MONTI RIMPIANGE AMATO E PRODI: ANDIAMO BENE, ANZI DI MALE IN PEGGIO

Pubblicato il 2 novembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Ma quanto piacciono le tasse alla sinistra? Tantissimo. E ai tecnici? Ancora di più. Così tanto da non bastare mai. Così tanto da spingere il premier Mario Monti a rimpiangere i governi guidati da Giuliano Amato prima, e Romano Prodi poi.

Gli ex presidenti del Coniglio Giuliano Amato e Romano Prodi

“La pozione è amara, ma è per il bene del Paese”, ha spiegato il presidente del Consiglio in una intervista al quotidiano francese Les Echos (leggi l’articolo).

La pressione fiscale, nel frattempo, ha raggiunto livelli astronomici, vertiginosi, inimmaginabili. La sinistra ci ha messo del suo, e anche pesantemente. E il premier la guarda con una certa ammirazione. “La medicina è certamente amara ma deve essere somministrata per il bene del Paese e delle generazioni future”, ha spiegato Monti al quotidiano economico francese ribadendo la necessità di continuare a lavorare sulle riforme strutturali. Misure ritenute “dolorose” dagli italiani, che tuttavia accordano al governo “una popolarità favorevole”, ha affermatoil Professore  sottolineando come “i popoli siano in realtà più maturi di quanto pensino i politici”. “In ogni caso – ha, quindi, aggiunto – gli italiani, considerati ingovernabili, esprimono una richiesta di buon governo, come hanno già fatto sotto i governi Amato e Prodi”. A Monti, però, bisognerebbe ricordare che proprio quei due governi hanno messo in ginocchio gli italiani andando a prelevare fior fior di quattrini direttamente dai portafogli dei contribuenti. Tanto per rinfrescare la memoria a Monti, nel primo mandato a Palazzo Chigi Giuliano Amato approvò una manovra da 30mila miliardi di lire. Era l’11 luglio 1992 e il governo approvava il prelievo, forzoso e retroattivo al 6 luglio, del 6 per mille dai conti correnti. Tutto qui? Manco per sogno. Nell’autunno dello stesso anno Amato varò un’altra manovra “lacrime e sangue” da 93mila miliardi di lire che andò a incrementare nuovamente le imposte.

Non andò certo meglio coi Prodi. Fu grazie a lui, infatti, che, per entrare nella moneta unica, gli italiani “accettarono” il cambio euro-lira a 1927,35 pagando circa 300 lire in più per ogni euro. D’altra parte, al governo Prodi, all’Economia c’era il professor Tommaso Padoa-Schioppa il cui motto era “Pagare le tasse è bello”. Il suo viceministro Vincenzo Visco fu l’inventore dell’Irap. Unica nel suo genere perché non si applica agli utili ma al fatturato lordo, il che vuol dire che un’azienda può anche essere in perdita e l’imprenditore sul lastrico, ma il Fisco gli chiederà comunque l’Irap. È stato conteggiato anche il numero complessivo di imposte o aumenti di imposte introdotte dal centrosinistra di governo: sessantasette. Un esempio? Fu reintrodotta la tassa di successione, con un semplice cambio di nome, “dichiarazione sul trasferimento a causa di morte”. Un altro? La tassa “di scopo”, un balzello introdotto nel 2006 che ha dato ai sindaci la possibilità di applicare sulle seconde case un’aliquota fiscale per cinque anni. Poi c’è stata, sempre nel frangente Prodi, l’aumento dell’addizionale sui diritti di imbarco in aeroporto, l’innalzamento a 75 della tariffa per il rilascio del passaporto, l’aumento al 20% dell’aliquota sul rendimento dei titoli, l’aumento del bollo per l’auto e per la moto, e soprattutto il prelievo statale del Tfr.

È proprio a questi governi che Monti guarda con estrema nostalgia. D’altra parte, un minuto dopo aver varcato il soglio di Palazzo Chigi, il Professore si è subito inventato una nuova tassa sulla tassa (Imu), dopo che Silvio Berlusconi era riuscito a cancellare la tanto odiata Ici. Il Giornale, 2 novembre 2012

……Questo Monti sta dimostrando  un  antico detto secondo il quale che per fare il capo bisogna prima fare il servo…e magari continuare a farlo. Infatti prima ha servito Berlusconi e poi Prodi per essere nominato Commissario europeo da Berlusconi  e riconfermato da Prodi. Ora dà una lisciata a Berlusconi e un’altra a Prodi per continuare a sedere a Palazzo Chigi nonostante i mugugni di 59 milioni di italiani e giusto per non farsi mancare nulla liscia sinanche Amato, il dottor sottile che sottilmente tradì Craxi per rimanere a galla lasciando affogare il suo mentore, mandato a morire in esilio in Tunisia.

