Archivio per la categoria ‘Il territorio’

TUTTI ATTENTI AL VOTO FRANCESE, di Mario Sechi

Pubblicato il 12 marzo, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

Il presidente francese Nicolas Sarkozy Ascoltavo il discorso tenuto da Nicolas Sarkozy a Villepinte per la campagna presidenziale e mi sono ritrovato a chiedermi: dov’è finita la politica italiana? Mentre Sarkò minacciava di congelare Schengen e proponeva un «Buy European Act» per proteggere l’industria europea, mentre cercava di rimontare il suo svantaggio (un paio di punti) sullo sfidante socialista Francois Hollande, ho trovato una ulteriore conferma della crisi del sistema politico italiano. Diciotto anni dopo la discesa in campo di Berlusconi, lo scenario è polverizzato: dell’esperienza del 1994, delle sue trasformazioni, alchimie e alleanze sperimentate nel corso di un tempo lungo resta poco. Sia chiaro, un leader non deve per forza lasciare un’eredità, la storia è piena di folgoranti meteore, ma sull’esperienza italiana prima, durante e dopo Berlusconi occorre riflettere con onestà intellettuale per trovare una risposta al domani. Tra sei settimane sapremo chi sarà il nuovo presidente francese. Se Sarkozy perde, lo scenario europeo subirà uno scossone perché il già debole asse tra Parigi e Berlino diventerà di terracotta. Hollande lo vuole demolire e lo stesso Sarkò è costretto a issare la bandiera nazionalista per recuperare voti. Ci sono le premesse perché il «Fiscal Compact» europeo diventi carta straccia. Tutto questo riguarda da vicino l’Italia, il suo governo, i destini di un centrosinistra in cerca d’autore e la lezione che può trarne un centrodestra che viaggia in disordine sparso. Il voto francese è una bomba a orologeria pronta a far saltare l’ortodossia berlinese e il fideismo bancocentrico. Potrebbe essere un salutare schiaffo per l’Unione europea, ma Monti cosa farà? Continuerà ad appoggiarsi alla cancelliera Merkel che nel frattempo avrà perso la stampella di Parigi? E il Pdl alfaniano con quale ricetta si presenterà davanti ai suoi elettori? E il Pd bersaniano continuerà a sostenere la linea «brussellese» del rigorismo o subirà il fascino «hollandista» spostandosi ancor più a sinistra? Anche una per ora improbabile vittoria di Sarkozy avrebbe effetti importanti. Il Pdl dovrebbe rileggersi la campagna dell’Eliseo, cercando di reinterpretarne le parole chiave e i politici che diedero vita ad Alleanza nazionale potrebbero provare a ricostruire la destra che non è riuscita a venir fuori con la leadership finiana, priva della caratura culturale per diventare un presentabile gollismo italiano. In attesa del rush finale, resta un dato: la Francia può scegliere tra due alternative chiare, una destra e una sinistra riconoscibili. E un debole Sarkozy, pur in svantaggio, pur da non imitare per gli errori commessi, grazie a un sistema istituzionale che funziona e ruota intorno alla presidenza della Repubblica, può proporre «La France Forte». Idee per Italia? Non pervenute. Mario Sechi,Il Tempo, 12 marzo 2012

.…………..Ci siamo sforzati di inviduare tra i politici della ex Alleanza Nazionale, erede del vecchio MSI, che vantò finchè visse  il copyright della Destra italiana,  chi, facendo nostro l’auspicio di Sechi, abbia la caratura culturale per ind, ossare la corazza di leader di una nuova Destra capace di trasformarla in un “presentabile gollismo all’italiana”. Per quanti sforzi, anche di fantasia, abbiamo fatto,  siamo costretti ad ammettere che non c’è nel panorama politico italiano, nè fra gli ex AN nè nei pur numerosi  “eredi” del berlusconismo, chi possa essere investito di questo ruolo. Certo di autocandidature ce ne sono tante ma nessuna che abbia il “quid” evocato da Berlusconi per Alfano. Bravo questo, ma solo perchè in un mondo di ciechi chi ha un occhio è un veggente. Per il resto è deserto. Perchè finiti i Valori, accantonati i sogni, perduti gli ideali, è naturale che nel terreno della Destra non cresca più erba. Ed è un peccato. g.

PRESIDENZIALI USA: NEL SUPERMARTEDI’ ELETTORALE ROMNEY VINCE SEI STATI, MA L’ITALO AMERICANO E ULTRA CONSERVATORE SANTORUM NE VINCE TRE E RESTA IN CORSA.

Pubblicato il 7 marzo, 2012 in Il territorio | No Comments »

Vittoria ai punti per Mitt Romney nel Super martedì delle primarie repubblicane. In palio c’erano dieci stati: Santorum ne ha vinti tre, Gingrich uno.

Mitt Romney festeggia la vittoria nel Super martedì

Mitt Romney festeggia la vittoria nel Super martedì
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Tutto il resto all’ex governatore del Massachussets, compreso lo stato-chiave dell’Ohio, considerato decisivo perché sempre in bilico. Romney si impone anche in Virginia, Vermont, Idaho, Massachusetts e Alaska. L’italo-americano vince in Oklahoma, Tennessee e North Dakota. A Gingrich la sua Georgia. Messo da parte il pallottoliere Romney può esultare.

E ai suoi sostenitori in Massachussets urla una frase che è un programma: “Vado a prendermi la nomination”.

In una competizione dove alla fine vince chi prende più delegati (ne servono 1.144 per ottenere la nomination) Romney continua ad avanzare. Ma non riesce ad assestare il colpo decisivo, quello del ko. Ancora una volta vince ma non convince. Nell’elettorato più conservatore Santorum ha la meglio su Gingrich. La sfida, dunque, va avanti. E di questo non può che essere contento Obama.

