NEL 2013 LA PRESSIONE FISCALE SALIRA’ AL TETTO RECORD DEL 45,8%.

Pubblicato il 6 dicembre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Pressione fiscale alle stelle. La stima fatta dall’ufficio studi di Confcommercio raggiungerà, nel 2012, quota 45,2%, a fronte della stima del governo del 44,7%, per arrivare fino al 45,8% nel 2013.

La pressione fiscale, “arrivata alla soglia record del 55%, calcolando anche il sommerso, è a livelli insostenibili e insopportabili” afferma il presidente Confcommercio Carlo Sangalli. La congiuntura economica negativa avrà effetti, inevitabilmente, sui consumi delle prossime festività: “E’ un record negativo che diventa insopportabile – ha sottolineato Sangalli -. L’effetto recessivo non risparmierà nemmeno il Natale. Ogni famiglia spenderà per consumi il 13,2% in meno del 2011″.

Per la quasi totalità degli italiani (il 95,4% degli italiani) il prossimo “sarà un Natale dimesso”. E il 13,7% non farà regali (l’anno passato il dato era all’11%). Fortunatamente la depressione non ha preso il sopravvento: l’86,3% degli italiani ha ammesso che farà regali. Anzi, qualcuno, si è già mosso per tempo: il 13,2% ha fatto acquisti già nella prima metà di novembre. E per risparmiare si utilizza di più internet (acquisti online aumentati dal 13% al 28%). Complessivamente si spenderà di meno: il budget di spesa rispetto al Natale precedente sarà inferiore per il 51,4% degli intervistati, uguale per il 46,9%, superiore solo per l’1,7%. Gli italiani spenderanno fino a 300 euro nell’89,5%. La spesa media pro capite per i regali di Natale sarà comunque di 164 euro.

Capitolo tasse. L’Imu per il 2012 vede triplicare le entrate per lo Stato rispetto all’Ici, passando da 9 a 28 miliardi: se si confronta questa cifra con i dati del governo che stimano, con le aliquote provvisorie, il gettito in circa 21 miliardi, sono disponibili 7 miliardi in più. Confcommercio chiede di utilizzare questo maggior gettito dell’imu, stimabile da 3 (nell’ipotesi minima di 24 miliardi) a 7 miliardi per ridurre le tasse. “Il maggior gettito imu, il tesoretto deve essere restituito alle famiglie” ha sottolineato il presidente di Confcommercio, indicando come “può essere l’occasione per alimentare subito il fondo taglia-tasse, riducendo quelle delle imprese, o per derubricare definitivamente il paventato incremento dell’Iva”.

……Mentre questi dati girano sul web, si incrociano le notizie sulla imminente crisi del governo tecnico e sul ritorno di Berlusconi sulla scena. Si vada al voto e si restyiuisca alla politicva il ruolo che le spetta, confinando i cosiddetti tecnici che in in questo anno hanno combinato pastyicci senza risolvere nessun problema al loro ruolo, al più di consulenti, ma senza soldi e prebende. g.

IL PDL SI SVEGLIA E SIDUCIA IL GOVERNO: MONTI SCRICCHIOLA.

Pubblicato il 6 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Il governo è sempre più appeso a un filo. Adesso il premier Mario Monti rischia di non avere più i numeri in parlamento. La maggioranza scricchiola.

Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera in Senato

L’incidente si apre a Palazzo Madama dove vota la fiducia al decreto legge sviluppo. Pur garantendo il numero legale, il Pdl ha infatti deciso di non appoggiare più i tecnici. “Il Pdl – ha dichiarato il capogruppo Maurizio Gasparri – vuole esprimere il passaggio del nostro gruppo alla  posizione di astensione nei confronti del governo”. Immediata la reazione del Pd: “Se il governo non ha più la maggioranza, Monti deve salire al Quirinale”.

Il Senato ha votato “sì” alla fiducia posta dal governo sul decreto sviluppo. I voti favorevoli sono stati 127, i contrari 17, gli astenuti 23. Una maggioranza risicata, insomma. Anche Monti è corso in Aula e si è votato la fiducia. Ma, all’indomani del vertice fiume tra Silvio Berlusconi e lo stato maggiore del partito, il Pdl ha deciso di non votare. “È un fatto non indifferente – ha fatto sapere il presidente del Senato Renato Schifani – informerò il presidente della Repubblica”. Senza far mancare la maggioranza, non ha appoggiato più le misure messe in campo dall’esecutivo in materia economica. Nel corso delle dichiarazioni di voto, alcuni senatori del Pdl hanno sottolineato la loro contrarietà alle parole del ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera, che questa mattina aveva criticato il Cavaliere per la sua decisione di ricandidarsi. L’ex ministro dei Trasporti, Altero Matteoli, ha dichiarato che non parteciperà al voto perché “un ministro non può offendere un partito che gli ha consentito di governare per un anno”. Non tutti, però, hanno seguito l’indicazione data da Gasparri. Contrariamente al resto del gruppo che invece non ha partecipato al voto, il senatore Beppe Pisanu ha votato a favore della fiducia: “È indispensabile che il premier prenda atto e faccia i passi necessari almeno per ricostituire nella sua consistenza numerica la maggioranza che e è venuta meno”.

La presa di posizione del Pdl ha creato un forte nervosismo tra le file dei democratici. “Se il Pdl decide di passare all’astensione esce dalla maggioranza, questo vuol dire che il governo non ha più la fiducia della maggioranza delle aule parlamentari”, ha sottolineato il capo gruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro denunciando “un problema politico di enorme importanza”. “Oggi la fiducia ha i numeri che non rispettano la maggioranza del Senato”, ha continuato la Finocchiaro che, pur non avendo la palla di vetro, non ha escluso l’esito “tecnicamente” negativo per il governo. E questo avrebbe un’unica conseguenza: “Monti deve salire al Quirinale”. Soddisfatta, invece, la Lega Nord. “Finalmente il Pdl ha aperto gli occhi e ha deciso di non sostenere più il Governo”, ha commentato il capogruppo del Carroccio Federico Bricolo augurandosi che “il Pdl faccia sul serio” e che “continui su questa strada perché questo vuol dire che si possono aprire anche nuovi scenari politici”. Il Giornale, 6 dicembre 2012

LE PRIMARIE NON SONO DI DESTRA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 3 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Il bello delle primarie è che sono finite, quelle del Pd, e il brutto è che potrebbero cominciare, quelle del Pdl, nonostante siano antipatiche a Silvio Berlusconi, la cui opinione è influente.

