Archivio per la categoria ‘Costume’

E’ L’ORA DEGLI UNTORI

Pubblicato il 22 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

L’ultimo in ordine di tempo è lo scrittore Roberto Saviano, che ha scritto un solo libro, o meglio è l’autore di un collage di articoli e notizie della stampa che ha avuto una smisurata fortuna editoriale anche in virtù del suo editore,  e per questo viene celebrato come l’unico baluardo contro la camorra napoletana, mentre i poliziotti, i carabinieri, e tutti gli altri che ogni giorno rischiano la vita per contrastare la criminalità organizzata, pare siano solo i figuranti dove c’è solo un protagonista, cioè Saviano. Ieri Saviano è stato insignito della causa honoris causa in giurisprudenza  dall’Università di Genova e subito dopo la cerimonia, con la toga indosso che avrebbe dovuto consigliargli rispetto e ricordargli che in Italia vige il principio della presunzione di innocenza  che vale anche per il cittadino Berlusconi,    ha dichiarato di dedicare l’ambito riconoscimento ai PM di Milano, Boccasini in testa, aggiungendo che oggi chiunque si oppone  ( a  Berlusconi, evidentemente) sa che l’aspetta fango e aggressione. E bravo Saviano. Lui pubblica con la casa editrice Mondadori che notoriamente appartiene alla famiglia Berlusconi e che è presieduta dalla di lui figlia Marina, in prima fila a difendere il padre, e sempre Saviano compare in TV, incassando una barca di soldi che un comune mortale non guadagnerebbe non in una ma almeno in tre o quattro vite, in una trasmissione prodotta  dalla Edilmond, società di produzione televesiva  facente capo sempre alla famiglia Berlusconi….e però non perde l’occasione per  mandargliela a dire a Berlusconi, così mentre con una mano prende  e come prende! da chi “aggredisce chi si oppone”  con l’altra tira schiaffi a chitanto  gli dà. E’ l’eterna doppiezza dei mediocri. g.

…..A margine di questa nostra nota, pubblichiamo sulle interessatre dediche di  Saviano ai PM di Milnao, una  dichiarazione di Vittorio Sgarbi:

Vittorio Sgarbi: “In un clima di conformismo e di assoluta violazione delle libertà individuali il facile attacco a Berlusconi ha determinato una comoda, opportunistica, ridicola decisione di Saviano: dedicare la laurea honoris causa, attribuitagli per moda e per compiacenza, ai magistrati di Milano che hanno aperto la più straordinaria inchiesta contro la libertà sessuale. Il conformismo dominante”, ha proseguito il critico d’arte, “determina l’attribuzione di lauree honoris causa perché esse possono essere usate strumentalmente. Forse sarebbe meglio darle a chi conosce la letteratura e non trasforma istinti e desideri in crimini. E voglio aggiungere che nella denuncia degli interessi mafiosi in Sicilia e in Puglia legati alla colossale truffa dell’eolico che comporta anche una distruzione del Paesaggi contro l’articolo 9 della Costituzione, non ho mai visto Saviano scaldarsi nonostante le mie sollecitazioni come nel sostegno alla battaglia dei magistrati di Milano”.


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CASO RUBY: LE INDAGINI SINORA SONO COSTATE OLTRE UN MILIONE DI EURO

Pubblicato il 21 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi I conti sono salati. Ha nove zeri il costo dell’inchiesta della Procura di Milano sul presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e gli altri indagati eccellenti per il presunto giro di sesso e soldi. In cifre: un milione 325.170 mila euro. L’importo è ipotetico, verosimile e presumibilmente anche sottostimato. Riassume i costi del colossal giudizario ma immaginando uno scenario improbabile e decisamente al risparmio: che l’esercito investigativo coi suoi apparati tecnologici si siano mossi e messi in funzione per un breve periodo e non per sei mesi, come invece è realmente accaduto nel corso dell’inchiesta. E non è finita. Il totale (parziale) della “fattura” è stato ricavato mettendo insieme il numero di intercettazioni (una media di 600 al giorno) di conversazioni telefoniche e anche di messaggi. I titolari delle utenze sono i soggetti di spicco ma non tutti (una trentina).

L’importo è stato moltiplicato per il costo di un’ora di intercettazione (media fissata in 12 euro e 30 centesimi). La cifra è stata sommata allo stipendio lordo mensile di un poliziotto (3 mila e duecento euro) per i 230 operatori che hanno lavorato a questa vicenda giudiziaria mettendosi alle calcagna degli indagati, poggiando l’orecchio per ore sulle loro telefonate, andando a perquisire in cassetti, archivi e quasi sotto le lenzuola. E cioè, dagli investigatori della polizia giudiziaria fino ai poliziotti delle Volanti della Questura di Milano.

Il numero delle intercettazioni si ricava leggendo le 389 pagine di allegati depositati dalla Procura alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Parlamento. Anche il settimanale «Panorama» le ha contate: quasi 27 mila intercettazioni per Lele Mora, l’agente delle star, 14.500 per Nicole Minetti consigliere regionale del Pdl, un migliaio abbondante per Emilio Fede direttore del Tg4, 6.400 per la stessa Ruby, alias Karima El Mahroug. L’elenco continua con 28 interrogatori, quindi sequestri, indagini bancarie e postali, traduzioni dallo spagnolo. E poi pedinamenti e perquisizioni: 14 ordinate all’alba del 14 gennaio. Insomma, al netto di tutte le approssimazioni possibili, finora l’inchiesta sulle ragazze di Berlusconi è costata un patrimonio. E probabilmente il prezzo della lista della spesa aumenterà.

