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VIZIATI E STRAPAGATI, I CALCIATORI PROFESSIONISTI MERITANO SOLO UNA PEDATA_: NEL SEDERE!

Pubblicato il 26 agosto, 2011 in Costume, Economia | No Comments »

Calcio Il simbolo dell’ipocrisia? I calciatori. Eto’o, sbarcato in Russia per giocare con una squadra ignota ma ricchissima, ha detto: non vengo per denaro, mi interessa il progetto. Cosa c’è di più interessante di 20 milioni di euro l’anno? Così i calciatori sciopereranno nella prima di campionato non per dei princìpi ma per avidità.  La contesa è su un ipotetico contratto collettivo. Eppure non c’è atleta che non abbia un procuratore, un ufficio legale e un contratto preciso in ogni dettaglio. Stipendio, premi, bonus per lo sfruttamento dell’immagine, diritti. Tutto è precisato e pagato. Ben pagato. Come non dar ragione al presidente Beretta quando dice degli scioperanti in mutande: hanno retribuzioni da amministratore delegato e vorrebbero diritti superiori a quelli degli operai della catena di montaggio. Eppure dicono che non sono i soldi il problema. Ma allora perché non vogliono assicurare che pagheranno il contributo di solidarietà? Il problema in fondo è questo. Inutile che dicano il contrario. Loro quel contributo in realtà non vogliono pagarlo o comunque vogliono trattarlo con le società. Ma quale categoria ridiscute il contratto per il fondo di solidarietà? Nessuna. A chi verrebbe in mente di andare dal proprio datore di lavoro e dire: questo lo paghi tu? Sai che pernacchie riceverebbe. I calciatori no. Questa classe eletta, persone che guadagnano in un anno quello che molti professionisti prendono in una vita, non si vergognano nemmeno un poco. Chiedono e minacciano. Così il presidente della Federazione gioco Calcio, Abete, arriva perfino a proporre un fondo di 20 milioni messo a disposizione per eliminare il contenzioso. L’intenzione di Abete nasce dalla preoccupazione di disinnescare la bomba dello sciopero. Mettendo sul piatto quei soldi sperava di convincere le società di calcio a firmare l’intesa con la garanzia che non correrebbero il rischio di dover mettere mano al bilancio. Bene ha fatto la Lega calcio a dire no. È una questione di giustizia, di decoro. Se il mercato porta dei giocatori di calcio a guadagnare tanto non siamo qui a scandalizzarci, ma le tasse, giuste o ingiuste che siano le paghino come gli altri. Si immergano nella realtà. Così il tentativo di Abete e gli appelli di Petrucci sono caduti nel vuoto. Lo scopo era lodevole, quello di garantire la partenza del campionato. Il gioco del calcio non è solo divertimento, non è soltanto l’argomento preferito di discussione per milioni di italiani. È una vera industria che muove grandi risorse, un meccanismo che coinvolge le tv e la pubblicità. Ma dare garanzie che nessuno altro ha sarebbe stato un pessimo segnale per il Paese. Un precedente pericoloso. Così resta il braccio di ferro. Per disennescarlo basterebbe che i calciatori, senza ambiguità, si facessero carico di pagare di tasca propria il contributo. Se lo facessero darebbero un segnale forte di responsabilità. C’è un altro punto, più tecnico che alimenta la discussione: la possibilità o meno dei dirigenti di allontare dal gruppo qualche atleta. Ma parliamoci chiaro, questo non significa toccare le retribuzioni. Per il sindacato calciatori non si può isolare una persona dai compagni e farlo allenare separatamente. Ma quanto sono sensibili questi signorini. Si fanno fare dei contratti ricchi, se poi non rendono per quello che sono pagati, non fanno sconti. I soldi li vogliono tutti anche se la domenica vanno alla stadio, ma in tribuna. E se invece rendono di più ecco arrivare i procuratori per reclamare una revisione del contratto, e spesso le società devono cedere. Non hanno difese, nemmeno quello di mettere «fuori rosa». Diritti a senso unico. Solo per loro. Per i più ricchi dipendenti del mondo. Altro che attaccati alla maglia come ripetono con retorica. Sono attaccati solo allo stipendio, e che stipendio. Che scioperino pure. Se lo facessero i tifosi di calcio, quelli che pagano questo baraccone, altro che veline e Ferrari. I ragazzi viziati dovrebbero lavorare. Gli farebbe bene. Giuseppe Sanzotta, Il Tempo, 26/08/2011

.…..E come non essere d’accordo con questo articolo e anche, nonostante tutto, con Calderoli quando,  alle minacce di sciopero dei calciatori professionisti che protestano per il contributo di solidarietrà che non vorrebbero pagare, minaccia di raddoppiarglielo. Questi viziati e strapagati tiratori di calci al pallone che approfittano degli enormi vantaggi economici di cui fruiscono per vivere senza rispetto e decoro per i tanti tifosi che per andarli a vedere  giocare sacrificano  talvolta  elementari necessità familiari, non riescono nemmeno a capacitarsi che quando la corda la si tira troppo può spezzarsi…anche per loro. E allora addio a ville megagalattiche, agli alberghi di lusso, alle vacanze dorate, ai festini a base di ostriche e champagne, alle splendide veline di cui amano accerchiarsi. Per cui la smettano di fare gli schizzinosi, paghino le tasse, giochino senza riparmiarsi, altrimenti siano i tifosi a scioperare. Contro di loro. g

IN POLITICA I SESSANTENNI SI SENTONO IL “NUOVO”

Pubblicato il 23 agosto, 2011 in Costume | No Comments »

Molte circostanze congiurano per rende­re attuale il problema della successione a Berlusconi. Lo rendono attuale, nel colmo di una crisi economica gigantesca, i suoi set­tantaquattro anni; lo rende attuale lo stato di salute fisica e mentale dell’indispensabi­le alleato Bossi; lo rende attuale l’agitarsi sul­la scena pubblica di probabili o possibili del­fini. Come Roberto Formigoni o come Luca Cordero di Montezemolo. Che oppongono alla vecchiezza del regnante la loro vigorosa maturità. In realtà proprio ragazzi non sono nemmeno loro, entrambi hanno passato la sessantina. Ma amano presentarsi come la fresca linfa dalla quale la disseccata pianta della politica italiana trarrà alimento e rigoglio.

