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LA PERQUISIZIONE AL GIORNALE: “STATO DI POLIZIA, CENSURA”. ANCHE IL PD S’INDIGNA

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Dure le reazioni della politica alle perquisizioni ordinate dai pm romani nella redazione romana del nostro quotidiano e nell’abitazione privata della nostra giornalista . Indignazione anche da sinistra. Severe critiche da Merlo (Pd) e Giulietti (Articolo 21). Nucara parla di “stato di polizia”. L’ordine dei giornalisti del Lazio: “Un provvedimento che sa di censura

Per una volta si indignano anche a sinistra per la perquisizione a casa e in redazione della cronista del Giornale, Anna Maria Greco. “È una strana perquisizione quella avvenuta nella sede del Giornale. Del resto, le perquisizioni nelle sedi dei giornali sono sempre inquietanti e preoccupanti, qualunque giornale sia. Ma nello scontro sempre più violento e radicale tra la politica e la magistratura, non credo che debbano pagarne le conseguenze anche i giornalisti. Comunque, le perquisizioni nelle redazioni dei giornali sono sempre una brutta pagina per la democrazia e per la libertà di in formazione” dice Giorgio Merlo, Pd, vice presidente Commissione Vigilanza Rai. Dalla stessa parte anche Giuseppe Giulietti, di Artciolo 21: “Le perquisizioni nella sede dei giornali non ci piacciono mai e dunque non ci piacciono neppure quelle nella sede de il Giornale. Allo stesso modo tuttavia non ci piace né il metodo Boffo né quello Bocassini e tanto un meno un conflitto di interessi che diventa manganello da sbattere sulla testa di chi non piace al presidente del consiglio editore. Forse le perquisizioni, per essere efficaci, dovrebbero svolgersi in altri palazzi e non in redazione”.

Cicchitto attacca “Ho già avuto modo di dire che sono contrario a ogni speculazione sulla vita privata, sia che investa con centinaia di intercettazioni Berlusconi, sia che riguardi rivelazioni su episodi personali riguardanti la Boccassini” dice Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. “Detto questo, però, il meccanismo investigativo che oggi colpisce così duramente il Giornale, in quanto tale, e la giornalista Anna Maria Greco è del tutto inaccettabile e gravissimo, poiché rappresenta un autentico attentato alla libertà di stampa che deriva chiaramente dalla logica aberrante dei due pesi e delle due misure. In passato, infatti, di fronte a plateali violazioni del segreto istruttorio non c’è stato (salvo rare eccezioni) alcun intervento della magistratura. Del tutto inusitato, al limite dell’incredibile, è il trattamento riservato ad un membro del Csm, che non credo abbia precedenti nella storia della Repubblica. Più in generale, è ancor più incredibile il ben diverso trattamento riservato da un lato al Giornale e dall’altro alle testate di opposta collocazione politica”.

Nucara parla di stato di polizia “Si perquisiscono le abitazioni dei giornalisti. Si intercettano i cittadini e si inibiscono i politici. Le libertà non contano nulla. Siamo a un passo dallo stato di polizia” dichiara il segretario del Pri, Francesco Nucara, commentando la perquisizione dell’abitazione della nostra Greco e della redazione de Il Giornale. Nucara esprime inoltre “piena solidarietà” alla Greco.

L’ordine parla di censura “La perquisizione nella sede di un giornale lascia sempre l’amaro in bocca perché sa di censura, di limitazione al diritto di cronaca”. Così Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma commenta il fatto del giorno. “Un’altra perquisizione nella sede di un quotidiano. Non è la prima, né purtroppo, sarà l’ultima. Stavolta ne ha fatto le spese il Giornale, ‘reo’ di aver pubblicato una notizia che aveva un suo fondamento di verità. Dov’è il peccato? – chiede Tucci – Dove la scorrettezza? Quale tipo di reato hanno commesso i colleghi?. Qui non è in gioco né la destra, né la sinistra. Né la maggioranza o l’opposizione – conclude -. È in gioco la libertà di stampa che in un paese civile e democratico non può mai essere messa in dubbio”.

I senatori del Pdl La notizia della perquisizione nell’abitazione della cronista del Giornale e nella redazione del nostro quotidiano dopo la pubblicazione di documenti riguardanti il pm di Milano, Ilda Boccassini, ha suscitato un coro di proteste dei senatori del Pdl. “Un’iniziativa scandalosa. Le perquisizioni al Giornale della procura di Roma per aver pubblicato un articolo sugli amori boccacceschi della dottoressa Boccassini dimostrano ancora una volta l’atteggiamento vessatorio di una certa magistratura” protesta il senatore Achille Totaro mentre il vicecapogruppo Francesco Casoli parla di “intimidazioni degne della peggior dittatura comunista” nei confronti dei cronisti del Giornale invocando analoghe azioni della magistratura verso “quei giornalisti di testate di sinistra, perennemente impuniti, che passano regolarmente notizie e fango su indagini su Berlusconi”. Secondo il senatore Cosimo Izzo, “è partita la caccia contro chi si oppone al potere delle procure rosse” e “le perquisizioni sono una chiara intimidazione alla libertà di stampa e al diritto di cronaca. Mentre dalle pagine dei giornali di sinistra – sostiene Izzo – è consentito rovesciare vagonate di fango sul presidente Berlusconi in spregio a qualsiasi segreto istruttorio, il Giornale viene violato per aver scritto di una vicenda vecchia e datata”. “Chi tocca la magistratura di sinistra muore” sostiene la senatrice Laura Bianconi che si chiede “come mai questo stesso rigore non sia stato utilizzato per altri giornali, come la Repubblica, il Fatto o l’Espresso che per settimane hanno pubblicato notizie coperte dal segreto istruttorio”.

……………Il presidente Napolitano che pare stia soffrendo per lo scontro sempre più eclatante tra le istituzioni,  perchè non interviene per fermare l’azione devastatrice di certa magistratura che è invasiva e perniciosa delle altrui lenzuola e quando si tratta delle proprie innalza la baionetta? Tra l’altro, presso il CSM i carabinieri per ordine della Procura di Roma hanno apposto i sigilli agli uffici del consigliere del CSM leghista Brigandi accusato di essere stato la talpa che avrebbe passato alla giornalista del Giornale le notizie sullla azione disciplinare cui fu sottoposta 30 anni fa la PM Ilde Boccassini. E ove pure così fosse, neanche un segreto atomico rimane tale dopo 30 anni. Del resto, perchè  sappiamo tutto di tutti ma non possiamo sapere della Boccassini e dei suoi amori giornalistici? g.