Gli accertamenti infatti non sono finiti e non si sa neppure quando la Procura di Milano metterà la parola fine. A giorni il procuratore generale della Corte d’Appello milanese inaugurerà l’anno giudiziario elencando pregi e difetti della giustizia del distretto, capoluogo lombardo compreso, e dirà anche quanti soldi sono stati spesi nel 2010 per indagare e giudicare in nome del popolo italiano. Sul sito del ministero della Giustizia sono pubblicate le tabelle delle «aperture di credito disposte per il capitolo 1363 relativo alle spese per intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali per gli uffici giudiziari del distretto» di Milano. Sono riepilogati l’importo e la data in cui è stato erogato.

Nel dettaglio: sei milioni di euro il 28 gennaio 2010, altri sei il 27 aprile, quattro e cinquecentomila il 10 settembre. Totale: 16 milioni e 500 mila, oltre 32 miliardi delle vecchie lire. Stando sempre ai dati ministeriali, la Capitale invece per le stesse esigenze investigative (ma non si sa il numero delle inchieste portate avanti rispetto a Milano) spende meno. Di seguito i numeri delle aperture di credito: 926 mila euro il 28 gennaio 2010, un milione e 258 mila il 27 aprile, quasi 250 mila euro in più il 10 settembre. Il Tempo, 21 gennaio 2011.

.….Un milione di euro, anzi 1,327.000 euro per scoprire che a Berlusconi piacciono le donne. E c’era bisogno di spendere tanti quattrini pubblici per scprire ciò che Berlusconi dice apertamente e pubblicamente. Francamente ci domandiamo perchè altrettanto spiegamento di mezzi e di uomini non vengono messi in campo per scoprire dov’è finita la bambina di  Brembate e tanti altri bambini scomparsi. Domanda retorica. Quei bambini e quelle scomparse sono….ordinaria amministrazone, mentre sputtanare il presidente del Consiglio val bene spendere tanti quattrini. Ecco perchè la vera colpa di Berlusconi è di non aver fatto la riforma della giustizia in tutti questi anni. Non per lui ma per le casse dello Stato. g.

QUEI SERMONI SENZA DECENZA, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 21 gennaio, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

Mentre impazza sulla stampa e sopratutto sul web e, ovviamente, negli uffici giudiziari di Milano dove si scruta tra le lenzuola alla ricerca di chissà cosa mentre è a tutti noto ciò che sta sotto vi sta, l’ultimo salvagente pseudo moralistico degli antiberlusconiani, c’è chi riesce a distinguere tra politica e morale privata. Lo fa Giuliano Ferrara con unintervento sul suo quptidiano, IL Foglio, con l’articolo che vi proponiamo: I SERMONI SENZA DECENZA.Eccolo.

Sono imbarazzato. Come ateo devoto (definizione che mi sono appiccicato con ironia mal compresa da una cultura politica grossolana), mi ero messo nei guai. Guai seri, guai spirituali. Per aver predicato la «buona vita» come necessità razionale dell’esistenza moderna, per aver provocato e smaniato con i miei laici no all’aborto, al divorzio, alla pillola del giorno prima, del giorno dopo e alla kill pill (ho perfino presentato una lista di ispirazione etica che ha portato via 135.000 miseri voti a Berlusconi alla Camera); e per aver detto che il preservativo non può essere una bandiera, e che va bene il piacere ma il matrimonio è una cosa seria e si fa quando serve a fare famiglia e figli, non per soddisfare il legittimo Io gay e le sue voglie, e per aver sostenuto battaglie antieugenetiche nel referendum sulla fecondazione assistita, per tutto questo mi sono preso rampogne e sermoni di decenza da molti tra i quali Barbara Spinelli ed Enzo Bianchi, l’una sacerdotessa laica, l’altro monaco della Comunità di Bose.

La differenza cristiana, mi spiegava il monaco, è la libertà morale, di coscienza, e nel pluralismo delle forme spirituali possibili occorre cercare una verità non normativa, non dogmatica, aperta. Se un laico, che affetta una devozione posticcia, maurrassiana, da scomunica, predica criteri etici con disinvoltura, è che vuol fare politica, usare la religione come instrumentum regni, roba da imperatore Costantino, da patto scabroso tra chiesa e potere, una vergogna: firmato Bianchi. Se un laico non capisce le libertà di comportamento e di costume del moderno, tradisce se stesso, compie un’operazione ambigua, svilisce la religione e la ragione insieme, si mette al servizio di un ratzingerismo da gendarmi pontifici: ed è una vergogna, ha sostenuto la Spinelli contro di me e le mie povere idee.

Ora la sacerdotessa mi edifica con il «sermone della decenza», ieri su Repubblica, giornale interessante e vario in cui adesso si apre anche un capitolo di educazione spirituale dell’umanità, ciò di cui in fondo potrei anche compiacermi. E il monaco addirittura discetta sulla Stampa (sempre a prescindere da quel peccato originale che i preti progressisti considerano un ferrovecchio teologico, bizzarria psicoanalitica di un Agostino peccatore pentito) intorno alla lussuria, con la sua solitudine, la sua riduzione del piacere a cosa, la scissione del sesso dalla procreazione, e altre indecenze. Il tutto perché oggi politicamente conviene, ad atei e credenti della sinistra moralistica e teologica, criminalizzare moralmente un Berlusconi che, secondo me, va messo sotto accusa politicamente, ma lasciato in pace sul piano della sua morale privata, la quale non è un crimine e, se è un peccato (cosa che a me pare incontrovertibile) riguarda la sua coscienza e il suo direttore spirituale, visto che le feste di Arcore non sono atti pubblici, norme o leggi.

