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DA MONTECARLO ARRIVANO LE CARTE SUI FINI-TULLIANI MA SONO INCOMPLETE. NECESSARIA NUOVA ROGATORIA INTERNAZIONALE PERCHE’ LA VERITA’ VENGA A GALLA. E FINI RESPIRA

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

L’on. Fini, presidente  politicamente abusivo della Camera dei Deputati

Non vuole proprio venire fuori la verità sulla vicenda monegasca che da ormai due mesi vede Gianfranco Fini sul banco degli imputati. L’arrivo dal Principato di Monaco delle carte relative alla compravendita dell’immobile lasciato in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni ad Alleanza Nazionale, infatti, non faranno luce sulla vicenda, essendo state giudicate incomplete dagli inquirenti romani.

Necessaria una seconda rogatoria internazionale, quindi, con il procuratore Giovanni Ferrara e l’aggiunto Pierfilippo Laviani che hanno chiesto una serie di accertamenti di natura fiscale (soprattutto per definire l’esatto valore dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 in sede di successione) e una integrazione di atti ulteriori.
Per gli inquirenti questo  supplemento di rogatoria richiederà un’attesa di altri giorni e imporrà un momentaneo stop al calendario di audizioni. Fini, quindi, non verrà ascoltato nei prossimi giorni.

Prima di questa fumata grigia, infatti, i magistrati avevano intenzione di convocare al più presto il presidente della Camera per chiarire soprattutto le novità circa il contratto della casa di Montecarlo: sul documento, depositato all’ufficio del registro del Principato e firmato a Monaco il 24 febbraio del 2009,  due firme appaiono identiche: quella del proprietario (la società Timara Ltd) e quella dell’affittuario.

di Gianluigi Nuzzi –
La procura di Roma, subito dopo aver ottenuto la risposta alla rogatoria monegasca e aver sentito alcuni altri testimoni dell’indagine sulla compravendita immobiliare nel principato, ascolterà Gianfranco Fini. Il procuratore capo della capitale non ha ancora formalizzato la richiesta, ma gli inquirenti danno per assai probabile la deposizione dopo che saranno valutate le carte sulla vendita da parte di An dell’appartamento di rue Princesse Charlotte 14 a duecento metri dal Casinò.
L’idea di sentire sia Giancarlo Tulliani sia il presidente della Camera ha cominciato ad assumere consistenza con le incongruenze che emergono dalle testimonianze raccolte, dal fascicolo degli articoli che in qualche modo anticipano anche notizie sollecitate per via rogatoriale.  Gli inquirenti hanno anche inserito nel fascicolo le varie verità pubblicamente sostenute dagli interessati, sia con interviste e battute sui giornali, sia in interventi a programmi televisivi. La cautela del procuratore Ferrara, che intende chiudere il fascicolo al più presto, è motivata anche dalle esigenze “istituzionali” che una terza carica dello stato, chiunque sia, richiede.
Così, è assai probabile che la deposizione come teste potrebbe avvenire direttamente alla Camera, se  sarà questa la volontà di Fini. Non è però escluso – osservano gli inquirenti – che il testimone chieda di poter esser sentito direttamente a palazzo di Giustizia come un qualsiasi altro testimone, disinnescando quindi un privilegio che potrebbe essere letto dagli elettori come l’ennesimo “effetto-casta”. O che, peggio, qualcuno potrebbe interpretare come volontà di nascondersi.
«Rispettare i pm»
Nell’entourage di Fini la notizia della possibile deposizione in apparenza non coglie di sorpresa: ci si rimette ancora alle parole del leader quando, dai microfoni di Mirabello e da Enrico Mentana, annunciava che avrebbe atteso la conclusione dell’inchiesta per «rispettare la magistratura». E che tutti – a parole – vogliano la conclusione delle indagini per conoscere la verità sembra una realtà assodata. Basti pensare cosa accade in queste ore in una Montecarlo attraversata da altre inquietudini.
Non sono cose reali, ci mancherebbe. E ovviamente il principe Alberto ben si guarda dall’assumere posizioni ufficiali sulle controverse operazioni immobiliari del “cognato” di Gianfranco Fini. Ma quello che filtra  dagli ambienti a lui più vicini è un profondo fastidio per gli effetti che questa vicenda può produrre sul Principato. È da diverso tempo che con vari sforzi e fissando norme bancarie sempre più intransigenti si vuole, si cerca di allontanare progressivamente chi ha guastato l’immagine di Montercarlo. L’assenza totale dei seppur presenti episodi di cronaca nera, il rafforzamento degli impianti di videosorveglianza, le norme anti-riciclaggio introdotte puntano proprio al colpo d’immagine. La storia di Giancarlo Tulliani, di grande impatto sulla benestante comunità italiana, i riflessi politici, gli intrecci finanziari nei paradisi fiscali che emergono hanno fatto assumere diverse iniziative  informali. Innanzitutto, si è provveduto a un rapido focus sulla vicenda che ha permesso di ottenere il quadro di insieme. Poi si sono attese le iniziative rogatoriali per chiudere presto l’incidente.
La ferrari sospetta
Ma su questo secondo fondamentale aspetto aleggia una sorta di mistero. Qui a Monaco, infatti, consultando i pochi ben informati sulla rogatoria e sulle volontà  della Casa, sembra che le risposte siano già partite o pronte a partire alla volta di Roma e, soprattutto, non si nasconde un certo stupore per quanto fossero limitati gli interrogativi posti dalla procura di piazzale Clodio.  Al tempo stesso, sta muovendo i primi passi un’indagine  proprio per verificare come sia stata venduta la casa e se, eventualmente, alcune parti del pagamento siano state compiute in nero, visto il prezzo sottomercato di entrambe le cessioni. Una verifica a tutto tondo su Giancarlo Tulliani da parte delle autorità fiscali monegasche? È ancora presto per dirlo. Di certo qui le mosse sono tutte molto ovattate: non si vuol dare l’idea di fare i conti in tasca a un ricco residente. Ricco tanto da comprarsi la Ferrari che lavò senza accorgersi dei paparazzi qualche settimana fa. Da una verifica risulta infatti che la targa monegasca del bolide sia intestata direttamente a lui. Insomma, almeno su questo fronte non compare nessuna società offshore, per una volta.
A sentire invece le voci ufficiose dalla procura di Roma, i magistrati italiani si lamentano perché ancora non è arrivato nulla in ufficio.  E senza quei documenti non si possono fare passi avanti nel procedimento che sta comunque condizionando la vita politica della maggioranza. Si è come in una sorta di stallo investigativo: solo gli atti monegaschi possono dare l’attesa accelerata.

