DRAGHI A BRUXELLES: MA L’AULA DELL’EURPARLAMENTO E’ (QUASI) DESERTA
Pubblicato il 1 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »
A Bruxelles Draghi striglia i governi nazionali del’eurozona. Ma la reprimenda cade nel vuoto: l’aula è deserta. Che fine hanno fatto gli eurotecnocrati che chiedono sacrifici?
Oggi non doveva essere di buon umore il portavoce del Fondo monetario internazionale, Gerry Rice. Ha fatto sapere che i tecnici di New York rivedranno al ribasso le stime di crescita nel World economic outlook che sarà pubblicato a fine gennaio.

Il fatto è che gli allarmi e i moniti si rincorrono e si infittiscono. Se non è l’Fmi ad avvertire che le maggiori potenze economiche rischiano di entrare in recessione è la Confindustria a monitorare sull’inversione di rotta nella crescita del pil nostrano, altrimenti ci pensa l’Ocse a mettere in guardia i Paesi dell’Eurozona i cui sistemi produttivi si avvicinano pericolosamente allo zero. Anche i vari capi di Stato ci mettono un gran impegno ad avvertire e ammonire. I tecnocrati di Bruxelles, poi, sciorinano teorie a go go per risolvere la crisi economica. Eppure, nonostante i patemi d’animo e i continui rischi di credit crunch di alcuni Paesi, questa mattina il neo governatore della Bce Mario Draghi ha parlato parla all’Europarlamento in un’aula deserta.
A fronte di richieste sempre più esplicite sulla disciplina di bilancio agli Stati dell’Eurozona, dal presidente della Banca centrale europea sono giunti anche possibili spiragli di apertura su un rafforzamento, in chiave futura e ipotetica, degli interventi dell’istituzione contro le tensioni sui titoli di Stato. “Per prima cosa serve un accordo con delle regole sui bilanci e sugli impegni che i paesi intendono rispettare”, ha affermato questa mattina Draghi durante la sua prima audizione da presidente al Parlamento Ue in sessione plenaria. Già, una seduta plenaria ma deserta. Poche, anzi pochissime, le persone sedute tra i banchi ad ascoltare Draghi che metteva in guardia il Vecchio Continente per l’aumento delle tensioni sui mercati e dei rischi per la crescita. Dov’erano tutti i tecnocrati che da mesi chiedono al nostro Paese di fare presto, di fare sacrifici per una crisi che non è stata causata dai contribuenti italiani, di attuare riforme strutturali che in alcuni casi rischiano di essere impopolari? Forse la prima audizione di Draghi da presidente della Bce al Parlamento europeo non era poi così interessante? Questo non possiamo dirlo. Quel che è certo, però, è che con quel che costa ai contribuenti l’Europarlamento, sarebbe opportuno che i lavori a Bruxelles iniziassero a fruttare qualcosa nel tentativo di combattere la crisi economica: di allarmi e avvertimenti, i cittadini non ne possono proprio più. Il Giornale, 1° docembre 2011


Per tutta la mia vita, i problemi sono sempre venuti dal continente, mentre tutte le soluzioni sono arrivate dal mondo anglosassone”, dichiarò Margaret Thatcher a un congresso del suo partito sul futuro dell’Europa. E non fu certo l’ultima occasione in cui la Lady di ferro esprimeva un’opinione largamente condivisa e sostenuta dalla maggior parte del popolo britannico. Fin dall’epoca di quell’altra collerica, la regina Elisabetta I, i pragmatici inglesi hanno forgiato la propria peculiarità in contrasto con i continentali. L’Inghilterra ha mantenuto e sviluppato in modo indipendente, fino all’era moderna, le sue istituzioni medievali: la Common law, il Parlamento, la monarchia, i vescovi.
“Come democratico non condivido la grande gioia per un governo che non è il prodotto della diretta volontà popolare, che ha la fiducia del Parlamento ma che è un’espressione non politica. Credo che il paese, tutto il paese, abbia bisogno di politici”. L’ex premier spagnolo José María Aznar
Ieri lo spread della Francia ha toccato il picco di 204 punti rispetto al Bund. Era a quota 37 il primo luglio, a 100 il 28 ottobre. In quattro mesi si è più che quintuplicato, con un rush che nelle ultime tre settimane ha portato al raddoppio. L’asta di titoli a medio termine francesi è andata male: 6,9 miliardi richiesti rispetto ai 7 previsti, rendimenti in aumento di mezzo punto. Immediatamente gli Oats, i decennali di riferimento, sono saliti intorno al 3,8 per cento. Nettamente più della metà dei Btp italiani, non molto distante dalla media di rendimento dell’intero nostro debito pubblico. Poco prima anche Madrid aveva offerto le sue obbligazioni, anch’esse bocciate dai mercati: i Bonos decennali sono stati collocati per 3,5 miliardi rispetto ai 4 offerti; con rendimenti reali, tra cedole e prezzi, al 7 per cento.