Archivio per la categoria ‘Il territorio’

LE VOLPI E I LEONI DELLA REPUBBLICA, di Angelo Panebianco

Pubblicato il 15 aprile, 2013 in Il territorio | No Comments »

Siamo alla vigilia di una mutazione della Repubblica italiana? Le «volpi» stanno per essere sopraffatte dai «leoni»? È accaduto tante volte. Sta per accadere in Italia? Il modo in cui avverrà l’elezione del presidente della Repubblica non ci darà la risposta conclusiva ma forse chiarirà quale sia la direzione del nostro cammino. Tutto si riduce a un interrogativo: il Movimento 5 Stelle sarà determinante nella elezione del presidente, i suoi leader potranno intestarsi, di fronte alla opinione pubblica nazionale e internazionale, il titolo di king-makers ? Se ciò accadrà guadagneranno una legittimazione che li galvanizzerà e li renderà fortissimi, e anche coloro che si sono fin qui ostinati a non prendere sul serio le loro idee, la loro visione del mondo, i loro programmi, dovranno abbandonare ogni illusione. Perché nessuna delle due strategie immaginate per fronteggiare l’affermazione di questo nuovo soggetto politico reggerebbe.

Risulterebbe impraticabile la strategia passiva (« ha da passà ‘a nuttata »), di chi immagina che i 5 Stelle siano una meteora (come L’Uomo Qualunque o i poujadisti nella Francia degli anni Cinquanta) e che sia sufficiente aspettare che si distruggano da soli. Così come risulterebbe illusoria la strategia di chi ha pensato che fosse possibile coinvolgerli nel gioco politico con lo scopo di addomesticarli, di de-radicalizzarli (o, in subordine, di dividerli). Vari precedenti storici testimoniano di come il tentativo suddetto possa facilmente risolversi in un suicidio politico.

Il guanto della sfida alla nostra acciaccatissima democrazia rappresentativa è stato lanciato e, fino ad oggi, senza sbagliare un colpo. Non è vero che la democrazia rappresentativa sia sul punto di essere resa obsoleta, nel mondo occidentale, per l’avvento della cosiddetta democrazia del web. La democrazia rappresentativa è oggi, quasi dappertutto in Europa, in grave sofferenza a causa di una prolungata crisi economica. Solo in Italia (e in pochi altri luoghi), però, potrebbe uscirne davvero travolta o stravolta. Per la gracilità e il malfunzionamento delle nostre istituzioni e la radicalità degli odi che dividono le élite politiche tradizionali.

Occorrerebbe un governo stabile per porre in essere le condizioni necessarie alla ripresa economica. Ma la profondità della crisi politico-istituzionale, e il no di Bersani e dei suoi seguaci a un accordo con Berlusconi, rendono, al momento, impossibile la sua nascita. È un circolo vizioso: l’incapacità della politica tradizionale di trovare soluzioni stabili pone le condizioni per un ulteriore aggravamento della crisi economica e ciò promette di fare ulteriormente lievitare la protesta contro la politica tradizionale. Dove si colloca il punto di rottura? Quale è il momento superato il quale non c’è più ritorno?

La democrazia assembleare, checché molti oggi ne pensino, non è la soluzione. Ha funzionato qualche volta, solo in comunità piccole e isolate, autarchiche. Ove prevalgono le grandi dimensioni e l’interdipendenza sostituisce l’autarchia, la democrazia rappresentativa è la sola democrazia possibile. La partecipazione via web può influenzarla ma non surrogarla.

La sfida portata da un movimento rivoluzionario come i 5 Stelle risulterà, col senno del poi, un grande servizio per il Paese se convincerà anche i più accesi conservatori della necessità di un nuovo patto costituzionale, di una rigenerazione della democrazia rappresentativa mediante radicali innovazioni.Angelo0 Panebianco, Il Corriere della Sera, 15 aprile 2013

ORA LA POLITICA DEVE DECIDERE, di Michele Ainis

Pubblicato il 13 aprile, 2013 in Il territorio | No Comments »

I nostri dieci saggi si sono trasformati in dei saggisti. Nel senso che hanno generato un saggio, e nemmeno tanto breve: 83 pagine la parte scritta dal gruppo di lavoro sull’economia, 29 pagine quella firmata dal gruppo sulle riforme istituzionali. Ne valuteremo (pardon, ne saggeremo) a mente fredda le proposte, dove indubbiamente non manca qualche buona idea, specie sulla crescita, sulla concorrenza, sul lavoro. Quanto alle istituzioni, s’incontrano alcune idee esatte e altre originali. Peccato che le idee esatte non siano originali, mentre quelle originali suonino inesatte.


È il caso, per dirne una, dell’intenzione di rinvigorire il referendum, in modo che i cittadini possano contare davvero. Come? Elevando il numero delle sottoscrizioni necessarie per indirlo. Idem sulle leggi popolari, tanto per raffreddare gli entusiasmi. È il caso, per dirne un’altra, del progetto d’istituire la quarta Bicamerale, come se tre flop di fila non fossero abbastanza. È infine il caso delle sanzioni disciplinari ai magistrati: qui i saggi propongono una Consulta bis, disegnata e designata con i medesimi criteri. Dopo di che ci sarà un bel derby da giocare.