GIANFRY E WALTERM LE PRODEZZE DEI CO-FONDATORI

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

di Marcello Veneziani

Spappolocrazia. Il neologismo sta ad indicare che il sistema Italia è in preda allo spappolamento. Fini schizza a est, Veltroni schizza a ovest, Miccicchè schizza a sud, Bossi schizza a nord. Mastella corre a Napoli, Vendola accorre da Bari, Chiamparino soccorre da Torino, Pisanu fa il tamburino sardo, Lombardo (…)
(…) fa il sultano siculo e nell’harem delle alleanze fa fuori una concubina al giorno. Totò Cuffaro divorzia da Casini, il cui partito è in preda allo spappolamento, come i resti di Alleanza nazionale, Di Pietro vampirizza Bersani, ma a sua volta è vampirizzato dai grillini. Si spappola il Sud in una miriade di partitini a vocazione territoriale. E il Paese trema come un budino spappolato, diviso tra Nord, Sud e Roma capitale, la scassatissima trinità.
In questo clima cresce il randagismo parlamentare. Turbe di deputati privi di collare sciàmano randage per le strade della Capitale in cerca di nuove affiliazioni, nuovi padroncini e rassicurazioni di collegi. Abbaiano in interviste, tirano sul prezzo, si concedono al miglior offerente, giurano fedeltà per avere conferma di seggi o mostrano malessere per godere almeno di un’adozione a distanza. Si rivedono cari estinti: Diliberto e Ferrero riemergono dai sarcofagi del comunismo; ho visto l’altro giorno un altro glorioso trapassato, Pecoraro Scanio, operatore ecologico in senso politico, che vendeva tappeti verdi su una tivù locale. Riaffiora dopo un millennio perfino una mummia piemontese, Oscar Luigi Scalfaro, antenato paleolitico della Democrazia cristiana avanti Cristo. Si riaccendono polemiche perfino con l’antico egizio Giulio Andreotti. Attendiamo con ansia il ritorno dei ragazzi, tipo Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani.
Nel nostro Paese sta avvenendo qualcosa che somiglia alla fine di un lungo sceneggiato; scorrono i titoli di coda con i nomi dei partecipanti, anche alle puntate precedenti. Si preparano per il gran finale tutti quanti, comparse, protagonisti e antagonisti, per poi salutare il gentile pubblico pagante.
Dopo la partitocrazia venne la spappolocrazia. Stanchi della monarchia berlusconiana, i residui tossici dei vecchi partiti danno luogo a questa convulsa stagione di spaccature e riemersioni. Eppure avevamo raggiunto, per caso o per destino, la fortunosa coincidenza di un governo stabile, di una maggioranza larga, di un Paese che poteva tirare un sospiro di sollievo perché non aveva davanti a sé, per tre lunghissimi anni, la prospettiva di un sisma elettorale. Non c’erano elezioni in vista, poteva essere l’occasione per tutti, da destra a sinistra, per lavorare proficuamente sul futuro, ridisegnare progetti, culture politiche, selezionare classi dirigenti, prepararsi insomma alla scadenza di questo governo. Potevano investire per una volta su una doppia carta: lasciare che un governo governasse per davvero, lasciando la possibilità di realizzare il suo programma, o, dal punto di vista dell’opposizione, dimostrare la sua incapacità di farlo. E dall’altra parte avviare un laborioso piano per presentarsi nel 2013 alle urne con leader adeguati, classi dirigenti rinnovate, programmi e linguaggi adeguati alle nuove sfide. Invece no, si è preferito la cospirazione, la congiura, la scissione, il regicidio mediatico, l’anarchia dello spappolamento. Basta con il capo-popolo, hanno gridato i capetti di tanti popolini, quasi tutti al cinque per cento o giù di lì, a cominciare dai due figliocci traditori del comunismo e della missineria.