E’ MORTO PINO RAUTI, FU COFONDATORE DEL MSI

Pubblicato il 2 novembre, 2012 in Cronaca, Politica | Nessun commento »

È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre.

L’ex europarlamentare si è spento alle 9:30 di questa mattina nella sua abitazione di Roma.

Giornalista, politico e uno dei fondatori del Msi (nel 1946), Rauti nacque a Cardinale nel 1926. Nei primi anni ‘50 contribuì a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria).

Dopo due attentati a Roma, al Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi Pino Rauti. Il processo si concluse il 20 novembre 1951 e Rauti venne assolto.

Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, diede vita al centro studi Ordine Nuovo che uscirà poi nel 1956.

Ricevette la guida del MSI nel 1990 al congresso di Rimini, coalizzandosi con la componente di Domenico Mennitti e battendo Fini per la segreteria, ma non riuscì ad arrestare l’emorragia di voti per la morte di Almirante. Dopo la sconfitta alle amministrative e alle regionali in Sicilia del 1991, il Comitato centrale del partito lo destituì e “restituì” la carica a Fini.

Europarlamentare dal 1994 fino al 1999, dopo la svolta di Fiuggi (che trasforma Msi in An) Rauti, da sempre animatore dell’ala “di sinistra” di quel partito, fonda il Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Rauti ha esercitato inoltre una notevole influenza sul movimento giovanile del partito, sfociato nei tre Campi Hobbit. Fonte ANSA, 2 novembre 2012

.……………Con Pino Rauti scompare l’ultimo protagonista di una stagione politica che caratterizzò nel bene e nel male la vita italiana del secondo dopoguerra, dal 1946 al 1992. Giovanissimo  combattente della RSI, dopo la guerra partecipò con Michelini, De Marsanich, Almirante e pochi altri alla fondazione del MSI, nel quale militò  sino alla fondazione di Ordine Nuovo in aperta contestazione con l’orientamento legalista del partito guidato da Arturo Michelini. Vi rientrò nel 1969, dopo la morte di Michelini e l’avvento alla segreteria di Almirante. Fra il 1956 e il 1969, Rauti, giornalista  di notevole qualità e preparazione, fu animatore di cenacoli intellettuali della destra politica, raccogliendo consensi e dissensi e divenendo bersaglio di violente polemiche della sinistra. Polemiche che gli provocarono anche la galera dopo l’attentato di Piazza Fontana per il quale fu inquisito  per esserne poi  totalmente prosciolto. A Fiuggi Rauti, coerente con le sue battaglie e le sue origini “fasciste”,   rifiutò di entrare nella creatura tatarelliana di Alleanza Nazionale e fondo un suo partito che si richiamava alle origini del MSI, con il quale continuò le sue battaglie politiche e idelogiche che mai si discostarono dalle origini. Lo abbiamo conosciuto in tempi ormai lontanti e ne fummo affascinati per la  fecondità della sua dialettica che era disarmante e coinvolgente. Ma come tutti gli intellettuali pagava lo scotto della retorica rispetto alla concretezza che caratterizzava allora, ancor più oggi, la battaglia politica. Sembrava, era un uomo fuori del tempo ma proprio per questo la sua personalità era straripante e di certo non consona al contesto di un partito che di lì a poco avrebbe tradito gli ideali e i valori per perseguire solo le poltrone. Ciò che maggiormente rifuggiva Pino Rauti. g.

IN SICILIA PARTITI IN GINOCCHIO, E IL PDL PERDE TRE QUARTI DEI SUOI VOTI, IL PD PERDE 250 MILA VOTI E L’UDC 130 MILA.