Per i lettori ignari di Repubblica e della Stampa, passi. Ma per me e per i lettori del Foglio, dico che dovrebbero essere risparmiati sermoni sulla decenza di vivere e sulla lussuria. Nessuna norma pubblica di morale o di diritto vieta di amare le ragazze, far loro dei regali, e convocarle per feste private in cui la messinscena del piacere, e scampoli di piacere anch’essi privati, rivestono un ruolo esteticamente grottesco ma moralmente iscritto nella sfera personale dell’Autore del copione, della sua libera coscienza, del suo modo di vivere molto moderno, della specifica differenza cristiana in cui è collocabile la sua cultura e la sua smania esistenziale. Gli stessi che chiudono un occhio (e anzi due) sulla deriva nichilista e mortuaria della civiltà d’oggi, sui suoi tic, sulle condizioni in cui vivono le minorenni e i minorenni a scuola, sul conformismo della trasgressione che avvilisce la maternità e la natalità, sulla manipolazione della vita e sulla distruzione di matrimonio e famiglia, tutto così fatale e inattaccabile se non da orrendi devoti turbati dal loro stesso accecamento conservatore; quegli stessi bardi di morale e di decenza abbiano la compiacenza di ripassare un’altra volta con le loro ipocrisie sulla vita lussuriosa del capo e sulla censurabilità dei suoi criteri di condotta. Non si può passare la vita ad abbassare la soglia della norma etica, e poi issare un muro di filisteismo moralistico contro il nemico politico. La lezione è rinviata a tempi migliori. Grazie. Giuliano Ferrara, Il Foglio, 21 gennaio 2011

IL CASO DI RUBY NELLE LETTERE A DAGOSPIA

Pubblicato il 20 gennaio, 2011 in Costume | No Comments »

Lettera 25
Brava la Palombelli. Ha detto le cose come stanno. Premetto che a me non interessa cosa faccia Berlusconi in casa sua, che trovo abnorme l’impiego di mezzi e soldi per spiare, intercettare, perquisire, interrogare per un anno tutti quelli che frequentavano le sue residenze. A me hanno rubato un telefonino, ho fatto denuncia, il PM ha stabilito che non si poteva cercare con il sistema delle celle perchè costa troppo. Mi sono chiesta: se cercare un solo telefonino costa troppo, quanto è costata l’inchiesta su Berlusconi? E per scoprire cosa? Ha ammazzato qualcuno? Ha spacciato droga? No, forse faceva il porcello in casa sua. E chi se ne frega? Ma quello che ha fatto notare la Palomba e che ho sempre pensato anch’io è proprio il concetto dell’assenza di vittime.

O meglio l’unica vittima è lui che come tutti gli uomini con le donne è un cretino. Queste erano una banda di affamate di soldi che, se è vero quello che dicono, gli hanno spillato un sacco di quattrini. Altro che minorenni sprovvedute! Sfruttamento della prostituzione? Ma chi sfrutta la prostituzione ci guadagna! Lui ci ha solo rimesso! Lo sfruttato è lui! Solo chi vuole negare l’evidenza non ammette che questa indagine è stata fatta solo perchè si tratta di Silvio Berlusconi, da giudici che sono nemici politici, con violazione del segreto istruttorio e abnorme spreco di soldi pubblici. Almeno ci fosse risparmiata la morale! Tutti moralisti! Tutti puri! Tutti integerrimi! Mi viene il vomito a leggere gli articoli di tutti i novelli Savonarola con i peccati degli altri! La morale lasciamola a Dio, solo lui ci può giudicare quando non ci sono reati e qui non ce ne sono!

Lettera 26
Caro Dago, leggo sempre più spesso che da sinistra si lamenta il silenzio del Vaticano sul puttanaio (nel senso letterale del termine) di Hardcore. Ma è la stessa sinistra che ogni volta si lamenta se il Vaticano si ingerisce nelle cose italiane? Si mettessero d’accordo: quando conviene è giusto che il Vaticano si esprima, quando non conviene, allora apriti cielo! Anch’io sono di sinistra, ma anziché lamentarmi del silenzio papalino sul bunga bunga, ne sono felice, perché forse inaugura una nuova stagione nella politica vaticana: quella del farsi i cazzi propri e non mettere più il becco nelle questioni del nostro Paese. Se poi vogliono, possono fare tutti i commenti che ritengono usando l’Osservatore Romano, così come fanno vari Financial Times, El Pais ecc.


Lettera 28
Egregio direttore, Ora il Presidente Berlusconi, l’uomo che “straborda” di poteri in tv pubbliche e private, si “becca” da Floris anche il diniego di rispondere a Ballarò su argomenti che lo vedono in primo piano e…deve star zitto! Questo sarebbe il dittatore che circola per i palazzi, il fascista che fa “il proprio comodo”, il potente che approfitta della sua posizione istituzionale, ecc. Ma di cosa stiamo parlando? Di cosa scriviamo da mesi, chi poniamo alla gogna? E’ ora di finirla, andiamo al voto e contiamoci, sperando che non facciano come per il referendum Fiat: se vincono bene, se perdono, “l’è tutto da rifare”!
Grazie per l’attenzione e buon lavoro
L. C. G. – Montepagano (Te)

Fonte: dagopsia

NAPOLITANO E DUBCEK, AMATO E VITTORIO EMANUELE

Pubblicato il 20 gennaio, 2011 in Costume | No Comments »