CASO RUBY: IL COLLOQUIO IMMAGINARIO TRA LA PM BOCCASSINI E BERLUSCONI, di Vittorio Sgarbi

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

“Le nostre coordinate sono la le­galità, l’obbligatorietà dell’azio­ne penale e l’uguaglianza dei cit­tadini di fronte alla legge in un quadro di Stato di diritto”. Sono parole del procuratore generale di Milano Manlio Minale. Pren­diamole per buone. E valutiamo le circostanze. Il reato di cui deve rispondere il presidente del Consiglio, e lui solo, è prostituzione con una minorenne.

Alcune intercettazioni, vaghe, affiancate ad altre relative a un clima di disponibilità sessuale di alcune maggiorenni, potrebbero dare consistenza a questa ipotesi di reato. Ma è evidente a tutti, con riferimento al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge proclamato da Minale, che Silvio Berlusconi non è l’unico maggiorenne che avrebbe potuto avere rapporti sessuali con Ruby. Alcune esplicite telefonate fanno riferimento a «clienti» e a pagamenti per prestazioni.

Dunque vi sono altri attori di questo reato e altri, numerosi, indagabili. Vi risulta che sia stata aperta un’inchiesta, in nome della conclamata «obbligatorietà dell’azione penale»? Eppure non sarà impossibile, e neanche difficile, attraverso utenze telefoniche e testimonianze, risalire ad altri «clienti» della minorenne, ovvero ad altri supposti criminali. Qualcuno dirà: ma il presidente del Consiglio ha telefonato in questura per aiutarla, scoprendo il suo interesse. Peggio, osserveremmo gli altri che l’hanno usata senza aiutarla. Infatti Ruby non solo non ha denunciato Berlusconi, ma lo ha liberamente e spontaneamente assimilato alla Caritas, intendendo che le aveva fatto soltanto del bene. Se, quindi, da una parte lui nega d’aver avuto rapporti; dall’altra lei lo riconosce come benefattore, dov’è il reato?

O dovremo pensare che se suor Rita Giarretta e le suore Orsoline del Santo Cuore di Maria, che gridano contro Erode, aiutano e assistono una giovane, che si mostra loro riconoscente, possono rischiare di essere indagate dalla Boccassini? Allo stato,l’apparente paradosso vede una vittima che non si sente tale, e per difendere la quale si apre un’inchiesta. Ma non è giustizia, converrà Minale, quella che fa pagare a uno, scelto per avversione politica, le colpe di molti, evidenti, dimostrabili e protetti dall’azione penale per una evidente ipotesi di corruzione, o di omissione di atti di ufficio della magistratura inquirente. In termini tecnici quella che si impone a Silvio Berlusconi non è una azione giudiziaria, da cui altri sono miracolosamente preservati (pur essendo i loro nomi certamente registrati e identificabili nei tabulati telefonici), ma una ordalia.

Si chiede a Berlusconi di dimostrare che ha fatto quello che non ha fatto, in una prova del fuoco, «per un giudizio di Dio» che vede e sa ciò che gli uomini non vedono e non sanno. Nell’ordalia milanese (e quindi di discendenza longobarda) l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato vengono stabilite sottoponendolo a una prova dolorosa o a un duello. È esattamente quello che sta accadendo con lo sputtanamento mediatico e la continua esortazione a presentarsi ai giudici per farsi processare in un duello senza esclusione di colpi e con vergognose intercettazioni di conversazioni private e di sfoghi di ragazze Somma iniuria .

È questo il passaggio ritenuto obbligatorio per mostrare il rispetto delle regole, requisito necessario per un uomo di Stato. Così dichiara, per esempio, il liberto berlusconiano Pisanu, e però lui, come altri, sembra dimenticare un principio cardine della Costituzione e l’indipendenza e l’autonomia dei poteri. E come può essere garantita, perduta l’immunità parlamentare, quando un potere, arbitrariamente decide di prevalere e di incriminare? Dico arbitrariamente perché l’inchiesta si apre su uno e non su altri possibili responsabili dello stesso reato, facendogli scontare la differenza: incrimino te, in quanto presidente del Consiglio, gli altri non mi interessano. Evidente discriminazione. Evidente abuso, evidente violazione dell’autonomia del potere esecutivo.

Cosa vuol dire: «Berlusconi chiarisca la sua posizione davanti ai magistrati ». Quale posizione? Quella è già chiarita, da una parte e dall’altra, con inequivocabili testimonianze. Non si vuole che Berlusconi chiarisca, si vuole da lui un atto di sottomissione. Da lui, come presidente del Consiglio, chiamato davanti a un tribunale supremo, in evidente contrasto con l’autonomia dei poteri prevista dalla Costituzione. Non importa quello che Berlusconi dirà. Si pretende che, in nome del popolo italiano, egli si presenti. Lo si vuole spogliare della sua dignità politica di presidente del Consiglio e di deputato per ridurlo a imputato, meno uguale degli altri che imputati non sono e non sono stati.

La loro «posizione» non interessa. La magistratura vuole avere il dominio del campo, giocare in casa. Il rito ben conosciuto da Berlusconi che lo ha applicato nei rapporti con gli alleati, invitandoli a discutere e a trattare sempre a casa sua. Per il «dominio del campo» appunto. Tutti sono andati a casa sua, Casini, Fini, Bossi, Dini, Mastella e anche Martinazzoli, Segni. In sedi parallele e alternative a Palazzo Chigi (Arcore, Palazzo Grazioli), anche ministri e presidenti della Camera e del Senato; lui non è mai andato a casa loro. Conosciamo le dimore del presidente del Consiglio, non quelle dei suoi alleati ministri. Allo stesso modo i magistrati lo vogliono nel «loro» palazzo.