Pubblicato il 31 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

(LaPresse)

L’ANALISI DEL VOTO SICILIANO A CURA DI RENATO MANNHEIMMER

Le prime analisi del voto siciliano si sono basate sul confronto delle percentuali ottenute da ciascun partito. Ma queste, data la numerosità delle astensioni, sono calcolate sulla sola metà degli aventi diritto al voto. Proprio questa circostanza suggerisce di analizzare il risultato anche esaminando la numerosità in valore assoluto dei consensi ottenuti dalle forze in campo.

Questo approccio ci permette di renderci conto ancora più da vicino di quanto abbiano perso quasi tutte le forze politiche. È stata ad esempio già notata la diminuzione in percentuale del partito di Berlusconi. Ma confrontando i valori assoluti, è ancor più impressionante rilevare come il Pdl abbia perso ben 650 mila voti, tre quarti del suo elettorato precedente. Anche comprendendo i consensi ottenuti dalle liste «Lombardo presidente» e «Musumeci presidente», la perdita resta enorme. Si tratta di elettori che hanno preso la via dell’astensione o, spesso, quella del supporto a Grillo. Un tracollo che ricorda quanto emerge dai sondaggi effettuati in questi giorni a livello nazionale riguardo alla diminuzione drastica delle intenzioni di voto espresse dagli italiani per il Pdl. Ciò non potrà non avere effetti sui già tormentati equilibri interni del partito.

Al tempo stesso, come ha subito osservato Stefano Ceccanti in un’analisi pubblicata sul web, anche l’altra componente del centrodestra, legata a Miccichè, ha subito una erosione, sia pure di misura inferiore. Dall’altra parte dello schieramento politico, tuttavia, anche l’alleanza Pd-Udc, pur risultata vincitrice (o, se si vuole, meno perdente), soffre di una consistente diminuzione di voti. Il Pd, anche sommando i voti delle liste per il candidato (Crocetta-Finocchiaro) perde, in valore assoluto, quasi 250 mila voti: una porzione notevolissima dell’elettorato delle scorse regionali. Analogo discorso si può fare per l’Udc che ha perso circa 130 mila voti: quasi il 40%. Insomma, pur avendo eletto il nuovo presidente di Regione, l’alleanza di centrosinistra ottiene un risultato insoddisfacente, non essendo riuscita, come osserva anche Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore , a intercettare nuovi consensi, in un momento di grande fluidità elettorale. In altre parole, il partito di Bersani pare, a livello siciliano, incapace di convincere e mobilitare i delusi e gli scontenti. Che, anzi, se ne sono in parte allontanati. Al riguardo, alcuni osservatori avevano suggerito che il Pd potesse cedere voti all’estrema sinistra, data l’alleanza stipulata nell’isola con l’Udc. Ciò non si è verificato. Anche la sinistra radicale ha subito un forte calo di consensi, passando da 131 mila voti del 2008 a 59 mila di domenica scorsa e vedendo quindi più che dimezzare il proprio seguito.

Dunque, la gran parte delle forze politiche esprime un saldo di consensi negativo. L’unica a sottrarsi è stata l’Idv con un piccolo incremento di poco meno di 18 mila voti. Come ha sottolineato l’Istituto Cattaneo, si tratta di un risultato deludente dopo le aspettative che aveva stimolato il successo di Leoluca Orlando alle comunali.

Come si sa, hanno tratto frutto da questo andamento elettorale complessivo il Movimento 5 Stelle e il folto «partito degli astenuti». Grillo ha guadagnato quasi 240 mila voti, quintuplicando di fatto il suo elettorato. Ma la diserzione dalle urne esce dalle elezioni con un bottino assai maggiore, pari a quasi 800 mila siciliani che, questa volta, hanno ritenuto di non recarsi ai seggi.

Entrambi i fenomeni, il supporto per il Movimento 5 Stelle e l’incremento dell’astensione, sono stati per lo più interpretati come espressione di protesta e di disaffezione. Un fenomeno che, stando a quanto ci suggeriscono le ricerche sulle intenzioni di voto, riguarda non solo la Sicilia, ma tutta l’Italia. Renato Mannheimer, Il Corriere della Sera, 31 ottobre 2012

QUID O MORTE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 31 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Non è andata bene, e questo si sapeva. Ma in Sicilia la ca­duta del Pdl non ha superato, se pur di poco, il pun­to di non ritorno, cosa che era nel novero delle possibilità.

