PIAZZA AFFARI IN ROSSO E SPREAD A QUOTA 530. MA SUPER MARIO NON DOVEVA SALVARE LA BORSA?
Pubblicato il 15 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »
Giornata al cardiopalma per le Borse europee. Le tensioni sui titoli di stato dei paesi europei spingono le borse del vecchio continente a una nuova chiusura negativa. Fa eccezione Londra che, essendo fuori dall’eurosistema, riesce a restare sopra la parità e termina la sessione in rialzo dello 0,28 % a 5.543,29 punti.
Sprofonda invece Atene, giù del 4,71% a causa dell’ondata di vendite sui finanziari innescate dai pessimi dati sul pil. Le perdite riportate dalle altre piazze sono comunque inferiori a quelle, prossime al 2%, registrate a inizio seduta grazie alla tenuta di Wall Street, che limita i danni grazie ai positivi dati su prezzi alla produzione e vendite al dettaglio.
Mentre lo spread tra Btp italiani e Bund risale a livelli allarmanti, è tornata nel mirino anche la Francia, che ha visto i propri credit default swap salire a livelli record. A indossare la maglia nera è infatti Parigi, che cede l’1,92% con il Cac 40 a 3.049,13 punti. È a tale proposito significativo che oltralpe a guidare i ribassi siano le banche (Bnp Paribas -6,08%; SocGen -5,72%; Credit Agricole -4,44%), fortemente esposte ai titoli dei Piigs, laddove sui circuiti tedeschi le vendite sono estese a tutti i comparti, con Daimler (-2,59%) e Infineon (-2,59%) peggiori del listino. Il Dax di Francoforte arretra dello 0,87% a 5.933,14 punti. L’Ibex di Madrid lascia sul terreno l’1,39% a 8.256,2 punti.
In scia anche Milano. A Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha chiuso in perdita dell’1,08% a 15.297 punti. Insomma, un’altra giornata complicata, vissuta sul filo, con un occhio allo spread e un altro alle consultazioni dei capi di partito. Molto negativo l’approccio, con gli indici in calo fino a un minimo del -3%, mentre lo spread supera i 530 punti e il rendimento dei Btp schizza sopra il 7%. Nel pomeriggio l’inversione di tendenza, in coincidenza con i positivi dati macro americani, e dichiarazioni concilianti da Roma che lasciano capire come il governo Monti sia ormai pronto a vedere la luce. Nuova cautela infine nelle ultime battute e indice ancora in negativo. Tra le blue chip Finmeccanica che, più volte sospesa in mattinata con un calo teorico del 15%, sconta l’annuncio che nel 2011 non ci sarà dividendo e il taglio dei ricavi. Tra il 2010 e il 2012 gli investimenti del gruppo guidato da Giuseppe Orsi verranno ridotti a 3,4 miliardi rispetto ai 3,6 previsti. Ci sarà anche un calo dei costi di struttura generali e amministrativi. Entro fine 2012, inoltre, Finmeccanica procederà a cedere attività per un valore di un miliardo in modo da ridurre l’indebitamento.
La stessa preoccupazione sempra iniziare a toccare anche l’Eliseo. Lo spread tra i rendimenti dei tassi decennali dei titoli di Stato francesi e quelli tedeschi ha aggiornato il nuovo massimo da quando esiste l’Eurozona a 182 punti base, a conferma delle forti tensioni sui rendimenti francesi. I rendimenti dei titoli decennali francesi sono al 3,5%, il massimo dal maggio 2011. La Spagna si mantiene oltre i 450 punti. 15 novembre 2011, ore 19,00
.…Insomma ora è del tutto chiaro. Il neo re e imperatore d’Italia, Giorgio 1°, ha usato la storiella dello spread e della borsa in rosso al solo scopo di convincere Berlusconi e il PDL a gettare il guanto sul ring, senza ko, cioè senza alcuna sfiducia del Parlamento, unico organo abilitato a sfiduciare un governo in carica, per far posto al “suo” uomo, il super Mario che doveva dalla sera alla mattina, anzi da un minuto all’altro salvare l’Italia e gli italiani dalla speculazione internazionale a cui Berlusocni non era simpatico come non lo era il governo di centrodestra italiano, al contario dei due governi di centrodestra francese e tedesco, quelli che hanno ordito per proprio tornaconto il boicottaggio dell’Italia. Ora è chiaro, con le borse che affondano e lo spread che vola che erano pretesti. Erano pretesti, solo pretesti per far fuori l’uomo che dal 1994 ha scombinato i piani della sinistra italiana postcomunsita, che da allora non riesce a combinarne una buona e sopratutto non riesce ad occupare il potere che dopo tantentepoli sembrava dovesse essergli dovuto. Dal 1994 le hanno tentate tutte, l’ultima gli è riuscita. Hanno recitato, sotto la direzione di un allenato direttore d’orchestra, il silenzioso Napolitano, lo stesso che in silenzio assistè al bagno di sangue nel quale furono schiacciate le rivolte dei ragazzi di Budapest e di quelli di Praga e che ora si preoccupa dei giovani neoitaliani, la parte dei pensosi estremamamente preoccupati per le sorti dell’economia italiana e hanno ottenuto che un governo nel pieno delle sue prerogative, con un Senato a schiacciante maggioranza di centrodestra e una Camera nella quale solo alcuni mascalzoni e qualche soubrette da avanspettacolo hanno fatto venir meno su un atto secondario la maggioranza, si dimettesse per far posto ad un governo di non eletti che pretenderà di compiere atti di straordianaria eccezionalità a carico di un Paese e di un popolo defraudati del sacrosanto diritto di scegliere chi deve governarli. Oggi, ora, più che mai: al voto, al voto, al voto. g.