Per dargli ordini, per controllarlo in spazi definiti e conosciuti: «Imputato alzatevi!». E a quali domande dovrebbe rispondere o, persino, avvalersi della facoltà di non rispondere? Possiamo immaginare l’interrogatorio. Ilda Boccassini: «Declini le sue generalità ». L’imputato: «Silvio Berlusconi nato a Milano il 29 settembre 1936».
I.B : «Professione?». S.B : «Capo del governo». I.B : «Lei conosce detta Ruby? ». S.B : «Sì». I.B : «Le risulta che fosse minorenne al tempo del vostro primo incontro?». S.B : «No. Mi disse di avere 24 anni». I.B : «Ha fatto sesso con lei pagandola?». S.B : «No. Non l’ho toccata e aggiungo che era alta 15 centimetri più di me. L’ho ammirata danzare, come Salomé. Capisco le ragioni di Erode ma anche quelle del Battista». I.B : «Non avete mai avuto rapporti sessuali». S.B : «Mai». I.B : «Risultano però versamenti a suo favore. Come li giustifica?». S.B : «Sono regali, manifestazioni di generosità e di affetto. Come ai miei figli.D’altra parte, Ruby, come altre, potevano tranquillamente lavorare in trasmissioni televisive con regolare contratto, come alle “Pupe e i secchioni”e a “Uomini e donne” e, finite le registrazioni, venire con il loro agente a visitare il famoso e ammirato proprietario delle televisioni, come fa qualunque attrice con il produttore. Amicizia, divertimento, non sesso». I.B : «E perché telefonare alla questura per fare liberare Ruby?». S.B : «Per informarmi. Avendo il dubbio che fosse congiunta di Mubarak, mi preoccupai di impedire un possibile incidente diplomatico come quello occorso tra la Svizzera e la Libia dopo l’arresto a Ginevra del figlio di Gheddafi ». I.B : «Altro da dichiarare?». S.B : «Non ho capito di quale reato sono chiamato a rispondere». Questo, all’incirca è l’andamento dell’interrogatorio per offrire chiarimenti tanto cari a Pisanu. Difficile che possa venire fuori di più; e quello che Berlusconi potrebbe dire già lo sappiamo, ma dopo gli infiniti insulti, la mortificazione e l’umiliazione di ragazze che speravano, motivatamente, di poter lavorare in televisione, di avere trovato attenzione e protezione (senza essere in alcun modo prostitute, come sono state ingiustamente considerate), dopo le insostenibili oscenità di Giuseppe D’Avanzo, le ricostruzioni di serate di festa come orge, la demonizzazione del clima da discoteca senza particolari eccessi (abbiamo dimenticato la situazione nella quale fu trovato Lapo Elkann?), occorreva la sottomissione per manifesta condotta viziosa. Sono di Berlusconi ovviamente, gridando allo scandalo. In fondo c’è sempre qualcosa di sordido nel sesso. Ma non si discute quello di Mapplethorpe, Pasolini, Bacon, Withkin, Vendola. In questo caso riservatezza e rispetto della vita privata. D’altra parte si chiama privata. In un’altra intervista non immaginaria al membro del Csm e già procuratore della Repubblica di Venezia Vittorio Borraccetti abbiamo letto. D: «In questi anni l’abbiamo vista sempre impeccabile in giacca e cravatta nel suo ufficio. Com’è Borraccetti nella vita privata?». R: «Proprio perché è privata preferisco non parlarne. Solo una cosa le rivelo. Non amo molto le cravatte, preferisco le polo». Berlusconi in privato ascolta e fa ascoltare l’«Uccello di fuoco» anche alla sedicente nipote di Mubarak. La sua presenza gli ha incendiato la casa. È stata esplosiva. Oggi l’Egitto brucia.E supremo paradosso Mubarak salva Berlusconi. Fonte: Il Giornale, 1 febbraio 2011

PERQUISIZIONI AL GIORNALE:

Pubblicato il 1 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Il territorio | No Comments »

A disporre le perquisizioni il pm di Roma Silvia Sereni. Il reato sarebbe abuso d’ufficio. Ma l’articolo pubblicato (leggi qui) conteneva solo sentenze pubbliche del Csm. Indagato per abuso d’ufficio il consigliere di Palazzo dei Marescialli Brigandì, che commenta: “Non ne so nulla”. Il direttore Sallusti: “La perquisizione non solo è un atto intimidatorio, ma una vera e propria aggressione alla persona e alla libertà di stampa”. Il Cdr denuncia: “Aggressione pervicace e violenta”. Pochi mesi fa le altre perquisizioni per l’affaire Marcegaglia

- L’irruzione dei carabinieri. La normalità sconvolta. La scena è quella abituale, la vittima ancora una giornalista de Il Giornale. Dalle 9 sono in corso alcune perquisizioni nell’abitazione romana della cronista Anna Maria Greco. A disporle il pubblico ministero Silvia Sereni e, a quanto risulta, il provvedimento è stato ordinato per la presunta violazione dell’articolo 323 del codice penale, quello relativo all’abuso d’ufficio. Sotto la lente della magistratura l’articolo pubblicato giovedì 27 gennaio “La doppia morale della Boccassini”. Un nuovo tentativo di mettere il bavaglio alla libertà di informazione e al Giornale in particolare dopo le perquisizioni di pochi mesi fa al direttore, Alessandro Sallusti, al vicedirettore, Nicola Porro, e alla redazione milanese del quotidiano per l’affaire Marcegaglia.

I carabinieri hanno fatto irruzione a casa della giornalista intorno alle 9: hanno sequestrato il computer di Anna Maria Greco e persino quello del figlio della cronista. Perquisizioni sono in corso anche negli uffici della redazione romana del Giornale.

“Per l’ennesima volta la casta dei magistrati mostra il suo volto violento e illiberale” è il primo commento del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti. “La perquisizione nell’abitazione privata della collega Anna Maria Greco, autrice dell’articolo che conteneva sentenze pubbliche del Csm, non solo è un atto intimidatorio, ma una vera e propria aggressione alla persona e alla libertà di stampa. Stupisce che soltanto le notizie non gradite ai magistrati inneschino una simile repressione quando i magistrati stessi diffondono a giornalisti amici e complici atti giudiziari coperti da segreto al solo scopo di infangare politici non graditi”.