Il segretario del Pdl Angelino Alfano

At­taccandosi all’aritmetica, e al netto dell’astensione record, la somma delle percentuali ot­tenute dai partiti e movimenti riconducibili al vecchio centro­destra (oggi divisi da faide di partito) perde meno di quanto abbia lasciato sul campo il cen­trosinistra che ha vinto grazie al fatto che si è presentato uni­to. Ma questi sono ragiona­menti da esperti, direi da mani­aci, che lasciano il tempo che trovano. Il fatto è che anche in Sicilia si ammaina la bandiera senza per altro issarne una de­stinata a sventolare a lungo per la fragilità dei vincitori.

Angelino Alfano, rompendo un silenzio di due giorni, accet­ta la sconfitta e guarda avanti. Dopo lo strappo di sabato sulla linea ufficiale del partito, qua­si una sconfessione, Berlusco­ni gli rinnova (pur senza appa­rire) la fiducia, un po’ come sta succedendo per Allegri, l’alle­natore del Milan che non rie­sce più a vincere. E lui, Alfano, non rompe, si toglie un sassoli­no dalla scarpa («Il via libera al governo Monti l’ha dato il Ca­valiere »), fa suoi con inedita forza alcuni temi cari all’ex pre­mier ( giustizia, Europa germa­no- centrica, mani libere sulle alleanze) e annuncia di punta­re tutto sulle primarie di parti­to per una definitiva legittima­zione. Sono testimone che i rappor­ti personali tra Alfano e Berlu­sconi restano affettuosi, ma il problema non è questo. Come dimostrano il successo di Gril­lo (trasportato a livello nazio­nale il voto di ieri varrebbe at­torno al 25 per cento) e la ma­rea di astensioni, gli elettori, anche quelli dormienti, si aspettano dal centrodestra pa­role d’ordine forti, chiare e fat­ti conseguenti. Non piace che la gerarchia di partito abbia co­me punto di riferimento Monti e Napolitano, sentire Maurizio Lupi dire al Tg3 che Berlusconi non comanda più e che il gover­no dei tecnici non si tocca è de­vastante, le frizioni tra una par­te di ex Forza Italia ed ex An so­no praticamente irrecuperabi­li, troppe le ambiguità sul ri­cambio degli uomini e sulla lot­ta ai privilegi e ai costi della Ca­sta.

Tutti questi nodi saranno sciolti dalle primarie di dicem­bre? Possibile, ma solo in par­te. Certificare i rapporti di for­za dentro il partito può essere utile per il futuro degli aspiran­ti leader, meno per i problemi dei cittadini. Comperare tem­po serve a poco. Il partito tutto, per dirla alla Berlusconi, o recu­pera quel «quid» che lo distin­gueva sul mercato elettorale o muore a prescindere da chi lo guiderà. Ben vengano le prima­rie, ma serve di più, molto di più, e il tempo stringe. E la stra­da, come si evince, non è quel­la di considerare Silvio Berlu­sconi come un pensionato. Se ieri si è perso, non è certo per lo sfogo di sabato, parole chiare che semmai hanno evitato l’ir­reparabile, e neppure per il candidato, Nello Musumeci (semmai vittima di un sacrifi­cio annunciato). È che la gente non ha capito bene che cosa è oggi il Pdl, con chi vuole stare e che cosa vuole fare. Speriamo che il 16 dicembre, giorno di primarie, non sia troppo tardi. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 31 ottobre 2012

.………..Tralasciamo il commento a questo editoriale di Sallusti, per rimarcare la nostra ammirazione per questo giornalista dalla schiena dritta che mentre in Senato è in scena l’ennesima mascherata di parlametnari che giocano con la pelle degli altri, se ne infischia del carcere che l’attende e non arretra di un millimetro dalla sua scelta di non scendere a patti con nessuno.g.