Se ci fosse un Plutarco disposto a scrivere le vite parallele dei piccoli uomini che non hanno fatto la storia, ma l’hanno solo disfatta, si potrebbe scrivere una storia parallela di Walter e Gianfranco. Con Walter sparì la sinistra dal Parlamento italiano; quella radicale fu messa fuori dal cono d’alleanza, e il Pds perse la esse di sinistra per farsi un sapone neutro. Con Gianfranco sparì la destra dal Parlamento italiano, quella sociale fu messa fuori gioco, e come il pentito Brusca, Gianfranco sciolse An, ancora adolescente, nel liquido del Pdl. Liquidatori della destra e della sinistra, ora i due leaderini stanno sfasciando i rispettivi partiti di cui erano cofondatori e di cui sono ora coaffondatori.
Veltroni ha più seguito di Fini, e il Pdl è ben più grosso del Pd, però la marcia è parallela. La differenza tra i due è a vantaggio di Veltroni: lui, perlomeno, ha fatto il sindaco di Roma, ha inventato un suo modellino tra notti bianche, fiction e festival, ha costruito una sua rete cine-teatral-culturale e i libri a sua firma, almeno, li scrive lui. Di Fini, invece, restano solo i comizi in tv o nelle Mirabello d’Italia, vincitore del festival delle parole vuote di cui narrava ieri il Corsera. Sono loro oggi i simboli viventi di un sistema morente, i testimonial e indossatori dello spappolamento nazionale. Benvenuti nella spappolocrazia.

MONTECARLO, LA PISTA FISCALE PORTA AL “COGNATO”

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Gian Marco ChiocciMassimo Malpica

nostri inviati a Montecarlo

«Tulliani? Non lo sentire­mo, non ci interessa». Fino ad oggi è stata questa è la posizio­ne della procura di Roma, che indaga sull’ affaire immobilia­re monegasco per l’ipotesi di truffa aggravata, in seguito a un esposto della Destra, il par­tito di Storace, che rilanciava in sede giudiziaria l’inchiesta del Giornale . Ma davvero il «cognato» di Gianfranco Fini non riveste un ruolo tale nella vicenda da interessare gli in­quirenti? A dar retta ai fatti, documentati, sarebbe dovu­to essere lui il primo a sfilare in procura. Anche perché quanto rivelato dal Giornale in due mesi,e soprattutto nel­l’ultima settimana, accende i fari su altri aspetti che potreb­bero riguardare sia profili pe­nali che fiscali. Tulliani ha un conto corrente nel Principa­to. Ed è residente a Monaco grazie a un attestato con il quale la sua banca certifica che ha fondi a sufficienza per non lavorare. Se quei soldi non sono noti, in tutto o in par­te, al fisco italiano, il tema do­vrebbe assumere un certo in­teresse per le nostre autorità. Idem se si dovesse scoprire che dietro all’identità di fir­ma ( e di sostanza) tra Tulliani e la fiduciaria Timara costitui­ta in un paese a «fiscalità privi­legiata » si nascondesse una si­nergia di altro genere.

La procura di Roma sin dal­l’inizio spinge soprattutto su un tasto: acclarare se quei 300mila euro ai quali la casa di boulevard Princesse Char­lotte – che An aveva ricevuto in eredità dalla contessa Col­leoni – è stata venduta siano o no un prezzo congruo. In pro­cura sono sfilati il senatore Francesco Pontone, che co­me tesoriere firmò l’atto di vendita da An a Printemps, il deputato Donato Lamorte, che visitò la casa in questione e la descrisse come fatiscen­te, e la segretaria di Fini, Rita Marino, che accompagno La­morte nel tour monegasco. Pontone ha negato di aver mai trattato il prezzo, spiegan­do che la scelta di vendere era stata «del partito», smenten­do di aver mai ricevuto altre offerte di acquisto. Solo che in procura c’è andato anche Antonino Caruso, parlamen­tare del Pdl ed ex An, che ha invece confermato di aver ri­cevuto un’offerta da un milio­ne di euro per la casa sei anni prima della vendita, e di aver­la girata a Pontone. E di offer­te superiori hanno parlato in tanti: inquilini del Palais Mil­ton, dove ora vive Tulliani, ma anche il senatore ex An Giorgio Bornacin, che ha ri­cordato un’offerta di un grup­po di sanremesi rispedita al mittente.

