NO A RITI DELLA MEMORIA, UCCIDONO L’OLOCAUSTO. LIBRO -CHOC DI ALVIN ROSENFELD
Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume | No Comments »
“La morte di milioni è stata trasformata in intrattenimento popolare e in una forma di liturgia teologica, persino in una banale piattaforma di educazione civica”. Alvin Rosenfeld, storico americano dell’Università dell’Indiana e pioniere di fama negli studi sull’antisemitismo, è durissimo con i guardiani della memoria dell’Olocausto. Ha scritto un libro, “The end of the Holocaust”, la fine dell’Olocausto, per denunciare e sviscerare la “volgarizzazione”, la “banalizzazione” e i rischi dietro a questa dittatura della memoria.
Il professor Arnold Ages sul Jewish Tribune ha così commentato il libro: “Manca una categoria fra i premi Nobel, ovvero la critica culturale e intellettuale. Se questa categoria esistesse, l’opus magnum di Alvin Rosenfeld meriterebbe certamente questo premio Nobel”. Nelle pagine del libro ricorre spesso la figura di Anna Frank, la ragazzina di Amsterdam autrice del celebre “Diario” e assurta a simbolo della Shoah. Rosenfeld scrive che Anna Frank è stata oggetto di una “mistica della vittimizzazione”, ne è stata fatta una “santa laica” e un’icona della “bontà umana”. Secondo Rosenfeld, “la continua evocazione di Anne Frank come metafora di altri eventi ha trasfigurato la sua storia fino al punto che è stata privata di ogni base storica”. “Il termine ‘Olocausto’ è diventato plastico e senza significato”, è stato “americanizzato”, perfino “de-giudaizzato”, ovvero svuotato del suo carattere religioso specifico della distruzione del giudaismo europeo. Rosenfeld attacca il film “Schindler’s List” di Steven Spielberg, perché a suo dire descrive “gli ebrei come figure irreali, vittime passive o venali collaboratori”. Rosenfeld riprende qui la critica durissima che anche il più importante e controverso storico della Shoah, Raul Hilberg, rivolse al blockbuster hollywoodiano: “Non è un film sullo sterminio degli ebrei. E’ la storia di una persona, scandita da inesattezze. Ci vuole ben altro per raccontare l’annientamento di un popolo”.
Il libro decritta la martellante “retorica di pubblica e vuota pietà” che ha fatto sì che l’enormità della Shoah venisse alla fine “disumanizzata”. Una memoria vuota, “placida”, universale, facilmente politicizzabile a fini antiebraici. Un tema enucleato anche da “The Holocaust and Collective Memory”, il libro di Peter Novick in cui ha avvertito: “La memoria ha sensibilizzato e desensibilizzato”. Sempre più consistenti gruppi militanti di minoranza (gay, afroamericani, latinos, indiani, senza tetto, animalisti e malati di Aids) si sono appropriati facilmente dell’Olocausto. Secondo Rosenfeld si tratta di operazioni “revisioniste per esprimere il senso di ‘oppressione’ e ‘vittimizzazione’”. Un fenomeno particolarmente evidente negli Stati Uniti: “Il linguaggio dell’‘Olocausto’ è usato da coloro che vogliono attirare l’attenzione sui crimini, gli abusi e le presunte sofferenze che costituirebbero i mali sociali dell’America. Qualunque male che si abbatte su altri esseri umani è diventato ‘un Olocausto’”.
“Più diventa mainstream, più l’Olocausto diventa banale”, afferma Rosenfeld. “Una versione della storia ancora ricolma di sofferenza, ma una sofferenza senza peso morale, più facile da sopportare”. Nel recensire il libro sul Tablet, Ron Rosenbaum, il celebre storico e giornalista americano autore del “Mistero Hitler”, ha scritto che lo scopo del saggio di Rosenfeld è salvare “l’ebraicità dello sterminio” contro un banale “universalismo” infarcito di frasi come “la barbarie dell’uomo sull’uomo”, che tanto ricorrono oggi nelle celebrazioni della giornata della memoria. “La libertà artistica porta alla corruzione della verità, alla ‘Vita è bella’”, scrive Rosenbaum riferendosi al film di Roberto Benigni.