Oggi il Capo dello Stato, Napolitano,  ha reso omaggio ad Alexander Dubcek, lo sfortunato leader della Primavera di Praga in occasione dello scoprimento di un busto marmoreo dedicato alla sua memoria. Per l’occasione Napolitano ha avuto parole di omaggio per l’ormai scomparso statista cecoslovacco che pagò duramente la contrapposizione all’Unione Sovietica tanto da finire a fare il manovale,  anzi il netturbino in un parco  pubblico. Che strano! Napolitano, al contrario, per non essersi mai opposto all’Unione Sovietica, per non averla criticata per la invasione cecoslovacca come per quella ungherese è salito sullo scranno più alto della Repubblica Italiana dal quale, anche oggi, ha dichiarato che essendo ormai finite le ideologie, occorre richiamarsi ai “valori comuni”. Tra i quali, per noi, rimane prioritario il Valore della dignità umana che fu a lungo calpestato dall’Unione Sovietica senza che mai, nemmeno per un istante, ciò fosse motivo di dissenso da parte dei comunisti italiani. I quali, oggi, senza abiure di sorta rispetto al loro passato, si ergono a giudici morali degli altri, anche di quelli che, a differenza loro, mai mancarono di dissentire e di protestare contro le malvagità del regime sovietico. Proprio a proposito di Dubcek e dell’invasione sovietica della Repubblica cecoslovacca nell’ormai lontano 20 agosto 1968, ci sovviene il ricordo di una grande bandiera cecoslovacca cucita in fretta e furia ed affissa la sera del 21 agosto 1968 dinanzi al Municipio di Toritto insieme ad un cartello che inneggiava a “Praga libera”. Furono i ragazzi di destra che attuarono il blitz, senza attendere che l’Unione Sovietica crollasse sotto i colpi della voglia di libertà dei popoli che ne erano stati oppressi per 60 anni. Ma gli attuali post-comunisti, compreso Napolitano, dov’erano quel 21 agosto di 43 anni fa?

Sempre oggi l’on. Amato, presidente del Comitato per i festeggiamenti dei 15o anni dell’Unità Nazionale, ha reso noto che il 17 marzo prossimo, Giornata del Tricolore, il Capo dello Stato si recherà a rendere omaggio al Milite Ignoto all’Altare della Patria e poi si recherà al Pantheon per rendere omaggio a Vittorio Emanuele 2°, primo Capo dello Stato dell’Italia unita. Immediatamente dopo, Amato si è precipitato a precisare che la visita al Pantheon non apre la strada alla eventuale futura tumulazione in quel luogo di altri sovrani. E’ evidente il riferimento sia a Vittorio Emanuele 3°, sia a Umberto  2°, gli ultimi Re d’Italia,  che riposano in terra straniera perche esiliati oltre che in vita anche in morte,  e che a loro volta furono Capi dello Stato dell’Italia unita.

Più inutile ed improvvida precisazione l’on. Amato non poteva fare anche perchè proprio quando ci si sforza da parte di tutti, ad iniziare dallo stesso attuale Capo dello Stato, a trovare le ragioni dello stare insieme superando quelle delle divisioni, ci è sembrata la dichiarazione di Amato una evidente e macroscopica contraddizione rispetto alle esortazioni allo stare insieme e al significato e allo spirito delle celebrazioni del 150° dell’Unità Nazionale. D’altra parte, senza essere monarchici, vorremmo ricordare ad Amato che anche andare a rendere omaggio al Milite Ignoto, le cui spoglie furono individuate tra le salme di tanti Caduti ignoti della prima guerra mondiale e dimenticare che quella guerra ebbe come Comandante supremo il Re Soldato, cioè Vittorio Emanuele 3°, è in sè una sciocca contraddizione, e ancora preoccuparsi di assicurare  (chi?) il mantenimento in esilio delle salme degli ultimi re di Casa Savoia che tanta parte ebbe nell’Unità Nazionale è in stridente contrasto con lo spirito di pacificazione nazionale  che almeno in occasione delle celebrazioni unitarie dovrebbe prevalere sull’odio e sulla vendetta. Ci pare appena il caso di ricordare che tante altre Nazioni, dall’Austria alla Romania, alla Bulgaria, hanno riaperto le loro frontiere alle Salme dei loro Sovrani  morti in  esilio e le hanno accolte  in Patria con grande affetto e rispetto. Perciò,  proprio il 150° anniversario dell’Unità Nazionale poteva  e doveva essere una grande occasione per far cessare anche per i Morti l’esilio che è giustamente  cessato per i vivi. Ma le parole di Amato ci sembra che non schiudano le porte del rispetto  e anzi le rinserri nel nome dell’odio. Così si snaturano le celebrazioni unitarie e si rafforzano le ragioni delle divisioni interne. g.

ADDIO ALL’EROE DI VERMICINO

Pubblicato il 13 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

Isidoro Mirabella Era il piccolo grande eroe di Mentana anche se lui, Isidoro Mirabella, deceduto sabato scorso a 81 anni, siciliano di nascita, nella cittadina garibaldina s’era trasferito «soltanto» negli anni Settanta. Mingherlino e basso di statura ma con un cuore immenso. Nella notte dell’11 giugno 1981 quando l’Italia seguiva in diretta tv da Vermicino i soccorsi per salvare Alfredino Rampi, 6 anni, caduto in un pozzo profondo 35 metri, Isidoro Mirabella si presentò volontario e vi si calò. Era il secondo giorno di tentativi per estrarre il bimbo ancora vivo e l’ottimismo iniziale cominciava a scemare.