Tutti concordano nel dire che la competizione fra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi ha rivitalizzato il partito, soffocato da scorie comuniste. Ne prendiamo atto con soddisfazione. Constatare che l’anchilosata politica italiana si avvia sulla strada del rinnovamento fa sperare che i cittadini ritrovino un po’ di fiducia, adesso scarsissima, nelle istituzioni.

Non stupisce che sia stata la sinistra a dare la scossa, essendo abituata da sempre a mobilitare le masse con cortei, comizi, sventolio di bandiere, assemblee. Ha capito che nel Paese cresceva la protesta e addirittura il disgusto per lo scarso rendimento dei partiti, e ha deciso di riformare la propria liturgia logora nel tentativo, riuscito, di coinvolgere la base. Per la prima volta nella sua storia, ha messo a confronto il vecchio, incarnato dal segretario, con il giovane nella persona del sindaco di Firenze. Ne è uscita una gara appassionante, per quanto sgangherata, con regole discutibili e sbilanciata in favore del segretario: una specie di partita tra scapoli e ammogliati che comunque ha trascinato alle urne milioni di compagni, un record, di questi tempi.

Da qui in avanti, nel Pd potrà succedere di tutto: perfino che rompa la catena di trasmissione col sindacato più antiquato d’Europa, la Cgil e «filiali» varie. Una forza socialdemocratica in grado di camminare senza stampelle tardomarxiste sarebbe garanzia di maturità democratica. D’altronde, questo è ciò che voleva Renzi e lo ha ottenuto. Onore al merito. Poi vedremo come egli intende amministrare il patrimonio di voti che si è accaparrato. Qualcuno ipotizza una sua uscita dalla casa madre, finalizzata alla creazione di un nuovo partito, lasciando a Bersani i ferri arrugginiti recuperati negli scantinati di Botteghe Oscure. Presto per dire se sarebbe un bene o un male. In ogni caso, i lavori di ammodernamento sono iniziati e sarà difficile arrestarli.

Molti osservatori, avendo assistito alla fantasmagoria progressista, pensano che anche il Pdl, per non morire di inedia, dovrebbe promuovere in fretta primarie altrettanto sfavillanti. Ma non calcolano che manca la materia prima: cioè le folle di «fedeli» pronte a entusiasmarsi per un match che selezioni il candidato premier. Tramontata la Dc che si avvaleva dell’apporto e del supporto delle associazioni cattoliche nonché delle parrocchie, il centrodestra ha perso il terreno fertile su cui coltivare il consenso popolare.
Per parecchi anni, il Cavaliere ha colmato la lacuna col proprio carisma; adesso che la star si è offuscata a causa delle note vicende, i cosiddetti moderati non hanno più lo spirito e la verve per organizzare manifestazioni di piazza, kermesse, congressi veri né, tantomeno, votazioni interne. Gli stessi dirigenti del Pdl sono privi della carica necessaria per impegnarsi in una impresa simile a quella realizzata dai loro principali avversari. Danno l’impressione di essere solo preoccupati di conservare quanto è rimasto del partito, onde non scomparire dalla scena e non cedere tutte le poltrone.

Può darsi che nel Popolo della libertà (o in Forza Italia, le etichette hanno un valore relativo) si riaccenda il sacro fuoco, un domani, ma in questo momento non si vedono bagliori. Ecco perché ha ragione Berlusconi a scuotere la testa solo a udire la parola «primarie». Lui nasce costruttore. O si rimette subito a costruire qualcosa di eccitante o il centrodestra è destinato a diventare un rudere. Non si aspetti un grande aiuto dai suoi collaboratori: sono delusi e smarriti, assai spaventati. Hanno bisogno di credere, altrimenti si sparpagliano al grido «si salvi chi può!». Vittorio Feltri, Il Giornale, 3 dicembre 2012

.….Ecco, finalmente c’è chi lo dice senza fronzoli e giri di parole: le primarie non sono di destra. E  non sono neppure italiane. Sono americane, sono nate lì un paio di cento anni fa, regolano da allora le lezioni  del Paese più grande del mondo, anzi della Democrazia più vera del mondo e di quella Democrazia, le primarie, appunto, sono  il pilastro e il cemento. Ma come tutto ciò che ha senso in un determinato contesto, vanno bene lì dove sono nate, e dove fanno parte del dna degli indigeni, cioè degli americani. Insomma, non sono esportabili. Quelle della sinistra italiana, spacciate enfaticamente come il clone di quelle americane, sono in realtà il risultato di una poderosa macchina organizzativa che prima l’Ulivo, poi il PD, hanno ereditato dal PCI che resta il tronco da cui poi sono nati tutti gli altri. E’ la poderosa macchina organizzativa ex o post comunista che riesce a mettere in scena una…sceneggiata quali in effetti sono le primarie che hanno incoronato Bersani vincitore e quindi candidato premier del centrosinsitra alle politiche prossime a venire. Non ve n’era bisogno visto che lo statuto del PD prevede che sia il segretario a correre come premier tra l’altro nell’ambito della legge elettorale chiamata porcellum. Ma il PD, furbescamente, non certo per dare retta al sindaco di Firenze, e dietro l’alibi delle primarie di coalizione, altra fantasoosa bugia, le ha indette per aprire e celebrare una camopagna elettorale lunga mesi e mesi, con i riflettori della stampa e della TV accesi e quindi consapevolmente complici di un vero e proprio raggiro degli elettori. Raggiro del quale non si è reso conto il centrodestra che pensando così di uscire dalla crisi, rose irrimediabile, in cui si dibatte ha pensato di scimmiorttare la sinistra inviocandole come panacea alla sua crisi. Non sarebbe così, non solo per le cose che oggi scrive con dura franchezza Vittorio Feltri, ma anche perchè non  le capirebbero gli elettori che  alle primarie preferiscono di gran lunga coraggiose scelte politiche che ponessero fine al teatrino dei tecnici che invece di salvare il Paese lo hanno affondato, distruggendo la cosa più importante: la speranza nel futuro. Purtroppo, e anche in  questo dobbiamo dar ragione a Feltri, la classe dirigente dello schieramento di centrodestra – non solo quella che si identifica nel PDL – ma più vastamente  quella che  si estende anche oltre i confin del PDL, è la più sgangherata e lameno opresentabile delle classi dirigenti. La colpa maggiore è di Berlusconi, ma grazie a Dio, tutti ci hanno messo qualcosa per giungere a questo risultato. E l’incaponimento di taluni – tipo Alemanno, o Aledanno come lo definisce Dagospia – nel voler percorrere la strada delle primarie con il rischio di un flop che trasformi le primarie del centro destra  in un rimedio peggiore del male testimonia sino a che punto si sia giunti e come è in rigida salita la ricostruzione di un centrodestra capace di ritornare a vincere. g.