Secondo Rosenfeld è stata anche compiuta una operazione culturale sui sopravvissuti tesa alla “trasformazione artificiale della vittima in prototipo culturale privilegiato”. Eccolo il paradosso: “Il successo stesso della disseminazione della conoscenza dell’Olocausto nella sfera pubblica può sminuirne la gravità e renderlo più familiare. La storia è stata normalizzata”. Nonostante tutti i musei, i curricula, i libri, i film, i documentari, gli articoli di giornale e le visite guidate ai campi, la memoria dell’Olocausto è diventata “pop”, una sorta di sacrario laico delle buone intenzioni per ipocrite promesse di “never again”. Mai più. “Così fra due generazioni la parola ‘Olocausto’ sarà ancora in circolazione, ma senza riferimenti storici. E’ la fine dell’Olocausto”. Secondo Rosenfeld, la vittima principale di questa operazione è stato proprio lo stato d’Israele. Mai quanto oggi la memoria è disseminata, eppure mai quanto oggi l’Olocausto viene usato contro l’eredità vivente dei sei milioni, il piccolo stato ebraico sotto assedio pre atomico. “La memoria dell’Olocausto, lungi dall’essere una profilassi, è stata capace di provocare nuove forme di ostilità antiebraica. In pochi presero Hitler sul serio. Il risultato fu Auschwitz, un avvertimento per il passato, il presente e il futuro”.Il titolo dell’ultimo capitolo del libro non poteva essere più chiaro: “Un nuovo Olocausto”. Giulio Meotti, Foglio quotidiano, 27 gennaio 2012

Piazza Cavour, palazzo d’epoca, quarto piano sopra lo storico cinema Adriano, 150 metri quadrati, posto auto. La lussuosa dimora è stata aquistata nel 2010 al prezzo stracciato di 500mila euro. Poco più di 3.300 euro al metro quadro nel cuore di Prati, uno dei quartieri più chic della Capitale, dove i prezzi degli appartamenti al metro quadro partono minimo da 7.000 euro fino a superare, proprio in piazza Cavour, i 10.000. In questa casa signorile risiede dal 2005 il presidente del X Municipio Sandro Medici (Sel), paladino dei movimenti per la casa nella Capitale, l’uomo che nel 2007 requisì decine di appartamenti ai privati per evitare lo sfratto di altrettante famiglie opponendosi «all’avidità degli speculatori immobiliari che con arroganza vessano fino allo stremo famiglie povere e disagiate». Dal settembre del 2010, dopo 5 anni di affitto, Medici e la sua convivente possono risparmiare sul canone per dedicarsi al pagamento del mutuo di 350mila euro, ereditato dalla società venditrice, di proprietà di un noto impreditore romano particolarmente attivo nel campo immobiliare. Sandro Medici, giornalista e già direttore nei primi anni Novanta del quotidiano comunista Il Manifesto, a forza di combattere l’emergenza abitativa dilagante nella Capitale al fianco dell’amico e leader di Action, Tarzan – al secolo Andrea Alzetta – deve aver fatto tesoro di quelle esperienze «immobiliari». Deve invece aver preso un vero abbaglio l’amministratore della società che ha venduto l’appartamento per una cifra inferiore alla metà del suo reale valore di mercato, lasciando all’acquirente, per il prezzo di mezzo milione di euro, anche un posto per un’automobile nel cortile del palazzo. È più realistico credere che non si tratti di un affare – pur essendolo – ma semplicemente di un considerevole sconto. Per dovere di cronaca, è bene precisare che la compravendita è firmata davanti al notaio dalla signora L.S., con la quale il minisindaco convive come testimoniato anche dalla targhetta sulla cassetta della posta, a nome Sandro Medici.Matteo Vincenzoni, Il Tempo, 27/01/2012
