora, anche senza autorizzazione.

Blocco del servizio per acclamazione. E minacce: non ci sarà una protesta, ci sarà la rivolta. In tempo di crisi, allora, si può anche decidere il blocco individuale, non rancoroso e gandhiano di un lusso: nonsalgopiùabordocazzo. Diventiamo tutti maratoneti, ciclisti, facciamo l’abbonamento decennale all’autobus, proviamo il car sharing, selliamo un cavallo, prendiamo lo skateboard, il monopattino, la bici elettrica, la canoa (tutto tranne le navi da crociera, per un po’). E riguardiamo, la sera in cui non potremo uscire perché ci sarà anche lo sciopero della benzina e ci avranno rubato i pattini, “Il tassinaro”, con Alberto Sordi. “Zara87” fa salire Silvana Pampanini, la deve portare all’ambasciata di Francia a piazza Farnese. Silvana Pampanini è tutta truccata, vestita, ingioiellata, il tassinaro la riconosce, le fa un sacco di complimenti, signo’ lei ha fatto il cuore mio a fettine, mo’ mi fa gira’ la testa, io sono molto incline ar cup de fuddre, signo’ sono un suo grande fans fin da quando ero bimbo (lei si irrita e gli dice che quando lui era bimbo lei non era nata e che vuole essere chiamata signorina anche se quelle quattro sgallettate in Parlamento hanno deciso che signorina non si usa più, ma lei si è data tanto da fare per restare libera come la luce, come l’aria, che ci tiene). Poi Sordi fa scendere la diva, si mettono a cinguettare in francese, lei gli fa un autografo sulle diecimila lire della corsa e lui le dice, soddisfatto: “Arrivederci Sylva Koscina, spero di riaverla presto sul mio Zara87”. E lì scatta il vadaabordoeccetera di Silvana Pampanini, che conclude con lo storico “Au revoir, stronz”. E’ un altro slogan possibile per la protesta contro la barricata eccessiva. E adesso vado a cercare un taxi e dico che sono gravemente ferita. Annalena Benini, Foglio quotidiano, 20 gennaio 2012

…………Quella di Annalena Benini è la prima rubrica fissa che leggiamo quando sfogliamo Panorama. In 30 riga, ogni settimana,  questa simpatica giornalista descrive fatti di costume  con arguzia e  sagacia. Questo commento allo sciopero dei tassisti è un pò più lungo delle trenta riga settimanali di Panorama, ma altrettanto arguto.g.

ALLA EX DESTRA SERVE UN LEADER PER RISORGERE, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 20 gennaio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Che fine ha fatto la componente «destra» del Popolo della libertà, quella che un tempo aveva una forte identità di forte minoranza, una grande storia alle spalle e un raggio assai limitato di spazio politico? In ogni società europea e globale c’è un’opinione pubblica di questo tipo e oscilla tra il dieci e il venti per cento della popolazione.

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E in alcune situazioni o con leader speciali, può accadere che diventi prevalente. Da noi quel segmento corposo è stato in larga parte domiciliato nel Pdl, in piccola parte nella Lega e il resto disperso in formazioni minori, fughe nell’altrove o nel buco nero dell’astensionismo.

Per molti anni quella destra fu soprattutto l’Msi, ma oltre il nucleo missino c’era l’area conservatrice e cattolica, un tempo incline a rifugiarsi nel ventre democristiano e poi nel berlusconismo. Finì il tempo dell’Msi, finì il tempo di An, finì il tempo del protettorato finiano. Ora sono inquieti, spaesati, scontenti. Vivono ai margini o nella stiva del centrodestra, scarsamente rappresentati, poco visibili e poco influenti, e con la prospettiva di contare ancor meno quando finirà l’esperienza di questo Parlamento e di alcune amministrazioni locali, a cominciare da Roma. Che farà l’ex-destra, mancando l’alibi monarchico del leader gravitazionale, alias Berlusconi? Si scioglierà definitivamente, sopravviverà in piccoli agglomerati o allo stato larvale dentro il Pdl? E il suo domicilio presente diventerà la sua residenza o il suo loculo?