Mirabella, detto l’Uomo Ragno, arrivò intorno alle 21 e un’ora dopo iniziò la sua discesa nel pozzo (le trivellazioni erano state fermate) con un seghetto in mano per rimuovere una tavoletta. Fallì e i vigili del fuoco gli negarono altri tentativi. Ci furono polemiche per questo. Il resto è noto, Alfredino morì nel pozzo. L’Uomo Ragno rientrò a Mentana con un peso sul cuore. «Fu una bella botta per lui – dice ora il sindaco Guido Tabanella – come lo era stata la morte improvvisa di Alfiero Bernardi l’allenatore del Mentana Calcio». Bernardi perì nel lago di Vico dove si era gettato per salvare la vita dei propri figli. Anche lui è un eroe della città di Mentana. Ma che rapporto c’era tra Isidoro e il Mentana Calcio? «Isidoro viveva in simbiosi con la squadra, era considerato la mascotte» ricorda Tabanella.

Isidoro Mirabella è morto in povertà ma «dignitosamente» sottolinea il primo cittadino. «Nell’82 si trasferì in una casetta a Castel Chiodato. Campava con la pensione minima, non ha mai chiesto niente a nessuno. Solo negli ultimi tempi qualcuno lo aiutava nelle faccende domestiche perché era solo. Lui non ha mai dato fastidio, era una persona tranquilla». Doveroso da parte dell’amministrazione comunale onorarne il ricordo, pagando tutte le spese del funerale e trovandogli degna sistemazione al cimitero di Castel Chiodato. «Isidoro ha dato lustro alla nostra città – dice Tabanella – con quel suo atto di eroismo a Vermicino. Al funerale è venuta pure la figlia che abita a Milano». Di che cosa è morto? «Era malato, credo avesse un tumore. Ma, anche nella malattia è rimasto riservato e discreto. Un eroe e anche un gran signore».

.…….Non tutto è perduto nella nostra società se c’è chi, come Mentana e il suo sindaco, sanno rendere omaggio, senza clamore e inutili sbandieramenti pubblicitari, ad un eroe sconosciuto come Isidoro  Mirabella che sotto gli occhi di Pertini tentò, senza riuscirci, di salvare la vita del povero Alfredino. Tutta l’Italia pianse ma più di tutti pianse lui. E commosse gli italiani.


LE LUNGHE VACANZE CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE

Pubblicato il 10 gennaio, 2011 in Costume, Economia | No Comments »

Sono cosciente che con quest’articolo non mi attirerò molti consensi, ma è lecito oppure no chiedersi se un Paese come il nostro possa permettersi una sosta così lunga tra dicembre e gennaio?
Oggi è lunedì 10 e si prevede che tutte le attività produttive e di servizio riaprano finalmente i battenti, dopo un intervallo che è durato la bellezza di 17 giorni scanditi dalle festività del Santo Natale, di Santo Stefano, di Capodanno e dell’Epifania. Quattro giorni in tutto che però hanno avuto il potere di quadruplicare l’effetto-interruzione. Chi conosce da dentro le organizzazioni, pubbliche o private che siano, sa anche che i tempi di ripartenza non sono mai automatici e che di conseguenza prima che si ritorni a regime passerà ancora qualche giorno. Mettiamo in conto dunque una ventina di giorni di mancata continuità. Aggiungo che la capitale economica del Paese, Milano, nella prima parte del mese di dicembre era stata interessata da un lungo ponte – in totale 5 giorni – giustificato dalle festività del Santo Patrono e dell’Immacolata Concezione. E ne traggo la conseguenza che almeno per Milano dicembre è stato un mese che chiamare «zoppo» è un eufemismo.

Fatte queste considerazioni ora ripeto la domanda: un Paese che stenta a crescere a un ritmo decente per assicurare lavoro e tutele ai suoi cittadini e sul quale grava il terzo debito pubblico del mondo può consentirsi il lusso di una soluzione di continuità così lunga? La mia risposta è no. E con ciò non intendo sottrarre a nessuno i diritti acquisiti in termini di giornate di riposo, mi chiedo solo se non si possa organizzare la sosta invernale in una maniera che sia meno dispendiosa per il sistema-Paese, quindi per tutti. Già in estate l’Italia dimostra ampiamente di non saper programmare a scorrimento le proprie ferie (i nostri partner lo fanno senza che ciò inneschi rivolte sociali), con tutto quello che ne consegue in termini di lungo stop, intasamento delle vie di trasporto, crescita anomala dei prezzi nelle località turistiche e stress vari. C’è bisogno di replicare il copione anche in inverno? Potrei sostenere la mia tesi con parole che suonano come flessibilità, produttività, concorrenza, liberalizzazioni, mi limito invece a fare appello a un solo e prezioso criterio: il buon senso. Dario Di Vico, Il Corriere della Sera, 10 gennaio 2011

…..Ha ragione Di Vico. Peccato che tra gli esempi non abbia fatto quello dei Magistrati che costano allo Stato un miliardo di euro l’anno in stipendi e benefit e lavorano meno di tutti. Infatti, a parte la polemica sugli orari personalizzati dei Magistrati, c’è la lunga sosta estiva, dal 1° luglio al 15 settembre, durante la quale la macchina della Giustizia si ferma per legge con tutti i danni che essa produce al sistema dei diritti dei cittadini. g.