Bianco e nero, dunque. Ma se mancano le certezze, di si­curo è curioso che i pm finora abbiano snobbato il cognato del presidente della Camera. Perché ilfratellino di Elisabet­ta è l’uomo che avrebbe sapu­to (non è chiaro da chi, perfi­no Fini ha negato di averglie­lo detto) che quell’apparta­mento era in vendita. E sem­pre lui avrebbe individuato un acquirente, guardacaso una società off-shore , la Prin­temps, con sede ai Caraibi e creata ad hoc per la bisogna giusto pochi giorni prima del­la vendita. E ancora Tulliani avrebbe proposto a Fini l’affa­re (per l’acquirente, s’inten­de), evidentemente fissando anche il prezzo, visto che Pon­tone nega di averlo trattato e Fini si limita a dire che «gli uffi­ci di An» verificarono che era superiore alla bassissima va­lutazione fatta, comunque, 10 anni prima. Vista così, dav­vero Tulliani non c’entra con la svendita della casa? Ma non è finita, perché come è noto la Printemps (s)venderà a sua volta, arrotondando il prezzo solo del dieci per cen­to, alla sua gemella Timara, stessa sede nei paradisi fisca­li, stesso capitale sociale, stes­si referenti. E quest’ultima chiuderà il giro, accollandosi le fatture dei costosi lavori di ristrutturazione e affittando la casa a Tulliani.

Con un con­­tratto sul quale le firme del «cognato» e del rappresentan­te della società sono identi­che. Ci sono anomalie, dunque, ma soprattutto c’è un ruolo centrale giocato in tutta la vi­cenda dal «cognato» del presi­dente della Camera. Grazie al Giornale le carte sono ormai pubbliche, che altro serve agli inquirenti? Oltre alla vicenda delle fir­me, a rafforzare la sensazione di un forte link tra Tulliani e le fiduciarie, c’è la storia delle utenze, che il giovane italia­no ha scelto di domiciliare a casa di James Walfenzao, uno degli intermediari, esperti in fiduciarie e in legislazione fi­scale, che risulta essere ammi­­nistratore, diretto o indiretto, sia di Printemps che di Tima­ra. E sufficientemente in buo­ni rapporti con Tulliani da «prestargli» il suo indirizzo. Delle utenze domestiche di Tulliani, almeno le bollette della luce, importanti per cer­tificare la reale residenza a Montecarlo dei cittadini stra­nieri ( che se sono in casa con­sumano elettricità), arrivano infatti a casa Walfenzao. Su quella bolletta, pubblicata dal Giornale , c’è il conto cor­rente di Tulliani.

Su quel con­to corrente, stando alla carta di residenza del «cognato», dovrebbe esserci una discre­ta somma, visto che Tulliani non è titolare di imprese né ri­sulta lavoratore dipendente, ma risiede a Montecarlo, ap­punto, grazie a un deposito di garanzia e al conseguente at­testato bancario di «autosuffi­cienza economica». Quei sol­di, tutti o in parte, Tulliani li ha indicati nel «quadro Rw» (dove si evidenziano le dispo­nibilità finanziarie all’estero) della sua dichiarazione dei redditi? Se magistrati e Gdf vo­gliono vederci chiaro, sanno esattamente cosa e dove cer­care. Un bel vantaggio, che dovrebbe facilitare il compito della procura, che non do­vrebbe bussare al Principato chiedendo lumi sull’esisten­za stessa di un deposito «a no­me di», ma solo sulla consi­stenza di un determinato e già noto conto corrente cifra­to. Occorrerebbe verificare il canale seguito per l’esporta­zione dei capitali, se quello previsto per legge con l’ausi­lio di intermediati abilitati. Oppure vedere se si è fatto ri­corso allo scudo fiscale per re­golarizzare queste somme. Nessuno ovviamente pensa che Tulliani abbia fregato il fi­sco ma per molto meno, pro­prio i pm di Roma, da mesi stanno indagando sui conti segreti dei tanti furbetti di San Marino.

Il Giornale – 20 settembre 2010

L’addio al tenente Romani: voleva proteggere i bambini

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Sono terminte poco fa, nella Basilica di S.Maria degli Angeli di Roma, le esequie di Stato del Tenente del Battaglione Paracadutisti  Ca Moschin, Romani, ulitma vittima italiana del terrorismo talebano in Afghanistan. Le esequie si sono svolte alla presenza del Capo dello Stato Napolitano e delle altre alte cariche dello Stato che hanno reso omaggio al parà che “voleva proteggere i bambini”. Nella Basilica, gremita di uomini con i baschi amaranto e di tantissimi romani, la commozione era palpabile così come palpabile era lo sdegno, qualche giorno, nello stadio di Livorno, città cara ai paracadutisti italiani, quando durante i momenti di silenzio in onore del ten. Romani, sono risuonati fischi di scherno ad opera degli ultrà di sinistra che a Livorno hanno preso sempre di mira i paracadutisti. A coprire i fischi gli applausi dei tanti altri spettatori che hanno isolato gli sciacalli, quegli stessi che “inneggiano” a “una, cento, mille Nassyriae e che un tempo gridavano e scrivevano “uccidere un fascista non è reato”. Chissà che non  siano le propaggini livornesi di quelli con i quali in Sicilia,  il neopartito di Fini, auspice l’araldo Granata,   sta per allearsi per governare contro il PDL la Regione Sicilia! g.