L’Ohio, uno dei cosiddetti swing state (che non sono tradizionalmente a maggioranza democratica o repubblicana e il cui voto è considerato decisivo per l’esito delle elezioni) ha premiato Romney, ma con un distacco minimo: si parla di qualche migliaio di voti. Il candidato mormone ha avuto vita facile nel Vermont di tendenza liberale, e in Idaho, dove lo hanno aiutato i mormoni. Ha vinto facilmente anche in Virginia, dove però Santorum non era in corsa. Le vittorie di Santorum in Tennessee, Oklahoma e North Dakota confermano che è lui il candidato più forte – e apprezzato – dallo schieramento più conservatore. Gingrich però non demorde e, pur essendosi affermato solo in Georgia, lo Stato che lo ha fatto entrare al Congresso, promette battaglia. Fonte ANSA, 7 marzo 2012

E’ MORTO LUCIO DALLA, IL POETA DELLA MUSICA

Pubblicato il 1 marzo, 2012 in Il territorio, Spettacolo | No Comments »

Lucio Dalla

L’avevamo seguito, con l’ammirazione di sempre,  a Sanremo,  nella quasi inedita veste di direttore d’orchestra, lo seguivamo da sempre, innamorati delle sue canzoni, della sua musica, del suo saper essere famoso,  con discrezione,  senza sconfinare, mai, se non attraverso le parole delle sue poesie musicate nella vita degli altri. Abbiamo nel cuore i suoi versi, i titoli che ci hanno accompagnato nelle vicende della vita, da quel 4 marzo 1943 a Piazza grande, alla suggestiva, malinconica, struggente melodia di Caruso, interpretata da tanti cantanti, per la sua incomparabile bellezza, ma che nessuno riusciva a far vivere nella immaginazione come sapeva fare solo lui, Dalla. E’ stato stroncato da un infarto mentre si accingeva ad incantare ancora,  in giro per il mondo,  giovani ed anziani, che nelle sue interppretazioni trovavano occasione di annullare le distanze anagrafiche perchè Dalla cantava per tutti. Ci mancherà, continueremo ad ascoltarlo. g.

Un cantautore che rinnovò la musica Lucio Dalla era nato a Bologna il 4 marzo 1943. Aveva cominciato a suonare sin da giovane, prima la fisarmonica poi il clarino. Fece parte della Second Roman New Orleans Jazz Band e poi dei “Flipper”. Nel 1963 quando al Cantagiro, Gino Paoli si offre come produttore e l’anno successivo approda alla scuderia discografica Rca. Incide “Lei” e “Ma questa sera”, ma senza successo. Debutta nel 1966 al Festival di Sanremo con “Paff…Bum”, in coppia con i “Yardbirds” di Jeff Beck. Del 1971 è l’album “Storie di casa mia”, contenente canzoni quali “Il gigante e la bambina”, “Itaca”, “La casa in riva al mare”. Dal 1974 al 1977 collabora con il poeta bolognese Roberto Roversi realizzando tre album: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa” e “Automobili”. Sciolto il sodalizio con Roversi, diventa anche paroliere e realizza dischi quali “Com’è profondo il mare” e “Lucio Dalla”, che contiene classici quali “Anna e Marco” e “L’anno che verrà“. Nel 1979 si esibisce dal vivo con Francesco De Gregori nel tour di grande successo “Banana Republic” (da cui l’omonimo “live”). Seguono nel 1980 “Dalla”, con le stupende “La sera dei miracoli”, “Cara” e “Futura”. Incide nel 1981 “Lucio Dalla (Q Disc)”, “1983″ nel 1983 e “Viaggi organizzati” nel 1984. Nel 1985 esce l’album “Bugie” e nel 1986 “Dallamericaruso”. In questo disco è inclusa la canzone “Caruso”, riconosciuta dalla critica come il capolavoro di Dalla. Vende oltre otto milioni di copie, viene incisa in trenta versioni, tra cui la versione di Luciano Pavarotti. Nel 1988 si forma un’altra coppia vincente: Lucio Dalla e Gianni Morandi. Scrivono un album insieme, “Dalla/Morandi”, a cui segue una trionfale tournee. Nel 1990 in televisione, presenta il suo nuovo brano “Attenti al lupo” e il seguente album “Cambio”. Il disco totalizza quasi 1.400.000 copie vendute. Il 1996 segna l’ennesimo successo discografico con l’album “Canzoni”, che supera la cifra di 1.300.000 copie vendute. Il 9 settembre 1999 pubblica “Ciao”, a 33 anni dal suo primo album che si intitolava “1999″. L’album contiene undici brani, prodotti ed arrangiati da Mauro Malavasi. La tiltle-track “Ciao” diventa il brano radiofonico dell’estate 1999. L’album conquista il doppio disco di platino. Oltre ad essere autore e interprete Dalla è anche un talent scout. A Bologna ha sede la sua etichetta discografica Pressing S.r.l., che ha lanciato gli Stadio, Ron, Luca Carboni, Samuele Bersani e ha permesso la rinascita artistica di Gianni Morandi. E’ autore di colonne sonore per i film di Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, Carlo Verdone, Giacomo Campiotti e Michele Placido. Ha anche aperto la galleria d’arte No Code, in Via dei Coltelli a Bologna. E’ autore di programmi televisivi di successo: Te vojo bene assaie, Capodanno, RaiUno – Taxi, Rai Tre – S. Patrignano. Non ultimo il programma con Sabrina Ferilli, “La Bella e la Besthia” (2002). Il 2010 si apre con la notizia di un concerto insieme di Dalla con Francesco De Gregori, a trent’anni da “Banana Republic”. E soltanto di poche settimane fa la sua apparizione al Festival di Sanremo per accompagnare il giovane cantautore Pierdavide Carone, con il brano Nanì. da Il Tempo, 1/03/2012

PAGARE TUTTI MA SENZA TAGLI E’ INUTILE, di Davide Giacalone

Pubblicato il 29 febbraio, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

L’onestà non è un optional, essere leali nelle dichiarazioni al fisco è un dovere. Ma lo è anche non raccontare favole ai cittadini, ed è in questa categoria che rientra l’idea che pagando tutti si pagherebbe meno. Fin qui si è dimostrato l’esatto contrario: più cresce la spesa più cresce la necessità di gettito, quindi di entrate, più cresce la pressione fiscale. In una perversa corsa al rialzo che ci rende tutti più poveri e rende la società nella quale viviamo non più equa, ma più ingiusta.