UN APPELLO ALLA NAZIONALE: QUESTA E’ LA VOLTA BUONA PER FARE LA FESTA ALL’ITALIA

Pubblicato il 7 gennaio, 2011 in Costume, Politica, Storia | No Comments »

di Marcello Veneziani

Ma allora la facciamo o no questa Festa Nazionale per i 150 anni dell’Unità d’Italia? Lo chiedo in giro, al presidente del comitato per l’Unità d’Italia, a ministri e protagonisti della politica italiana e delle istituzioni, ma nessuno sa dire niente e molti dicono che non è stata né bocciata né varata la decisione definitiva; resta italianamente nel mezzo, a bagnomaria. Il mistero della festa annunciata. Torno a chiederlo ora che da domani cominciano dal Tricolore i festeggiamenti per la nostra benedetta e maledetta unità d’Italia.

Se ricordate, si pensò di dichiarare festa nazionale il 17 marzo del 2011, data della proclamazione ufficiale dell’unità d’Italia 150 anni fa. Avanzai formale proposta in questo senso proprio nel comitato dei garanti e fu approvata. La proposta fu accolta nelle sedi istituzionali competenti e si decise di istituire solo per il 2011 la festa dell’Italia. Poi la scelta si arenò per motivi misteriosi che vanno dalla crisi economica (non ci sono soldi) al timore di creare contraccolpi antiunitari e dispiaceri ai leghisti. Si parlò di declassarla a solennità civile. Poi nulla. Per ora tutto resta affidato a qualche bel concertone per il 17 marzo, a una notte bianca, rossa e verde per deliziare l’Italia nottambula e alle celebrazioni soprattutto piemontesi che il neopresidente della Regione, il leghista Cota, ha confermato per intero, con soddisfatta sorpresa dei promotori. Ma di festa popolare e nazionale, festa nelle scuole e nei luoghi pubblici, manco a parlarne.
Ora io credo che un Paese debba avere la minima dignità di ricordare la data in cui si unì. Lo deve fare anche per ricordare il passato diviso, le pagine buie, le motivazioni di coloro che si opposero al Risorgimento e all’Unità. Motivazioni che sono veramente trasversali: leggetevi Gramsci e capirete le ragioni della diffidenza dei socialisti e dei comunisti anche nel nome dei contadini. Ma leggete pure le ragioni della contrarietà dei cattolici o dei meridionali, dei difensori degli Asburgo o dei Borbone. Ragioni rispettabili, a parte le esagerazioni revansciste. Ma ciò non toglie che un Paese adulto e civile abbia il dovere di ricordarsene. Ciò non toglie che l’Italia esiste e fino a prova contraria è la nostra Nazione, sancita dalla Tradizione e dalla Costituzione, dalla lingua e dalla malalingua. Aggiungete pure altre due considerazioni. La prima: non abbiamo una sola festa che celebri l’unità d’Italia, abbiamo la festa della Liberazione imperniata sulla dolorosa guerra civile e abbiamo la festa della Repubblica, impiantata sulla spaccatura a metà tra monarchia e repubblica. Il 4 novembre non è più festa da un pezzo. Non abbiamo una festa degli italiani e dell’Italia tutta. Una festa nata per unire, usando il bel motto del felice spot della Difesa per i 150 anni.

La seconda ragione ancora più contingente della prima è che la sorte ci ha giocato un brutto scherzo quest’anno: il calendario relega le festività civili della prima metà dell’anno nelle festività religiose, dal 25 aprile oscurato dalla Pasquetta al Primo Maggio inghiottito in una domenica. Dunque, Sor Giulio, possiamo anche permetterci a fronte di due feste risparmiate, di averne una per un compleanno particolare. Perché non farla? Certo, c’è il rischio elezioni, ma questo mi pare un motivo in più per farla. Perché non farla rischia di diventare un buon argomento da campagna elettorale per le opposizioni. Gente che fino a ieri considerava la patria fascista e il tricolore la bandiera del calcio, dei monarchici e dei missini, dirà che questo governo sotto ricatto della Lega non ha il coraggio nemmeno di difendere l’Unità d’Italia. Vedremo sfilare passerelle di cariche dello Stato, più uno sciame di patrioti giacubbini, da cumpare Di Pietro a cumpariello Vendola, più i patrioti emiliani del tortellino, Bersani, Fini e Casini, per esaltare l’unità d’Italia a dispetto del governo sordo.

È questo che volete? Allora dico al presidente del consiglio, ai ministri della Difesa e dei Beni culturali, della Pubblica Istruzione e della Gioventù: che aspettate a rianimare il disegno di legge per l’istituzione della festa nazionale almeno solo per quest’anno? Scuole chiuse, discorso alla nazione, festa popolare in tutta Italia. Tanto più che la festa è pronta, i Comuni e le Regioni già si sono mossi, saranno allestite mostre e ci saranno eventi. Non dite che con i problemi che ci sono non è il caso di festeggiare, perché con questa logica dovremmo stare sempre in lutto stretto a piangere miseria sull’Italia, come fanno i catastrofisti della sera. Se volete trovare una formula non lesiva di nessuno, nemmeno della Lega e degli antirisorgimentali cattolici, terroni e socialisti, ripartite da lontano, dall’Italia nazione culturale, cioè dall’Italia antica e medievale, dall’Italia della lingua e della letteratura italiana, dall’Italia primatista mondiale dei beni culturali e dall’Italia erede di una civiltà giuridica e un Impero che unì i popoli, e sede di un papato universale.