Tra i giovani che tanto non lo sono, ma che sembrano addirittura bambini nella loro predilezione per le favole, va messo secondo me Nichi Vendola. Incalzano infine i giovanissimi – come Angelino Alfano o come qualche signora ministra – al cui confronto Tremonti è un matusa e il neo guardasigilli Nitto Palma un rottame. Viene così riproposto al Paese un interrogativo cui è tutt’altro che facile dare risposta. Qual è, per un politico che aspiri a impugnare le più importanti leve di comando, l’età giusta?

La schiera dei giovanilisti è sempre agguerrita e aggressiva. Per ragioni di principio ma anche per motivi personali – se i vecchi non si fanno da parte come riusciranno i meno vecchi a far carriera- molti predicano il cambio generazionale, ci vuole aria fresca, dicono, nel Palazzo, solo così gli ammuffiti rituali d’una politica senescente saranno spazzati via. Sono argomenti, questi, che fanno colpo anche su uno, come me, che dovrebbe aborrirli. La tentazione del largo ai giovani è forte. Ma poi, con lo scetticismo di chi la giovinezza l’ha perduta di vista da un pezzo, ricordo alcune cose. Ricordo che Giulio Andreotti fu, nei governi di Alcide De Gasperi, una quasi imberbe promessa; ma forse era in buona sostanza più vecchio lui del suo protettore, il trentino cui fu consegnata l’Italia quando già aveva sessantaquattro anni (una speranza in più per Montezemolo).

È opinione di tantissimi, me compreso, che De Gasperi sia stato, da veterano della politica ma non del potere, il miglior presidente del Consiglio che la Repubblica abbia avuto. Assieme a lui colloco grandi vecchi della democrazia, citando un po’ a caso. Winston Churchill, Konrad Adenauer, Ronald Reagan. E assegnando ad altra e meno meritevole categoria i grandi vecchi dell’autoritarismo Francisco Franco, Mao, Tito, che tuttavia alla vecchiaia non erano arrivati quando s’erano imposti. La difesa delle capacità di giudizio e che l’anziano acquista per esperienza di vita (ma che possono diventare calcificazione mentale) si fonda dunque su eccellenti argomenti. Ma sarebbe stupido negare o sminuire il fascino – mentale e d’aspetto-della giovinezza.Non fu necessario il raggiungere la tarda età perché un Napoleone, un Cavour (e diciamo pure anche un Mussolini, dotato d’un innegabile carisma e capace di mettere nel sacco l’esperto Giolitti)irrompessero prepotentemente sulla scena. Anche in tempi recenti si sono visti i decolli di esordienti di talento. Come l’ex premier britannico Tony Blair e come l’attuale David Cameron. E poi le speranze deluse, Luis Zapatero in Spagna e Barack Obama negli Stati Uniti.

Sarà una mia maligna sensazione siamo sempre severi verso i contemporanei- , ma non mi pare che gli enfant prodige pullulino nelle camere e nelle anticamere romane. Lo so, i vecchi sono abbarbicati alle poltrone più che l’edera, ma i nuovi virgulti danno anche loro l’impressione di pensare a quello: a una poltroncina o poltronciona cui siano correlati indennità e privilegi vari. La mia conclusione, per quanto riguarda l’anagrafe, è che non contino tanto gli anni quanto le idee, i progetti e la capacità di realizzarli. Ci sono cretini o lestofanti ventenni che tali rimangono strenuamente fino alla soglia della tomba, e onesti servitori dello Stato immuni da tentazioni venali e da manovrette carrieristiche.

Il dramma d’oggi sta a mio avviso nel discredito da cui sono avvolti gli eletti dal popolo. È possibile, anzi è probabile, che tra loro ci siano intelligenze notevoli e doti di carattere ammirevoli. Ma rimangono poco visibili, sono sommerse da un giudizio sommario che nega la sufficienza all’intera dirigenza politica, senza distinzioni di colore. Il recupero dell’economia è arduo, ma non quanto il recupero del prestigio che una classe politica dovrebbe avere e che ha perduto. Il Giornale, 23 agosto 2011.

.…….Ciò che scrive Cervi, che di anni ne ha ben più di Berlusconi, vale per qualunque categoria e mestiere, non solo per la politica. L’essere giovani o vecchi è solo un dato anagrafico, essere bravi o sciocchi, innovatori o conservatori, onesti o lestofanti, nulla ha a che vedere con l’età, semmai con il carattere di ciascuno, la sua formazione, la sua indole. A proposito di  vecchi e di vecchiaia ci piace ricordare ciò che ne disse Hemynguay in un suo romanzo:”non si è vecchi sino a quando i rimpianti non prendono il posto delle speranze”. Ci sono “giovani” che rimpiangono quel che non è stato prima ancora di nutrire speranze per quel che può essere. E ci sono “vecchi” che pur “vivendo come se dovessero morire subito, pensano come se non dovessero morire mai”. Fra i primi e i secondi preferiamo i secondi. g.