Ieri la favola ha trovato un narratore di prima grandezza, il presidente del Consiglio, il quale ha detto: «Se ognuno dichiara il dovuto il fisco potrà essere più leggero per tutti». Perché ciò sia vero non necessita un lieto fine, ma una lieta premessa: il taglio della spesa pubblica. Se non si turano le falle della spesa corrente non è che versando ciascuno il dovuto si potrà tutti versare meno, è che si butteranno liquidi vitali in un secchio senza fondo. Sono due le premesse dell’equità fiscale: una spesa che restituisca servizi, senza alimentare sprechi, e una pressione che non sottragga a ciascuno più del ragionevole. Da noi mancano entrambe. La pressione s’esercita solo su chi non può sfuggirla o si assoggetta per onestà e senso civico, il che non è giusto. Ma non è giusto neanche far credere che il problema consista solo nel costringere gli altri, non è giusto puntare sull’invidia e la rabbia sociale. È vero: i cittadini devono imparare l’onestà, tutti. Ma è anche vero che la macchina pubblica deve dimagrire in modo massiccio, altrimenti il risultato sarà solo più povertà.

Lo Stato, inoltre, è disonesto con i propri cittadini. È disonesto quando pretende subito e restituisce dopo anni quel che non gli era dovuto. Quando chiede soldi a chi chiede giustizia, quando prima pignora e poi ti mette a disposizione un giudice. Quando consegna a dei funzionari un potere insindacabile, se non dopo avere pagato. La distanza che c’è fra il pagare il non dovuto e il riavere, fra il diritto alla proprietà e il suo assoggettamento al burocrate, è la distanza che separa lo Stato di diritto dal dispotismo, il cittadino dal suddito. Tutto questo non giustifica l’evasione fiscale, per niente. Ma occorre dire che paghiamo troppo, il che favorisce la recessione. C’è un grande debito pubblico, ma pensare di colmarlo con le tasse è follia. Si deve aggredirlo con le dismissioni, rendendo lo Stato meno presente nel mercato e più forte nel far rispettare le regole. Un tempo c’era chi diceva: lavorare meno per lavorare tutti. Idea frutto d’etilismo ideologico, priva di senso del mercato e anche di buon senso. Dire che pagando tutti si pagherà meno non è meno dissennato, anche se la bottiglia, in questo caso, contiene non alcool ideologico, ma moralistico. Pagare tutti è giusto. Pagare tutto quel che oggi lo Stato chiede no, non lo è. Davide Giacalone, Il Tempo, 29 febbraio 2012

…………Chissà se il funereo presidente del consiglio in carica, Monti, troverà iltempo di leggere questo editoriale de Il Tempo, a firma di Davide Giacalone o se qualcuno dei suoi super pagati attendenti glielo metterà nella rassegna stampa che ogni mattina gli viene messa sotto gli occhi. Ci auguriamo di si, cosicchè eviterà di dire l’ennesima fregnaccia, come le altre di cui ci inonda da tre mesi a questa aprte, per cui saremmo passsati dall’orlo del baratro di tre mesi fa ad una improvvisa primavera economica, o come quella così drasticamente censurata da Giacalone, ossia che pagando tutti le tasse pagheremo tutti meno. Non è il caso di ribadire ciò che con estrema chiarezza scrive Giacalone al riguardo, nè è il caso dio sottolineare che a nessuno, proprio a nessuno, nemmeno a Monti è concesso di prendere per il naso la gente. Per ridurre la presisone fiscale, o per avere la concreta possibilità di farlo, bisogna ridurre le spese  elefantiache dello stato,  in tutte le sue articolazioni, ma bisogna farlo sul serio non come ha mostrato di fare anche Monti in questi tre mesi, nonostante egli non abbia sul collo (almeno così dice lui) lo spettro del giudizio elettorale, cioè con provvedimenti che neppure minimamente hanno intaccato la spesa statale, unica strada per consentire la riduzione della ormai insostenibile pressione fiscale, che si traduce, non dovremmo dirlo noi a Monti che passa per essere un illuminato economista, in blocco dei consumi, blocco della crescita e quindi recessione economica. Di esempi ne potremmo fare a iosa. Ci limitiamo a due. Apparentemente insignificanti, ma emblematici del fatto che gli annunci e le promesse di Monti sono per quanto riguarda gli annunci solo propaganda, e per quanto riguarda le promesse uguali a quelle del lupo. Vediamo. 1.  Nonostante sia stato alla fine confermato che il rilascio delle nuove licenze di taxi è competenza delle Regioni e dei Comuni, si è stabilito che gli stessi, per le nuove licenze,  debbono “acquisire il parere obbligatorio ma non vincolante dell’Autorità per i trasporti”, nuova di zecca che costerà alla stato dai due ai tre milioni di euro l’anno, solo per fornire “pareri obbligatori ma non vincolanti”: non c’è chi non constati la ridicolaggine di tale disposizione, alla luce della riconfermata competenza di regioni e di comuni sulla materia, acclarato che nessuna autorità centrale possa sostiuirsi alle autonomie locali su questioni che hanno diretta correlazione con il territorio. Ebbene nonostante la ridicolaggine di cui si copre il governo con questo “compromesso” sulla vicenda delle licenze dei tassisti, l’Autorità per i trasporti, che non servirà a nulla, la si fa ugualmente. Perchè? Delle due l’una: o Monti, pur di non fare completamente brutta figura, insedia comunque , ovviamente a spese dello Stato, questo nuovo carrozzone, oppure Mont, i o chi per lui,  ha già pronto chi dovrà sedere sulla nuova poltroncina con conseguente congruo appannaggio. Comuque sia, zuppa o pan bagnato, resta il fatto che a pagare sarà lo Stato, cioè i contribuenti, quelli onesti, per vocazione o per costrizione, sulle cui spalle peserà il costo della nuova e inutile Autorità. 2. Nei giorni scorsi una nuova polemica sui costi della politica ha infiammato i mass media. Questa volta i riflettori sono stati accesi sui vitalizi cui hanno diritto gli ex presidenti del Senato che continuano a fruire di uffici, personale,  auto blu, etc nonostante siano cessati dalla carica. E qualche ex presidente del senato i dipendenti pagati dallo Stato se li porta pure a Milano, a casa sua.   E’ di ieri, però,  la notizia che, a seguito della polemica e  per ridurre i costi,  il Senato ha deciso di ridurre questi vitalizi. Sapete come? Gli ex presidenti del Senato ne avranno diritto “solo” per due legislature successive alla cessazione dell’incarico. Anche qui il ridicolo la fa da padrone.   In nessun Paese al mondo chi cessa da qualsiasi carica conserva vitalizi che sono legati all’incarico ricoperto. In Italia sinora gli ex presidentio del Senato ne avevano diritto a vita, da ora in poi,bontà loro,  “solo” per dieci anni! g.

