IL PROGETTO TREMONTI PER UN FISCO LEGGERO, SEMPLICE MA RIGOROSO
Pubblicato il 15 giugno, 2011 in Economia, Politica | No Comments »
Un sistema con non più di tre aliquote sui redditi delle persone, e non più di cinque imposte. E’ la riforma vagheggiata ieri da Giulio Tremonti all’assemblea della Confartigianato. Il ministro dell’Economia ha dato la sensazione di indicare più un punto d’arrivo – la famosa legge delega – che non il taglio immediato chiesto dal Cav. e da Umberto Bossi per rimettere in sesto il centrodestra e l’alleanza con la Lega, oltre a ritrovare la sintonia con l’elettorato. Ciò che di sicuro è confermato dal dicastero di via XX Settembre è l’approdo oggi sui tavoli di Silvio Berlusconi, del governo e dello stato maggiore del Carroccio del risultato dei lavori delle quattro commissioni istituite da Tremonti per studiare le innovazioni tributarie: si tratterebbe di oltre 600 pagine.
La prima relazione, coordinata da Piero Giarda, riguarda gli sprechi da tagliare; la seconda, a opera di Vieri Ceriani, è la classificazione dei 471 regimi di deduzioni e detrazioni che valgono 190,3 miliardi l’anno; la terza è una ricognizione affidata al presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, su quanto si può ragionevolmente portare in chiaro dal sommerso. Infine la sintesi politico-decisionale, opera della Ragioneria e di Tremonti stesso. Su questa il ministro non ha ancora alzato il velo. “Però”, ha di nuovo precisato, “non si può pensare di fare la riforma tributaria in deficit, né sconquassando il bilancio dello stato. Piuttosto potrà essere avviata anche e soprattutto grazie al taglio dei costi della politica”. E quindi: “Meno aerei di stato e più Alitalia, meno benefici fiscali a quelli che hanno il gippone”. Non è ammissibile, secondo Tremonti, che “si può dedurre tutto, dalle palestre alle finestre”.
D’altra parte le cifre che continuano a giungere dai conti pubblici e dalla ricchezza privata confortano l’immagine tremontiana di un paese che cammina sulla lama del rasoio per il debito, mentre nel complesso la situazione patrimoniale ed economica, secondo il ministro, non è affatto sconfortante. Bankitalia ha registrato ieri un nuovo record per lo stock del debito pubblico che ha toccato ad aprile 1.890,6 miliardi di euro. A marzo aveva segnato un decremento a 1.868,2. Nello stesso periodo, però, le entrate fiscali fanno registrare un aumento del 6 per cento rispetto al 2010, e particolarmente buono è il risultato di aprile (27,5 miliardi). Al tempo stesso la crisi non ha intaccato il patrimonio finanziario delle famiglie italiane: una ricerca dell’Associazione italiana di private banking rivela che nel 2010 la ricchezza derivante da questo tipo di attività ha raggiunto 896 miliardi di euro, con un aumento del 3,2 per cento. Contrasti che corroborano l’appello di Tremonti a eliminare privilegi e sprechi, anche nel settore pubblico e nella politica. Qualcuno osserva che tra questi c’era il taglio delle province, cavallo di battaglia berlusconiano del 2008, al quale si sono opposti Lega e Partito democratico.
Ma l’intervento del ministro è stato più articolato di quel “voglio fare la riforma, ma mi occorrono 80 miliardi”, detto sabato scorso al convegno dei Giovani di Confindustria a Santa Margherita Ligure. In mezzo c’è stato ovviamente il referendum che nelle analisi segnalerebbe non solo la caduta di feeling del Cav., ma un vero smottamento della base del centrodestra. A tratti ieri Tremonti è sembrato tornare all’impostazione liberista del passato, come quando ha evocato “aliquote più basse possibili rappresentano il miglior investimento per ridurre l’evasione fiscale”. Ma la priorità è di sicuro la semplificazione, più che la riduzione secca della pressione complessiva. Attualmente le aliquote sul reddito delle persone fisiche sono cinque, tra il 23 e il 43 per cento, e incidono sui redditi che spaziano da 15 mila euro a oltre 75 mila, sui quali scatta il prelievo massimo. All’interno della prima fascia c’è una no tax area di 8 mila euro per i dipendenti e 4.800 per gli autonomi.
Nella legislatura 2001-2006 il Parlamento approvò una delega che prevedeva due sole aliquote flat, del 23 e del 33 per cento. Il progetto attirò accuse di incostituzionalità per la scarsa progressività, che si sarebbe dovuta recuperare rendendo detrazioni e deduzioni decrescenti in base all’imponibile. Ma la legislatura finì e la delega non divenne mai legge. Foglio Quotidiano, 15 giugno 2011

Si sta preparando una riforma fiscale a due stadi, come i contendenti: Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Il primo stadio, da attuare quest’anno (ma dopo aver garantito al ministro dell’Economia la blindatura della manovra da 45 miliardi entro il 2014) è il segnale che il Cavaliere vuol lanciare subito agli elettori. Consisterebbe in un taglio di tre punti dell’aliquota Irpef più bassa, oggi al 23 per cento sui redditi fino a 15 mila euro. E di un micro-taglio dell’Irap di 0,5 punti che allevierebbe la parte di questa imposta scervellata che si paga in relazione alla manodopera, la famigerata tassa sul lavoro. Poiché siamo sul filo del rasoio con l’Europa, questi sgravi dovrebbero essere a costo zero, cioè trovando le risorse all’interno dello stesso sistema fiscale. E dunque in primo luogo aumentando di un punto l’Iva ordinaria (oggi al 20 per cento) e ridotta (oggi al 10). Poi iniziando a disboscare la giungla 476 deduzioni e detrazioni, spesso frutto del pluridecennale lavoro delle lobby. Infine, se servirà, innalzando l’imposta sugli interessi, oggi al 12,5 per cento. Risultato? Sui primi 15 mila euro di reddito imponibile si pagherebbero 450 euro di tasse in meno l’anno, 37,5 al mese. Non cambia la vita, ma per chi campa con quegli introiti è comunque qualcosa. Attenzione, però: parte del risparmio verrebbe restituita a causa di quel punticino in più di Iva. Un motorino da 3 mila euro ne costerebbe 30 in più. Duemila euro di bollette l’anno, altri 20. Mille euro di fatture mediche altri dieci. E così via. Un mobile, un cellulare, una vacanza, tutto costerebbe di più. Ne varrebbe la pena? In linea di principio sì: il trasferimento delle imposte dalle persone alle cose è in tutti i sistemi fiscali avanzati, ed è anche un impegno di questo governo. All’atto pratico, però, andrebbe raffrontato all’effettivo beneficio iniziale. Nel 2008 i contribuenti che hanno dichiarato fino a 15 mila euro di reddito sono stati circa 20 milioni su un totale di 41. Ma occorre tenere conto della fascia esente che nel lavoro dipendente riguarda i redditi fino a 8 mila euro, e per gli autonomi fino a 4.800. Oltre dieci milioni di persone, e proprio quelle a reddito più basso, non avrebbero quindi benefici, mentre pagherebbero l’Iva maggiorata.