LA MANOVRA DI VENDOLA, EROE ANTICASTA? ASSUMERE LA NIPOTE DI NAPOLITANO

Pubblicato il 19 agosto, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Roma – Il precariato questa brutta rogna che qualche leader combatte per davvero, non a ciance. Prendete Nichi Vendola. Anche ad agosto, invece di aprire ricci e cozze in riva al mare, si occupa di lavoro. Eccome se ne occupa. Ha persino raddoppiato la task force sull’occupazione in Puglia (5 esperti che diventano 10) e ha creato un ufficio ad hoc per la sua portavoce, Susanna Napolitano. Tra presidenze illustri ci sarà pure del feeling, ma la parentela è solo un caso, una coincidenza che la bravissima nipote del presidente della Repubblica lavori per il presidente della Puglia. Un governatore che prometteva primavere che però tardano a sbocciare. L’allenatore nel pallone Oronzo Canà ormai lo stacca di molte posizioni nella classifica dei pugliesi più amati da quelli che tweettano, cliccano «mi piace» su Facebook e Youtube. Nichi Vendola, il poeta con la «s» sifula, il governatore nel pallone, è ormai «tallonato» – riporta famecount.com – pure da certa Emma, una salentina che cantava ad Amici (ecco forse Vendola farà un salto dalla De Filippi, come fece Fassino, per ingraziarsi le massaie conservatrici pro domo sua?). «Vendola e la rete, il feeling è più soft» riassume morbidamente il Corriere del Mezzogiorno, solitamente tenero col governatore, che gode di molta stampa amica. Nessuno dei giornali pugliesi ha dato spago all’opposizione in Regione che da qualche giorno mitraglia comunicati stampa sulle ultime «duplicazioni» del mago Vendola. Due raddoppi, come si diceva: quello della comunicazione della regione Puglia, e quello della «task force per l’occupazione», cioè gli esperti chiamati ad aiutare chi cerca lavoro, e che nel frattempo hanno risolto il loro. «Poche migliaia di euro – dice l’assessore di Vendola – per affrontare con professionalità crisi aziendali difficili». Ma il Pdl pugliese fa l’ironico: «Il raddoppio della task force contribuisce direttamente alla soluzione della questione che dovrebbe affrontare…».
L’altra polemichetta pugliese riguarda la comunicazione. Il 3 agosto scorso il direttore dell’«Organizzazione» della Regione Puglia ha vergato una «Determinazione» che «configura» «due uffici non dirigenziali, stampa del Presidente e stampa della Giunta regionale, con il sottoelencato contingente per ciascuno di essi: n. 1 caporedattore, n. 2 giornalisti». Da uno, due. Di nuovo l’ironia del Pdl locale: «Vendola istituisce ex novo un Ufficio stampa, previa onerosa scissione di quello già esistente, tutto e solo per il Presidente, al quale pure non si può dire manchi l’attenzione continua ed adorante dei mass media». I due capiredattori per i due uffici sono già belli e pronti. Chi altri mettere alla guida dell’Ufficio stampa del Presidente Vendola, se non la sua attuale portavoce (già inquadrata come caporedattore a 91.701 euro lordi l’anno), Susanna Napolitano? Che ci va per tre mesi, fino a «disegno normativo ad hoc». Per gli altri 4 posti così creati (due giornalisti per ognuno dei due uffici stampa) invece «si provvederà con successiva disposizione alla copertura dei posti vacanti», chiarisce il dirigente.
Non abbastanza per l’opposizione, coadiuvata in altri casi anche da Idv e Udc, come nel terzultimo «raddoppio», la nomina (del 2 agosto, mese fervido per la Regione Puglia) di sette consulenti per il Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici regionali. Costo: un milione e mezzo in tre anni. E potevano farlo internamente. Chiedere a Vendola? Sarebbe insensato. Come spiegò in un suo appassionante libro, «non sono la persona deputata alle risposte, posso solo allargare l’ambito delle domande». Il Giornale 19 agosto 2011
…………….L’avevamo appena scritto che bisogna ridurre i costi della casta e della politica ed ecco quà la bella notiza: Vendola, esperto predicatore contro i vizi altrui, ha raddoppiato il personale addetto alla comunicaizone e allo studio dei problemi dell’occupazione e tra i prescelti chi ti sceglie? La nipote di Napolitano! Ogni ulteriore  commento è superfluo. g.

BONO, IL “BENEFATTORE” INVESTE SU FACEBOOK E GUADAGNA – PER SE’ – 850 MILIONI DI DOLLARI

Pubblicato il 18 agosto, 2011 in Costume | No Comments »

V
Benefattore sì, ma di sé stesso. Questa volta Bono Vox ha fatto solo i suoi di interessi. E li ha fatti anche bene. Il leader degli U2 nel 2009 ha investito tramite la sua società, l’Elevation partners, 210 milioni di dollari su Facebook. Una mossa azzeccatissima: oggi il social network vale 23 miliardi di dollari e il “cantante benefattore” ha in mano azioni per 875 milioni di dollari, a occhio e croce il quadruplo di quello che ha messo in mano a Mark Zuckerberg appena due anni fa. Un dieci con lode al Bono imprenditore, ma che fine ha fatto il Bono terzomondista? Quello sempre pronto a salmodiare di pelose beneficenze, quello che si fa accogliere come un capo di stato in tutti i paesi del mondo per promuovere l’azzeramento del debito? Lavora a giorni alterni. Il Bono “buono” è operativo i giorni pari, quello “cattivo” (per modo di dire, ovviamente) i dispari. L’11 agosto, infatti, il cantante irlandese inviava al mondo intero un messaggio congiunto con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon: datevi da fare, servono piu’ fondi per aiutare le popolazioni affamate dalla carestia che ha colpito il Corno d’Africa, finora è stata raccolta solo la meta dei 1.600 milioni di dollari chiesti dall’Onu. Pochi giorni dopo la solerte Hillary Clinton apriva il borsellino della Casa Bianca per sganciare altri 17 milioni. Quisquiglie per le casse degli States e pure per quelle del leader degli U2. Specialmente ora. Ottocentosettantacinque milioni di dollari sono un patrimonio ingente, praticamente un anno di Pil di un paese africano come il Gibuti. Un plauso alle doti impreditoriali della Voce di Dublino: ha messo i suoi soldi dove meglio gli pareva (come è legittimo) e ha saputo farli fruttare. Ma, almeno per un po’, ci risparmi le prediche.
.………..Non è una novità che Bono – e come lui tanti altri predicatori coi soldi degli altri – predichi bene e razzoli male. Non è una novità che i telepredicatori – come Bono -  pensino prima a se stessi e poi – sempre con i soldi pubblici – ai derelitti del mondo. Ecco perchè oltre che far voti perchè ci risparmi le solite prediche sui debiti del mondo, è il caso di augurarsi che Bono – con lui tutti quelli come lui – la smettano di far soldi a palate sulle disgrazie altrui delle quali a loro impipa meno di tanto. g.