Chiunque saltabeccando con il telecomando da un canale all’altro ieri sera sia capitato su Ballarò- Rai Tre, mancando gli unici minuti da tv libera in libero paese (quelli di Maurizio Crozza), deve avere immaginato di trovarsi davanti a un cinegiornale del ventennio. Cerrto Mario Monti non ha il fisico da Benito Mussolini, e anche Corrado Passera è agli antipodi. Fosse stato però per Giovanni Floris glieli avrebbe disegnati di proprio pugno, pur di ritrarli pettorali in fuori a trebbiare il grano o impettiti in stazione a mostrare i treni che arrivavano in orario. Il culmine da nuovo regimetto tv Floris l’ha toccato però alla fine della trasmisisone, quando in coppia con uno stupefacente Nando Pagnoncelli, ha snocciolato quelli che venivano impudentemente definiti sondaggi. Il più clamoroso era fatto di tue tabelle. Prima domanda: “Che cosa le piace di più del governo Monti?”. Seconda domanda: “Che cosa le piace di meno del governo Monti?”. Li ho voluti vedere e rivedere, perchè non potevo credere che la Rai e uno dei suoi conduttori si abbassassero a operazioncine così da regimetto. Ma le domande erano proprio quelle. Non “che cosa le piace di Monti?”, contrapposto a “cosa non le piace di Monti?”, perchè è vietato anche solo immaginare che qualcosa di Monti possa non piacere a qualcuno. Al limite può piacere un po’ meno, ma per forza deve comunque piacere. Mai visto in trenta anni di giornalismo una cosa così. Incredibili anche tutti gli altri sondaggi, che valevano come il due di picche perchè solo alla fine si è compreso che ogni risultato aveva alla base il fatto che il 45%, quasi uno su due, non rispondeva. Siccome si è liberi di non rispondere a Pagnoncelli-Floris, e non è un reato, come si è liberi di votare come si vuole senza confessarlo ai gerarchi del nuovo regimetto, è chiaro che qualsiasi risultato monco di metà degli italiani va preso con le pinze. Non da Floris, che invece di premettere a ogni sondaggio come era suo dovere che non aveva risposto il 45% degli intervistati, se l’è presa con loro, facendogli pure la ramanzina dalla tv di Stato: “chi non risponde e non decide alla fine non conta nulla. Quindi se si andasse a votare oggi il risultato sarebbe quello deciso dal 55%”. Viva il regimetto, e non preoccupatevi. Tramonterà anche quello…. Franco Bechis, Libero, 26 gennaio 2012
Finché restiamo nello strascico emotivo di De Falco, potremmo anche trovare il coraggio di dire: “Adesso lei sale su quel taxi, accende il tassametro, mi porta fino a casa e vede se ci sono altre donne e bambini che hanno bisogno di aiuto”, naturamente aggiungendo: “Cazzo”, perché senza non c’è pathos, senza ormai non funziona più nulla. Ma potremmo anche guardarci intorno in questi giorni di targhe alterne e niente taxi, e ammettere che Roma non è mai stata così tanto bella. Tranquilla, scorrevole, limpida, panorami a perdita d’occhio, il rumore del Tevere, i gabbiani, le biciclette, le carrozze con i cavalli, le ragazze che camminano veloci (i turisti smarriti con le valigie, la gente che impreca per strada, i loschi tassisti abusivi che perlustrano le stazioni, il Circo Massimo bloccato). Dopo le prime ore di disagio, niente auto bianche su cui dimenticare telefonini, documenti, sciarpe, si inizia a contare il denaro e la cellulite che si risparmia camminando, pedalando, rincorrendo autobus, infilandosi in metropolitana, uscendo di casa prima, facendo l’autostop (la solidarietà esiste, e offre passaggi in auto, in moto, in botticella). In tempo di crisi si prendono a volte decisioni irriflessive, come è accaduto ieri ai tassisti, che al Circo Massimo non hanno nemmeno lasciato parlare i sindacalisti dell’accordo con il governo, li hanno fatti scappare, hanno urlato: “Venduti”, sparso spazzatura e deciso che si sciopera ancora e ancora, anche senza autorizzazione.