Quanto al resto, il gruppo di lavoro ha brevettato una nuova Camera: la Camera dell’ovvio. E dunque via al processo breve, come se qualcuno lo desiderasse lungo. Stop al sovraffollamento carcerario, riducendo le pene detentive. Una legge sui partiti, peraltro già suggerita da don Sturzo nel 1958. Un’altra sulle lobby, sollecitata invano da 40 progetti finora depositati in Parlamento. Robuste sforbiciate al numero dei parlamentari, così come alle competenze regionali (silenzio, però, sulle Province). Superamento del bicameralismo paritario. Pensose riflessioni sul troppo diritto che ci portiamo sul groppone. E la forma di governo? Qui i 4 saggi si dividono; ma quella parlamentare batte il presidenzialismo per 3 a 1.
Sarà stato per questo, per non alimentare ulteriori divisioni, che sulla legge elettorale il gruppo di lavoro ha scelto di non scegliere. Squadernando sullo scrittoio del presidente tutto il rosario dei modelli: francese, tedesco, spagnolo o altrimenti misto com’era il Mattarellum . Sicché Solone diventa Rigoletto: «Questa o quella per me pari sono». Certo, noi poveri mortali ci saremmo attesi una più netta indicazione. Tuttavia per ottenerla avremmo dovuto prelevare i saggi da Oltreoceano. Oppure anche in Italia, però da una parrocchia sola.


È la nostra tragedia nazionale: non sappiamo più parlarci. Se metti due italiani attorno a un tavolo, tirano fuori tre soluzioni contrapposte. E per conseguenza siamo incapaci di decidere, mentre là fuori il mondo corre veloce come un jet, mentre l’economia reclama risposte rapide, immediate. Anche l’espediente dei due gruppi di lavoro, escogitato da Napolitano per favorire la decantazione della crisi, si è concluso con una messa cantata. Per forza: ogni partito è affetto dal vizio di Narciso, si specchia nella propria immagine riflessa, osserva il proprio ombelico senza curarsi dell’ombelico altrui.

Almeno un risultato, tuttavia, i saggi ce lo hanno consegnato: per la prima volta si legge in un documento ufficiale il ripudio del Porcellum . Sempre ieri, il presidente Gallo ci ha ricordato come il monito della Corte costituzionale sia caduto nel vuoto, rendendo il Parlamento inadempiente. Chissà, forse questo doppio altolà potrà smuovere l’inerzia del governo a provvedere con decreto. Sempre che il governo decida di decidere. Michele Ainis, Il Corriere della Sera, 13 aprile 2013

……Dopo aver letto questo commento del prof. Ainis all’aria fritta (o acqua calda) servita senza contorni dai dieci “saggi” che hanno indefessamente lavorato per una quindicina di giorni intorno al capezzale della “grande ammalata”, ci spieghiamo perchè il prof. Ainis, autorevole docente di diritto costituzionale, autore altrettanto autorevole di numerose pubblicazioni sul tema, non abbia fatto parte o,  meglio, non sia stato chiamato a far parte dei dieci saggi da Napolitano: c’era il rischio che alla fine del lavoro non sarebbe uscito un bel niente dalla super commissione. Cioè, nulla è uscito se non aria fritta o acqua calda, ma non sarebbe venuto fuori neppure il bel volumetto di un centinaio di pagine che servirà ad arrichire al più la biblioteca di qualche  notabile con la testa all’indietro.  M a se ci fosse stato Ainis neppure questo sarebbe stato partorito e di certo sarebbe stato un   bene per la comune intelligenza degli italiani, popolo di depredati, si, ma non popolo di idioti. g.

DUE SCENARI DA EVITARE, di Angelo Panebianco

Pubblicato il 10 aprile, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

I parlamentari che fra meno di due settimane dovranno scegliere il prossimo presidente della Repubblica sono certamente consapevoli delle poste in gioco secondarie connesse a quella scelta, ma non sembrano esserlo altrettanto di quella principale. La posta in gioco principale non è, detto con tutto il rispetto, il destino personale di Bersani o di Berlusconi. E nemmeno la scelta fra un governo di tregua e le elezioni. La posta in gioco principale è il destino della Repubblica. Parole grosse, certamente, che richiedono una spiegazione. Che sia in gioco il destino della Repubblica dipende dal fatto che la concomitanza di tre crisi (economica, politica, istituzionale) fa della Presidenza l’unico possibile «luogo» di difesa e di (parziale) stabilizzazione della democrazia rappresentativa. Un ruolo altamente politico, politicissimo, che va molto al di là della pura funzione di garanzia. Un ruolo imposto dalla forza delle cose e non dalla volontà di chicchessia. Un ruolo non previsto in questi termini dalla Carta del 1948, checché ne dicano certi costituzionalisti esperti nel gioco delle tre carte, che inventano sempre nuovi argomenti ad hoc per dimostrare che nulla è mai cambiato.

Tutti oggi si concentrano, comprensibilmente, sullo stallo politico prodotto dalla mancanza di una maggioranza parlamentare. Ma questo è forse il minore dei nostri guai. Chi pensa che sarebbe sufficiente riformare la legge elettorale non capisce o finge di non capire. Gli sfugge la gravità e la profondità della crisi. Significa che nemmeno il clamoroso successo del Movimento 5 Stelle è riuscito a scalfire tante pseudo-certezze. Non si tiene conto di quanto sia ormai profonda la crisi dello Stato: come testimonia la condizione in cui versa l’amministrazione pubblica (che dello Stato, qui come altrove, è il cuore). Né si tiene conto del fatto che la fragilità della classe politica parlamentare non ha facili soluzioni. Se anche dalle prossime elezioni dovesse uscire una maggioranza di governo, quella fragilità non verrebbe meno. Perché ha a che fare con la debolezza e la precarietà dei rapporti fra i partiti e gli elettori. Voto di protesta, frammentazione politica e etero-direzione (gruppi extrapolitici di varia natura che impongono le proprie scelte a una classe partitica priva di forza e di autorevolezza proprie) ne sono la conseguenza.

In queste condizioni, sulle spalle del presidente della Repubblica, grazie alla durata del suo mandato, ai suoi poteri formali e di fatto, e al carisma che circonda l’istituzione della Presidenza (un carisma cresciuto nel tempo a partire da quando, negli anni Ottanta, iniziò la crisi della Repubblica dei partiti), è stato caricato un peso da novanta. Spetta a lui, o a lei, con le sue scelte, tenere insieme la Repubblica. Le sue qualità e capacità personali diventano decisive.