RICORDO DI FRANCESCO COSSIGA AD UN ANNO DALLA MORTE

Pubblicato il 18 agosto, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Paolo Savona per “Il Messaggero

IL 17 agosto di un anno fa è venuto a mancare Francesco Cossiga. Uomo di grande ingegno e di profonda cultura, era una vera macchina per pensare. La sua scomparsa pesa in questi giorni tormentati. Politico fine, ha percorso l’intera carriera nella corrente liberal-democratica della Dc, da galoppino elettorale a presidente del Consiglio, del Senato e della Repubblica. È sempre stato uomo delle istituzioni, più che di partito, per la sua raffinata cultura costituzionale: egli era libero docente d’antan di questa fondamentale branca del diritto. Ha attraversato l’intera storia della Repubblica italiana; la triste appendice che viviamo gli è stata risparmiata dalla sorte.

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Ha tentato e qualche volta gli è riuscito di affrontare il problema più difficile del Paese, la riforma della pubblica amministrazione, che sta avvelenando la convivenza sociale e strozzando l’economia. Lo Stato si prende metà del Pil, il Prodotto nazionale lordo, e non è ancora soddisfatto. C’è sempre un motivo per cui si deve incrementare il prelievo fiscale, ma pochi per ridurre le spese. È l’unico soggetto che può violare impunemente un contratto: è il peggiore pagatore, ma il più intransigente creditore, anche se si tratta di pochi euro.

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Per la pubblica amministrazione il cittadino è restato sempre un suddito e questo status era mal sopportato da Cossiga, che aveva nel Dna le tracce delle dominazioni subite dalla sua terra, la Sardegna, di cui andava molto orgoglioso. Seguace di Aldo Moro, si è trovato a dover combattere il più subdolo attacco alla democrazia italiana, quello mosso dalle Brigate rosse, ed è restato coinvolto politicamente nel percorso drammatico del suo maestro, dimettendosi da ministro degli Interni dopo l’assassinio dello statista, con un gesto di dignità oggi inconsueta.

L’impegno che ha posto nel comprendere le ragioni dei giovani brigatisti culturalmente sbandati e i suoi legami con i movimenti rivoluzionari europei forniscono un primo spaccato interpretativo della sua cultura politica, che respingeva il conservatorismo e puntava all’elevazione delle classi svantaggiate nelle forme proposte dal riformismo moderato. Si considerava erede di Alcide De Gasperi, per la concezione laica dello Stato e la vocazione europeista, ma sapeva valutare i difetti degli accordi stipulati tra tanti compromessi, lontani dalla razionalità e quindi destinati a impantanarsi come sta accadendo di fronte ai grandi problemi geopolitici.

Da presidente del Consiglio fu l’unico che riuscì a congelare il rapporto debito pubblico/Pil. Si documentava attentamente sui contenuti delle decisioni da prendere e prendeva nota dei pro e dei contro, indicando i motivi per cui sceglieva una soluzione piuttosto che un’altra; questo modo di procedere meriterebbe un attenta considerazione da parte di chi si dedica agli studi politici e storici. Il suo archivio è certamente un tesoro culturale da fare oggetto di prospezione. Si potrebbe partire studiando il messaggio alle Camere che inviò prima delle sue dimissioni anticipate dal massimo incarico della Repubblica.

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Il carattere di Francesco Cossiga, con la sua forte impronta sassarese, ha indotto taluni a considerarlo un politico non del tutto equilibrato, invece di un censore cosciente e responsabile. In un habitat dei media in cui non fa notizia se un cane morde la gamba di un uomo, ma solo se un uomo morde quella di un cane e i media italiani eccellono in questo comportamento egli riteneva che, per essere preso in considerazione, occorresse «fare notizia».

A lui riusciva particolarmente bene, talvolta tra lo sconcerto dei suoi stessi amici: castigat ridendo mores, si può considerare il suo motto. Gli eventi succedutisi nella parte più importante della sua esperienza dalla caduta del Muro di Berlino al ciclone di «mani pulite» lo portarono a connotarsi come un «picconatore» della prima Repubblica, ma le sue esternazioni avevano sempre alla base conoscenze precise che gli derivavano dalla sua ampia rete di relazioni che intratteneva quotidianamente e dall’attenta considerazione del parere di esperti delle materie di volta in volta affrontate, che sottoponeva a domande incalzanti.

L’eredità che ci ha lasciato va ancora correttamente collocata nella storia d’Italia. Non spetta certo agli amici e ai contemporanei pronunciare giudizi su un personaggio così complesso. Questa piccola eccezione è giustificata dal compimento del primo anniversario della sua scomparsa, ma anche dal dovere di sollecitare riflessioni sulla sua opera perché, se è vero che la storia non si ripete, essa è comunque maestra di vita. La vita e l’opera di Francesco Cossiga sarebbero per tutti una fonte preziosa di insegnamento. Tanto più oggi che l’Italia ha perso coscienza della direzione di movimento.

AL SENATO PRESENTI 11 SENATORI SU 326. E GLI ALTRI?

Pubblicato il 18 agosto, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Commento di Mattia Feltri per la Stampa

Mattia Feltri per La Stampa

Una grande domanda: avevano ragione gli undici senatori presenti in aula o i trecentodieci rimasti in spiaggia? Ha dimostrato più senso civico il manipolo di indefessi o più senso pratico l’esercito dei contumaci? Alla fulminea seduta (quattro minuti e trenta secondi arrotondati per eccesso) era giusto partecipare per fare sfoggio di una classe dirigente responsabile e inappetente agli ozi, oppure era giusto stare in panciolle vista l’occasionale e manifesta inutilità di un’aula chiamata a doveri formali e preistorici?