DALL’ISOLA AVVISO AI NAVIGANTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 30 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La Sicilia è sempre stata un formidabile laboratorio politico, anticipatrice di fenomeni che poi si sono radicati in tutto il Palazzo. Il voto per il rinnovo del consiglio regionale ci offre una proiezione di quel che accadrà al Parlamento nazionale se i partiti non intervengono subito con una riforma istituzionale per assicurare al Paese stabilità e governabilità. Senza questi due ultimi requisiti nella competizione globale sei perdente in partenza. La salvezza del sistema politico è un pre-requisito per poter sfidare i giganti: il capitalismo senza democrazia della Cina, il capitalismo con la democrazia e un forte presidenzialismo degli Stati Uniti, il mercato e lo Stato forte della Germania, la crescita senza regole dei Paesi emergenti, mette tutti di fronte al dilemma del funzionamento della democrazia. Pensate alla Sicilia: è una regione esattamente nelle stesse condizioni della Grecia, vicina al default, con un apparato burocratico amministativo abnorme, dove le assunzioni clientelari sono un volano non solo per la politica ma per l’intero sistema economico che succhia la mammella dei contribuenti. Può una regione con svariati miliardi di euro di debito essere governata da una maggioranza esile, di volta in volta sottoposta al ricatto delle minoranze necessarie? Osservate cosa è successo in Spagna: le autonomie locali nel mezzo della crisi hanno svelato i buchi dei loro bilanci, una voragine che ha aggravato la crisi della Agencia tributaria. La situazione italiana rischia di divenire la fotocopia di quella spagnola. Ma mentre in Spagna i partiti sono riusciti almeno a votare e a varare un governo (quel finto fenomeno di Zapatero ha lasciato posto ed eredità a Mariano Rajoy), in Italia i partiti, un anno fa, hanno alzato le mani e chiamato Monti per spegnere l’incendio che essi stessi avevano appiccato. Fanno sorridere quando reclamano le elezioni che essi stessi non hanno voluto. L’insegnamento che viene dalla Sicilia è un gong potente che dovrebbe svegliare tutti: i vincitori, i vinti e quelli che si apprestano a fare il primo passo nel Palazzo. Nessuno andrà lontano perché la recessione economica si sta intrecciando con la crisi finanziaria e quella politica. È in corso un pericoloso avvitamento delle istituzioni che rischia di trascinare il Paese a fondo. Da tempo sostengo che l’Italia ha bisogno di uno shock per risollevarsi. La sua storia lo dimostra ed è questa la tesi di fondo di «Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta», il libro che ho scritto per Mondadori. L’Italia è un grande Paese, terra di geni e costruttori di realtà e di immaginario, sta per affrontare un altro passaggio chiave della sua storia. Bisogna fare le riforme, accettare il peso di una lunga traversata nel deserto per riscoprire le radici di un Paese che ce l’ha fatta e ce la farà ancora. Mario Sechi, Il Tempo, 30 ottobre 2012

.………….Tutto giusto, meno la retorica dell’Italia che che è un grande Paese e che ce la farà ancora una volta….Sechi è troppo intelligente per pensare   e scrivere  frasi da libro cuore. L’Italia è un Paese a pezzi, anzi a pezzettini e non è più un grande Paese da tanto tempo. E’ un territorio indiano, dove scorazzano gli indigeni mentre arrivano i conquistatores non necessariamente spagnoli e gentiluomini. Dove non abbondano nè geni nè costruttori di realtà, quei pochi che ci sono scappano o li fanno scappare. E’ la storia per esempio dell’erede dei Rana che per costruire in America uno stabilimento della loro celebre pasta ci ha messo quindici giorni per avere i permessi con il sindaco della città che si metteva a disposizione, mentre in Italia è da sette anni che combatte  per avere  gli stessi permessi, contro la burocrazia,  l’ottusa burocrazia  di stampo piemontese ereditata dal regno d’Italia, non la burocrazia rigida ma veloce di Francesco Giuseppe, ancora oggi celebrata dalle popolazioni del Tirolo. E  non un caso che gli italiani, che non si sentono più nè geni nè costruttori di realtà, si affidano ad un comico, Grillo, per stanare la politica e i politicanti, tutto il contrario dei geni e dei costruttori della realtà. L’unica realtà è che di fronte allo sfacelo di cui egli pure è stato causa, il presidente Napolitano auspica che non si voti se non con una nuova legge elettorale. Pare il pronunciamento di qualche caudillo del passato che balbetta scusa per mascherare la dittatura. Napolitano fa finta di non sapere che la nuova  legge elettorale non si farà mai, nè mai i partiti hanno avuto voglia di cambiarla perchè il tanto deprecato porcellum in verità sta bene a tutti, perchè tutti in questo modo si tengono stretto un sistema bloccato e chiuso alle caste di partito, che imperterrite fanno ciò che vogliono. Stamani una inchiesta di Sole 24 ore testimonia che i partiti in questi ultimi 18 anni hanno rapinato 2,2 miliardi di euro a titolo di rimborso di spese elettorali spendendone appena 580 milioni,  il resto è sparito in ostriche e champagne. Come sperare che i ladri si trasformino in gentiliuomini e restituiscano non tanto il mal tolto quanto il loro potere che è lo strumento per continuare a rapinare? Napolitano lo sa, ma recita una parte in commedia che è quella del nonno buono e gentile, una parte che ancor più offende, quasi più delle ruberie di Stato. Quasi come offende Monti che si rivela cattivo e algido, sicuro di rimanere lì dove la viltà di un Parlamento di nominati lo ha issato, perchè conoscendo i polli  ben sa che mai si trasformeranno in aquile e quindi si consente  di autodefinirsi  “maledetto” ma con l’aureola del santo salvatore intorno alla testa, proprio come un qualsiasi  defunto Ceacescu o  vivente Chavet. No,  caro direttore Sechi, sperare ancora nello stellone d’Italia è solo utopia, anzi al punto in cui siamo solo una fesseria. Ci vorrebbe ben altro ma non lo si può dire perchè può capitare di finire a pulire i cessi come sta per capitare a Sallusti del quale ormai nessuno più nè si ricorda, nè parla. Mors tua, vita mea, macheronicamente. g.