GLI ANTI BERLUSCONI SCHIAVI DEL PERBENISMO, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 12 febbraio, 2012 in Il territorio | No Comments »

Leggere Lolita a Teheran va bene, ma leggere Viroli a Roma è uno spasso, specie di questi tempi. Maurizio Viroli è quel che si dice un «intransigente », o almeno L’intransigente è il titolo del suo ultimo pamphlet pubblicato con Laterza.

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Viroli è uno studioso, un intellettuale schierato con il demi monde che legge Kant la sera e disprezza chi guarda la tv. Odia da sempre Berlusconi, giudica servi coloro che lo hanno sostenuto, e filosofeggia da anni con molta apparente convinzione

e poco brio su un’Italia dominata da un regime onnipotente, assoggettata a un’oppressione profonda, che entra come un morbo letale nelleviscere di uno sventurato bordello di paese e di popolo dai quali la virtù è esiliata nel cuore puro dei puri più puri. Scemenze, naturalmente, e ancora più risibili come scemenze in quanto ammantate di accademismo, sussiego, autoreferenzialità, sordido narcisismo delle élite (definizione che prendo in prestito da uno studioso serio di sinistra, il professor Franco Cassano autore de L’umiltà del male , sempre per Laterza).

A tre mesi dalle dimissioni di Berlusconi,nell’Italia in cui«il processo democratico è stato sospeso per consentire a un tecnocrate non eletto di perseguire politiche impossibili da varare per gli eletti del popolo» (Michael Schuman, Time Magazine ,Intervista a Mario Monti ), non è male dare uno sguardo al trattatello che ci rifila il mantra della millenaria oppressione italiana, la servitù volontaria pervasiva e diffusa che il regime di Berlusconi, onnipotente e non combattuto dalla sinistra istituzionale, ha fondato e fatto prosperare con la complicità dei cittadini e di tutti i transigenti della zona grigia. Prima il fascismo, poi il Cav. hanno costruito questa schiatta di servi, questa razza di ruffiani, questa orribile accozzaglia di immoralisti naturali insanguati da una genetica antica e dalle sue robuste, immarcescibili radici.

Berlusconi se ne è andato una sera di sabato, senza ancora avere avuto un voto contrario dalle Camere, decisione concordata con il capo dello Stato, l’ex comunista Giorgio Napolitano, un patto tra gentiluomini che prevedeva, giusto o sbagliato, la sospensione del potere elettorale dei cittadini e un programma e uomini di emergenzatirati fuori dal fior fiore dell’ establishment accademico, bancario e burocratico del Paese. Per essere un regime erede del modello fascista di irregimentazione delle masse e di lobotomizzazione delle coscienze, l’esito è un po’ diverso, e il manualetto del solipsismo etico risulta veramente buffo. Gli italiani si sono divisi, una parte di loro ha festeggiato, un’altra parte ha messo il lutto, e forse la maggioranza ha alla fine accettato o sta accettando una misura di moderazione formale compensata da una forte cura economica, fiscale e anche pedagogica al termine di quelli che sono sembrati e in parte sono stati anni di eccessiva baldoria. In poco più di novanta giorni l’anima putrida di questo popolo di inservienti e mendicanti parrebbe riscattata, sulla scena internazionale non meno che nella autocomprensione della migliore stampa nazionale, da una ordinaria staffetta parlamentare.

Ordinaria? No, straordinaria. La sospensione del processo democratico, evidente a Time Magazine e ad alcuni di noi, dovrebbe anzi essere il punto di partenza, per un politologo compos sui, di un ragionamento analitico che abbia almeno la presunzione di essere convincente sullo stato della democrazia nel Paese. Un sistema più efficiente o meno inefficace nel fronteggiare i guai della crisi finanziaria in cambio dell’autogoverno: questo il baratto spericolato. Un professore accettato a Princeton, come questo stimatissimo ricercatore, dovrebbe sapere quanto è caro agli americani, solo per fare un esempio, l’autogoverno dei cittadini. Se dopo Pear Harbor, e non è che la situazione fosse migliore di quella dello spread a 570 punti, qualcuno avesse proposto di sostituire il presidente Roosevelt con un tecnico della contraerea lo avrebbero direttamente ricoverato nel più vicino nosocomio.