TREMONTI: L’EOLICO E’ SOLO UN AFFARE DI CORRUZIONE

Pubblicato il 18 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti (Garufi/Sintesi)
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (Garufi/Sintesi)

MILANO – «Il business dell’eolico è uno degli affari di corruzione più grandi e la quota di maggioranza francamente non appartiene a noi». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti palando di energia, nell’ambito della kermesse organizzata dal Pdl a Cortina d’Ampezzo. «Con Berlusconi abbiamo già stilato un documento fatto di otto punti – ha spiegato Tremonti – che poi magari diventeranno cinque. Un punto che ci penalizza è quello del nucleare: noi importiamo energia. Mentre tutti gli altri paesi stanno investendo sul nucleare noi facciamo come quelli che si nutrono mangiando caviale, non è possibile. Non dobbiamo credere a quelli che raccontano le balle dei mulini a vento, le balle dell’eolico, vi siete mai chiesti perchè in Italia non ci sono i mulini a vento? Quello dell’eolico è un business ideato da organizzazioni corrotte che vogliono speculare e di cui noi non abbiamo certo la quota di maggioranza.

…Bravo Temonti! Questo significa parlar chiaro, ma non basta. Occorre che il governo intervenga per impedire da una parte il dilagare del fenomeno corruttivo che sta nella installazione degli impianti eolici e dall’altra lo scempio del territorio. g.

Presidente, ci spieghi, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 18 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Il Giornale di Feltri, dopo averlo annunciato ieri sera durante la trasmissione televisiva “ultima parola”, ha pubblicato questa mattina la copia del contratto di fitto dell’appartamento di Montecarlo ereditato da AN, venduto ad una società offshore,  e abitato dal cognato di Fini, Tulliani, che a Montecarlo scorazza con una Ferrari che costa un paio di centomila euro che certamente non può permettersi, per dire,  nessuno dei 250 mila precari della scuola, di cui  a Mirabello l’on. Fini ha preso le difese.  Il contratto sembra firmato dalla stessa persona come locatore e come locatario. Abbiamo già pubblicato l’articolo del Guornale e la fotocopia del contratto. Ora pubblichiamo l’editoriale del vicedirettore del Giornale, Sallusti, che rivolto a Fini, invita Fini a spiegare. Lo farà Fini, dare le spiegazioni che sinora non ha fornito se non con un comunicato che invece di diradarle ha infittito le ombre sulla questione? Chissà! Forse Fini si trincererà dietro il banale “sono sereno..attendo che la Magistratura faccia chiarezza…”. Ma la  terza carica dello Stato che si chiama Fini e che a colazione, pranzo e cena, si diletta di etica e legalità (quando queste riguardano Berlusconi),  non può far attendere la pubblica opinione, ha il dovere morale di dare tutte le spiegazioni del caso. Perciò, risponda a Sallusti  e indirettamente a tutti noi. g.

La famiglia Fini-Tulliani si è sempre rifiutata di esibirla, i magistrati italiani l’hanno chiesta alle autorità monegasche, ma fino ad ora senza successo. Il Giornale è oggi in grado di svelare la carta in questione, il famigerato contratto di affitto della casa di Montecarlo passata dal patrimonio di An nelle disponibilità del cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, attraverso due società allocate in paradisi fiscali. Dal documento, che pubblichiamo qui a fianco, emerge un’altra delle tante anomalie che segnano questa storia. La firma del proprietario (la società offshore Timara) è la stessa dell’inquilino (Giancarlo Tulliani). Come mai? Potremmo azzardare la risposta più ovvia: la casa è di proprietà dell’inquilino stesso, cioè Timara e Tulliani sono la stessa cosa. Il che spiegherebbe in modo definitivo molte cose della telenovela che ha scosso l’opinione pubblica e la politica.

Ancora una volta giriamo il quesito al presidente Fini: perché quelle due firme identiche? Capisco che rischiamo di passare per monomaniaci, ma la posta in gioco è più alta di quella che appare. Parliamo di case e contratti di affitto, ma in realtà stiamo cercando di capire se il presidente della Camera, terza carica dello Stato, è persona leale ed eticamente all’altezza di ricoprire il ruolo che gli è stato assegnato. Cioè se è uomo che di fronte a un pasticcio non si nasconde dietro moglie, cognato e amministratori vari, ma racconta agli italiani come sono andate le cose senza omissioni o giri di parole, indipendentemente dal fatto che siano o no stati commessi reati.