NON SARA’ UN VERDETTO GROTTESCO A CANCELLARE BERLUSCONI DALLA STORIA, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 28 ottobre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Non dico si debbano tributare onori divini, l’apoteosi del diritto romano, a Berlusco­ni: sarebbe il primo a riderne. Oltretutto giusto ieri ha dato la sua interpretazione del ritiro: mi ritiro, cioè no. Grandioso e surreale.

Ma comun­que vadano le cose, la damnatio memoriae ,con abolizione del nome per generazioni e sfregio del silenzio coatto imposto anche solo al suo ricordo, questo è un po’ troppo per un leader democratico che ha tra­sformato un grande Paese in di­ciotto anni di vita pubblica sulla scena europea e mondiale. La grottesca condanna per i diritti te­levisivi subito seguita alla sobria e molto onorevole uscita di sce­na del Cav, figura che milioni di italiani sono pronti a rimpiange­re, punta proprio a questo, fa da battistrada a questo progetto: è un atto simbolico, come tutti san­no, corredato di immediate moti­vazioni pronte all’uso, ma desti­nato alla cancellazione da parte della Corte costituzionale o alla prescrizione ultrasicura. Insom­ma è solo un modo della giusti­zia di rito ambrosiano di riconfer­mare che ci sono anche loro nel giorno fatale, e il loro contributo è di trasformare in un abominevo­le reo l’Arcinemi­co, il mitico froda­tore fiscale che nella realtà paga più tasse di un Creso.