Dai guitti agli editorialisti assoggettati alla servitù volontaria del perbenismo e del conformismo, Viroli non è solo. Il suo trattatello è particolarmente sfortunato perché è stato scritto prima della svolta. Le vanità che contiene, la sua supponenza, la sua fatuità grandiloquente fanno sorridere perché certificano, guai per lui e per i suoi sodali,l’incongruenza del pregiudizio politico, e la stupidità irrimediabile dell’analisi. Quello di Berlusconi non era un regime tirannico, era un governo eletto dal popolo al quale è succeduto un esecutivo di sospensione della democrazia, un cambio di passo volontario, un atto di libertà volontaria nel segno del più puro pragmatismo cinico all’italiana. Solo la sottomissione, anch’essa volontaria, alle stolide iperboli di una cultura dell’intolleranza può aver prodotto un libello tanto comico. Con la dissennatezza del poi. Giuliano Ferrara, Il Giornale, 12 febbraio 2012

ELEZIONI AMERICANE: IL REPUBBBLICANO ITALO AMERICANO SANTORUM IN TESTA NEI SONDAGGI FEDERALI

Pubblicato il 11 febbraio, 2012 in Il territorio, Politica estera | No Comments »

Rick Santorum

WASHINGTON – Continua il momento di grazia di Rick Santorum, l’ex senatore della Pennsylvania, dopo il trionfo nelle ultime tre primarie repubblicane in Colorado, Missouri e Minnesota. Il candidato cattolico ultraconservatore non solo sta incassando ingenti somme di denaro per la sua campagna elettorale, ma è passato in testa, staccando Mitt Romney, l’ex Governatore del Massachusetts, anche al livello nazionale tra i candidati del Grand Old Party (Gop) per la presidenza degli Stati Uniti. Secondo l’ultimo sondaggio di Public Policy Polling, per la prima volta dall’inizio della battaglia per la nomination repubblicana l’ex senatore della Pennsylvania è in pole position, con il 38% di popolarità calcolata a livello federale.

Secondo, ma a grande distanza, c’é Mitt Romney fermo con il 23%. Terzo Newt Gingrich, l’ex speaker della Camera, con il 17%.

Ultimo Ron Paul, il candidato libertario, con il 13%. In un eventuale scontro diretto, sempre secondo la stessa inchiesta, Santorum batterebbe seccamente Romney, 56% a 32%. Gli elettori del Gop ormai identificano Santorum come il vero conservatore. E facendo due conti, se i suoi voti venissero sommati a quelli di Gingrich dopo un suo eventuale abbandono l’ex senatore si troverebbe al 55%. Tanto che David Axelrod, il braccio destro di Obama ha commentato su Twitter: “Chi avrebbe immaginato, appena sei settimane fa, che Romney avrebbe sperato nel Caucus del Maine per cercare il rilancio. Assolutamente incredibile!”. In Maine le assemblee primarie, tradizionalmente considerate irrilevanti, sono in calendario il 26 febbraio. E dire che l’ex governatore del Massachusetts, impegnato in questi giorni a WAshington come tutti i leader repubblicani alla Conferenza annuale della destra americana del Cpac, ha fatto di tutto per far dimenticare il suo moderatismo. Un cronista della Abc s’é divertito a seguire il suo intervento di ieri a questo grande appuntamento politico, scoprendo che ha pronunciato la parola “conservatore” la bellezza di 29 volte in un discorso di 26 minuti, oltre una volta al minuto, una media da record. Brutte notizie per il miliardario mormone, anche sul fronte della rete. Tutti gli osservatori dicono che queste elezioni saranno ricordate per essere le prime in cui i social network hanno avuto un ruolo gigantesco. Fonte ANSA, 11 febbraio 2012

………………Alla faccia dei Monti, Fornero e Cancellieri, ecco un esempio della laboriosità  e dello spirito di avventura degli italiani. Santorum è figlio di un italiano emigrato con la valigia di cartone in America nel secolo scorso, quando in Italia c’era poco pane e nessun campanatico, per cui chi aveva avuto la sfortuna di nascere in famiglie poco abbienti e senza speranza di trovare un posto nella pubblica amministrazione, come è capitato ai suddetti personaggi e, come scrive Panorama,  anche ai loro figli e nipoti, doveva scegliere se morire di fame in Italia oppure emigrare. Il padsre di Santorum emigrò e  così fecero milioni di italiani e tanti di loro in America hanno trovato una seconda Patria che essi hanno onorato come fosse la loro, quella che si era mostrata, suo malgrado, matrigna. Non sappiamo se Santorum,  che è agli inizi della corsa per la nomination repubblicana per le presidenziali del prossimo novembre,  riuscirà a vincere la competizione e a risultare il  candidato repubblicano  contro il liberal Obama, ma non possiamo non tifare per lui. Per due ragioni. Primo,  perchè è conservatore  e i conservatori, come insegnava Giuseppe Prezzolini, sono i veri progressisti e da loro ci si può aspettare coraggio e creatività  nella continuità. Sec0ndo,  perchè è l’ italo americano che un bel giorno di una ventina di anni fa, inaspettato, si presentò a casa dei parenti italiani di suo padre, a Riva del Garda,  per rivendicare con orgoglio la sua italianità e le sue origini popolari. E sarebbe il primo italiano a correre come candidato presidente  per la Casa Bianca (Geraldine Ferraro nel 1988 era candidata alla VicePresidenza e Rudolfh Giuliani nel 2008 si ritirò dalla corsa prima della convention repubblicana)   e , chissà, anche a vincere. Di certo non gli mancheranno i voti di tutti gli italo americani d’America che in lui potrebbero ritrovare il mitico e indimenticato Fiorello La Guardia, anch’egli repubblicano, il primo italiano a ricoprire per ben 4 mandati  la prestigiosa carica di sindaco di New York. g.