Perché il problema non è, eventualmente, solo giudiziario. E altre cose non tornano. L’altro ieri un teste importante, Antonio Caruso, garante del patrimonio di An, ha confermato ai magistrati che per quella casa il partito aveva ricevuto offerte di un milione di euro, cifra ben superiore a quella realizzata (300mila) con questo pasticcio, smentendo le dichiarazioni dei notabili di Futuro e Libertà. Così come sono attese a ore le dimissioni di Francesco Pontone, senatore, braccio destro di Fini, da amministratore dell’ex patrimonio An (fu proprio lui a curare l’affare Montecarlo). Le contraddizioni e le coincidenze non finiscono qui. Domani pubblicheremo altri documenti. Non per spirito di persecuzione, che non esiste, ma per cercare risposte che non arrivano.

IL PD: UN PARTITO SENZA IDENTITA’

Pubblicato il 18 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Seguendo le sorti del Popolo della Libertà anche il Partito democratico è sull’orlo di una implosione? La mossa di Walter Veltroni, l’aggregazione di un «movimento» di contestazione della segreteria, non è solo un episodio dell’annoso duello fra Veltroni e Massimo D’Alema. La gravità delle condizioni in cui versa oggi il Pd è tale che difficilmente l’esito potrà essere qualcosa di diverso da una frattura irreversibile. La ragione di fondo è che il Pd è un partito di opposizione che non riesce a trarre profitto, in termini di consensi, dalle gravi difficoltà della maggioranza di governo.

E non può trarne profitto perché non è un corpo sano ma malato. C’è qualcosa di drammatico, e di rivelatore sia dei limiti delle classi politiche sia delle tendenze profonde del Paese, nel fatto che tutti i tentativi di costruire grandi forze «riformiste» falliscano in Italia. L’operazione non riuscì negli anni Sessanta dello scorso secolo con l’unificazione socialista. Poi non riuscì a Craxi. Infine, non è riuscita al Partito democratico. Per un verso, non c’è, e non c’è mai stata, per così dire già «preconfezionata», una domanda di riformismo sufficientemente forte e ampia nell’elettorato di sinistra.

Per un altro verso, ci sono limiti nella cultura politica delle classi dirigenti della sinistra che le hanno sempre rese incapaci di creare, con le loro azioni, le condizioni perché quella domanda crescesse e si diffondesse. Alla debolezza dal lato della domanda hanno sempre corrisposto la fragilità e l’incoerenza dal lato della offerta. Si guardi a cosa è successo dopo le elezioni. Mandato via Veltroni, il Pd non è stato più capace di trovare un baricentro politico. Alla più conclamata che praticata «vocazione maggioritaria » di Veltroni (che commise il fatale errore dell’alleanza con Di Pietro) si è sostituita una sorta di rassegnata presa d’atto del carattere irrimediabilmente minoritario del Pd. Da qui la ricerca di alleanze purchessia, l’oscillazione fra velleitari progetti di Union sacrée contro Berlusconi (tutti dentro, da Di Pietro a Fini), tatticismi politici (alleiamoci con i centristi di Casini, magari offrendo loro anche la presidenza del Consiglio) e fumosi slogan (il nuovo Ulivo).

Risultato: il Pd è oggi un partito senza identità, alla mercé degli incursori esterni, da Di Pietro a Vendola. Anziché elaborare proposte, costruirvi sopra una identità chiara, e solo dopo tessere le alleanze in funzione delle proposte e dell’identità, il Pd è partito dalla coda, dalle alleanze. Impantanandosi, non riuscendo a stabilire un rapporto forte con l’opinione pubblica. Dirlo è un po’ come sparare sulla Croce Rossa ma è un fatto che nulla può dare il senso della crisi di un partito di opposizione più della sua paura di nuove elezioni. Si spezza il rapporto fra Berlusconi e Fini? La maggioranza è a rischio? Che altro dovrebbe allora fare il maggior partito di opposizione se non chiedere, a gran voce, elezioni immediate? E invece no. Per paura delle elezioni si trincera dietro il pretesto della urgenza di una riforma elettorale (dimenticandosi di spiegare perché, se era così urgente, non la fece quando aveva la maggioranza, all’epoca dell’ultimo governo Prodi). È un vero peccato. La democrazia italiana avrebbe bisogno di un solido partito di sinistra riformista, sicuro di sé, delle proprie ragioni, della propria identità. Ma non è questo oggi l’identikit del Partito democratico.