Berlusconi ha preso la guida del­l’Italia tre volte grazie a libere ele­zioni, l’ha persa per due volte gra­zie a un ribaltone e a una manovra di palazzo aiutate e in certo senso anche obbligate dal circo mediati­co- giudiziario, l’ultima delle qua­li lo ha avuto sog­getto responsabi­le e consenziente un anno fa. (Le sue colpe politi­che nel procurarsi la difficile con­giuntura in cui è caduto non tol­gono il fatto di principio: gli italia­ni lo hanno eletto e il mandato gli è stato sempre revocato dagli ot­timati del partito senatorio e fi­nanziario, non dagli elettori.) Portiamoci avanti con il lavo­ro, nel tentativo di impedire l’al­lestimento in corso dell’avvilen­te messinscena: la «caduta di un grande criminale». Questo co­pione plateale è presupposto tri­ste e necessario dell’eliminazio­ne censoria della vera storia del berlusconismo dai radar dell’in­telligenza italiana; dovere politi­co e civile anticipare un lavoro che ha anche un valore decisivo per chi riuscirà, se ci riesce, a co­st­ruire qualcosa che rivesta un si­gnificato profondo al posto della leadership di Berlusconi, oggi nel ruolo di memoria e ispirazio­ne ( spero e credo rivestiti con l’al­legria non intrusiva già promes­sa).La parte spiccatamente giudi­ziaria è chiara. Il processo Ruby naufraga nel grottesco dell’in­quisizione talebana e guardona. Le risposte della signora Karima El Marough alla trasmissione di Michele Santoro fanno testo per­ché sono limpide e spontanee nel tratto. Berlusconi è persona corretta, ridanciana, amante del trastullo burlesco, ospitale, pri­vata nel suo modo di divertirsi, ma corretta, niente di predato­rio e di umiliante per le donne e per il loro retoricamente sban­dierato «corpo», perfettamente e gioiosamente violabile se in re­gime di adulti consenzienti e in­vece inviolabile alle propalazio­ni bacchettone di una magistra­tura in fregola di politica & etica al servizio di oscuri pregiudizi, con qualche abbondante e inde­cente aiutino mediatico. La con­cussione fa ridere tutto il mondo del diritto, perfino i persecutori. Una condanna in simile proces­so sarebbe il timbro finale di una persecuzione che solo la cecità faziosa dell’inimicizia politica consente di non vedere e giudica­re in tutto il suo orrore civile. Sim­bolo e gogna da aggiungere al simbolismo inutile, per suffra­garlo e rafforzarlo, della senten­za del giudice D’Avossa. Insom­ma, giustizia sommaria.Poi c’è la parte politica, civile. Berlusconi è stato potentissimo, ora merita la polvere. Buffonata. Tutti conoscono i limiti bestiali in cui opera un presidente del Consiglio italiano (basta guarda­re al trattamento elettoralistico che stanno facendo a Mario Mon­ti, già mezzo paralizzato e sfregia­to da campagne incivili, o alle cat­tive figure rimediate da Romano Prodi o da Massimo D’Alema). La forza elettorale è stata ben controbilanciata dalle fughe par­lam­entari ricorrenti e dal ribalto­nismo, malattie senili delle Re­pubbliche malate. Berlusconi ha fallito, dicono. Ma che vuol di­re? Ci ha dato un paesaggio di pa­role e cose di legno totalmente trasformato in emozioni e spon­taneità vivente, ha incarnato il maggioritario, ha dato potere al popolo che sceglie chi governa, ha tenuto a freno per anni la rapa­cità dello Stato, non ha smantel­lato il welfare ma ha fatto le gran­di riforme delle pensioni e del la­voro prima della Fornero, e in­somma, se di fallimento dell’eco­nomia e della finanza vogliamo parlare, parliamone: ma vedrete che è pieno di cause, di fattori di spinta, di remore e pigrizie, e di imputati potenziali che vengo­no nella lista quasi tutti prima di Berlusconi. Poi dire che il suo progetto ha declinato, questo è vero e Berlusconi è il primo a sa­perlo.Il tempo si prende cura di ridi­mensionare sogni e progetti, ma questo non autorizza i nani a de­cretare la damnatio memoriae , sotto la coltre censoria di un seg­mento di storia che si spera di consegnare prigioniero ai pre­sunti vincitori, ovvero la cancel­lazione legale della robustezza e anche della grandezza di un’esperienza politica unica al mondo.E ricordiamoci che abbiamo scelto Israele e gli Stati Uniti nel fuoco della battaglia, che Berlu­sconi è stato dalla parte giusta nei momenti cruciali delle gran­di sfide occidentali, e che ancora oggi l’Italia non è una sentina del­la secolarizzazione giacobina, una ridicola Repubblica ideolo­gicamente corretta, anche per merito suo. Chapeau e buon lavo­ro. Giuliano Ferrara, IL FOGLIO, 28 ottobre 2012