Intanto la notizia: ieri a Palazzo Madama la presidenza (rappresentata da Vannino Chiti del Pd, perché Renato Schifani si ritempra a Porto Cervo) ha informato l’assemblea che il governo ha varato un decreto (la manovra correttiva) il cui testo è stato indirizzato al Senato per la conversione in legge, e di conseguenza sarà affidato alle competenti commissioni (che già da oggi cominciano a spulciare). Fine.

Affari di questo genere, solitamente, si sbrigano in chiusura di sedute più cicciose, come titoli di coda. A memoria, non si ricorda una convocazione di scopo. Comunque stavolta s’è fatto e hanno risposto in undici. Di Chiti si è detto. Poi altri tre del Partito democratico, Mariangela Bastico (di Modena, in viaggio verso la Calabria, ha colto l’occasione e s’è fermata a metà strada e preferiva che tutti i colleghi accorressero), Lionello Cosentino (di Napoli, lì per lì scambiato per Nicola, quello del Pdl, per l’orrore della senatrice Bastico) e Carlo Pegorer (della provincia di Pordenone, da dove è arrivato con mitteleuropeo senso del dovere).

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Poi ce n’erano quattro del Popolo della Libertà, Giacomo Santini (di Trento, già compagno di classe della brigatista Margherita Cagol ma molti lo ricorderanno perché dalla moto del Giro d’Italia si palleggiava la linea con Adriano De Zan, erano gli anni di Francesco Moser, Beppe Saronni e Bernard Hinault), Paolo Barelli (l’unico di Roma insieme col dipietrista Stefano Pedica, e pertanto accolto da travolgenti applausi), Cinzia Bonfrisco (di Riva del Garda, sponda trentina del lago) e Raffaele Fantetti (eletto all’estero, avvocato londinese dal cui ricorso è partita l’indagine che condusse in galera Nicola Di Girolamo).

Due erano dell’Italia dei Valori, Luigi Li Gotti (celebre avvocato di Tommaso Buscetta e Giovanni Brusca) e Pedica (il quale martedì ha girato un indignato video in un Senato deserto, sebbene non si capisca chi dovesse esserci visto che il Senato è chiuso). L’undicesima è Maria Ida Germontani (lecchese e finiana) e corre l’obbligo di segnalare il dodicesimo, che però senatore non è: da sottosegretario all’Economia rappresentava il governo Alberto Giorgetti.

Dunque, ha parlato per due minuti la Bonfrisco, per due e mezzo Chiti, i senatori hanno ascoltato in ossequioso silenzio e stop, per i giornalisti neanche il tempo di affilare le penna (il drappello era invece nutrito: tutti sguinzagliati dietro il medesimo osso, la casta nullafacente). Non farà onore ai parlamentari ma un qualsiasi martedì e un qualsiasi venerdì non raccolgono più presenze di quelle raccolte ieri.

Eppure i presenti non hanno lesinato gli assist fratricidi: Pedica era indignato col latitante Schifani e Santini diceva che la circostanza magari era poco concreta ma il momento meritava solennità (Santini alla buvette ha poi sguainato le competenze: Silvio Berlusconi ha l’intuizione e l’incostanza di Pantani mentre Romano Prodi ha il senso di squadra e la metodicità di Moser).

E alla fine, sbrigata la pratica, è rimasto il tempo per un suggestivo ribaltamento del pregiudizio, destinataria sempre la casta che, dovrebbe averlo capito, di questi tempi come si muove sbaglia: questa bazzecola quanto ci sarà costata di luce? E di aria condizionata? E di mobilitazione commessi? Per non dire degli aerei, andata e ritorno, tutto a carico del contribuente eccetera.

E forse la chiave della giornata era tutta lì: la macchina legislativa a quali norme ottocentesche è vincolata se, per informare col pennacchio un’aula già ipertroficamente informata dell’esistenza di un decreto, il quale decreto dev’essere convertito eccetera, ecco, se per la minuzia bisogna mettere in moto un elefantiaco ramo del Parlamento, non è forse il caso di affacciarsi sul Terzo Millennio e spedirsi un’ufficialissima mail?La Stampa, 18 agosto 2011

L’INCREDIBILE FOLLIA DELLA SPAGNA LAICISTA

Pubblicato il 18 agosto, 2011 in Costume, Politica estera | No Comments »