Non si tratta, moralisticamente, di deprecare il fatto che i politici badano, anche nella scelta di un Presidente, ai propri interessi di breve termine. È così, è un fatto. Deprecarlo è come prendersela con la legge di gravità perché ci impedisce di librarci nell’aria. Si tratta però di pretendere la consapevolezza che l’inevitabile perseguimento degli interessi di breve termine, partigiani, delle varie forze politiche, debba conciliarsi con il carattere strategico (per la sorte della Repubblica) della elezione del nuovo Presidente.

Nelle circostanze presenti, significa evitare che si realizzi l’uno o l’altro di due scenari, entrambi potenzialmente esiziali. Lo scenario A (da evitare) è quello di un accordo al ribasso: si sceglie una figura di scarsa rilevanza, in grado di svolgere solo un ruolo notarile, una figura che non riuscirebbe a entrare in sintonia con l’opinione pubblica, ad acquistare quella popolarità, e anche quel carisma personale, che, ormai, la dilatazione del ruolo politico della Presidenza impone.

Lo scenario B (anch’esso da evitare) è quello della scelta di una persona, magari anche dotata di un certo prestigio personale di partenza ma che, per le modalità della sua elezione, appaia all’opinione pubblica, come il Presidente di una sola parte. Il che accadrebbe oggi (il pericolo non è ancora del tutto rientrato) se un partito come il Pd, reduce da una non-vittoria elettorale, si eleggesse qualcuno di sua scelta acchiappando voti grillini in libera uscita. Quel Presidente sarebbe, fin dall’inizio del suo mandato, un’anatra zoppa. Ogni sua mossa verrebbe interpretata alla luce di quel vizio d’origine, sarebbe accompagnata da cori (applausi e fischi) da stadio. Le tante decisioni difficili e sofferte che dovrebbe prendere, nel corso del suo settennato, stante la persistente fragilità della classe politica parlamentare, avrebbero sempre l’effetto di dividere e mai di unire il Paese. Aggravando ulteriormente la crisi della Repubblica.

Uomo o donna che sia, il prossimo Presidente non potrà essere né una mezza figura né un’anatra zoppa. Perché dovrà unire (come è riuscito a Giorgio Napolitano), in tempi cupissimi per la nostra democrazia, la funzione del garante di tutti e le qualità politiche ormai richieste a un Presidente. Per questo è così strategica la sua scelta.

Naturalmente, sarebbe anche tempo di capire che, se si vorrà mettere in sicurezza la Repubblica, non si potrà ancora a lungo pretendere di «contenere» il ruolo del Presidente entro le formule costituzionali vigenti, occorrerà decidersi a ricomporre il rapporto fra potere e responsabilità mediante la sua elezione diretta. Ma questo passo, così logico e così necessario, richiederà alle classi dirigenti del Paese molta più energia morale e intellettuale, e molta più forza, di quelle oggi disponibili. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 10 aprile 2013

………………….Ci sembra che la conclusione del “ragionamento” di Panebianco, oltre che la necessità di evitare  nella elezione del nuovo Capo dello Stato i due scenari delineati  dallo stesso Panebianco,  sia, in prospettiva, la parte più importante: bisogna  che ad eleggere il Capo dello Stato siano gli elettori, cosicchè da sottrarlo alle alchinie di partito e dal rischio che ogni volta si paventino i due scenari- A e B -  prospettati da Panebianco. E’ ciò che sostiene il centrodestra, almeno a parole: il fatto che ora se ne faccia portavoce un politologo non certo di destra come Panebianco è un fatto da evidenziare. Ciò significa che la elezione diretta del Capo dello Stato, come avviene in tante democrazie occidentali, dagli USA alla Francia, non è più un tabù e non è solo un obiettivo del centro destra. Di oggi e di ieri. Negli anni ‘70 del secolo scorso a farsi portavoce di questa richiesta era il MSI e tanto bastava per rendere la proposta non accettabile dall’allora arco costituzionale  che la considerava eversiva. Ma anche allora, in quegli anni turbolenti, ci fu anche chi da “sinistra” sostenne la stessa cosa. Chi ricorda Randolfo Pacciardi, uomo delle Istituzioni, ministro, ex  partigiano, ex azionista, poi repubblicano, espulso dal PRI di Ugo La Malfa e quindi fondatore del Movimento “Nuova Repubblica”? Pochi lo ricordano anche perchè nella parte finale della sua vita politica le sue scelte furono oggetto di furibonde polemiche e di accuse al limite del ridicolo e del grottesco: fascista! E ciò solo perchè Pacciardi,  sulla cui etica democratica non potevano esserci dubbi, con il suo Movimento si schierò apertamente  a favore della trasformazione della nostra Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale. Sono passati da allora quattro decenni, un tempo enorme per la politica e per la vita del Paese, sono  morte la prima e la seconda repubblica e alll’alba della nascita, forse, della terza, si ripropone il dilemma di un quarantennio fa: può restare in piedi l’impalcatura istituzionale nata dalla guerra e ormai sporofondata nella più totale incapacità di rispondere alle esigenze del mondo moderno, o non è giunto il momento di cambiare e di cambiare innazitutto il modello di Repubblica? Noi la pensavamo così ieri, la pensiamo ancor di più così oggi. Che sia la volta buona? Dipenderà  solo dai partiti e dai loro personali egoismi se anche questa volta non si vorrà prendere il treno della storia e della modernità. g.