10 FEBBRAIO: GIORNO DEL RICORDO

Pubblicato il 9 febbraio, 2012 in Il territorio | No Comments »

Questo è il Monumento posto all’ingresso della Foiba di Basovizza, vicino a Trieste, la più grande delle tante nelle quali trovarono la morte migliaia di istriani, dalmati e fiumani, durante e dopo la fine della seconda guerra mondiale per mano dei sanguinari partigiani  comunisti agli ordini di Tito che ordinò il genocidio etnico degli italiani di quelle terre,  uomini, donne e  bambini. Per oltre  50 anni questa immane tragedia fu tenuta nascosta per ragioni politiche e solo negli ultimi anni è stato sollevato il velo dell’oblio e del silenzio che  era stato steso sui massacri titini. Nel 2004 il Parlamento italiano,  per rendere parziale giustizia alle vittime della ferocia comunista,  ha istituito il Giorno del Ricordo che si celebra tutti gli anni il 10 febbraio. Ricordiamo  con immenso rispetto gli Italiani che senza alcuna colpa se non quella di essere italiani residenti  al confine con la Iugoslavia furono trucidati e talvolta gettati vivi nelle foibe carsiche e ci inchiniamo reverenti alla Loro Memoria e ci uniamo commossi al mai sopito dolore e ricordo dei Loro familiari.

Sulle Foibe è intervenuto anche il presidente Napolitano che se l’è presa con le “derive nazionalistiche europee”. Non è così e gleilo scrive Marcello Veneziani sul Giornale di oggi. Ecco l’intervento di Veneziani.

Le foibe? Presidente Napolitano, furono i comunisti!

Presidente Napolitano, mi dispiace, ma non ci stiamo. Ricordando ieri le foibe lei se l’è presa con «le derive nazionalistiche europee», attribuendo a esse l’eccidio di migliaia di istriani, dalmati e dei partigiani bianchi.

Ma le cose, lei lo sa bene, non stanno così. L’orrore delle foibe fu perpetrato dai partigiani comunisti di Tito con l’appoggio del comunismo mondiale e dei comunisti italiani. Lei non ha mai citato il comunismo a proposito delle foibe.

È come se nella giornata della Memoria, celebrata pochi giorni fa, non citassero mai il nazismo ma se la prendessero con il comunismo. Certo, il nazionalismo fu una delle causeche inasprì i rapporti sui confini orientali; così come è noto che l’Unione Sovietica dette una mano a Hitler nella caccia e nello sterminio degli ebrei. Ma in entrambi i casi non si può tacere il principale colpevole e va citato per nome: il nazismo per la shoah e il comunismo per le foibe o per i gulag.

Lo sterminio degli italiani e la loro espropriazione obbedì a una triplice guerra: la guerra del comunismo contro l’Italia fascista, poi la guerra dei proletari comunisti contro i benestanti borghesi, quindi la guerra etnica contro gli italiani. Non salti i due precedenti passaggi e abbia l’onesto coraggio di chiamare i sicari per nome: furono comunisti. Il nazionalismo in questo caso c’entra assai meno, tant’è vero che i collaborazionisti di Tito furono anche i comunisti italiani. Con tutto il rispetto che merita, e persino la simpatia, non ricada nel dimenticazionismo. Marcello Veneziani

CON BERLUSCONI E’ CACCIA ALL’UOMO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 8 febbraio, 2012 in Giustizia, Il territorio, Politica | No Comments »

Per una volta un pm aveva chiesto di non processare Berlusconi perché dopo lunghe indagini non aveva trovato prove né indizi a suo carico.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Ma niente, non è bastato. Il giudice ha deciso che l’ex premier deve finire sotto processo, il quarto che si celebra in contemporanea al tribunale di Milano. Il caso è quello della prima intercettazione telefonica della storia sulla quale i magistrati hanno indagato per capire come fosse sfuggita al segreto. Ovviamente riguarda un esponente della sinistra, precisamente Fassino, all’epoca dei fatti segretario del Pd. «Abbiamo una banca! », esultò al telefono con il suo amico Consorte appreso che Unipol (braccio finanziario del Pd) si stava prendendo la Banca nazionale del lavoro. La frase, intercettata nell’ambito di una inchiesta che coinvolgeva Consorte, non venne ritenuta importante, guarda caso, dai pm di Milano. Noi del Giornale ne entrammo in possesso e la pubblicammo. Fu uno scandalo, perché non è bello sapere che un partito compera una banca. L’operazione andò a rotoli, sinistra e pm si infuriarono con noi,misero sotto accusa l’editore del Giornale , Paolo Berlusconi, e il fratello Silvio per aver avuto un ruolo, sia pure passivo, nella vicenda della fuga di notizie.

Il premier ha sempre negato, le prove non ci sono come ammette lo stesso pm, ma il processo si deve comunque fare. Evidentemente la pace sociale è ancora lontana, nonostante le dimissioni da premier e la leale collaborazione con il nuovo governo.

E qui,oltre all’accanimento,c’è pure la beffa. Fa sorridere che l’uomo più illegalmente intercettato d’Italia, le cui conversazioni anche private sono finite sui giornali senza alcun filtro giudiziario, debba finire sotto processo per una intercettazione assolutamente vera che sbugiardava il leader della sinistra. E dire che Berlusconi voleva fare pure una legge per limitare le intercettazioni e vietarne la pubblicazione. Speriamo che qualcuno ne tenga conto. Alessandro Sallusti, Il Giornale 8 febbraio 2012

………………..La notizia l’avevamo già fatta oggetto di un nostro commento già ieri a proposito della ipotizzata mancata di gas proprio mentre imperversa il maltempo, ironizzando sulla probabile apertura di indagine su Berlusocni perchè amico di Putin da uci dipende l’azienda russa che fornisce il gas all’Italia, almeno una gran parte. Ma ci par eutle riproporre sul fatto la valutazione di Sallusti che ripropone l’amara rifelsisone sul fatto che in Italia non c’è segreto istruttorio che tenga in nessuna procura d’Italia ma l’unico a subire il rigore, diciamo così, delle Procur, e è Berlusconi. Come non possiamo essergli solidali? g.