Il Comitato di Redazione de Il Giornale  ha subito stigmatizzato “la pervicace e violenta aggressione della magistratura dispiegatasi, questa volta, attraverso le perquisizioni” nell’abitazione della collega Greco e nella redazione romana del quotidiano. “E’ un’intimidazione sia verso le libertà individuali indisponibili della nostra collega sia verso la libertà di stampa, anch’essa diritto costituzionalmente garantito – scrive il Comitato di redazione – si tratta di un attacco all’indipendenza di questo quotidiano che il Cdc non intende più tollerare”. Nell’esprimere la solidarietà e la vicinanza alla Greco, che non è indagata, e alla sua famiglia, “violate fin nella loro più profonda intimità solo per aver esercitato il diritto-dovere di informare i cittadini”, il Cdr denuncia “l’ennesima ingerenza nell’esercizio della nostra professione”. “E’ un atto intollerabile che deve far riflettere tutti, il mondo dell’informazione in particolare, sulla divisione dei ruoli e delle responsabilità“, conclude la nota del Cdr che condanna “con fermezza lo sfregio arbitrario delle garanzie costituzionali e non verrà meno alla tutela della dignità e della professionalità di tutto il corpo redazionale”.

“Non se ne può più″. Il segretario generale della Fnsi Franco Siddi denuncia duramente le perquisizioni di questa mattina: “Nello scontro politica-magistratura non possono essere chiamati a pagare i giornalisti se danno notizie, ancorch‚ su di esse e sulla loro valenza in termini di interesse pubblico, ciascuno possa avere opinioni diverse“. Siddi ha parlato di un’azione “assolutamente incomprensibile” e “pesantemente invasiva”.

Il consigliere laico del Csm, Matteo Brigandì (in quota Lega) è indagato dalla procura di Roma. Il fascicolo, affidato al pm Sereni e al procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, ha preso le mosse da una segnalazione ufficiale arrivata a piazzale Clodio trasmessa dallo stesso Consiglio superiore della magistratura. L’ipotesi di reato rubricata nel fascicolo è quella di abuso d’ufficio. Brigandì, secondo l’accusa, avrebbe passato documenti interni a Palazzo dei Marescialli alla giornalista che ha poi redatto l’articolo sul procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini. “Non ne so nulla, e quindi non ho niente da dire” così Brigandì risponde a chi gli chiede un commento. “Ovviamente non sono stato io – aveva detto la scorsa settimana dopo notizie di stampa che lo accusavano di aver chiesto lui il fascicolo al Csm – e se qualcuno sostiene questa cosa ne risponderà nelle sedi legali possibili. Ho chiesto al Csm una serie di documenti, compreso quel fascicolo, che ho letto per un quarto d’ora e poi ho restituito” aveva precisato Brigandì, che aveva anche annunciato di aver scritto una lettera al vice presidente Michele Vietti per chiedergli di “far luce” sulla vicenda.

………….Ecco la doppia morale e la doppia legge applicata dai magistrati italiani a tutela di se stessi. Quale grave colpa avrebbe commesso la giornalista e il giornale per essere oggetto di perquisizioni quasi fossero mafiosi e terroristi. Solo quella di aver rispolverato una vecchia stroia che riguardava  la PM milanese che si occupa del caso Ruby nell’ambito del quale sono stati intercettate e spiate decine di persone ree di frequenìtare la casa del premier.A  costoro, colpevoli o meno,  la  privacy è stata violentata e sputtanata a più non posso su tuti i giornali che hanno ricevuto copia delle intercettazioni prima ancora che fossero a disposizione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Copione già visto si dirà, certo!, copione già visto,  forma squallida di malcostume che al di là del processo penale, se e quando si farà, per cui persone che secondo la Costituzione sono innocenti in  virtù del principio della presunzione di innocenza che è alla base della nostra ormai vecchia e superata civiltà del diritto, vengono letteralemente stuprate nella loro dignità e nella dignità delle loro famiglie che mai nessuno ripagherà quando dovesse essere acceertata, come spesso è accaduto nel passato, la innocenza o la estraneità. Ricordiamo un caso, La figlia di Alessandro Necci, ex capo delle Ferrovie italiane, finito nel tritacarne della giustizia, fu letteralemtne massacrata dai mass media che pubblicarono le  intercettazioni delle sue telefonate con Pacini Battaglia, altro ormai dimenticato protagonista di tangetepoli. Che c’entrava la figlia di Necci? Nulla, salvo che aveva una storia, del tutto normale anche perchè libera e maggiorenne, con Pacini. Chi ha mai pagato per quelle intercettazioni? Chi è stato chiamato alla sbarra per quelle inutili diffamazioni? Chi ha mai chiesto scusa a quella persona? Nessuno.  Non solo. Chissà perchè nel nostro paese nessuno sa chi abbia diffuso le intercettazioni ch essendo corpo di reato e sottoposte a segreto istruttorio sono affidate, formalmente, al magistrato inquirente. Eppure quando le intercettazioni escono, centinaia, talvolta migliaia di pagine, pare che la cosa avvenga per opera dello Spirito Santo e non di persone, fisiche, che, almeno in teoria, dovrebbero essere facilmente individuabili. Invece accade che la cosa non riguardi nessuno. Non  nel caso invece della giornalista de Il Giornale che ha osato, ecco, osato, pubblicare il resoconto di una azione disciplianre cui fu sottoposta la PM di Milano che si occupa di Ruby. Apriti cielo! Il CSM,  ha immediatamente segnalato la cosa alla Procura di Roma che essendo , come è noto,   priva di attività da svolgere, ha mandato i carabinieri in casa della giornalista de Il Giornale a perquisirle anche la biancheria intima e visto che c’era anche il pc del figlio, e poi li ha mandati a perquisire la sede romana del Giornale per trovare le “prove”. Di che? Della violata privacy del PM di Milano che non è uguale agli altri cittadini. E’ un gradino più su e mentre può rovistare fra le lenzuola di chi le pare, a nessuno è consentito di rovistare fra le sue. Questo è il regime. Il regime dei giudici. Poveri noi. g.

IPOCRISIE IN TOGA, di Filippo Facci

Pubblicato il 29 gennaio, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

Ieri è stato inaugurato l’anno giudiziario, cerimonia che ogni anno che passa appare sempre di più una specie di rito funebre in memoeria di quella che fu la Giusitizia in Italia. Ieri il PG della Cassazione ha ribadito lo sfascio della giustizia in Italia e però ha ribadito la necessità del riserbo. Ecco il commento di Filippo Facci, opinionista fuori degli schemi.