GITA E FUSIONE, FLAIANO DOCET

Pubblicato il 6 aprile, 2013 in Il territorio | No Comments »

Un numero, 52%, dovrebbe farci riflettere più delle parole. Le tasse sono arrivate al 52% del Pil, un record assoluto per l’Italia e nell’Europa. A un anno dal decreto «Salva-Italia», di montiana memoria, di crescita non c’è traccia mentre di lacrime e sangue per il nostro Paese non c’è fine: aumentano le tasse, le aziende chiudono e gli imprenditori e i disoccupati si suicidano. A metterci una «pezza» ci pensa questa mattina il Consiglio dei ministri che darà il via al decreto che sbloccherà circa 40 miliardi, dei 100 di debito, delle pubbliche amministrazioni verso le aziende. Gli enti locali in difficoltà nei pagamenti ai creditori per crisi di liquidità potranno chiedere un anticipo alla Cassa depositi e prestiti. Con questi «problemini» di sopravvivenza, i nostri politici che fanno?

Berlusconi chiede un governo stabile e rassicura: «Il voto non è la nostra prima opzione». Grillo, invece, fa la gita (segreta) fuori porta per «rieducare» i dissidenti, quelli che non dicono no ad un dialogo con il Pd. Molti dei ribelli però hanno disertato il pranzo anche se il comico genovese ha ribadito: «Inciucio Pd-Pdl, la gente prenderà i bastoni». E mentre i grillini vanno in pullman la sinistra arriva al bivio litigando pure sui titoli dell’Unità. Renzi, dopo l’attacco per niente velato alla strategia di Bersani, esclude di fare una sua lista che valichi i confini tra destra e sinistra, ma intanto c’è chi tra i «giovani turchi» pensa a un matrimonio con Sel. A Vendola non dispiacerebbe un ritorno all’antico ma non una fusione a freddo.

Ecco, gli strateghi dei partiti, i maghi del tatticismo, in che Paese vivono? Aveva proprio ragione Flaiano: «La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria». Sarina Biraghi, Il Tempo, 6 aprile 2013

……Flaiano diceva anche che “gli italiani tengono famiglia” e aggiungeva, sarcastico, che “gli italiani salgono sempre sul carro dei vincitori”. In questi tre aforismi dell’indimenticabile Flaiano si può circocrivere la storia recente del nostro sfortunato Paese. I tatticismi cui fa cenno il direttore de Il Tempo sono tutti finalizzati a difendere la “famiglia”, prima di tutto quella di sangue e poi, se avanza, anche quella politica, pronti, alla bisogna,  a “saltare sul carro dei vincitori”,  tanto sebbene  “il momento è grave, in fondo non è poi tanto serio” , perchè, in fondo, cosa vuoi che siano un suicidio l’altro ieri, tre ieri, e magari un altro paio domani? In Italia siamo una sessantina di milioni: uno, tre, cinque o anche cinquecento che si tolgono la vita, la percentuale è estremamente risibile e ci può stare. Quest’ultimo non è un aforisma di Flaiano ma il pensiero neanche tanto recondito di una classe politica sempre più lontana dalla gente e sempre più referente solo di stessa. Sino alla indifferenza di fronte alle tragedie che non riguarda i singoli, ma  sempre più diventa tragedia di un popolo, il nostro. g.

OMAGGIO AD UN GRANDE CAMPIONE DEL SUD: PIETRO MENNEA

Pubblicato il 21 marzo, 2013 in Il territorio | No Comments »

È morto questa mattina a Roma Pietro Mennea, ex velocista azzurro, per anni primatista mondiale dei 200 metri.

Il prossimo 28 giugno avrebbe compiuto 61 anni e da tempo era gravemente malato. La camera ardente sarà allestita oggi pomeriggio nella sede del Coni a Roma. Da oggi fino a domenica, inoltre, ci saranno bandiera a mezz’asta listata a lutto e minuto di silenzio prima di tutte le manifestazioni sportive, come disposto dal presidente del Coni, Giovanni Malagò.

Uno dei simboli dello sport italiano, Mennea iniziò la sua carriera nell’atletica internazionale nel 1971, debuttando agli europei e conquistando il terzo posto nella staffetta 4×100 e il sesto posto nei 200 metri. Partecipò per la prima volta alle olimpiadi l’anno successivo, dove conquistò la medaglia di bronzo nei 200 metri. Nel 1979, alle Universiadi di Città del Messico, corse i 200 metri in 19″72, segnando un record del mondo che è resistito ben 17 anni e che è ancora il primato italiano ed europeo. L’oro olimpico arrivò invece nel 1980 a Mosca. Soprannominato “La Freccia del Sud”, stabilì un altro primato nel 1983 nei 150 metri piani, con 14″8 sulla pista dello stadio comunale di Cassino. Un record ancora imbattuto. Fonte Ansa, 21 marzo 2013

..……………….Era nato a Barletta Pietro Mennea, era un uomo del sud che ha fatto onore allo sport italiano e alla terra da dove era partito e con cui non aveva mai rescisso legami ed affetti. Ci uniamo al cordoglio di tutti gli sportivi italiani che in Mennea si identificarono nell’orgoglio di essere italiani. g.

VERSO IL VOTO: L’ULTIMA SPIAGGIA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Non voglio vivere in un Paese dove un leader politico chiama i carabinieri per buttare fuori da una manifestazione pubblica i giornalisti.