SALLUSTI COME GUARESCHI, UN CAMPIONE DI CORAGGIO DAVANTI ALLA BORIA DELLE TOGHE, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 2 dicembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Il tipo umano di Sallusti è unico. Ha la faccia da attore di un classico dell’horror anni Trenta, un Bela Lugosi in piena Transilvania. Però una piega della grinta vira sull’innocente, sul candido, sul Forrest Gump.

Bisogna poi dire che il comportamento pubblico, specie nella vicenda della sentenza e del carcere, è da aristocratico libertino. Dirige un Giornale da sempre araldo del cinismo longanesiano, ideologia conservatrice e strapaese, ma con la condanna per omesso controllo su una diffamazione Sallusti ha messo in moto una reazione psicologica e civile, personale e collettiva, che ha un solo precedente in Giovannino Guareschi, scrittore geniale e intellettuale anticonformista: condannato per diffamazione di De Gasperi negli anni Cinquanta, l’inventore di Peppone e don Camillo rifiutò di interporre appello e filò in carcere.

Sallusti non ha scritto sulla sua bandiera il fatale motto arcitaliano «ho famiglia», non gli assomiglia il profilo basso e codardo che si attribuiva impudicamente e ironicamente un celebre direttore del Corriere: «Ah, avessi un giornale!», e sembra che nel paese in cui «ci conosciamo tutti», il luogo per eccellenza della cuginanza e del compromesso familista allargato, la sua parte sia quella di chi non ha e non desidera avere neanche la parvenza di una solidarietà castale o corporativa. I colleghi democratici lo odiano, e lui se ne gloria e compiace afferrandosi a una qualche certezza morale interiore di regola insospettabile in chi esercita la prostituzione a mezzo stampa (tutti noi, più o meno, e massimamente quelli che lo negano e si sentono vestali dell’opinione pubblica, sacerdotesse della società civile incorrotta).

Conosco poco l’uomo e il professionista, ma non avrei mai pensato che avrebbe tenuto duro fino a questo punto, con questa alterigia e incoscienza, con questa rara testardaggine. Lo ammiro, e mi dispiace che ammirazione finisca per suggerire incoraggiamento: infatti io sono della scuola di Gaetano Salvemini, se ti becchi noie giudiziarie per stupro della Madonnina sul Duomo di Milano, prima ripari all’estero e poi si discute. Ma devo dire che mi stordisce una battaglia di così forte tempra espiatoria, in cui l’istituzione più controversa e blandita del Paese, la magistratura, viene messa con le spalle al muro nell’intento di obbligarla a essere perfettamente e assurdamente rigorosa nella sua ingiustizia («voglio il carcere come tutti i povericristi»), e questo viene fatto con il sublime sprezzo del rischio di finire in gattabuia per un anno e due mesi o giù di lì (in carcere anche un giorno è lungo come un anno).

Io da italiano non posso che considerare unico un tipaccio che rivendica la propria non colpevolezza (il che può essere discusso dai mille azzeccagarbugli del teatrino italiano), aggiungendo che è pronto a pagare con la galera e con una surreale certezza della pena, anzi lo esige, se questo significhi mettere un ingombro morale sulla via dell’ingiustizia di compromesso, un’ingiustizia senza gravi conseguenze che è un insulto a chi quelle conseguenze, e gravissime, invece le subisce.

La destra italiana – a volerla dire tutta – pullula di personalità eticamente distratte, che a un garantismo giuridico teorico affiancano l’umanissima voglia di sottrarsi agli affanni delle corti e delle inchieste, magari facinorose, in un modo o nell’altro; e forse anche questa generale distrazione etica ha fatto sì che in quasi vent’anni si sia combinato tanto poco in fatto di riforma delle carriere e dei codici e dell’amministrazione del diritto. Ora, il direttore del Giornale è un campione di questo mondo, ma lo rappresenta con una misura di inaudita e adamantina purezza morale, fa la lezione ai gendarmi che lo vogliono libero dopo averlo condannato alla prigione, li stuzzica, li provoca, li esorta e supplica a tradurlo in catene, sapendo che certo questo colpirà la loro boria, i loro automatismi burocratici, i loro vizi faziosi, ma alla fine un anno e due mesi a San Vittore non si augurano al peggiore dei nemici, figuriamoci a sé stessi.