Tanto varrebbe abolirle, queste pompose cerimonie dense di solenni auspici dei quali i destinatari se ne fregano regolarmente. È tutto l’anno, che è giudiziario: quello politico, istituzionale, mediatico, quello che in realtà viene inaugurato a settembre e dovrebbe essere officiato solennemente da tutti i suoi protagonisti: presenti i magistrati – certo – ma anche i politici, e i ministri, i giornalisti, i conduttori televisivi, insomma tutti gli attori del serial che prosegue da una vita. Berlusconi con la Boccassini, Santoro con Di Pietro, Bocchino con Ghedini: dovrebbero intervenire tutti alla cerimonia tra frizzi e lazzi, strizzando l’occhio al pubblico come per dire: vi faremo divertire anche quest’anno, a però anche quest’anno, ahinoi, scusateci, saremo costretti a rinviare l’ordinaria amministrazione di un Paese, la normalità democratica,  l’equa divisione del poteri, queste cose.
Ormai è surreale che si celebri questa messa mentre attorno scoppiano le granate: sembra l’ora del te chiamata in mezzo a un’orgia cannibalesca. Non c’è da prendersela con Vitaliano Esposito, il procuratore generale della Cassazione cui è toccato aprire la cerimonia e ripetere stancamente sempre le stesse-stesse-stesse cose: che la giustizia è al fallimento, che i tempi della giustizia eccetera, che manca questo e quest’altro, che l’organico bla bla. Ma lui queste cose deve dirle, fa soltanto il suo dovere, no? Ed è per dovere, chiaro, che anche quest’anno ha ripetuto la nenia del «dovuto riserbo» cui le toghe dovrebbero attenersi, e chi non lo fa «non si rende probabilmente conto che una notizia o un giudizio da lui riferita o espresso, data la funzione svolta, assume una rilevanza tutt’affatto diversa da quelli provenienti dalla generalità dei cittadini». E già, il problema è che il magistrato non se ne rende conto: ecco perché «al riserbo», ha detto il procuratore generale, «non sempre i magistrati si attengono». Davvero? Gli risulta questo? Tranquilli, il solito colpo al cerchio precede il solito colpo alla botte: «Questo non vuol significare una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Costituzione a tutti i cittadini; si vuol solo segnalare la necessità di riserbo, equilibrio e prudenza, ai quali deve essere improntato il comportamento dei magistrati anche fuori dall’esercizio delle funzioni».

Oh, dopo queste parole cambierà certamente tutto. Sono parole identiche a quelle ripetute come mantra a ogni Anno giudiziario, ma chissà, magari è la volta buona. E non dite che stesse riferendosi alla Procura di Milano e allo storico colabrodo che rende superfluo, ormai, separare l’irrilevante dal penalmente rilevante, le inchieste dai processi, i colpevoli dai prosciolti: è chiaro che non parlava di Boccassini e company. Sentite questa, per capirci: «La giustizia non ha bisogno di audience, ma di fiducioso rispetto», perché «desta perplessità» la partecipazione a talk show dove si ricostruiscono delitti alla «ricerca di una verità mediatica diversa da quella processuale». E ancora: «il Diritto non si applica nel dibattito sui media», altrimenti si incorre in «sanzioni disciplinari». Anche queste parole sono state pronunciate all’inaugurazione dell’Anno giudiziario: ma a quello dell’anno scorso. E l’anno scorso, poi, il ritornello fu lo stesso: è chiaro che non ci si riferiva a questo e quello, si parlava in generale. Cioè a nessuno, come quest’anno e come sempre: sono vacue dichiarazioni d’intenti che fotografano soltanto, nelle forme e nei toni,  la sacralità con cui la magistratura ammanta la propria separatezza dalla realtà. È il trionfo delle parole separate dai fatti, com’è sempre accaduto e come pure accadrà anche ’stavolta. I magistrati italiani, negli anni, hanno detto ogni cosa, fatto ogni piazzata, diffuso ogni cartaccia, scaldato ogni platea possibile scatenando le più varie reazioni: e mai una sola volta sono stati seriamente incolpati e puniti. Non lo sono stati per l’azione disciplinare promossa infinite volte dai ministri guardasigilli degli ultimi vent’anni, figurarsi se si è mai mosso seriamente il Csm. Cane non mangia cane, magistrato non punisce magistrato: però, ecco, fanno dei bellissimi discorsi alle aperture degli anni giudiziari.

Di importanti e sterili raccomandazioni pronunciate in occasioni analoghe, andando indietro negli anni, se ne trovano quante ne volete: e tutti ogni volta ad annuire, come no, certo, bravo, ha ragione. Seguiva qualche titolino di giornale. La reprimenda più dura, a proposito di paventati illeciti disciplinari,  forse rimane quella del 1994 a opera del procuratore generale presso la Corte Cassazione Vittorio Sgroj. Sentite un po’: «Ogni giorno», parole sue, «si assiste a una serie di condotte che, se non provenissero da magistrati che vanno spesso sui giornali, potrebbero interessare i titolari dell’azione disciplinare … In Italia esistono magistrati intoccabili che possono aver acquisito una immunità disciplinare per aver acquistato benemerenze. Mi chiedo quanto il titolare dell’azione disciplinare possa ritenersi libero di esercitarla senza essere accusato di ritorsione». Non male, considerando che era il 1994 e che Vittorio Sgroi , dato il suo ruolo, era peraltro il titolare dell’azione disciplinare. I giornali titolarono: «In Italia esistono magistrati intoccabili». E quali? È semplice, dati alla mano: tutti. Se poi sono milanesi, vabbeh. Filippo Facci

29/01/2011

LA CASA DI MONTECARLO: I GIUDICI DIFENDONO FINI

Pubblicato il 28 gennaio, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

di Andrea Indini

Dopo la tempesta il silenzio. Non una parola. Da Santa Lucia sono arrivate le carte che provano che Giancarlo Tulliani è il proprietario della casa di Montecarlo. Ma dal presidente della Camera, Giancarlo Fini, neanche un cenno di risposta. D’altra parte non ce n’è bisogno. A rispondere ci ha pensato la procura di Roma che si è schierata in difesa del leader Fli proprio quando anche il Corriere della Sera ha rotto ogni indugio e ha chiesto nel fondo di Sergio Romano le dimissioni dalla presidenza di Montecitorio. I pm romani hanno infatti definito “irrilevati” i documenti di Santa Lucia. In realtà, il problema non cambia. Gli italiani si aspettano ancora che Fini mantenga fede alla promessa fatta il 25 settembre: “Se dovesse emergere che la casa di Montecarlo è di Tulliani, allora mi dimetterò″.