Partiamo da due considerazioni positive e due negative. Le negative: quell’area non ha più un leader di riferimento. Non per alto tradimento ma per basso intendimento: Fini ha mostrato di essere incapace e di non capire i tempi della politica. Oggi sarebbe stato il più quotato successore… E la sua classe dirigente, già di per sé poco spiccata, è dispersa in tre tronconi: i superstiti del Pdl, i frammenti a destra, il cui meteorite maggiore è Storace, e i seguaci di Fini sbarcati in un algido paesaggio lunare, il Terzo polo.

Le positive: al di là di sigle, etichette, collocazioni, leader, esiste ancora un’opinione pubblica sociale, nazionale, statale e tradizionale delle dimensioni europee prima indicate. Entità irriducibile al liberalismo moderato ma anche al popolarismo. Un’area che può allearsi con questi soggetti, ma non può esaurirsi, sciogliersi in loro. Può seguire i suoi interessi immediati ma non può vivere e votare solo sulla base dei suoi interessi immediati. Seconda notazione positiva: l’anno zero dopo il ciclo berlusconiano, l’assenza di prospettive alternative, il deserto di rappresentanza su alcuni temi cruciali della società globale, giocano a suo favore. Non c’è più un nemico incombente, un comunismo occulto che obbliga a fare diga, intrupparsi nel grande centro moderato ed eclissarsi nella subalternità come il male minore; anzi il governo dei tecnici evoca l’esigenza contraria, di riscoprire la politica e il suo primato.

Cosa resta allora da fare a quella area politica proveniente da destra? Innanzitutto un censimento, poi chiamarsi a raccolta, senza limiti di etichetta e collocazione, in una specie di convocazione generale. E qui coniare un documento di riconoscimento e far nascere una fondazione che agglomeri le realtà preesistenti. Magari con una leadership non politica di garanzia, per evitare che finisca tutto in una partitella pre-elettorale o in una guerra egemonica tra gruppi, caporioni e correnti. Quella fondazione deve darsi visibilità, una voce e un portavoce, proiettarsi in una strategia, selezionare un gruppo dirigente, articolarsi in una galassia di realtà periferiche e settoriali.

Insomma uscire allo scoperto. È naturale la sua collocazione all’interno del centrodestra e il suo riferimento, non esclusivo ma prioritario, nell’attuale Pdl. Poi dovrà seguire attivamente gli sviluppi dello scenario politico, senza escludere nulla: per esempio, se mutano le condizioni, doversi costituire in un movimento autonomo, magari alleato ma sovrano in casa sua. Senza però tornare indietro, inevitabilmente postero rispetto alla destra, ai nazionalismi del secolo scorso, e non riconducibile all’alveo liberale.

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Area comunitaria, nel senso di tutela e promozione delle comunità in ogni grado: famigliare, locale, nazionale, culturale, religiosa, europea.

Rivoluzionaria e conservatrice, al contempo; ma seriamente rivoluzionaria sul piano degli assetti e seriamente conservatrice nel senso della tradizione. Incentrata sull’Italia ma come civiltà, non come nazionalità. Un patriottismo di civiltà, dove la civiltà non è un territorio ma una visione, un network, una rete; locale, nazionale, sovrannazionale. Un movimento che punti all’educazione, alla meritocrazia, all’autorità e al senso dello Stato, nel quadro di una democrazia comunitaria, decisionista e responsabile.

Penso difficile ma non impossibile la nascita di un movimento del genere. E penso che giovi non solo a se stesso ma anche al centrodestra intero. Ma penso soprattutto che serva oggi all’Italia un moto di passione civile che riparta dall’anno zero per dare un passato e un futuro a un presente troppo assente. Marcello Veneziani, Il Giornale 20 gennaio 2012

.…………Veneziani ha messo il dito nella piaga. Dov’è la destra? Chi la rappresenta? Cosa fare per risorgere? Il dibattito è aperto e le speranze non sono morte. g.