Angelo Panebianco – Il Coriere della Sera

A Modugno, Bitetto e Bitritto regalo di 25 mila euro alle giovani coppie per l’acquisto della casa

Pubblicato il 17 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Una buona notizia per le giovani coppie e per i nuclei familiari numerosi. di Modugno, Bitetto e Bitritto.  Il coordinamento istituzionale dell’Ambito Sociale Ba10, ha approvato il bando pubblico, per l’erogazione di contributi, a favore di giovani coppie e famiglie numerose, che abbiano intenzione di acquistare la prima casa. I termini del bando (che è stato pubblicato il 29 luglio scorso) sono in pieno corso ed andranno a scadere entro il novantesimo giorno dalla sua pubblicazione. Pertanto, per chi abbia i requisiti e l’intenzione di acquistare, per la prima volta, u n’abitazione, l’occasione è da prendere a volo. L’iniziativa interessa i residenti del bacino dell’Ambito Ba10 che ha Modugno come capofila ed annovera anche i comuni di Bitetto e Bitritto.

I beneficiari del finanziamento devono rispondere ad alcuni requisiti: «nuove famiglie costituite dal 1° gennaio 2009, col vincolo del matrimonio; famiglie numerose con numero di componenti pari o superiore a cinque unità; almeno uno dei due coniugi deve essere residente da tre anni in uno dei comuni dell’Ambito; nessuno deve risultare proprietario di immobili ad uso abitativo; nessuno deve avere già usufruito di agevolazioni analoghe, in precedenza, per l’acquisto della prima casa » ed infine «la somma dell’età dei due coniugi non deve essere superiore a 70 anni alla data del matrimonio».

Insomma, il bando tende a privilegiare le giovani coppie, alla ricerca del “tetto” sotto il quale iniziare a creare il nucleo familiare. L’alloggio prescelto, poi, non deve avere un valore superiore a 180mila euro ed inferiore a 50mila euro. Il contributo erogato sarà di 25mila euro, a titolo di fondo perduto e sarà concesso a valere sulle risorse che saranno assegnate dalla Regione Puglia. Dall’avviso pubblico si apprende che «per le finalità di cui al bando sono state stanziate risorse complessive per euro 150mila, così come assegnate dalla Regione Puglia con provvedimento di giunta n. 474/2005». In buona sostanza, gli aventi diritto, coloro cioè che si aggiudicheranno i migliori posti in graduatoria, in seguito a priorità e titoli, potranno tempestivamente disporre dei contributi economici previsti. Saranno due le graduatorie, una riservata alle giovani coppie, l’altra alle famiglie numerose.

Informazioni ulteriori possono essere assunte, a Modugno, all’Ufficio del Piano, in via X Marzo, 59/D.

L’iniziativa, rientra, nell’ampia politica promossa dall’Ambito Sociale Ba10, chiamato a «programmare, progettare e realizzare il sistema locale dei servizi sociali in rete, attraverso la gestione associata delle risorse umane e finanziarie locali e tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell’ambito della vita comunitaria». (La Gazzetta del Mezzogiorno del 17.9.2010).

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IL PAPA A LONDRA PER RILANCIARE IL DIALOGO RELIGIOSO

Pubblicato il 16 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Incontro tra Benedetto XVI e i bersaglieri «Seguo con preoccupazione gli avvenimenti verificatisi in questi giorni in varie regioni dell’Asia Meridionale, specialmente in India, in Pakistan ed in Afghanistan. Prego per le vittime e chiedo che il rispetto della libertà religiosa e la logica della riconciliazione e della pace prevalgano sull’odio e sulla violenza». È l’appello lanciato da Benedetto XVI al termine dell’udienza generale di ieri, tenuto in aula Paolo VI. Il Papa si riferisce alle violenze anticristiane scoppiate a seguito della minaccia del pastore evangelico Terry Jones di bruciare copie del Corano in occasione dell’11 settembre. Il testo dell’appello del Papa viene diffuso separatamente dalla catechesi, segno che gli si vuole dare risalto particolare. E va inserito in una cornice più ampia, dato che la prossima Giornata Mondiale per la Pace avrà proprio come tema quello della libertà religiosa, un tema di stretta attualità, come confermano gli eventi recenti. È l’ultima udienza di Benedetto XVI prima della partenza per l’Inghilterra.
Oggi il volo papale sbarcherà a Edimburgo, dove incontrerà la Regina Elisabetta. È la prima tappa di un viaggio che si preannuncia importante: ogni momento del viaggio, centrato sulla beatificazione del cardinal John Henry Newman, anglicano convertito, sarà «pesato» dai media anglosassoni con particolare attenzione. Ma, specifica Vincent Nichols, primate di Westminster, non si tratta di un viaggio in un Paese secolarizzato, perché «la gente è molto aperta all’idea di Dio». Benedetto XVI non sembra sentire la tensione. Rilassato, arriva in Aula Paolo VI, gremita di fedeli, e svolge la sua lectio, durante la quale rende omaggio alle «donne coraggiose» che «offrono un decisivo impulso per il rinnovamento della Chiesa». Parla di Santa Chiara e del suo coraggio a lasciare a 18 anni la famiglia per diventare suora. È l’udienza che segna la fine delle vacanze per il Pontefice.
Durante l’estate aveva tenuto le udienze a Castel Gandolfo, nel cortile e anche all’aperto, nella piazza antistante il Palazzo Pontificio. Dopo il viaggio in Inghilterra tornerà in Vaticano, dove lo aspettano le fatiche del sinodo dei vescovi. Al termine dell’udienza, l’incontro con 200 Bersaglieri, accompagnati da una rappresentanza della Fanfara del Corpo. Questi, al termine dell’udienza, hanno offerto al Papa l’esecuzione della loro caratteristica marcia, che eseguiranno anche il 20 settembre per ricordare la presa di Porta Pia. Poi, la rappresentanza di bersaglieri si avvicina a Benedetto XVI per salutarlo, e gli regalano il tipico cappello dei bersaglieri (con le piume). Il Papa non resiste, e lo indossa. Di ritorno a Castelgandolfo, dove lo attende una piccola cerimonia: vengono consegnate nelle mani del Pontefice le chiavi di due moto Ducati personalizzate con i colori del Vaticano (bianco e giallo), che andranno ad arricchire la scorta. Dato che la Gendarmeria non può andare in divisa fuori dalle Mura Vaticane, resta da capire se saranno usate solo dentro Città del Vaticano. O se, magari, è in vista una qualche revisione degli accordi con la Polizia italiana.