Qualche volta penso che Sallusti voglia espiare una pena simbolica per conto di un intero tempo politico e civile, quello del berlusconismo nei suoi aspetti più selvaggi, e che mettere in gioco la propria libertà possa risultare per un hombre vertical come lui dimostra di essere il modo di riscattare personalmente e collettivamente una reputazione ormai decisamente dubbia, opaca, e sfilacciata sotto il profilo della dignità e coesione temperamentale. Ma noi che abbiamo famiglia, e con questo intendo non solo un certo mondo ma l’insieme un po’ fetido della professione in cui sguazzo da decenni (giornalismo «de sinistra» compreso), avremo la nostra bella convenienza, il nostro inconfessabile vantaggio, se quel pazzo lucido otterrà la disgrazia della galera. E questo dà da pensare. Giuliano Ferrara, 2 dicembre 2012

…….Mentre continua il silenzio assordante del centrodestra italiano, irrompe sul campo  Giuliano Ferrara con questo ritratto della storia e del protagonista. Meno male che c’è ancora qualche guascone d’altri tempi capace di non farci vergognare della parte in cui abbiamo militato. E pazienza se proviene, ideologicamente,  dalla parte che abbiamo avversato tutta la vita. g.

LA SACRALITA’ DELLA DEMOCRAZIA INFRANTA DAI GIUDICI: FERMATELI

Pubblicato il 2 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Duralex sed lex diranno i feticisti del diritto, quelli che, come spiegò una volta l’onorevole e poi presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, la toga di magistrato ce l’avevano cucita nel petto.

E dunque, se si deve arrestare il direttore di un quotidiano si va in sede, si sale nel suo ufficio e lo si porta via. Che volete che sia. Se in ottemperanza alla legge si preleva a forza un bambino all’uscita di una scuola, non si potrà portare via un uomo grande dall’interno di un giornale? Sì, certo, c’è la sacralità della libertà di stampa, la salvaguardia del quarto potere, il giornalismo cane da guardia delle istituzioni, la lettura dei giornali come preghiera kantiana e mattutina dell’uomo laico, la tutela delle fonti e insomma tutto l’armamentario della libertà d’opinione e dello Stato di diritto, ma, appunto, dura lex sed lex.

Detto nell’anno di grazia 2012, e visto il pasticcio politico-giuridico che ruota intorno al caso Sallusti, questo principio del Digesto sembra più, con rispetto parlando, una battuta di Totò.

Gli inventori del diritto romano sapevano benissimo che Summus ius summa iniuria, e non c’è bisogno di sapere il latino per capire di che cosa stiamo parlando. Nel tentativo di uscire dall’impasse, si violano le norme più elementari del vivere civile, della dignità professionale, del buon senso. Fino a ieri, quando si perquisivano le abitazioni dei giornalisti e si mettevano sotto sequestro i loro strumenti di lavoro, era tutto un gridare indignati all’attentato contro le libertà costituzionali, oggi si salgono le scale del Giornale in via Negri 4, si porta via, elegantemente blindato, senza manette, ma sotto scorta, il suo direttore e davvero non è successo nulla, davvero ci vogliono far credere che non si poteva fare altrimenti, meglio, non si doveva fare altrimenti? Ma davvero pensano i politici e i responsabili dell’ordinamento giudiziario che ci beviamo la favola del rispetto della legge? Favola, va da sé, che proviene da due caste braminiche che tutto sono tranne che eguali al semplice cittadino quanto a privilegi e guarentigie.

Diceva Thoreau che «sotto un governo che imprigiona ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto è la prigione». L’essenza della vicenda Sallusti è tutta qui, ma siccome è talmente evidente, per l’uomo della strada, che andare in galera per omesso controllo di un articolo, è un non senso giuridico ed etico, si sarebbe preferito che Sallusti avesse acconsentito all’«aiutino», tanto la nostra classe politico-giudiziaria assomiglia ormai a un gioco a quiz corredato di pacchi regalo: grazie al jolly, pescato da noi, ti diamo i domiciliari, non sei contento? Così si dà anche il destro a molti servi di scena e di redazione di ironizzare, di fare la morale con il piglio dell’uomo di mondo, gli stessi che pur di far rimettere una querela darebbero in cambio la madre.

La fine di un regime politico la si vede anche da questo, dall’incapacità di misurare le azioni e le conseguenze, dal delirio cieco con cui si ignorano le più elementari regole del fair play, il gioco pulito, il tener conto delle storie, delle persone, di ciò che esse, nel grande come nel piccolo, rappresentano. La fine di un regime politico la si vede quando è incapace di legiferare, fare luce, evitare i fraintendimenti. Niente è più attuale rispetto all’attuale politica italiana del vecchio Tacito degli Annali: Corruptissima repubblica plurimae leges, quando lo Stato è corrottissimo le leggi sono moltissime. Sallusti si è sempre limitato a chiederne una: se sono colpevole vado in galera. Punto, tutto il resto è corruzione.
Per anni, quelli che adesso fanno i giustizialisti col botto si deliziavano con una frase di Gaetano Salvemini: «Se mi accusano di aver stuprato la statua della Madonnina del Duomo, per prima cosa fuggo all’estero». Ma, si sa, Salvemini era un sincero democratico e un vero antifascista. Qui invece c’è un Sallusti pericoloso criminale che non vuole sconti ma, guarda un po’, la certezza del diritto. Pur di togliersi un peso, imponendogli quei domiciliari con cui pensano di salvare la capra giudiziaria e il cavolo della politica siamo certi che sarebbero andati a prenderlo persino dentro al Duomo di Milano, perché la sacralità dei luoghi alla fine è un optional rispetto al braminismo delle caste.