Visto il desolante nulla di fatto del consiglio dei ministri e in attesa di capire se la storia di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi è al «the end» o meno, sul mio taccuino resta una sola vera notizia alla voce «indice manifatturiero». Ieri Markit ha diffuso i dati di ottobre e c’è da chiedersi che cos’altro debba accadere per varare dei provvedimenti per la crescita.
Berlusconi accelera. La nuova tempesta che si abbatte sui mercati finanziari costringe il governo a stringere i tempi di messa a punto dei provvedimenti anti-crisi. L’idea è quella di inserire diverse misure nella legge di stabilità già in discussione i Senato, forse con un maxiemendamento o più emendamenti al provvedimento. Il Cav è a Milano, al lavoro. Segue l’evoluzione dei titoli e delle piazze europee tenendosi in stretto contatto con Palazzo Chigi, con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. È l’ennesimo martedì nero. Rassicurare investitori e partner internazionali sull’intenzione dell’Italia a rispettare gli impegni presi diventa prioritario. La Borsa che crolla e lo spread che vola sono segnali inequivocabili. La delicatezza del momento è scandita dalle comunicazioni del governo. Intanto «non vi è dubbio – si sottolinea a Palazzo Chigi – che sull’andamento negativo degli scambi influisca pesantemente la decisione greca di indire un referendum sul piano di salvataggio predisposto dall’Unione europea. Si tratta di una scelta inattesa che innesca incertezze dopo il recente Consiglio europeo e alla vigilia dell’importante incontro del G20 di Cannes». Il premier, comunque, lavora per garantire l’operatività delle misure dell’agenda europea concordate con Bruxelles. «Le scelte del governo – assicura Palazzo Chigi – saranno applicate con la determinazione, il rigore e la tempestività imposti dalla situazione». A metà giornata, però, la «situazione» si fa sempre più pesante. Piazza Affari continua a precipitare e il differenziale fra Btp e Bund tedesco resta alle stelle. Il Cav decide di anticipare il suo rientro a Roma e si precipita a Palazzo Chigi. La Grecia mette in pericolo tutti, in Europa. Così, appena arrivato, il Cav telefona ad Angela Merkel, per condividere con lei un’analisi «della situazione economica e finanziaria che si è venuta a creare a seguito dell’annuncio greco di indire il referendum» e «confermare» al Cancelliere tedesco «la ferma determinazione del governo italiano di introdurre in tempi rapidi le misure definite con l’Agenda europea». I contatti sono febbrili anche con il Quirinale. Berlusconi «aggiorna» Giorgio Napolitano sulla telefonata con la Merkel e soprattutto, «sulle misure che il governo intende adottare in tempi rapidi». La nota del Colle arriva a stretto giro di posta. Il Capo dello Stato evidenzia la drammatricità della crisi e spiega che «dinanzi all’ulteriore aggravarsi della posizione italiana nei mercati finanziari, e alla luce dei molteplici contatti stabiliti nel corso della giornata, considera ormai improrogabile l’assunzione di decisioni efficaci». La nota del Quirinale viene letta con misto di sollievo e allarme a palazzo Chigi. Perché se è vero che il Quirinale da un lato assicura un atteggiamento responsabile da parte delle opposizioni (ciò che da giorni chiede il Cavaliere), dall’altro lancia un monito al governo sottolineando che il Colle non può esimersi dal verificare le condizioni per una «nuova prospettiva di larga condivisione» delle riforme attese. Una postilla che alle orecchie del Cavaliere suona più o meno così: se non varate le misure, cercherò una maggioranza alternativa. Ma è un’opzione che Berlusconi non ritiene praticabile, convinto che alternative all’attuale coalizione non ve ne siano. L’ultimatum del Colle però allarma il Cav tanto quanto i segnali dei mercati. E non perde tempo. Convoca i ministri economici a palazzo Chigi. Sono previsti anche Bossi e Calderoli, ma il Senatùr non verrà: perché impossibilitato, secondo la versione ufficiosa. Per marcare le distanze, secondo i maligni. Sia come sia, il premier non ha scelta: per accelerare il governo decide di inserire parte delle misure concordate con l’Europa nella legge di stabilità, anticipando magari il taglio di tutte le agevolazioni fiscali per fare cassa. Un nuovo vertice è previsto per oggi. L’obiettivo è mettere nero su bianco le misure. Allo studio anche un decreto legge con i provvedimenti più urgenti che, se i tempi lo consentiranno, potrebbero essere varate in un Consiglio dei ministri prima del G20 di giovedì.Il Tempo, 2 novembre 2011
Il presidente del Consiglio ha una caratteristica tutta sua. Riesce spesso a dire cose giuste nei tempi e nei modi sbagliati. È il suo limite ma anche la sua forza dal momento che le sue uscite “politicamente poco corrette” si rivelano quasi sempre in sintonia con la “pancia” della maggior parte (o, comunque, di una parte molto consistente) degli italiani. Sono voci “dal sen fuggite” che, piaccia o non piaccia, molti cittadini comuni sottoscriverebbero, magari non a voce alta ma con un borbottio di fondo.