Al tempo il Giornale era stato accusato di dossieraggio. Al tempo si diceva che l’affaire monegasco altro non fosse che una montatura. Al tempo si accusava il nostro quotidiano di inseguire fantasmi in estate, quando le notizie scarseggiano. I colonnelli del Fli avevano addirittura puntato l’indice accusandoci di una macchinazione creata per demolire Fini. I fatti ora dimostrano il contrario. Da Santa Lucia sono arrivate le carte (autentiche) che provano che “le società off shore coinvolte nella compravendita della casa monegasca sono di Giancarlo Tulliani”. Ora è tutto nero su bianco. L’inchiesta è chiusa. Avendo fatto parte di Alleanza nazionale, politici come Maurizio Gasparri sono così costretti a prendere atto che “quel patrimonio non è stato sempre utilizzato nella maniera appropriata”. Ad accorgersene c’è pure Romano che sul Corsera si interroga sul ruolo del presidente della Camera partendo da quel 25 settembre 2010 in cui proprio Fini “disse che se la casa, venduta dal suo partito, fosse risultata appartenere al fratello della sua compagna, non avrebbe esitato a dimettersi”. Ma le dimissioni tardano ad arrivare.

Il video parla chiaro. E ora che le prove ci sono il leader di Futuro e Libertà difficilmente potrà evitare di farci i conti. Secondo Romano, infatti, “corriamo il rischio di impelagarci in una situazione in cui le sorti di una delle maggiori cariche istituzionali italiane dipendono da fattori estranei alle esigenze della vita politica nazionale”. In realtà, non corriamo il rischio. E’ già così. Un problema che da alcuni mesi a questa parte i parlamentari di Pdl e Lega chiedono allo stesso presidente Fini di affrontare in un dibattito aperto in Transatlantico. Dibattito che l’ex An ha sempre censurato. Da quando Fini si è messo fuori dal partito e dal governo, infatti, il suo ruolo è divenuto incompatibile con le sue funzioni istituzionali. “Certi sdoppiamenti sono da evitare – si legge sul Corriere – ma i regolamenti parlamentari  non permettevano di obbligarlo alle dimissioni e la prova di una promessa dipende, dopo tutti, dal modo in cui è mantenuta”. Uno sdoppiamento a cui il capogruppo del Fli, Italo Bocchino, non crede: “Fini è membro del Parlamento e come tutti ha il diritto di chiedere le dimissioni del premier. E’ invece assurdo che il capo del governo chieda le dimissioni di chi presiede un istituzione che difende l’operato del Parlamento”.

Il silenzio di Fini è giustificato. Non ha bisogno di difendersi. Ci pensa la procura di Roma a “stracciare” le carte inviate da Santa Lucia. Nelle deduzioni che hanno accompagnato la trasmissione degli atti al gip che dovrà pronunciarsi sull’opposizione alla richiesta di archiviazione delle posizioni di Gianfranco Fini e di Vincenzo Pontone, i pm romani fanno sapere che il contenuto degli atti inviati dal governo di Santa Lucia circa la titolarità delle società off shore che si sono succedute nella proprietà dell’immobile di Montercarlo ereditato da An nel 1999 “appare del tutto irrilevante circa il thema decidendum“. Non importa se nelle tre pagine arrivate dal paese caraibico emergerebbe che Tulliani è il titolare delle società Printemps Ltd, Timara Ld e Jaman directors Ltd. Nelle deduzioni inviate al presidente dei gip Carlo Figliolia, che il 2 febbraio esaminerà l’opposizione alla richiesta di archiviazione, la procura di Roma ribadisce “la richiesta di archiviazione” dal momento che mancano “elementi costitutivi dell’ipotizzato delitto di truffa”.

Tuttavia anche Romano invita Fini a “chiedersi se le circostanze gli consentano di esercitare questa funzione nel miglior modo possibile”. Secondo il governo e la maggioranza la risposta è “no”. Lo dimostra l’impasse che si è venuta a creare nel Copasir, dove con un colpo di mano Fini è riuscito a dare la maggioranza all’opposizione. Lo dimostrano le secche e ripetute minacce al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a “dimettersi” dopo il fango del caso Ruby. “Ogni sua decisione istituzionale – avverte anche Romano – nelle prossime settimane, potrebbe diventare ragione o pretesto di sospetti e accuse”. Il calendario dei lavori, la durata dei dibattiti e il diritto di parola di un deputato. E ancora: i tempi di una singola interrogazione.”Tutto ciò che rappresenta il lavoro quotidiano di un presidente della Camera – chiarisce Romano nel suo editoriale – portrebbe trasformarsi in materia di contestazione e complicare ulteriormente la situazione politica”.

La promessa fatta con tutti gli italiani non lascia più spazio a tentennamenti. Le prossime mosse del presidente della Camera e leader di uno dei partiti d’opposizione non sono però scontate. Fini potrebbe infatti fare finta che le carte di Santa Lucia non esistano e andare avanti a fare politica dallo scranno più alto di Montecitorio. Oppure potrebbe decidere di dimettersi e tenere fede alla parola data ai cittadini il 25 settembre scorso. Nel frattempo, però, Montecitorio resta nelle sue mani. E i lavoro parlamentari rischiano di essere viziati. Il leader leghista Umberto Bossi invita ad “abbassare i toni” e “fare meno casino”. Ma, intanto, l’anomali resta. E, per dirla con le parole di Romano: “Il vero problema è se la casa Italia, in queste condizioni, possa essere decorosamente amministrata nell’interesse di coloro che la abitano”. Fonte: Il Giornale, 28 gennaio 2011