È accaduto ieri al comizio finale di Beppe Grillo. E non difendo i giornalisti, ma i loro lettori, di qualsiasi orientamento, che hanno il diritto di essere informati. Non voglio vivere in un Paese dove l’indicazione di voto dei Carc (gli estremisti sostenitori dei brigatisti e della lotta armata) è per un partito, il Cinquestelle, che si candida a governarci. Anche per questo è necessario uscire dall’impazzimento di una campagna elettorale violenta e carica d’odio contro noi moderati. E ritrovare in queste ultime ore prima del voto lucidità e buon senso. Facciamolo per noi, per gli interessi nostri, del nostro lavoro e dei nostri figli. Al diavolo risentimenti e moralismi. Non mi interessa premiare Berlusconi, Maroni o chi per loro. Ma so per certo che solo le politiche di Berlusconi e Maroni potranno provare a risolvere i miei problemi e a rispettare i miei princìpi. Non me ne può fregare di meno della loro vita privata o dei malandrini che si erano infiltrati nei loro partiti. Qui c’è in gioco la nostra vita, privata e professionale. E allora non si può scherzare o farsi abbagliare da comici, cantanti, attori, improvvisati santoni del bene comune o professori arroganti. La questione è semplice, ed è come noi immaginiamo il futuro – oltre che del mondo – anche della nostra famiglia e del nostro lavoro. Qui a fianco abbiamo riassunto la proposta che ci fanno gli amici del centrodestra. È incompleta, ma l’essenziale c’è. Meno tasse, meno Stato, più solidarietà e libertà personali e d’impresa, più sicurezza. Qualcun altro ci offre di più? Baratteremmo tutto questo per il gusto di vedere qualche cialtrone rimanere a casa? La mia risposta in entrambi i casi è: no, sugli uomini si può discutere e arricciare il naso, sui princìpi fondamentali non si deroga.
Per questo mi appello a chi, pur pensando da liberale, ha ancora qualche dubbio se, o come, votare domani e dopo. Bene. Grillo è un neofascista violento che ci vuole indottrinare facendo leva sulle debolezze del sistema. Monti, bene che andrà, dal basso del suo risultato potrà solo fare da stampella, insieme con Fini, ai post-comunisti di Bersani. Che ci piaccia o no, per continuare a sperare e non essere travolti, ci resta il vecchio ma non ancora domo centrodestra. Diamogli fiducia, non ce ne pentiremo. Buon voto a tutti.
Alessamdro Sallusti, Il Giornale, 23 febbraio 2013

.…………….Pensavamo di scrivere qualcosa di nostro a proposito del voto di domani. Ce ne toglie l’incomodo Alessandro Sallusti con questo suo editoriale di cui ci piace oltre che il merito, il titolo. Ultima spiaggia, appunto. Perchè siamo davvero all’ultima spiaggia, le cui ragioni non  le declina Sallusti ma sono individuabili negli editoriali di Galli Della Loggia, di Valerio Lo Prete, di Giacomo Amadori, pubblicati stamattina dal Corriere della Sera, dal Foglio e da Panorama on-line  e che noi abbiamo ripreso, nei quali qualsiasi attento lettore può trovare i mille motivi per cui milioni di elettori, di qualsiasi tendenza, o sono tentati di non votare o alzano gli occhi verso il fenomeno del grillismo pur consapevoli che un voto a Grillo non è un rimedio ma  una scorciatoia verso l’abisso, nella speranza, però,  che nell’abisso, prima degli elettori e dell’Italia, ci finiscano quelli che da anni e anni ci malgovernano, sopratutto ci ignorano, ignorano i diritti del cittadini, ignorano le loro speranze, ignorano le loro attese, ignorano le loro necessità, pur, tutti, mettendo “al centro” di tutto il cittadino., ipocritamente consapevoli di dire il falso. In verità al centro (del potere e del malaffare)  ci sono loro,  le caste, politiche,  sindacali,  giudiziarie, professionali,  giornalistiche, e lobbistiche, dalle industrie farmaceutiche a quelle  assicurative, passando per la mamma di tutte le lobby, cioè quella bancaria, mentre i cittadini, gli elettori, di   fatto sono estranei nella vita del Paese, trattati come muli da soma, peggio, come asini, da usare e poi scorticare, estromessi da ogni decisione, salvo quella, quando capita, di votare  senza neppure poter scegliere chi debba o possa meglio rappresentarli. In questo quadro così maledettamente squallido, è ovvio che siano in tanti a manifestare il proprio scetticismo, la propria voglia di estraniarsi: se la vedano loro, quelli che sono attaccati  alla poltrona e non la lasciano neppure con le cannonate, e ci lascino in pace. Pare di risentire i romani alla fine della seconda guerra mondiale quando  dinanzi alle macerie gridavano: andatavene tutti,  lasciateci piangere da soli. Questo lo scenario drammatico creato dai partiti, tutti, senza distinzione di sorta.  E dinanzi a questo scenario, escluso di poter dare il voto al rimedio che è peggiore del male, cioè al grillismo, non ci resta che o disertare le urne o votare per il male minore, che, per quel che ci riguarda, è votare per il centrodestra. Il quale, sia detto con chiarezza e fermezza, ha tante colpe e tante promesse mancate, non mantenute, la prima delle quali è di dover essere diverso dalla sinistre e  non ci pare, che, al di là delle parole, tanto possa dirsi che sia avvenuto. E, però, come potremmo, al di là delle recriminaziomi sul non fatto, passare dall’altra parte seguendo l’onda dei tanti voltagabbana che anche nel nostro piccolo paesello abbondano più delle pietre in campagna? Non ci sentiremmo in pace, non tanto con  tanti presuntuosi  giudicanti, quanto con l’unica nostra giudice che è la nostra coscienza: e la nostra coscienza ci dice che non si può tradire una scelta di vita. Ci tureremo il naso, alla  Montanelli, e voteremo a destra. g.

IN ATTESA DEL VOTO: L’AUTUNNO DEL GENERALE, di Giacomo Amadori

Pubblicato il 23 febbraio, 2013 in Il territorio | No Comments »

L'autunno del generale

Vendola al famoso pranzo con il giudice De Felice. Qui bacia un’altra delle invitate, Paola Memola

La stella di Nichi Vendola, o Nikita il rosso come lo chiamano in Puglia, sembra essersi appannata.