Un grande giurista, Salvatore Satta, ha scritto che «il giudizio è una pena, è la sola vera pena. Il genio di Pascal ha fissato per sempre questa verità in un sublime pensiero: “Gesù Cristo non ha voluto essere ucciso senza le forme di giustizia, perché è ben più ignominioso morire attraverso un giudizio che per sedizione ingiusta”». Il caso Sallusti è la dimostrazione di uno Stato che il giudizio non sa nemmeno cosa sia. Stelio Solinas, Il Gornale, 2 dicembrte 2012

..…………..Che tristezza constatare la irrilevanza morale del centrodestra. Mentre un suo “soldato”, non uno qualisiasi, ma l’interprete giornalistico dei nostri Valori e dei nostri Principi,  viene sbattuto in galera, al momento, solo per il momento, virtuale, in attesa di essere trasformata in carcerazione dietro le sbarre, il capo, anch’egli virtuale, dello schieramento nel quale ci siamo sinora riconosciuti, invece di scendere in poiazza e capeggiare la rivolta contro un atto pliticamente demenziale, si trascina stancamente per le redazionio di giornali noncerto amici per dichiarare che bisogna fare le primarie per riconquistare il rapporto con gli elettori. Alfano, così si chiama questo capo virtuale, è fermo all’anno zero, se immagina che gli elettori, milioni!, delusi dal centro destra possano ritornare se si celebrano le primarie, mentre si resta silenziosi e indifferenti di fronte alla carcerazione di Sallusti che del centrodestra, con o senza Alfano,l è stato coraggioso testimone. Se ikmmagina questo Alfano, le faccia le primarie, magari riempia le urne di v oti 2virtuali, ma nelle urne vere, quelle prossime ci troverà ben poco. g.

NOI RESTIAMO LIBERI

Pubblicato il 1 dicembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Da oggi Alessandro Sallusti non è più libero. Chi ha avuto voglia di leggere le nostre cronache conosce alla perfezione la vicenda.

E si sarà formato un giudizio.

Noi abbiamo un solo obbligo ed è nei confronti dei nostri lettori. Il Giornale, il suo direttore responsabile, i suoi redattori sono rimasti feriti da questa vicenda, ma sono e continueranno a essere liberi nell’esercizio dell’unico patrimonio di cui dispongono: la testa e la penna. Non abbiamo intenzione di fare le vittime. Ogni giorno la giustizia, così si chiama, commette errori e talvolta violenze. Mentre noi scriviamo lo Stato italiano tortura decine di migliaia di detenuti (gran parte in attesa di giudizio) in condizioni carcerarie da terzo mondo. Noi abbiamo la fortuna di avere un alleato.

I lettori. Che ogni mattina ci danno la loro fiducia. Senza di voi le battaglie di libertà del Giornale sarebbero un esercizio per virtuosi. Molti di voi sanno che le sfide giuste spesso non coincidono con quelle dei chiassosi luoghi comuni. Siamo stati abituati a un direttore gambizzato nell’indifferenza generale, anzi tra i brindisi dei buoni borghesi e dei giornaloni che contano. Cosa volete che siano quattordici mesi di reclusione. Nicola Porro, Vice direttore de Il Giornale, 1° dicembre 2012

…….E così si è consumata nell’indifferenza del capo dello stato, l’ex comunista Napolitano, del capo del governo, l’incomopente per eccellenza Monti, del ministro della giustizia, la convegnista Severino, del Parlamento – Camera e Senato – i cui presidenti sono sono assillati dal cosa fare dopo il prosismo aprile, dei partiti, che blarterano da mane a sera di diritti umani e non sanno cosa siano, degli intellettuali che si riempiono la bocca di belle parole sulla democrazia ma all’atto pratico se ne infischiano della sua violazione,  e poi, della classe dirigente del centrodestra, che tutta presa dal salvare il proprio culo a rischio tra poche settimane non alza nemmno un occhio di fronte alla violenza che si sta compiendo ai danni di uno dei suoi militanti, cioè Sallusti. E’ questa forse la delusione più forte che si prova dinanzi alla traduzione – come un pericoloso criminale di “cosa nostra” – del direttore del Giornale portato di peso – virtualmente – via dalla sede del giornale per essere rinchiuso nella sua abitazione dove non può avere contatti con nessuno perchè altrimenti può ordinare chissà quali delitti. L’Italia come la Corea del Nord, o come l’Unione Sovietica ante 1989, o, peggio come la Germania dell’Est così ,come descritta dal film Le vite  degli altri che ebbe nel 2006 l’Oscar. Dopo una settantina d’anni in cui la libertà di stampa, di parola, di opinione,  sono state indicate come la conquista più importate e non revocabile del pop,lo italiano, un giornalista viene privato della libertà personale  neppure per aver espresso una opinione ma solo per non aver controllato quella di un altro. No! L’Italia non è come la Corea del Nord, è peggio. g.


IL POLIZIOTTO CHE COMMUOVE NEW YORK: HA REGALATO GLI STIVALI CALDI AD UN SENZA TETTO SCALZO.

Pubblicato il 29 novembre, 2012 in Costume, Il territorio | Nessun commento »

(Foster)(Foster)

A quasi 400 mila persone «piace questo elemento». È la risposta degli internauti alla foto pubblicata dal Dipartimento di polizia di New York ,
il Nypd, sul suo profilo di Facebook. Il 14 novembre scorso, Jennifer Foster dell’Arizona, era in visita a Times Square, quando ha catturato col suo cellulare una scena che sul web è già diventata un successo. E che sta commuovendo gli americani.

BUON SAMARITANO – Il protagonista della vicenda è l’ufficiale di polizia Lawrence Deprimo, 25 anni di Long Island. Il gesto che l’ha reso famoso nottetempo? Non è straordinario, ma di cuore. In una notte di freddo nella Grande Mela ha regalato un paio di stivali nuovi di zecca ad un senzatetto scalzo. «Quel momento mi ha ricordato mio padre -, ha spiegato l’autrice dello scatto al New York Times -, un poliziotto di Phoenix che aveva comprato del cibo per un clochard». Foster ha spedito la foto al Dipartimento di polizia di New York che a inizio settimana l’ha caricata sul proprio profilo di Facebook. Ebbene, nel giro di poche ore, quell’immagine è stata cliccata quasi 2 milioni di volte, 20 mila sono i commenti.