……………….Certo che la tesi della Procura di Roma lascia interdetti, ancor più oggi, visto che il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, inaugurando l’anno giudiziario, ha detto che la giustizia è allo sfascio e la sua credibilità fra i cittadini è in paurosa discesa. E come potrebbe essere  diversamente visto proprio il caso di Fini e della casa di Montecarlo? Di fronte alle “carte” giunte da Santa Lucia, la procura di Roma le definisce “irrilevanti” rispetto al “tema giudicandi”. Cioè, il fatto che Fini, amministratore di A.N.  abbia disposto la vendita della casa di Montecarlo al cognato, come sembra ormai acclarato, ad un prezzo di almeno due terzi inferiore a quello di mercato, peraltro attraverso due società off shore  alla scopo evidente di sviare l’attenzione dal cognato, non costituisce “prova” della volontà di raggirare, quanto meno, chiunque avesse potuto avere interesse alla vendita e all’acquisto? Invece, no! Per la Procura di Roma è tutto regolare, per cui ha confermato la richiesta di archiviazione del procedimento per il quale Fini, come è noto fu iscritto nel registro degli indagati il giorno stesso della richiesta di archviazione. EH, già, Fini non è mica Berlusconi la cui iscrizione per qualsiasi cosa (pare che ci siano PM che si sono messi in contatto con  gli spiriti del passato per verificare se per caso Berlusconi non sia in qualche modo coinvolto nell’assassinio di Caino da parte di Abele mentre si fondava Roma per assicurarsene il dominio venti secoli dopo….) avviene a tambur battente e le relative carte finiscono immediatamente sui giornali alla faccia della riservatezza e del rispetto della privacy che come è noto vale solo per i PM. Insomma, per dirla con Fini, siamo alle comiche finali per cui Fini poteva disfarsi del patrimonio di A.N. svendendolo ai suoi cari senza che ciò costituisca reato. E poi ci si domanda perchè mai la fiducia nella giustizia ce l’hanno solo i magistrati! g.

LE PREDICHE DI VENDOLA. MA PUO’ VENDOLA METTERSI A FARE LA MORALE A CHICCHESSIA?

Pubblicato il 26 gennaio, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

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Noemi era «la pupilla» e Ruby «il culo», Nichi Vendo­la è l’orecchio. A ognuno il suo, nell’atlante anatomico della po­litica italiana.

A latitudini sub-ombelicali si scatena la tempesta mediatica su quanto accade nella residen­za privata di Silvio Berlusconi. E il governatore della Puglia non esita a lanciare i suoi strali: «È una spettacolarizzazione del­l’indecenza, una palude di ridi­colo dal sapore grottesco», tuo­na dal suo pulpito.

Eppure Nichi non lo ricordava­mo con la tonaca. Lo ricordava­mo piuttosto al Gay Pride, come testimonia questa foto, mentre un gentile fan in paglietta e sorri­sino gli avvicina la soffice e ga­gliarda lingua all’orecchio. In pubblico, mica nella tavernetta di casa sua.

Come diceva, governatore? Grottesco? Ridicolo? Chi è senza effusione scagli la prima indi­gnazione. E chi ha orecchie per intendere, non le usi per farsi sol­leticare. Fonte: Il Giornale, 26 gennaio 2011

ECCO PERCHE’ GLI ITALIANI NON SI FIDANO PIU’ DELLA GIUSTIZIA

Pubblicato il 24 gennaio, 2011 in Costume, Giustizia | No Comments »

“Fu nelle notti insonni,
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore”
per imboccar la strada
che dalle panche d’una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d’un tribunale
giudice finalmente
arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva Vostro Onore
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio
prima di genuflettermi
nell’ora dell’addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio”

Fabrizio De André, in “Un giudice” del 1971, cantava di un nano che, da tutti deriso, studia e diventa magistrato. E diventa carogna, perché è nel timore che incute agli imputati che trova vendetta, cioè la cura al suo disagio. Trovarsi davanti una persona del genere in un contenzioso non renderebbe certo tranquilli, e, anche se questo è solo un caso limite e di fantasia, un certo riscontro con la realtà lo si può intravedere.

L’Eurobarometro, il consorzio interuniversitario della Commissione europea, riporta che solo il 37 per cento degli italiani ha fiducia nella giustizia del nostro paese e che negli ultimi dieci anni il valore ha oscillato tra il 31 per cento il 47 per cento. Ma non ci si stupisca, il dato anche in Europa è lo stesso: 43 per cento in media. In paesi come Francia, Inghilterra e Spagna, il numero delle persone che confidano nella giustizia si attesta attorno al 39 per cento, al 48 per cento e al 40 per cento. Solo la Germania, tra i grandi, è sopra la metà: il 58 tedeschi si fida dei giudici.

AnalisiPolitica ha realizzato diversi sondaggi sull’argomento ed è possibile approfondire la prospettiva con cui gli italiani guardano i propri magistrati. I temi sono molti e sono anche oggetto di proposte politiche recenti o meno recenti. Per esempio, il tema della responsabilità civile dei magistrati fu una grande battaglia vinta dai Radicali nel 1987 con un referendum che portò all’approvazione della legge Vassalli, da molti tutt’ora ritenuta eludente. L’86 per cento degli italiani è d’accordo sul fatto che “un magistrato che sbagli, deve essere responsabile della propria azione”. O come quello della riforma del Csm: per il 68 per cento degli intervistati “i giudici dovrebbero essere controllati da un organo indipendente, non composto da altri magistrati come loro”. Non è un dato trascurabile, soprattutto quando il 56 per cento cioè la maggioranza, pensa che “sovente i magistrati agiscano con fini politici” e infatti per due cittadini su tre “spesso, in Italia, la magistratura non è imparziale come dovrebbe essere”.

Anche questioni più vicine al cittadino.
Per l’85 per cento degli italiani, “se i condannati scontassero sempre la pena per intero, ci sarebbero molti meno reati” e “spesso le forze dell’ordine catturano i criminali, ma la magistratura li rilascia con troppa facilità” (62 per cento). In qualche modo viene pure invocata una riforma della legge Gozzini: per i tre quarti delle persone “spesso i permessi e gli sconti di pena ai carcerati, vengono dati senza che essi se lo meritino veramente”, rendendosi necessario un cambiamento di tale prassi (76 per cento).