E’ STATO TREMONTI A DARE IL COLPO DI GRAZIA A BERLUSCONI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 7 febbraio, 2012 in Il territorio, Politica | No Comments »

Oggi si scopre, e il Quirinale lo mette per scritto, che non fu Napolitano a opporsi al decreto per lo sviluppo, ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che il pomeriggio del 2 novembre salì inaspettatamen­te al Colle

In una intervista al mensile americano Atlantic, che pubblichiamo oggi in ampi stralci, Silvio Berlusconi dice che la caduta del governo è colpa anche un po’ sua. Ma aggiunge: ho incontrato più ingrati e profittatori in politica che nella mia vita di imprenditore. Non sappiamo a chi pensasse ma, a naso, l’elenco potrebbe essere lungo. A tal proposito può aiutarci una interessante lettera che ci ha inviato (la trovate qui) Pasquale Cascella, consigliere del presidente Napolitano per la comunicazione. Breve premessa. Il 2 novembre scorso il Consiglio dei ministri presieduto da Berlusconi doveva varare l’atteso decreto legge per lo sviluppo, per altro molto simile a quello poi licenziato dall’esecutivo Monti. Non se ne fece nulla perché, versione ufficiosa, il Quirinale si era opposto negando il requisito d’urgenza. Così il giorno dopo l’allora premier si presentò al vertice europeo di Cannes a mani vuote, innescando di fatto la fine del suo esecutivo. Bene, oggi si scopre, e il Quirinale lo mette per scritto, che non fu Napolitano a opporsi, ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che quel pomeriggio era salito inaspettatamente al Colle.

La lettera di Cascella è chiara. Tremonti sconsigliò Napolitano che a quel punto non se la sentì di andare contro il parere del ministro deputato proprio all’economia. La domanda è: perché Tremonti fece quel passo ben sapendo che sarebbe stato quello che portava la coalizione nel burrone? Ripicca, gelosia nei confronti di chi lo stava di fatto sostituendo a capo della cabina di regia anti crisi? Oppure fu un calcolo politico: agevolare la caduta di Berlusconi per prenderne il posto? Forse Napolitano non aspettava altro, ma certo Tremonti non è stato leale e trasparente fino in fondo, col suo premier, con la sua maggioranza e con gli italiani. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 7 febbraio 2012

Ecco  la lettera integrale inviata alla redazione del Giornale da Pasquale Cascella, consigliere del Presidente della Repubblica. Nella lettera si sottolinea come fu proprio l’ex ministro Tremonti – nel novembre scorso – a chiedere al Capo dello Stato Giorgio Napolitano di manifestare la propria indisponibilità a firmare il decreto anti-crisi che il Consiglio dei ministri si preparava a emanare.

Gentile direttore,
con riferimento all’articolo dell’on. Renato Brunetta, dal titolo «Toh, i tre decreti Monti li aveva già fatti il governo del Cavaliere», si rileva che i fatti ivi narrati non corrispondono alla effettiva dinamica delle relazioni tra il Presidente della Repubblica e il governo allora presieduto dall’on. Berlusconi.
In particolare, l’affermazione secondo la quale un «decreto Romano-Brunetta-Calderoli non fu approvato nel Consiglio dei ministri del 2 novembre 2011 perché il Quirinale aveva informalmente manifestato la propria indisponibilità a emanarlo, considerandolo privo dei requisiti di necessità e urgenza e di omogeneità richiesti» non tiene conto di circostanze assai rilevanti per l’esatta ricostruzione dell’accaduto.

Quel giorno, infatti, il capo dello Stato ricevette il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, prima della riunione del Consiglio dei ministri. Ed esplicito fu il richiamo alle posizioni espresse proprio dal titolare della politica economica nella lettera che il presidente della Repubblica scrisse al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Vi si riferiva che il ministro si era «detto convinto» si dovessero «definire solo le misure più urgenti tra quelle indicate», e lo si dovesse fare «nella forma – più praticabile anche dal punto di vista parlamentare e meno in generatrice di tensioni politiche – della presentazione di emendamenti alla legge di stabilità» in quel momento all’esame del Senato.

Il presidente della Repubblica ritenne di esprimersi a favore della soluzione indicata dal ministro per evitare l’adozione di «un coacervo di norme anche estranee» alla lettera di intenti ed obbiettivi inviata a Bruxelles dal Presidente del Consiglio il 26 ottobre, che avrebbe potuto «suscitare nuova confusione nell’opinione pubblica e nei mercati».
Dunque, nessuna «valutazione discrezionale» opposta ad altre più recenti, come sostiene l’ex ministro Brunetta, ma solo la presa d’atto di riserve motivate presenti all’interno della stessa compagine governativa e la ricerca di un veicolo normativo che consentisse di addivenire rapidamente all’approvazione delle misure più urgenti evitando più aspre tensioni fra le forze politiche.

Pasquale Cascella
Consigliere del presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione

.………..In  politica,  ma non solo,  la gratitudine è merce rara, perciò sbaglia Sallusti a meravigliarsi del comportamento di Tremonti o anche a dolersene. Piuttosto, dovremmo meravigliarci noi della meraviglia di Sallusti o anche di quella di Berlusconi. Il quale iniziò la collaborazione con Tremonti nel 1994 proprio grazie al primo tradimento della seconda repubblica, quello di Tremonti nei confronti di Segni nel cui Patto Tremonti era stato eletto alla Camera dei Deputati nella quota proporzionale del Mattarellum. E’ vero che Segni dopo aver vinto la lotteria con il referendum sulla preferfenza unica perse il biglietto in occasione delle successive elezioni politiche, quelle,  appunto, del 1994, quando rifiutò, d’accordo con Martinazoli e Buttiglione, di stringere alleanza con Berlusconi, ma è anche vero che non meritava di essere tradito da Tremonti appena 24 ore dopo lo sfortunato esito elettorale per il Patto per l’Italia. Berlusconi “acquistò″  Tremonti  che tradì Segni con l’incarico ministeriale all’Economia, ma fra i due il peggiore fu di certo Tremonti. Perchè meravigliarsi allora della mancanza di gratitudine (alias tradimento)  dello stesso Tremonti a danno di Berlusconi? Bisognava aspettarselo e quindi prevenirlo. Ed è questo che più di ogni altra cosa meraviglia noi. g.