SUCCESSO SU INTERNET - Intervistato dal Times, l’agente ha raccontato quella serata di pattuglia nel West Village: «Si congelava quella notte e si potevano vedere le vesciche ai piedi dell’uomo». Aggiunge Deprimo: «Benché io avessi due paia di calzini, continuavo a soffrire il freddo». I due hanno cominciato a chiacchierare; il poliziotto ha poi scoperto quale numero di scarpe portasse il senzatetto. Senza pensarci troppo si è dunque diretto verso un negozio di calzature è ha acquistato degli stivali e delle calze termiche. Costo: 75 dollari, con uno sconto del 25% anche grazie alla disponibilità del negoziante. Per quanto riguarda il clochard, Deprimo ha rivelato di non sapere come si chiamasse. Ha tuttavia detto che è stato il «signore più educato che avessi mai incontrato» rimarcando che il suo volto si è illuminato quando ha visto gli stivali. «Era come se gli avessi appena dato un milione di dollari». Elmar Burchia, Il Corriere della Sera, 29 novembre 2012

.………………..Non riuscivamo più nemmeno a sognarlo, invece è accaduto: c’è ancora nel mondo chi si ispira alla favole deamicisiane da libro cuore. Questo poliziotto, che ha tolto dal suo stipendio i 75 dollari per comprare degli stivali ban caldi al senza tetto che era scalzo ci induce alla commozione. E ci fa ben sperare per il futuro nonostante un’altra storia, ben diversa, che ci raccontano essere accaduta dalle nostre parti. Un pensionato ultrasettantenne si recava in campagna con la sua auto vecchia di decenni dietro la quale aveva attaccato una minuscola motozappa con cui guadagnare qualcosa da aggiungere alla misera pensione.  Fermato da solerti ed arcigni tutori dell’ordine gli è stata inflitta una pesante sanzione pecuniaria, molto alta rispetto alla modesta pensione percepita. Smarrito e desolatamente disperato, il malcapitato si è recato da chi pensava potesse venirgli incontro. Ma mal ancor di più gliene incolse perchè alla sua lamentosa rimostranza si è sentito rispondere: la prossima volta caricati sulle spalle la motozappa e in campagna ci vai a piedi. Proponiamo al poliziotto americano il Premio Nobel per la Solidarietà, e al suo corrispettivo italiano una sonora  scarica di pernacchie, alla Eduardo De Filippo, di cuore e di petto.  g.

LO SFASCIO DEL PDL VA IN ONDA SU PORTA A PORTA

Pubblicato il 29 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Pdl, lo sfascio del partito  in onda  su Porta a Porta
E’ un partito a pezzi il Pdl. Il 28 novembre sera a Porta a Porta condotto da Bruno Vespa va in onda lo sfascio del partito fondato da Silvio Berlusconi. Gli ospiti sono Maurizio Lupi, Daniela Santanchè, Giorgia Meloni e Mariastella Gelmini. I quattro rappresentanti del Pdl si confrontano sulle primarie del partito e riescono a dare quattro linee diverse. O meglio, se Lupi, Santanchè e Gelmini non sembrano disperarsi per l’eventuale annullamento della consultazione popolare, la Meloni al contrario è convinta che sia un gravissimo errore non farle. Ognuno, però, dice una cosa diversa.

Alfano e il Cav – Il problema, infatti, è che il Pdl è spaccato fra la linea di Angelino Alfano che vuole le primarie – ma non se torna il Cavaliere – e il ritorno di Silvio Berlusconi stesso che vuole però candidarsi con un soggetto diverso dal Pdl, si tratti di Forza Italia 2.0 o di una lista con un altro nome. E in questa totale confusione va in scena il dramma del centrodestra. Lupi si dice d’accordo con Alfano: “Le primarie che Angelino ha fortemente voluto erano un’occasione per tornare tra la gente, ma c’è un fatto politico che non può essere trascurato ed è la discesa in campo di Berlusconi. Ora mi chiedo, ha senso fare le primarie? Non è forse meglio parlarne con lui, confrontarsi?”.
Il dilemma – Evidentemente il confronto non è così facile. Soprattutto, dice la Santanchè, che si dice “prima sostenitrice delle primarie”, “non si possono fare il 16 dicembre perché non siamo organizzati” e “e non si può prendere in giro la gente”. Peccato, ribatte la Meloni, che “le primarie sono state decise a giugno” ma poi si è tergiversato. Ora però, sostiene l’ex ministro della Gioventù, “possiamo pensare che se non siamo pronti per il 16 dicembre si possono fare il 20 gennaio. E converrebbe anche a Berlusconi candidarsi. Non sarebbe molto più bello?”. A quel punto la Santanchè la accusa di far parte dell’apparato”, “la gente ha bisogno di contenuti”, ma non si capisce bene dove voglia andare a parare e non risponde alla Meloni che le chiede di concludere.
Fredda analisi – Prende quindi la parola la Gelmini ma il suo intervento si limita ad una fredda analisi, come se lei non avesse nulla a che fare con il partito. Dice: “Le primarie sono solo una delle ricette. Ma il punto di debolezza è che sono primarie per la leadership e non di coalizione”, come invece sono state per il centrosinistra.
Quindi? Verrebbe da chiedere. Quindi nulla. Lupi cerca di andare oltre insistendo sul fatto che “ci sono state troppe indecisioni nel partito”, che “bisogna trovare una linea unica e seguirla”. Il problema è trovarla. LIBERO, 29  novembre 2012
…..Abiamo visto la trasmissione di Vespa di ieri sera. Non riusciamo a dar torto al cronista di Libero. I quattro -ma chi li ha scelti!?- che si sono confrontati, si fa per dire, sotto la bacchetta direzionale di Vespa, sembravano dei fantasmi, piuttosto che dei politici navigati chiamati a fare riflessioni serie e dare risposte chiare. Si sono becdcati tra di loro, riuscendo a dire, anche quelli che tra loro erano d’accordo, ciascuno una cosa diversa dall’altra. E’ stata la fotografia di un partito in disfacimento che neppure nelle ore drammatiche che sta vivendo il Paese riesce a trovare un regolo giusto dei propri comportamenti, almeno quelli pubblici. Poi il dilemma: primarie si, primarie no. Su questo semplice dilemma si è consumato il dramma da piscanalisi: chi era per farle usava per spiegarne le ragioni,  le ragioni degli altri, e gli altri, quelli che rano per non farle usava per spiegarnme i motivi, i motivci degli uni, di quelli che erano a favore. Insomma uno psico dramma all’interno di un dilemma. E’ questo era il partito che appena 4 anni fa conquistato la maggioranza assoluta dei voti degli italiani ai quali aveva promesso mirabilie? E’ proprio quel partito, alemno nel ome e nelle persone, ma non nei fatti. Peccato. g.