Poi rendete omaggio anche a chi si oppose o patì l’Unità d’Italia, date spazio anche a letture critiche, siate inclusivi nelle celebrazioni d’Unità. Ma fate la festa all’Italia, è un buon punto per ripartire. Un sobrio amor patrio ci vuole ancora. Un Paese che non si ama non si salva.

MAGISTRATI STIPENDI DA NABABBI:COSTANO UN MILIARDO DI EURO L’ANNO

Pubblicato il 6 gennaio, 2011 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

Pagati, viziati, lentissimi e ipersindacalizzati. La casta dei magistrati continua a lamentarsi, l’ultima richiesta dell’Anm è di pochi giorni fa: “I tribunali rischiano una paralisi complessiva”. Il motivo? Il taglio dei fondi all’assistenza informatica. L’associazione delle toghe ha minacciato lo sciopero e in poche ore il ministro ha aperto il portafogli (una trentina di milioni di euro) e tutto si è risolto. La giustizia costa tanto, si sa. Ma quanto incidono gli stipendi dei magistrati? Tenetevi forte, la cifra fa paura: circa un miliardo di euro. I cugini francesi spendono il 30 per cento in meno e lavorano meglio. Ma i nostri in compenso hanno un primato: la lentezza. Da noi i processi si trascinano a lungo, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ci multa, i cittadini sotto processo fanno ricorso. E poi? Poi lo Stato, tanto per cambiare, paga i danni. Andando a spulciare il “prontuario delle competenze dovute alla Magistratura Ordinaria” ci addentriamo in una selva di numeri e scatti di anzianità che fanno lievitare il monte salari. Prima bizzarria: dov’è la meritocrazia? Latita, per fare carriera basta “invecchiare”. Tutti arrivano al massimo livello di stipendio, anche quando magari non riescono ricoprire un incarico di alto livello.

L’organo che valuta ogni quattro anni (ma lo scatto è biennale) la professionalità del giudice è il Consiglio superiore della magistratura, che nel 96 per cento dei casi dà un via libera. Ma la bocciatura, nei rarissimi casi in cui si verifica, non prevede nessun arretramento economico: vige il principio della conservazione dello stipendio maturato. L’orologio dei magistrati continua a correre e lo stipendio a lievitare, qualunque cosa succeda. Per intenderci: è come se tutti i militari diventassero generali. Facciamo i numeri: un magistrato al settimo livello di anzianità, che sarebbe il ventottesimo anno di professione, arriva a portare a casa un lordo di 195.362.33 euro all’anno. Il presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche può mettersi in tasca fino a 260.593.04. Tanto? Non abbastanza, evidentemente, dato che è anche prevista un’indennità che si aggira sui mille euro al mese. Salendo verso le funzioni “apicali”, il vertice della carriera, le cifre aumentano fino a raggiungere il miliardo delle vecchie lire. Queste sono le toghe-paperone, a fronte delle quali ci sono un gran numero di magistrati che portano a casa un’onesta busta paga. Un giudice di primo pelo si accontenta di poco meno di cinquemila euro mensili lordi. Tutto questo ricade sulle nostre spalle.

I tribunali costano a ogni cittadino italiano 45 euro all’anno. Il 18 per cento in più rispetto ai francesi e addirittura il 60 per cento in più rispetto ai 28 euro del Regno Unito. Il totale della spesa è un miliardo di euro. In un’Italia in cui tutti tirano la cinghia, una delle poche categorie che non rischia il posto e neppure la decurtazione dello stipendio, è proprio quella dei magistrati. Le toghe piangono quando c’è da chiedere trenta milioni di euro per computer, ma non fanno mai sacrifici. A dispetto della crisi e soprattutto del buonsenso.

IL FULGIDO ESEMPIO DEI DOPPIOPESISTI, editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 4 gennaio, 2011 in Costume, Politica | No Comments »

L’Aquila: la Caritas rivela: hanno detto no a 34 milioni per i terremotati. Palermo: inchiesta sull’appalto al marito della Finocchiaro, arcigna presidente dei senatori del PD.  Questi due casi sono emblematici perché si prestano ad esser rovesciati e a mostrare il doppiopesismo che ha distrutto la politica italiana.

Il sindaco de L'Aquila Massimo Cialente Premessa: qui a Il Tempo non ci piace la magistratura d’assalto, ricordiamo sempre che il simbolo della legge è la bilancia, ci fanno orrore le sentenze preventive. Per queste semplici ragioni non mi bevo come nettare miracoloso i verbali delle procure e osservo che troppo spesso le inchieste iniziano con presunti colpevoli e finiscono con certissimi innocenti. E per questo credo che il signor Finocchiaro, il marito di Anna, capogruppo del Pd al Senato, sia al massimo un ingenuo. E sempre per queste ragioni penso che le accuse della Caritas alla giunta comunale dell’Aquila – e al suo sindaco Massimo Cialente – siano da pesare. In ogni caso, questi due casi sono emblematici perché si prestano ad esser rovesciati e a mostrare il doppiopesismo che ha distrutto la politica italiana e, in particolare, la sinistra nel suo complesso. Se al posto del marito della Finocchiaro ci fosse stato, che ne so, il marito di Maria Stella Gelmini e se al posto del sindaco Cialente ci fosse stato, così tanto per gradire, Gianni Alemanno, secondo voi, cari lettori, cosa sarebbe successo? Immagino la scena: dichiarazioni sdegnate della Finocchiaro in Parlamento che chiedeva le dimissioni del ministro; interrogazioni e interpellanze dei democratici contro il primo cittadino della Capitale; titoloni cubitali dei giornaloni, servizi televisivi dove venivano intervistati gli studenti universitari che esprimevano il loro sdegno per la ministra tagliabilanci; marce di intellettuali e Ong sotto il Campidoglio e articolesse grondanti di vibrante protesta e severa indignazione. Due pesi, due misure. Questo è il fulgido esempio che viene dai sinistrati del Belpaese.