Oggi i giornali nazionali dedicano articoli ai comizi degli altri politici, ignorando completamente la kermesse organizzata a Bari ieri sera dal centro-sinistra, dove l’ospite di punta era proprio Vendola. Con lui sul palco, allestito in piazza Castello, c’erano anche il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e il sindaco Pd del capoluogo, Michele Emiliano. Il quale ha provato a rinfrancare le truppe invitando i presenti a tirarsi su di morale in questo modo: «A Piazza San Giovanni piove». E sì, perché, il convitato di pietra degli ultimi comizi della sinistra italiana sono state le piazze stracolme di grillini che hanno fatto da contraltare a quelle semivuote di Pd e Sel (tanto da costringere Pierluigi Bersani a chiudersi, per l’ultimo appello al voto, in un teatro).

Ieri sera piazza Castello faceva malinconia. Ad applaudire i loro aspiranti rappresentanti c’erano non più di trecento persone, riuniti come si fa tra vecchi amici al bar: saluti, abbracci e confidenze.

Un dirigente, desolato dalle notizie che provenivano da Roma e che parlavano di centinaia di migliaia di persone allo Tsunami tour grillino, ha sibilato a un parlamentare appena sceso dall’auto blu: «A questi bisogna offrirgli la presidenza della Repubblica». In attesa di vedere Grillo al Quirinale, per ora, l’unico risultato concreto è che, alla vigilia del voto, Vendola è scomparso dalle pagine dei giornali, superato alla vigilia delle urne, persino da Antonio Ingroia e il dimissionario Oscar Giannino.

Oggi l’unico pensiero al leader di Sel lo ha dedicato il vicedirettore del Fatto, Marco Travaglio, nel suo consueto editoriale. Un endorsement al contrario di cui Vendola, ne  siamo certi, avrebbe fatto volentieri a meno. Il titolo eloquente è «La foto di Fasano», con chiaro riferimento all’immagine pubblicata da Panorama.it, in cui si vede Vendola a tavola con il giudice per l’udienza preliminare che il 31 ottobre scorso lo ha prosciolto da un’accusa di abuso di ufficio.

L’incipit di Travaglio è un calcio negli stinchi: «Non è un bello spettacolo quello immortalato dalla foto pubblicata da Panorama, che ritrae il già allora governatore della Puglia in compagnia di quattro pm pugliesi (Carofiglio, Pirrelli, Iodice, Bianchi) e due giudici (Manzionna e De Felice), oltre a una giornalista e al capo della Mobile di Foggia. Dopo la foto di Vasto, abbiamo la foto del pranzo. E francamente era molto meglio la prima». Di fronte ai «non ricordo» autoassolutori di Vendola, Travaglio conciona in questo modo: «Siccome di quel pranzo si vocifera da mesi, Vendola avrebbe dovuto verificare presso la cugina (la festeggiata Paola Memola ndr) o gli altri commensali l’eventuale presenza della gip e poi ammetterla con le dovute spiegazioni. Il che avrebbe innescato il meccanismo previsto in questi casi dalla legge per dissipare ogni sospetto e dietrologia: l’astensione del gip».

Infatti secondo il vicedirettore del Fatto il giudice non poteva non ricordare quell’incontro: «Sicuramente la dottoressa De Felice sapeva di aver pranzato con il governatore Vendola  e avrebbe dovuto astenersi dal processo a suo carico».

Per Travaglio un giudice che pranza con il suo futuro imputato è sospettabile, qualunque decisione prenda. «Ora che è uscita quella foto molti penseranno che Vendola fosse colpevole e abbia beneficiato di un trattamento di favore. Tanto più in quanto il governatore aveva posto la gip in una situazione imbarazzante, annunciando che in caso di rinvio a giudizio si sarebbe ritirato dalla vita politica».

Infine Travaglio, ispirato dall’episodio ritratto nella foto pubblicata da Panorama.it, fa una riflessione sui rapporti tra politica e giudici: «Il magistrato politicizzato non è quello che lascia la toga e si candida in politica, ma quello che conserva la toga e frequenta i politici e poi magari li giudica».

Forse per questo Vendola ha preferito in questi giorni non rispondere alle domande dei giornalisti su quel pranzo e su quella foto. Invece di dare spiegazioni, ha trovato più comodo insultare Panorama, dichiarando, per esempio, ieri sera: «Non rispondo al fango». Chissà come avrà valutato questa mattina l’editoriale di Travaglio. Lo avrà liquidato come «fango amico»? O invece, zitto zitto, lo avrà mandato giù con il caffè, visto che non tutti i fanghi sono uguali? Bisognerebbe chiederlo al diretto interessato. Se rispondesse. Giacomo Amadori, Panorama on-line, 23 febbraio 2013

LUINGA VITA ALLE PROVINCIE, di Gian Antonio Stella

Pubblicato il 20 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Lunga vita alle province

Sono due settimane che l’Ansa non fa un titolo di politica sulla spending review . Nel solo 2012 erano stati 1.887, più di cinque al giorno, Natale e Ferragosto compresi. Non esiste pensosa analisi politologica che possa illustrare meglio come i leader impegnati nella campagna elettorale si siano sbarazzati della fastidiosa zavorra di quelle parole che per un anno avevano inchiodato alle sue responsabilità un Paese che troppo a lungo ha vissuto al di sopra dei propri mezzi.

Sarebbe divertente, ora, notare come la svolta coincida col ritorno del Carosello , dove trionfava un panzone dal tonnellaggio smisurato che dopo gli incubi notturni si svegliava strillando felice alla cuoca che parlava veneto («Cossa ghe xè paròn?») ma era nera come la pece: «Matilde, la pancia non c’è più! La pancia non c’è più!».