PRIMARIE: DIBATTITO IN TV BERSANI-RENZI. HA VINTO IL ROTTAMATORE?

Pubblicato il 29 novembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La rottamazione è compiuta. Almeno televisivamente. Nel primo faccia a faccia tra i due sfidanti alle primarie del centrosinistra, Matteo Renzi ha spento Pier Luigi Bersani. E lo ha fatto senza usare toni aggressivi, senza ricorrere ad attacchi virulenti.

È come se avesse schiacciato il tasto mute del telecomando. La conferma arriva anche da un instant poll realizzato dalla Stampa e dal quale il rottamatore ha raccolto il 49% contro il 38% di Bersani (senza contare che il 15% ha dichiarato che potrebbe aver cambiato idea su chi votare).

In un dibattito civile, a tratti fin troppo composto, il sindaco di Firenze ha innalzato lo spread tra lui e il segretario democratico. Non tanto per le proposte, ché saranno oggetto di disamina da parte degli elettori, quanto piuttosto per la divulgazione delle stesse. La differenza tra i duellanti l’ha fatta la prontezza nelle ribattute, l’immediatezza nei discorsi, la capacità di parlare direttamente ai telespettatori. Senza filtri. Senza tentennamenti. In tutto questo, Renzi è stato più bravo.

E lo si è visto sin dall’inizio. Pronti, via. Si parte con le risposte alla crisi economica. E il rottamatore comincia subito col botto, promettendo “100 euro netti al mese in più a chi guadagna meno di 2000 euro per le prossime tredici mensilità“. Demogagia? Forse. Ma il divario col più cauto Bersani che non promette venti miliardi l’anno prossimo ma pensa si debba fare qualcosa, non è roba da poco. Chi ben comincia è a metà dell’opera, si dice. E Bersani parte male.

La forza, e probabilmente, il vantaggio di Renzi stanno nel suo ruolo. Lui che dall’interno lotta contro lo stesso interno per aprirsi al nuovo può permettersi attacchi ai dirigenti del suo stesso partito facendoli passare a volte per encomiabili mea culpa.

Come quando, parlando della lotta all’evasione fiscale, parla di “responsabilità” che “abbiamo anche noi del centrosinistra” perché “noi in questi anni ce la siamo presa con i piccoli senza andare a prendere i grossi. Non siamo stati all’altezza”.

Utilizzare il “noi” quando si tratta di fare autocritica e il “loro” (o il “voi”) quando si tratta di marcare le differenze: ecco la strategia renziana. Quel “voi” arriva quando si parla di Equitalia, primo oggetto di scontro del dibattito televisivo.

Renzi accusa il segretario Pd di aver creato le condizioni, quando era ministro, per una Agenzia particolarmente aggressiva. Bersani ribatte che “Equitalia non l’abbiamo inventata noi”, ma la replica di Renzi è lì che aspetta di essere sciorinata: “Sei stato 2.547 giorni al governo e dico questo perché è necessario fare un passo avanti”. “Nessuno è perfetto”, ha chiosato mestamente il segretario.

Che poi ha dovuto soccombere ancora sul tema della politica estera. Bersani non ricorda che la road map prevede il ritiro delle truppe nel 2014 e propone un ritiro nel 2013. E poi si avventura in una promessa quanto meno azzardata: l’eliminazione degli F35 perché “con questa crisi non ci sembra il caso”. Renzi mette all’angolo il segretario in entrambe le questioni, invitandolo a non fare demagogia.

Stessa débâcle per Bersani in merito alla politica industriale. Renzi ritorna all’autocritico “noi”: “Non voglio fare il gianburrasca di turno, ma sono convinto che i governi di centrosinistra non hanno fatto tutto bene sulla politica industriale. Abbiamo qualcosa da farci perdonare”.

Ma è sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e sull’eliminazione dei privilegi della casta politica che la partita si fa dura. Per corrobare la sua tesi, secondo la quale abolendo i finanziamenti pubblici soltanto i ricchi farebbero politica, il segretario democratico cita Clistene e Pericle, nella cui “culla della democrazia, decisero che la politica prendeva un sostegno pubblico che la differenziava dalla tirannide”.

Difficile pensare che Renzi non cogliesse un assist così facile. E infatti la risposta è stata caustica: “Ho rispetto per Bersani, ma passare da Pericle a Fiorito… Se i cittadini dicono no al finanziamento e inventiamo una legge che raddoppia le spese perdiamo credibilità“. La differenza sta nella prontezza, appunto. Nel duello tv Bersani non ha la stessa immediatezza e la stessa incisività nel ribattere a Renzi. E quando viene incalzato da quest’ultimo, al massimo sbuffa o si mette a ridere per il nervosismo.

Un sussulto, il leader del Pd lo ha quando si parla della riforma delle pensioni e quando Renzi critica lo scaglione introdotto nel 2007, “una riforma che è costata 9 miliardi e che abbiamo fatto per dare soddisfazione alla sinistra radicale”. Qui, la replica di Bersani è incisiva, seppur pacata e quasi paternalistica: “Matteo, bisogna che tu approfondisca questo tema…”.