A Palermo, a Catania e all’Aquila, dove il Progresso perde sistematicamente le elezioni ma riempie le piazze di minoranze rumorose, si consuma una nemesi dell’opposizione. Quella che in Sicilia teorizza il Pdl come partito-mafia e in Abruzzo scarriola contro un governo che ce l’ha messa tutta per dare una casa ai terremotati e affrontare un’immane tragedia. Non mi interessano le contese giudiziarie, le lasciamo ai magistrati e speriamo vivamente che si chiudano nel migliore dei modi, ma siamo invece molto attenti al costume politico, ai suoi tic, alle sue ipocrisie e mancanze. Uno dei motivi per cui il sistema politico italiano è bloccato alla contesa tra berlusconiani e antiberlusconiani è proprio questa incapacità di fare autocritica da parte della sinistra, l’assoluta impermeabilità alla civiltà del dibattito e al rispetto dell’avversario. Forti della barzelletta della presunta superiorità morale, hanno raccontato al Paese per decenni di essere «diversi» e se qualcuno veniva beccato con le mani nella marmellata (o sulla pistola) erano solo e soltanto «compagni che sbagliano». Mi dispiace, ma non è così. Noi quella favoletta non ce la sorbiamo. La sinistra non ha niente di superiore, semmai ha un passato imbarazzante (ricordate il comunismo?) e un presente da raccontare nel bene e anche nel male. Non sto dicendo che i partiti sono tutti uguali, non cado nel qualunquismo del «magna magna» e sciocchezze simili. A destra e a sinistra ci sono fior di galantuomini. Ma nella gestione del potere emergono debolezze, fatti privati e pubblici, comportamenti disinvolti e arroganti che non sono esclusiva di un partito, sottoprodotto di un gruppo di persone. La rappresentazione che la sinistra ha voluto sciaguratamente dare del Paese e della sua storia contemporanea è un boomerang che a ondate si abbatte contro i postcomunisti.

La loro ipocrisia ha dipinto una realtà che non esiste, un mondo spaccato in due, hanno fornito una versione manichea della vita sociale che gli si sta rivoltando contro. É dai tempi di Berlinguer che vanno avanti con il mito della «diversità» e della superiorità antropologica e culturale. Solo che Berlinguer era comunista, lo era fieramente e non ripudiò neppure per un minuto la sua ideologia. I suoi eredi invece, «i ragazzi di Berlinguer» hanno sciolto il Pci e si sono scoperti post-tutto, post-muro e post-qualcosa pretendendo di essere «diversi» e migliori. E a forza di ripeterselo ci hanno creduto. E il risultato di questo mantra è sotto gli occhi di tutti. Dal governo centrale a quello locale, i postcomunisti hanno deluso, lasciato macerie e mai fatto un passo avanti verso quell’Italia moderata, di centro-destra, che merita più attenzione e rispetto. Chi vota per il centrodestra non ha l’anello al naso, non è un lobotomizzato del Biscione, non parla solo del Milan e delle veline di Striscia la notizia. All’Aquila abbiamo assistito a una ignobile campagna di carriolanti che hanno strumentalizzato un evento come il terremoto a fini esclusivamente politici. Per mesi e mesi è stato narrato un mondo dove il governo Berlusconi se ne infischiava dei terremotati, degli aiuti, della zona rossa, della ricostruzione. Era come se a Palazzo Chigi ci fosse un’orda di barbari impegnati a banchettare sul tavolo mentre sotto le tende dell’Aquila si soffriva e pregava per il ritorno del Pd alla guida del Paese. Uno spettacolo misero che i terremotati per primi non avrebbero meritato. Poi leggiamo che la Caritas aveva milioni di euro di buoni progetti e al Comune hanno pensato bene di respingerli al mittente. Avranno avuto le loro ragioni, non ne dubito, ma in onore di quella trasparenza che hanno sempre invocato, per rispetto dei tanti italiani che hanno messo i soldini e spedito un aiuto, avrebbero potuto spiegare bene il per come e il perché di certe scelte.

A Gianni Chiodi, governatore dell’Abruzzo, non si perdona niente e tutti sanno che disastro sta affrontando: ha ereditato un bilancio regionale a pezzi e in Abruzzo prima non governavano i marziani ma la sinistra illuminata e sindacalista. A Palermo e a Catania si è parlato a ogni piè sospinto di corruzione, collusione con la mafia, nepotismi e favoritismi a senso unico. E ora scopriamo che il signor Finocchiaro aveva un suo appaltino di cui a noi non importa un fico secco se non fosse che la moglie Anna tutti i giorni fa il predicozzo al governo e lo dipinge come un manipolo di conquistadores che stanno massacrando gli italiani a colpi d’ascia. La macelleria sociale di cui parlano con enfasi i signori e le signore dell’opposizione è quella che dimentica la realtà e la deforma, la porta verso un dibattito pubblico che è un pozzo avvelenato e poi quell’acqua putrida viene data da bere a tutti i cittadini. A giudicare dai risultati elettorali degli ultimi anni, non hanno grande successo, ma stendono un mantello plumbeo sul dibattito politico, quel minimo che era rimasto, e fanno suonare a morto le campane del Parlamento. Mario Sechi, Il Tempo,04/01/2011