Il guaio è che i nostri problemi strutturali, come si incaricano quotidianamente di ricordare gli uffici studi con l’irritante asetticità dei numeri, ci sono ancora. E si ripresenteranno intatti, se non aggravati da un quadro di ingovernabilità, la sera del 25 febbraio. Non sono un incubo da cui ci si può risvegliare urlando «la crisi non c’è più!».

Eppure tutto pare finito in secondo piano. I sacrifici? Già fatti. I tagli? Già sufficienti. Il risanamento? Già avviato. Come se ancora una volta troppi politici ritenessero indispensabile diffondere tra gli elettori messaggi segnati dal «trionfo della facilità, della fiducia, dell’ottimismo, dell’entusiasmo», per dirla con Piero Gobetti, perché «a un popolo di dannunziani non si può chiedere spirito di sacrificio». Comunque, non a lungo.

Dice tutto, per fare un solo esempio, la questione delle Province che nelle settimane da «ultimi giorni di Pompei» dell’agosto 2011 sembrò essere così pressante da obbligare perfino la Lega Nord, cocciutamente contraria, ad accettare una robusta amputazione e a titolare anzi su La Padania «Costi della politica, tagli epocali». Dov’è finita la soppressione o almeno la drastica riduzione delle Province? Certo, una riga qua e là nei programmi è sopravvissuta. E con Grillo e l’Idv anche Berlusconi, pur sapendo che Maroni vuole abolire solo i prefetti, torna a promettere l’abolizione. Ma se Vendola parla di «superamento delle Province» e Monti di un compito da rilanciare, il Pd nel suo «L’Italia giusta» non dedica al tema (il presidente siciliano Rosario Crocetta del resto l’ha detto: «Non cancellerò le piccole Province») una sola parola. E così Casini, Ingroia o Fini il quale invita piuttosto a «rivedere le spese regionali…».

La cartina di tornasole, del resto, è quanto è accaduto in Sardegna. Lì i cittadini avevano detto nettamente, al referendum del maggio scorso, cosa pensano. Quorum superato, 97% di «sì» all’abolizione immediata delle quattro nuove Province inventate nel 2002 con un solo voto contrario, 66% di «sì» alla domanda (solo consultiva, stavolta) sulla soppressione delle quattro vecchie. Da allora, però, tutto è bloccato. Dovevano essere cancellate il 28 febbraio. Ma è probabile (scommettiamo?) una proroga al 2015. Nel frattempo, la Corte dei Conti ha spazzato via le chiacchiere di chi aveva promesso che il raddoppio delle Province non sarebbe «costato un centesimo»: i dipendenti sono cresciuti del 29%, la spesa del 42%. Ma che importa, in campagna elettorale?

.……………Stella mette il dito nella piaga: gli sprechi della politica che tutti vogliono eliminare ma che rimangono lì dove sono. Quello delle Provincie è il più noto e negli ultimi mesi il più chiacchierato. Da gennaio dovevano essere scdel lo scioglimento delle camere non è stato convertito in legge. Ma come nel caso del redditometro, strumento di vessatoria persecuzione  dei contribuenti onesti, per il quale Monti non ha trovato il tempo per eliminarlo o epurarlo delle norme vessatorie, anche il decreto sulle Provincie non è stato reiterato come pure si poteva fare per mandare a casa tanti mangiapane a sbafo che occuopano i posti a sedere nelle giunte provinciali, raro esempio di inutilità pratica di una istituzione che costa allo Stato e ai contribuenti centianaia di milioni di euro e che talvolta serve solo come strumento di ricatto a qualche personaggio in cerca d’autore per ottenere posti in prima fila per le prossime consultazioni amministrative. Ogni riferimento a gente di nostra conoscenza è puramente voluto. g.


IN ITALIA BOLLELLE DI LICE E GAS PIU’ CARE DEL 20% RISPETTO ALL’EUROPA

Pubblicato il 18 febbraio, 2013 in Il territorio | No Comments »

Gas ed energia al top delle tariffe Ue. Il caro gas e luce non dipende dai costi della materia prima ma ancora una volta da quanto incidono le tasse sui consumi delle famiglie. Paesi europei a confronto

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L’Italia non detiene solo il record del Big Mac più caro d’Europa. Anche le forniture di gas ed energia condividono il primato dei prezzi più elevati tra i Paesi del vecchio continente. Con l’evidente differenza che fare a meno di queste ultime non giova alla salute. Anzi.

Una famiglia media italiana spende circa 1.820 euro all’anno per le utenze di gas e luce, con costi unitari del 20% superiori rispetto a quelli in vigore in Spagna, Germania, Francia e Gran Bretagna: è questo, in breve, il fosco quadro che vede gli Italiani spendere di più anche in questo settore. A stabilirlo è un’analisi di Facile.it che ha analizzato le tariffe medie riservate alle famiglie italiane. Vediamo i conti nel dettaglio:

GAS
Per quanto riguarda i consumi di gas, una famiglia media italiana spende circa 1.300 all’anno (considerando un consumo annuo medio di 1.400 metri cubi): potrebbe risparmiare ben 260 euro l’anno se avesse le tariffe unitarie in vigore nei principali paesi europei. Il costo medio al metro cubo da noi è pari a 0,93 euro, contro lo 0,75 euro al metro cubo medio di Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.

LUCE
Per la luce, invece, una famiglia tipo paga in Italia circa 520 euro all’anno (per un consumo annuo medio di circa 2.700 KWh): potrebbe risparmiare 73 euro ogni anno se potesse contare sulle tariffe unitarie in vigore negli altri Paesi considerati. Paghiamo infatti 0,191 euro per KWh, contro gli 0,164 euro per KWh spesi in media da Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.