Nell’opinione pubblica, neanche il sistema giudiziario è immune alla corruzione. Il 39 per cento degli italiani ritiene che vi sia diffusa la pratica delle tangenti. E se il 17 per cento afferma che nell’ultimo anno gli sia stato richiesta la bustarella, un quarto di essi dice che quelle pressioni venivano proprio dell’apparato della giustizia.

Concludendo, è fuor di dubbio che l’istituto della magistratura sia e debba essere uno dei capisaldi di qualsiasi sistema democratico, ma è altrettanto chiaro che in Italia la maggior parte della gente pensa che ci sia più di un ambito da riformare. Quel che sottolineava De André e che probabilmente in molti altri pensano, è che un giudice sia pur sempre un uomo e che come tutti gli uomini possa sbagliare. Fonte: Il Foglio, 24 gennaio 2011

MARINA BERLUSCONI DIFENDE IL PADRE: L’ORGOGLIO DI UNA FIGLIA PER LA QUALE LA DIGNITA’ VALE PIU’ DELLA DIPLOMAZIA

Pubblicato il 23 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

«Provo orrore». La sintassi è priva di fronzoli, scorticata da morbidi giri di parole. Ha l’urgenza di una che ha altre urgenze. Perciò poco importa se il commento di Marina Berlusconi (presidente di Fininvest e Mondadori) sulle esternazioni di Roberto Saviano (che in occasione della sua laurea honoris causa, ha osannato i giudici di Milano che stanno indagando sul Cavaliere) potranno far desistere lo stesso Saviano dal continuare la collaborazione con la casa editrice guidata dalla primogenita del premier.

Poco importa se Saviano ha guadagnato moltissimi soldi con il colosso di Segrate e il colosso di Segrate ha guadagnato molti soldi con Saviano. E poco importa persino che Marina Berlusconi sia l’unica italiana nella top-50 di «Forbes» (al dodicesimo posto) delle donne manager più potenti al mondo, piedistallo che di norma ci si guadagna (e si mantiene) con una buona dose di cinismo e di inclemente senso pratico.

A un certo punto, su tutto il resto, evidentemente vince la dignità di figlia. Perché Berlusconi, per quanto in questi giorni la cosa possa essere oggetto di facili ironie, ha una famiglia. E quando «arrivano i nemici», sono poche le persone sulle quali puoi contare per mettere «i carri in cerchio». Ieri Marina lo ha fatto. Con una frase priva di calcolo, di diplomazia, di convenienza. Era per suo padre «quell’orrore» verso Saviano. E come le è arrivato in gola, l’ha risputato fuori. A costo di inciampare, e di perdere un gradino, nella classifica di «Forbes».

DOPO PRIAPO CI ASPETTANO SOLO LE “MEZZEPIPPE”

Pubblicato il 23 gennaio, 2011 in Costume | No Comments »

Quando Berlusconi mollerà, tirerò un sospiro di sollievo perché il sesso non sarà più organo di Stato, non andrà più in viva voce nel pianeta, non servirà più per abbattere i governi e far scattare allarmi costituzionali, ma riguarderà so­lo intimi piaceri e vite private. Quando Berlusconi mollerà, tirerò un sospiro di sollievo perché i magistrati mammasan­tissima non avranno più alibi per deci­dere sui governi, la tv, la vita e il voto de­gli italiani. Dovranno occuparsi di giusti­zia e non origliare sesso, dovranno far funzionare i tribunali e non sfasciare i governi.

Quando Berlusconi mollerà, sarò feli­ce perché Di Pietro, l’Italia dei livori, i media e gli altri dovranno trovarsi un mestiere, avendo perso la loro unica ra­gione pubblica d’esistere. E in tv non ve­dremo più Porca a Porca. Quando Berlu­sconi mollerà, sarò felice perché la sini­stra non potrà più campare sulle erezio­ni del premier satiro. Quando Berlusco­ni mollerà, sarò felice perché le Tre Gra­zie Gian Pier Fran, indossatori del Nul­la, dovranno dire da che parte stanno e non potranno più gufare sugli errori e sulle zoccole altrui. La satiriasi è una ma­­lattia ma non vale una crisi al buio che inguaia l’Italia intera. Se Berlusconi è il male, i suddetti sono nell’ordine il Peg­gio, il Vuoto e il Nulla. Il Peggio è il Paese che odia, il Vuoto è la sinistra che man­ca, il Nulla è il terzismo che affumica.

Dicono in coro che ci vuole decoro. Giusto. Ma il decoro è una categoria eti­ca, in parte politica, per nulla giudizia­ria. Non sono i giudici a sanzionarlo. Mi­sura il contegno, non la fedina penale. Se è in gioco la morale si esprimano con­danne morali, non penali né politiche. Perfino Kant diceva «la legge morale dentro di me», mica invocava magistra­ti, gendarmi e parlamento. Il priapismo è un male antico del potere e non è tra i più gravi. E il decoro dei politici non ri­guarda solo i peccati di sesso, ma il ri­spetto dei ruoli e del popolo sovrano, l’uso e l’abuso delle risorse pubbliche, la lealtà. Quando resteranno i decorosi, i decorati, i decoratori, capiremo cosa ci siamo risparmiati in questi anni. Dopo Priapo verranno le mezzeseghe. Il Giornale, 23 gennaio 2011

MARINA BERLUSCONI: SAVIANO MI FA ORRORE

Pubblicato il 22 gennaio, 2011 in Costume | No Comments »


Saviano, lo abbiamo scritto, ha dedicato la laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Genova ai pm del pool di Milano perchè “stanno vivendo momenti difficili per aver fatto il loro mestiere”. Lo scrittore ha fatto i nomi: Sangermano, Boccassini e Forno. Sono i tre magistrati che hanno aperto il fascicolo su Ruby e le ragazze invitate alle feste del premier, le tre toghe che hanno chiesto il giudizio immediato per Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile. Marina Berlusconi, presidente di Mondadori ed editore dello scrittore napoletano, commenta con parole durissime: “Mi fa letteralmente orrore che una persona come Roberto Saviano, che ha sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi. Il ‘mestiere di giustizia’, come lo chiama Saviano e coloro che sono chiamati a esercitarlo non dovrebbero avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto gli occhi di tutti”. Le parole di Marina Berluscono non hanno bisogno di alcun commento…forse solo ricordare ancora una volta che Saviano, come tutti gli ipocriti, predica bene e razzola male.