A NOI SCHETTINO, A VOI AUSCWITZ, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 27 gennaio, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

Una nota di protesta del nostro ambasciatore a Berlino e nulla di più. Sta passando sotto silenzio l’aggressione all’Italia messa in atto da Der Spiegel: copertina sul caso Concordia e un titolo che non lascia spazio a equivoci: “Italiani mordi e fuggi”, traducibile come “italiani codardi”. Secondo loro siamo tutte persone da evitare, un ostacolo allo sviluppo della moneta unica. Loro sì che sono bravi, “con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza”.

Una nota di protesta del nostro ambasciatore a Berlino e nulla di più. Così sta passando di fatto sotto silenzio l’aggressione all’Italia messa in atto da Der Spiegel, il più importante settimanale tedesco: copertina sul caso Concordia e un titolo che non lascia spazio a equivoci: «Italiani mordi e fuggi» letteralmente, ma traducibile come «italiani codardi».

La copertina di Der Spiegel

Secondo Der Spiegel siamo un popolo di Schettino e non c’è da meravigliarsi di ciò che è successo al largo del Giglio. Di più: siamo tutte persone da evitare, un peso per l’Europa, un ostacolo allo sviluppo della moneta unica.

Loro, i tedeschi, sì che sono bravi, «con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza».

Che i tedeschi siano una razza superiore lo abbiamo già letto nei discorsi di Hitler. Ricordarlo proprio oggi, giorno della memoria dell’Olocausto, quantomeno è di cattivo gusto. È vero, noi italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni. Erano gli ebrei trasportati via treno fino ai campi di sterminio. E nessuno della razza superiore tedesca ha tentato di salvarne uno. A differenza nostra, che di passeggeri ne abbiamo salvati 4.200 e di ebrei, all’epoca della sciagurate leggi razziali, centinaia di migliaia. Era italiano anche Giorgio Perlasca, fascista convinto, che rischiò la vita per salvare da solo oltre 5mila ebrei. È vero, noi italiani siamo fatti un po’ così, propensi a non rispettare le leggi, sia quelle della navigazione che quelle razziali. I tedeschi invece sono più bravi. Li abbiamo visti all’opera nelle nostre città obbedire agli ordini di sparare su donne e bambini, spesso alla schiena. Per la loro bravura e superiorità hanno fatto scoppiare due guerre mondiali che per due volte hanno distrutto l’Europa. Fanno i gradassi ma hanno finito di pagare (anche all’Italia) solo un anno fa (settembre 2010) il risarcimento dei danni provocati dal primo conflitto: 70 milioni di un debito che era di 125 miliardi. Ci hanno messo 92 anni e nel frattempo anche noi poverelli li abbiamo aiutati prima a difendersi dall’Unione Sovietica, poi a pagare il conto dell’unificazione delle due Germanie.

Questi tedeschi sono ancora oggi arroganti e pericolosi per l’Europa. Se Dio vuole non tuonano più i cannoni, ma l’arma della moneta non è meno pericolosa. Per questo non dobbiamo vergognarci. Noi avremmo pure uno Schettino, ma a loro Auschwitz non gliela toglierà mai nessuno. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 27 gennaio 2012

.…………Questa pubblia denuncia di Sallusti non trova riscontro nè sulla carta stampata, cioè gli altri organi di informazione su carta italiani, nè sui siti online di informazione, nè vi ha fatto cenno ieri sera il re dei rimproveri, Bruno Vespa, nel suo programma ieri  dedicato all’Olocausto, nè questa mattina vi ha fatto alcun riferimento  il pur ciarliero Napolitano nel corso delle commemorazioni della Shoao. Poichè non immaginiamo neppure lontanamente che Sallusti se la sia inventata, resta il dubbio  che,  come lo stesso Sallusti scrive,stia passando sotto silenzio una aggressione che ha dell’inverosimile se si pensa che  chi,  prendendo come movente il comportamento del comandante Schettino,  identifica come codardi tutti gli italiani,  sono gli stessi che la storia ha conseganto per sempre nel ruolo dei carnefici di sei milioni di persone ree solo di appartenere ad un’altra razza. Ma se ciò fosse vero, e parrebbe di si, ci si deve domandare il perchè del silenzio assordante e ingiustificato da parte delle Autorità italiane,  e la domanda, per ora senza risposta, induce al sospetto che si tratti di prudenza (talvolta la vigliaccheria prende questo nome!) per non irritare i tedeschi, in primis l’ex tedesco-orientale Angela Merkel,  dipendente pubblica della Germania Est,  rimasta silente sino alla caduta del Muro, nonostante certo le fossero note le uccisioni dei suoi connazionali che tentavano di saltare il fosso dell’obbrobiosa segregazione fisica dal mondo libero e la violenta appropriazione delle vite dei suoi connazionali da parte dell’ onnipresente polizia comunista. Sospetto che se da una parte finisce col dare ragione a chi dalla Germania (pare che l’autore del servizio contro di noi sia un emigrante italiano, originario di Castellamare di Stabbia!) ci accomuna tutti a Schettino, dall’altra ci conferma che il ruolo dell’Italia è ormai quello di serva della Germania. Di qui alla deportazione  coatta nei moderni campi di concentramento non recintati da filo spinato ma dal potere economico è assai breve. Povera Italia, solo il tuo stellone ci può salvare dai tanti pulcinella in circolazione,  tra il Quirinale e Palazzo Chigi. g.