Ma perché questa differenza?
La spesa unitaria varia perché da noi i prezzi della materia prima gas e della quota energia della luce sono tassati maggiormente rispetto all’estero: da qui i rincari, che si ripercuotono sulle bollette.
Nel dettaglio, il prezzo della materia prima gas in Italia è in linea con quello pagato dagli altri Paesi europei (0,62 euro/mc in Italia vs 0,62 euro/mc degli altri quattro Stati), mentre è molto forte la differenza di tasse ed imposte sulla bolletta (ben 0,31 euro/mc in Italia, contro uno 0,13 euro/mc per gli altri Paesi).
Se sull’energia elettrica il prezzo italiano della quota energia è leggermente più alto rispetto alla media altri Paesi analizzati (0,132 euro/KWh in Italia vs 0,122 euro/KWh degli altri Paesi – con l’eccezione della Germania che è di molto sopra la media), è notevole il diverso peso delle tasse e delle imposte applicate alle bollette italiane (0,059 euro/KWh contro lo 0,042 euro/KWh degli altri Paesi considerati).

Di seguito il dettaglio delle tariffe in vigore per il gas nei cinque Paesi europei:

Nazione tariffe unitarie in vigore (€/mc) Tasse e imposte sulle bollette (€/mc) Costo materia prima (€/mc)
Italia 0,93 € 0,31 € 0,62 €
Spagna 0,82 € 0,13 € 0,69 €
Germania 0,77 € 0,20 € 0,57 €
Francia 0,76 € 0,12 € 0,64 €
Gran Bretagna 0,63 € 0,03 € 0,60 €

Queste, invece, le differenze per l’energia elettrica:

Nazione tariffe unitarie in vigore (€/KWh) Tasse e imposte sulle bollette (€/KWh) Costo materia prima (€/KWh)
Germania 0,227 € 0,099 € 0,128 €
Italia 0,191 € 0,059 € 0,132 €
Spagna 0,159 € 0,029 € 0,130 €
Gran Bretagna 0,147 € 0,005 € 0,142 €
Francia 0,123 € 0,036 € 0,087 €

.…e nessuno che dica che bisogna ridurre i prezzi di luce e gas alla media europea.

MONTI SI FA IN TRE MA NON NE AZZECCA UNA

Pubblicato il 15 febbraio, 2013 in Il territorio, Politica | No Comments »

Monti si fa in tre ma non ne azzecca una

Uno e Trino, senza essere blasfemi. È il nuovo miracolo di Sua Santa Sobrietà che, nel rush finale della campagna elettorale, si è spacchettato in tre: il Monti fu tecnopremier (che piace solo a Casini); il Monti versione famiglia (moglie, cagnolino, cotechino e croccantini) costruito nella speranza di acchiappare qualche consenso; il Monti candidato, che invece promette l’esatto contrario di quanto ha fatto. Per averne prova, basta dare un’occhiata alle parole pronunciate nel suo patetico tour. Il Pil è crollato, facendo registrare uno dei peggiori dati della nostra storia economica. E lui, come se niente fosse, dichiara che lo farà salire del 6% grazie alla sua bacchetta magica. Non risponde a chi gli fa notare che il crollo è dovuto al suo rigore esasperato e neppure a chi gli dice che è una conseguenza del suo essere servile con la Germania. È un professore, non deve risposte a nessuno. Ha lasciato 7 miliardi di euro da coprire (lo dice Fassina) ma Monti fa spallucce, che vuoi che siano. C’è il record delle imprese che hanno chiuso i battenti? Riapriranno. La mazzata che ha dato con l’Imu è stata troppo pesante? La renderà più leggera. La scuola ha subìto tagli? Le darà i soldi. Ha creato tre milioni di disoccupati? Creerà sei milioni di posti di lavoro. Due milioni di anziani non riescono più ad affrontare i costi delle cure mediche e dei farmaci? Pazienza, tutti devono rinunciare a qualcosa e fare sacrifici. Intanto, viene ripreso dai fotografi mentre mangia il pasticciotto, accarezza il cagnolino e cerca di tenere buoni alleati recalcitranti e con i consensi elettorali al lumicino, perché vampirizzati da quella “Scelta civica” che diventa ogni giorno più “Scelta cinica”.  Alla possibile sconfitta penserà domani. Anzi, ci penserà la Merkel. A trovargli una “giusta” collocazione. 15 febbraio 2013

.……………Intanto del sobrio Monti che salì umile  e servile le scale del Qurinale per afferrare iol laticlavio a vita di senatore, pagamento anticipato per i servizi che prometteva di rendere al Paese, non v’è più alcuna traccia. Borioso e suponente come sempre lo abbiamo visto, descritto e considerato, Monti, salito in politica dopo essere sceso dall’olimpo  dei falsi dioscuri di cui è popolata l’Unione Europea, specializzata nel succhiare il sangue dei popoli che le si sono affidati, ora scopre l’altra faccia, la paeggiore, di cui dispone, la faccia della cattiveria fine a se stessa. Oggi ha definito cialtrone Berlusconi e governo di cialtroni quello dimessosi per fargli posto, e ovviamente il partito del quale l’uno e l’altro erano emanazione, cioè il PDL. Gli ha replicato Berlusconi defindendolo disperato ma nessuna disperazione, anche nel recente passato, avrebbe potuto giustificare tanta cattiveria e tanta ingratitudine da parte di un oscuro burocrate, che nel 1994 si fece in quattro per faersi nomnare commissario europeo da Berlusconi, dopo averlo votato e che rinnovato nel’incarico da Prodi quattro anni dopo, a Bruxelles si è distinto per il suo anonimato dietro il quale ha costruito una fama di esperto in economia che i fatti hanno ampiamente smentito. Certo la politica non sta offrendo un buon spettacolo,  nè dando una buona prova di sè in questo periodo storico, ma  peggio della politica i tecnici e i burocrati di cui Monti è la peggior espressione. g.