Papa Benedetto XVI Mentre tutto il mondo cattolico, ma anche ateo, è concentrato su Madrid e la giornata mondiale della gioventù, gli spagnoli cosa fanno? Meglio: la stampa, la radio, la televisione spagnoli, come introducono e commentano l’evento dell’estate 2011, l’evento positivo, l’evento buono, non quello angosciante della distruzione di ricchezza finanziaria e di perdita di certezze professionali, economiche e sociali? Come preparano, dicevo, quel fatto mondiale che mostra la speranza di tanti giovani, giovani che seguono un Papa anziano nella convinzione di ascoltare, attraverso di lui, una parola di amore che viene direttamente da Dio? I media spagnoli hanno preparato la GMG centrati su una preoccupazione. Su una concreta e apparentemente giusta attenzione alle pubbliche finanze: quanto costerà ai contribuenti questa invasione di cavallette cattoliche provenienti da ogni parte del pianeta?
Gli organizzatori hanno garantito che non ci saranno costi perché l’evento è interamente coperto dalle tasse dei pellegrini, dall’intervento di privati e dagli sponsor. Nossignori, si risponde. Perché la Generalità (il comune) di Madrid ha deciso una riduzione dell’80% del prezzo dei trasporti e, di conseguenza, tutti gli spagnoli ci rimetteranno. Perché, piuttosto, invece di dare privilegi ai pellegrini, non si facilita la vita ai disoccupati?
Che dire? La Spagna ha più del 20% di disoccupazione, una crisi morale e sociale devastante, una gioventù allo sbando e, invece di ringraziare la Santa Sede perché, ancora una volta dopo Santiago e Barcellona, sceglie la Spagna a meta di un pellegrinaggio petrino e, quindi, mondiale, invece di benedire Dio perché tutto il mondo guarda alla Spagna con ovvie ricadute a livello di immagine e di promozione, invece di benedire, maledice. Fa parte, diciamolo pure, della follia degli apostati cattolici. Di quelli che, in questi giorni, acquistano credibilità gridando ad alta voce che si vogliono sbattezzare pubblicamente. Quanti sono? Abbastanza per fare notizia. Abbastanza per avere mezzi di comunicazione dalla loro parte. Abbastanza perché i sindacati, rigorosamente di sinistra, dichiarino proprio nei giorni in cui il papa è a Madrid uno sciopero dei trasporti.
Cambiamo pagina e veniamo a Benedetto XVI e alla schiera di pellegrini che riempie Madrid. Strade, piazze, bar, alberghi, parchi: tutto pieno di ragazzi che non si drogano, non si ubriacano, non fanno pubblica esibizione della loro vita sessuale. In una parola, una cosa inaudita. Un mondo di marziani. In tanti hanno risposto alla chiamata del Papa. Con sacrifici, con fatica, con allegria. E la Spagna cosa fa? La Spagna che fu cattolica, granitamente cattolica, assiste in diretta a quel modo di credere, di vivere e di pensare che l’ha resa grande per più di un millennio e che, da quando Napoleone ha riempito le sue città di logge massoniche anticattoliche, ha rigettato. La Spagna evangelizzatrice, come ha gridato ad una folla sterminata Giovanni Paolo II durante la sua ultima visita a Madrid, la Spagna che ha plasmato alla speranza cristiana un intero continente, è oggi costretta, volente o nolente, ad assistere a questa pubblica manifestazione di fede. Di una fede mite, inerme e gioiosa. Chissà che un’eco del passato non raggiunga il cuore di qualcuno e non riapra una finestrella, uno spiraglio, per tornare a guardare a Dio. Per svegliarsi dall’incubo della violenza anticristiana (antispagnola) degli ultimi due secoli, culminato nell’orrore della guerra civile del 1936-39 e rimesso in circolo dalla prassi anticattolica del laicista Zapatero.

Radicalità per radicalità, in Spagna è nato agli inizi degli anni sessanta nelle baracche di Madrid un Cammino di fede per riscoprire la bellezza e la forza del battesimo: il Cammino Neocatecumenale iniziato da Kiko Argüello e Carmen Hernandez. Questo Cammino ha portato in questi giorni centocinquantamila giovani da tutti i continenti a percorrere, prima di arrivare a Madrid, gli itinerari della nostra Europa pagana, sazia, impaurita e disperata. Abitata da soli, vecchi e bambini. Bambini soli con famiglie allargate e vecchi soli senza figli o abbandonati dai figli. Una carovana di evangelizzazione fatta da ragazzi accompagnati dai loro catechisti. Gente che sembra venire dal mondo delle favole o dalla luna. Gente che con la sua sola presenza, con la forza della propria esperienza e della propria fede, testimonia che è possibile vivere in pace un’esistenza piena di senso. Ma di questo parleremo la prossima volta. Angela Pellicciari, Il Tempo, 18 agosto 2011

…………..Sono le conseguenze del governo libertario di Zapatero che si fanno sentire e che sono destinate, purtroppo, a durare a lungo, molto più del breve regno di Zapatero.

A SETTEMBRE SVOLTARE O DIRSI ADDIO

Pubblicato il 17 agosto, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Non ho mai creduto alle promesse del tipo meno tasse per tutti e da tempo non aspetto la rivoluzione italia­na. Coltivavo però una convinzione mi­nimalista: i governi di centrodestra, per­lomeno, non vessano e non stressano i cittadini e non li tartassano. Non ridu­cono le tasse ma almeno non danno mazzate. Oggi mi devo ricredere: certo, la crisi è globale e non è colpa di questo governo. Però se devo subire da Tremonti e dal go­verno le stesse angherie di un governo Prodi o Amato, Visco o Bersani, beh, allo­ra passo alla neutralità assoluta. Cresce il disgusto paritario.

Non ca­pisco il criterio dei sacrifici a chiazze, e non a gradi, feroci e non spalmati: alcu­ne Province soppresse altre no, alcune categorie spremute, altre- pur abbien­ti – no; alcuni rami minori della Casta tagliati, altri no. Allora sposto su altri piani la domanda: se un governo fa scempio delle mie tasche, vorrei che perlomeno mi gratificasse sui temi po­litici e sociali, etici e ideali. Se non tute­la gli interessi, che almeno tuteli i valo­ri.

L’amor patrio e la tradizione, il sen­so vivo della comunità, la difesa dei de­boli, della vita e della cultura, e poi grandi imprese, grandi esempi, gran fervore di idee. Macché, solo l’ombra. E allora se in questo indecente teatri­no su come è meglio affondare, gigan­teggia il modesto Casini e un democri­stiano che giocava nei juniores sem­bra uno statista, beh, allora vuol dire che abbiamo superato la frutta, siamo all’ammazzacaffè. A settembre o cambiate voi o cam­biano gli italiani. Svoltare o dirsi ad­dio. Marcello Veneziani, Il Giornale 17 agosto 2011

.…..Alle domande -riflessioni di Marcello Veneziani ne potremmo aggiungere tante altre ma il finale sarebbe lo stesso: il centro-destra si dia una mossa e sopratutto tenti di parlare una sola lingua altrimenti il popolo che ci ha creduto e forse ci crede ancora finirà collo stancarsi e se non sarà a settembre di certo lo sarà al momento del voto: dirà addio a questo centro destra che riesce a far rimpiangere quello che si identificava con la vecchia DC. Con buona pace di tutti, compreso Bossi del cui acume politico  ormai rimangono solo le ingiurie con cui ricopre avversari e alleati. Questi ultimi peggio degli avversari.  g.