Il rispetto, però, quello non è mai mancato. E va riconosciuto ai due contendenti il merito di aver dato vita a un dibattito civile. Detto questo, però, nel giudizio finale la bilancia propende più per Renzi. Sciolto, sorridente, furbescamente politically correct, ha risposto alle domande senza mai scomporsi, nonostante si trovasse in una situazione di svantaggio. Dal canto suo, Bersani è stato il Bersani di sempre: esageratamente calmo, poco incisivo, forse crogiolato dalla sicumera di una vittoria al ballottaggio. Che molto probabilmente si verificherà. Ma, almeno stasera, la rottamazione di Renzi ha avuto la meglio. Il Giornale, 29 novembre 2012

………………Abbiamo visto il dibattito, nella comoda posizione neutra di non elettore del centrosinistra.  Di certo Renzi è stato pù vivace il che non significa che sia stato più incisivo, Bersani è stato più lento il che non significa che sia stato meno incisivo di Renzi. Tra i due è evidente una notevole diversità di carattere che gioca a prima vista a favore di Renzi, che dovendo colmare il distacco aveva interesse ad andare all’attacco, al contrario di Bersani che ha ( forse sin troppo) preferito la tattica dell’attesa. Qual sarà stata più accetta tra le due posizioni dagli interessati, i votanti del centrosinistra sarà noto la sera di domenica. Ma dovendo solo accademicamente scegliere tra i due, non abbiamo difficoltà a scegliere Bersani. Perchè Renzi, vivacemente, è stato si frizzante ma lanciando più che tante  idee tanti slogan che però  non basatano a governare, anzi con i quali non si governa. Sotto questa luce sia pure apparendo opaco, forse Bersano dà qualche sicurezza in più. Ma forse sareebbe meglio che nessuno dei due vincesse la corsa finale…solo che  per la corsa finale non sappiamo per chi tifare. E questo è il problema vero che assilla gli elettori di centrodestra. g.

CHE RIDERE, BOTTE TRA I PM, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 29 novembre, 2012 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

Che ridere. È meraviglioso vedere, sedu­to dal divano di casa mia dove mi han­no relegato, i magistrati litigare come matti sul mio arresto. Una scena esila­rante che mi compensa ampiamente dei torti subi­ti.

Il povero procuratore di Milano, Bruti Liberati (che Dio lo abbia in gloria) pur di non mandarmi in galera l’altro ieri aveva chiesto per me gli arresti domiciliari assecondando le indicazioni del presi­dente comunista Giorgio Napolitano, del pre­mier Monti e del ministro della Giustizia Paola Se­verino, quella che passa le giornate in dotti conve­gni invece di mandare una ispezione ai giudici che hanno firmato la mia assurda condanna fon­data su motivazioni false.

I tre signori, invece di fa­re un decreto per riformare la legge (come avreb­bero potuto), volevano così evitare la vergogna mondiale del giornalista innocente al gabbio, pen­savano di chiudere la questione, complice Bruti Liberati, con i domiciliari, condendo per di più la cosa con la balla della reggia di casa Santanchè al­la quale potevano abboccare solo due gazzettieri amici delle Procure, come Poletti, della Stampa e Travaglio de il Fatto , entrambi cretini col botto.

Bene, io che non sono un giurista, già ieri avevo scritto che la decisione era illegale: non ho i requi­siti per andare ai domiciliari, e se si sostiene l’inver­so allor­a domani mattina migliaia di detenuti nel­le mie condizioni devono lasciare il carcere e tor­nare a casa, perché la giustizia o è uguale per tutti o non lo è.

Non ho i requisiti perché la sentenza su di me è roba da pazzi (delinquente abituale, socialmente pericoloso) e non lascia spazi di manovra in quan­to ho rifiutato compromessi ( servizi sociali riedu­cativi o cose simili).

I giudici che l’hanno scritta hanno osato l’inosabile perché nella loro immen­sa arroganza pensavano di avere a che fare con un punching-ball. Le prende ingiustamente e poi si inchina.Illusi.Inchinatevi voi,quando avrete fini­to di litigare.

Già, perché ieri è scoppiata la rivolta contro Bru­ti Liberati. Prima gli avvocati di Milano («liberate dal carcere tutti i nostri clienti che si trovano nelle condi­zioni di Sallusti ») poi quella, senza precedenti, dei pm di Milano che hanno minaccia­to di mandare sul tavolo del loro capo migliaia di fascico­li di persone che andrebbe­ro arrestate ma che, seguen­do la logica applicata a me, andrebbero lasciate ai domi­ciliari. In realtà a loro di quel­le persone e della giustizia non interessa nulla. È solo una guerra interna tra cor­renti e personaggi frustrati in cerca di vendette per car­riere mancate.

Eccola la no­stra magistratura mostrare il vero volto. Ed è davvero un brutto volto. Povero il giudi­ce di sorveglianza che oggi o domani dovrà sentenziare definitivamente se confer­mare i domiciliari oppure di­rottarmi in cella. Scommet­to che se ne inventerà di tut­te pur di non decidere in que­sto clima di odio e veleni e rinviare più in là possibile: il dentista, il saggio di fine an­no della figlia, un terribile mal di pancia. Perché schie­rarsi oggi, in assenza di ordi­ni politici altolocati, vuol di­re giocarsi la carriera. Che conta più della giustizia, del mio diritto di sapere una pe­na certa, di comportarsi col direttore de il Giornale allo stesso modo di quanto si sa­rebbe fatto con un anonimo cittadino. Napolitano, Mon­ti e Severino, guardate e ver­gognatevi. Il Giornale, 28 novembre 2012

.…………….Lo avevamo detto da subito che la strada era quella del decreto legge che modificasse la legge fascista sulla stampa e abolisse il carcere per i giornalisti. Dovevano farlo Monti e Severino e doveva firmarlo Napolitano, tutti e tre noti campioni di democrazie e di tutela del bene supremo dei cittadini, cioè la libertà personale. Invece tutytyi e tre hanno glissato, hanno messo la testa sotto la sabbia e si sono affidati al Parlamento che ha fatto flop. Ed ora da una parte c’è un giornalista condannato al gabbio, facendo rivoltare nella tomba i giuristi e provocando la protesta dell’Unione Europea che non può ammettere che in casa propria si violi iol diritto all’opinione, e dall’algtra una casta, quella dei magistrati, che non vuole riconoscere questo sacrosanto diritto che è proprio del momndo libero. E’ l’ennsima prova del caos in cui vive il nostro Paese, tra primarie   che si fanno (quelle del cetnrosinsitra) e che rischiano di far saltare il banco e è primarie che si annunciano e noin si fanno perchè il banco è guià saltato. Amen. g.