IL COMPAGNO BERSANI NON VUOLE VIVERE 120 ANNI

Pubblicato il 13 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Bersani ieri ha parlato al suo popolo, quello del Pd, in un tripudio di bandiere e applausi. Li ha chiamati «compagni», quali in effetti sono, al di là delle dissimulazioni e dei camuffamenti adottati a più riprese negli ultimi anni. Il leader dell’opposizione moderata e riformatrice torna alle sue origine comuniste, e lo fa con l’orgoglio di chi resta saldamente legato a quella ideologia, messa formalmente da parte non per convinzione ma per spirito di sopravvivenza. E del comunismo, il leader del Pd nel suo discorso rispolvera tutta la retorica, la tristezza, il grigiore, la noiosità, soprattutto (…)
(…) l’utopia. Che cosa ha detto Bersani? Che bisogna riscattare il popolo dalla sua misera condizione, che ci aspettano tempi duri, anzi durissimi, perché questo è un Paese sull’orlo del baratro.
Un Paese, nessun Paese, è una macchina perfetta, questo è ovvio. Perché è fatto da uomini in carne ed ossa e perché le risorse non sono infinite, ma hanno un limite ben preciso oltre il quale c’è solo la bancarotta. Il compagno Bersani questo lo dovrebbe sapere bene. Il Pci, infatti, ha co-governato con la Dc l’Italia per cinquant’anni, approvando (e votando) il settanta per cento delle decisioni, soprattutto quelle più sciagurate che hanno fatto esplodere il debito pubblico, elevato la tassazione, consegnato il mondo del lavoro nelle mani dei sindacalisti. Ma non solo. Negli ultimi 18 anni, cioè dalla nascita della cosiddetta Seconda Repubblica, la sinistra ha governato in prima persona 10 anni contro gli 8 di Berlusconi e alleati.
Non si capisce bene, dati alla mano, perché Bersani non processi se stesso invece che Berlusconi, al quale tutto può essere rinfacciato meno che di aver portato i conti pubblici in zona a rischio. Il motivo è ovvio, vuole prendere il suo posto e continuare a fare i disastri degli ultimi settant’anni. Ma sbaglia i conti, e le parole d’ordine. Crisi, disoccupazione, povertà, sacrifici: c’è da toccarsi ogni volta che parla. Soprattutto perché dall’altra parte, il leader del centrodestra, oltre che una visione liberale della vita e della società, ha anche il dono dell’ottimismo, e alle iatture di Bersani contrappone obiettivi difficili ma di altro genere. Tipo: vi abbasserò le tasse, sconfiggeremo il cancro e vivremo fino a 120 anni, tenete duro che grazie a voi la crisi passerà, viva le belle donne, chi si impegna ce la farà a fare carriera, sappiate sorridere e ridere che fa bene e porta buono e altre cose simili.
Ora, se escludiamo il pugno di intellettuali e qualche moralista pubblico, secondo voi, la nazione a chi si dovrebbe affidare? A un becchino o a un Cavaliere, mettiamo pure sognatore? La gente ha bisogno di sogni, possibilmente di vittoria. Parola, quest’ultima, assente dal discorso di Bersani, che non osa pronunciarla neppure accostata al nome del suo partito. Tanto che come soluzione dei problemi non ha detto: dai ragazzi, facciamo cadere Berlusconi che andiamo a votare e vinciamo. No, ha detto (sintetizzo): speriamo che Fini riesca nella sua azione di mandare in crisi la maggioranza, così andiamo dal compagno Napolitano e ci facciamo fare un bel governo tecnico insieme a chiunque ci sta. Ma se non ci crede lui che la sinistra può essere una grande forza alternativa al centrodestra, chi diavolo vuole convincere?