LE TANGENTI ROSSE: “PENATI CHIESE VENTI MILIARDI PER IL PARTITO”

Pubblicato il 3 agosto, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Milano – A questo punto, dopo ave­re letto le accuse circostanziate e devastanti che gli muove uno dei suoi stessi alleati, quel Diego Cotti della lista «Sesto per Penati» che racconta a Panorama di aver rice­vuto una richiesta di venti miliari di lire per sbloccare l’area Falck, una domanda sorge inevitabile: ma perché diavolo la Procura di Monza non ha chiesto l’arresto di Filippo Penati? Perché, di fronte ad una massa di elementi d’accu­sa ben più pesanti di quelli che qua e là per l’Italia spediscono gli indagati al fresco, l’ex presidente della Provincia di Milano nonchè numero uno del Partito Democra­tico al nord, continua ad essere un semplice indagato a piede libero? L’unica risposta che viene dagli ambienti investigativi è che la par­te­più grave dei reati attribuiti a Pe­nati risale a diversi anni fa, e che una richiesta di arresto si sarebbe pertanto scontrata con un diniego del giudice preliminare. «Ma- ag­giungono fonti vicine alla Procura – non è detta l’ultima parola…». Di certo, le nuove accuse contro Penati e il suo braccio destro Gior­da­no Vimercati cambiano radical­mente il quadro dell’inchiesta: perché stavolta a parlare non è un imprenditore in difficoltà come Piero Di Caterina o un rivale politi­co come Giuseppe Pasini, ma un uomo politicamente assai vicino a Penati: tanto vicino da avere affian­cato e sostenuto con una lista la sua candidatura a sindaco di Se­sto. Si chiama Diego Cotti, dirigen­te dell’Associazione industriali del nord Milano, esponente della Margherita ed ex genero di Pasini. Intervistato da Panorama , Cotti è andato giù pesante: come aveva fatto poco tempo prima nel corso di due interrogatori davanti ai pm monzesi che indagano su questa sorta di Tangentopoli rossa. E il suo racconto chiama in causa, ol­tre alla passione di Penati per il de­naro contante, anche il vero co­protagonista di questo scandalo: le Coop, i colossi dell’edilizia di si­nistra che da sempre sostengono finanziariamente i Ds e poi il Pd, e la cui presenza negli appalti era im­posta senza mezzi termini. «Non ti facciamo perdere tempo, ma tu ci devi dare i soldi»:Questo Cotti rac­conta di essersi sentito dire da Vi­mercati, alla presenza di Penati, in un incontro nell’estate del 2000 per discutere del futuro dell’area Falck. Vimercati, racconta Cotti, gli dis­se: «Pasini compera i terreni, li compera di fatto grazie a noi per­ché noi siamo i mediatori in questi affari. Ci riconosca la mediazione che si pattuisce abitualmente. I sol­di servono non solo a noi, la politi­ca ha dei costi, servono per Milano provincia, servono per scalare il partito, servono per Roma». L’in­contro, racconta Cotti, avviene nel Municipio sestese, in piazza della Resistenza. Vimercati parla, Penati assiste in silenzio. Il contri­buto economico, dice Vimercati a Cotti, «serve per Penati, per avere un ruolo più importante nel parti­to ». Vimercati e Penati, insomma, si rivolgono all’alleato Cotti perché il messaggio arrivi a Pasini. E in un incontro successivo, questa volta con il solo Vimercati, Cotti si sente precisare ulteriormente il messag­gio: «Mi disse: l’area Falck la può comprare solo uno che diciamo noi, perché fa parte di un accordo più vasto. La può comprare Pasini, se vuole, perché noi abbiamo ga­rantito che lui è un imprenditore serio e corretto e noi lo possiamo gestire perché è amico mio. Però se fa questa cosa deve coinvolgere le cooperative». Cotti specifica: «Non si riferiva a quelle locali, che infatti si infuriarono, ma a quelle emiliane, la Ccc, perché risponde­vano ad altri meccanismi». Diego Cotti,nell’intervista a Pa­norama , spiega anche come dove­va avvenire il pagamento: «All’ini­zio si pensò alla costituzione di una società di consulenza che fat­turasse il denaro, ma poi l’idea ven­ne scartata. A questo punto mi fu detto da Giordano Vimercati che di questa cosa non mi dovevo più occupare perché l’avrebbe segui­ta Piero Di Caterina. Di questa estromissione fui ben lieto». Il rac­conto, insomma, coincide perfet­tamente con quelli di Pasini e Di Caterina, gli altri testi chiave del­l’indagine su Penati. E proprio per­ché i tre pezzi del domino vengo­no messi a verbale da persone as­sai distanti l’una dall’altra, l’ipote­si di un complotto a base di calun­nie – cui si sta disperatamente ag­grappando la difesa di Penati- ap­pare sempre più difficile da soste­nere. Ma non è solo la posizione perso­n­ale di Penati ad uscire appesanti­ta da questa svolta dell’indagine. C’è il passaggio dell’intervista di Cotti in cui si dice chiaramente che, secondo Vimercati, una parte dei miliardi non doveva fermarsi né a Sesto né a Milano, ma viaggia­re verso la Capitale, verso le casse nazionali del partito: «Servono per Roma», avrebbe detto il brac­cio destro di Penati. Dove,all’epo­ca, esistevano ancora i Ds, guidati da Walter Veltroni.
…..Si attende la solita bischerata romagnola di Bersani a commento dell’ulteriore sviluppo dell’inchiestra di Sesto San Giovanni che definitivamente distrugge il falso mito della diversità dei comunisti, ex o post che siano. g.

IL PALADINO DELLA CASTA E’ FINI CHE HA SALVATO I VITALIZI DEGLI EX PARLAMENTARI

Pubblicato il 3 agosto, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

La difesa della casta è qualco­sa di politicamente molto scorretto, adesso. E chissà, Gianfranco Fini non ha calcolato forse il rischio di esporsi «a gamba tesa», come accu­sa l’Italia dei Valori, a tutela dei privi­legi. All’ordine del giorno dell’Idv, che chiedeva di abolire per sempre il vitalizio dei deputati, il presidente della Camera ha risposto con uno stop: «inammissibile». Non è possi­bile, ha detto,perché è«incostituzio­nale ». Non ha calcolato Fini in che guaio è andato a infilarsi con questo «no» scandito in ufficio di presiden­za. l’Italia dei Valori ha subito annun­ciato di non votare il bilancio inter­no della Camera, ma soprattutto questo rifiuto all’abolizione del vita­lizio, privilegium privilegiorum , ri­suona davvero come una mossa da rappresentante integralista della ca­sta, e non certo come un comporta­mento da buon riformatore dei vizi di palazzo. E poi non è bastato che Fini abbia correttosuccessivamente: volevadi­re, cioè,che l’idea dei dipietristi è otti­ma, ma che non può valere per la legi­slatura in corso, quanto «per il futu­ro ». Tanto più che l’Italia dei Valori l’ha rosolato a puntino tirando fuori un ordine del giorno identico sulla cancellazione dei vitalizi, presenta­to dallo stesso deputato (Antonio Borghesi) un anno fa, e che non ave­va avuto nessun rifiuto pre- aula, ma era stato discusso nell’emiciclo,sal­vo essere affondato, come immagi­nabile, da più di quattrocento «no». E dunque, perché Fini ha tirato fuori ora la storia dell’incostituzionalità ora e non nel 2010? Insomma, è facile parlare di tagli alle saponette dei bagni e alle auto blu, ma se si va a pizzicare i vitalizi do­rati, nemmeno il fondatore di Futu­ro e Libertà riesce a combattere il ri­chiamo della casta. Va detto che in uf­ficio di presidenza, composto anche da quattro vicepresidenti, tre questo­ri e otto deputati segretari, nessuno l’ha contestato,tutti i rappresentan­ti dei gruppi presenti hanno lasciato correre, ma «la scelta gravissima», per l’Idv,è soprattutto quella di Fini. Nell’ordine del giorno si chiede «la soppressione immediata di ogni forma di assegno» denominato ap­punto vitalizio, di cui un deputato può godere con soli cinque anni di mandato, al compimento dei 65 an­ni di età (60 in relazione alla durata del mandato), e di «destinare la me­desima quota dell’indennità parla­mentare alla gestione separata pres­so l’Inps». Si propone in sostanza di equiparare, almeno da questo pun­to di vista, un deputato a un cittadi­no normale. Secondo i promotori, questo intervento garantirebbe un risparmio per la Camera di circa 100 milioni di euro l’anno. Ogni parlamentare versa mille e sei euro al mese per il vitalizio. La pensione-premio va da un minimo di 2.486 a un massimo di 7460 euro al mese, circa il triplo di quella percepi­ta dai colleghi europei. La precisazio­ne succes­siva di Fini è stata una retro­marcia che ha solo complicato le co­se: la scelta sull’ordine del giorno del­l’I­talia dei Valori è stata fatta conside­rando il metodo, «ovviamente pre­scindendo da qualsiasi giudizio di merito che potrà, (e a mio avviso do­vrà) esserevalutatodalleforzepoliti­che attraverso conseguenti iniziati­ve legislative». Il metodo sarebbe appunto l’inter­vento anche sugli assegni in corso, coneffettoretroattivo, perché, haob­biettato Fini, «in contrasto con i prin­cipi generali posti dalla giurispru­denza della Corte Costituzionale». Ma a Fini si potrebbe obbiettare che l’ultima manovra economica, per esempio, è intervenuta sulle pensio­ni in essere, nel caso dei tagli a quelle superiori ai 90mila euro, e quindi non sarebbe uno scandalo attuare fin da subito il taglio all’assegno per­petuo, tantopiù che l’ultima relazio­ne annuale dell’Inps dice che la me­tà delle pensioni percepite dagli ita­liani è sotto i 500 euro. «Altro che metodo!- è stata la repli­ca conro Fini del capogruppo del­­l’Italia dei Valori Massimo Donadi ­L’ordine del giorno dell’Idv è stato re­spinto per la paura d­i sostenere le cri­tiche dell’opinione pubblica nel boc­ciarlo »,in aula,qualora fosse andato al voto e non fosse stato congelato prima, come è invece avvenuto. In serata il questore della Camera Anto­nio Mazzocchi (Pdl) ha poi chiarito che«l’ufficio di presidenza di Monte­citorio ha deliberato la sostituzione dell`attuale istituto del vitalizio a de­correre dalla prossima legislatura, con un nuovo sistema previdenzia­le, analogo a quello previsto per la ge­neralità dei lavoratori ».Insomma,la stangata degli assegni perpetui ri­guarderà i prossimi parlamentari. E sarà affare del futuro presidente del­la Camera. Emanuela Fontana, Il Giornale, 3 agosto 2011
……L’articolo non ha bisogno di commenti. Si sa che Fini è solito predicare bene e razzolare male. Specie quando in campo ci sono i suoi personali interessi. Perchè è lui il primo che, destinato come Bertinotti a sedere ai giardinetti dopo la fine dell’attuale legiuslatura,  vedrebbe sfumare benefici e vantaggi e quindi si  preoccupa di tutelare il suo “futuro”. Intanto si ha notizia che la Regione Lazio ha “affossato” la delibera con cui si intendevano  coprire  d’oro i dirigenti dell’Ente: ora della delibera nessuno si dice padre e nemmeno orfano. Semplicemente hanno tentato e il colpo non è riuscito. Per cui …alla prossima. g.