……………La storia fa sempre giustizia e alla fine distingue fra giganti e mezzecalzette. Berlusconi ha commesso molti errori e in questo ultimo anno più che negli anni precedenti. Ma l’impennata di ieri, lo scatto di orgoglio, la provocatoria dichiarazione di guerra  fuori e dentro il PDL, lo restituiscono nella sua dimensione di autorevole leader dei moderati di questo Paese, che salvò nel 1994 dalla scoppiettante macchina da guerra di Occhetto e  che si propone di fare altrettanto ora, alla vigila di uno scontro elettorale nel quale la sinistra si appresta a vincere grazie al tradimento e alla diserzione dalla trincea dei moderati di squallidi traditori. Fa pena Casini, eterno “giovane” della politica italiana, lui che ne sa una più del diavolo, che dimentico di essersi salvato dall’oblio e dalla gogna nel 1994 grazie allaq discesa in campo di Berlusconi, ora un pò lo insulta e un pò lo deride, accusandolo di spaccare il frotne dei moderati. Quali? Quelli alla Casini che in Sicilia è alleato con il PD, che nelle scorse amministrative si è alleato con il PD in tante parti d’Italia benchè in tante altre era ed è alleato con il PDL e anche con la Lega, che persegue un solo oobiettivo: il potere e i posti a sedere, con chi c’è c’è, secondo la logica che un tempo fu del socialismo del due forni e che nell’ultimo decennio è stato il filo conduttore di una politica che non ha mai pensato al Paese ma solo a se stessa? E’ squallido che proprio coloro che hanno disertato la battaglia dei moderati, del centrodestra, l’anima stessa del popolo italiano che dal 1948 in poi mai ha attribuito la maggioranza alla sinsitra  che ha potuto vincere solo grazie ai sotterfugi dei politicastri alla Casini (è inutile parlare di Fini essendo questo solo una ruota di scorta…) che come si dice dalle nostre aprti “piangono e fottono” e poi se  la ridono. Il ritorno in campo di Berlusconi è un fatto che fa saltare il banco delle convenienze politiche e il tavolo delle concertazioni degli affaristi. E allora bentornato Presidente, se ci sei, ci saremo anche noi. g.

LIBERI DA MONTI ( E, FORSE, DAL PDL) di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 28 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Liberi. Dalla Merkel, dalle tasse, dai magi­strati in malafede, dal governo Monti e da tecnici incapaci. Liberi di parlare e spende­re i nostri soldi senza essere spiati e perse­guitati.

Liberi da uno stato di polizia,dalla politica del­l’inciucio: chi vince le elezioni deve poter comanda­re. Silvio Berlusconi ieri ha aperto le finestre: si cam­bia aria, via quella stantia, ormai puzzolente, degli ul­timi anni, dentro quella fresca.

C’è voluto lo shock di una sentenza barbara per liberare anche il Cavaliere dal giogo di cattivi consiglieri e mediocri collaborato­ri che stavano pensando solo alla loro sopravvivenza. Il predellino due non è in piazza, ma nell’aula ma­gna di villa Gernetto, assente lo stato maggiore del Pdl. Finalmente il Cavaliere si è accorto che qualcu­no stava vendendo lui, ma soprattutto noi e ciò in cui crediamo, al miglior offerente, che si chiami Napoli­tano, Monti o Casini poco importa. Berlusconi ritro­va il coraggio dei bei tempi, e quei notabili del Pdl che già pensavano di essersi sbarazzati dell’ingombran­te signore restano ammutoliti. Altro che passo indie­tro: qui si fa una duplice piroetta in avanti.Non arren­dersi mai è nel dna dell’uomo, tanto che due giorni fa alla notizia di un suo ritiro avevamo titolato con pre­veggenza: «Arrivederci». Non ci abbiamo creduto neppure un secondo, anche se non speravamo in tan­ta velocità. Quello di ieri è stato un classico contropiede, di quelli che spiazzano tutti.

Si riparte dal Nord, dove il vento dell’antipolitica soffia giustamente più forte e dove le misure recessive del governo Monti picchia­no più duramente. Meglio, molto meglio ricucire con la Lega che vendersi a Casini. Un Pdl a trazione sudi­sta o romanocentrico è una contraddizione in termi­ni. E finalmente basta con le politiche recessive che una Germania egoista e furbetta impone a Monti e al suo governo. Gli spazi di manovra per cavarcela da so­li ci sono e Berlusconi li ha ben spiegati. Il nostro Pil negativo, che ci obbliga a sacrifici in favore dei tede­schi, è figlio di due bugie. La prima è che il reddito sommerso non si vede ma esiste, la seconda è che il risparmio privato è ricchezza vera e va conteggiato. Ora tutti si chiedono che succederà. Non lo so, ma immagino due ipotesi. La prima: il Pdl la smette di prendere strade pericolose per le nostre libertà fon­damentali e si riaffida completamente al suo fondato­re. La seconda: parte del Pdl preferisce allearsi con le sinistre più o meno mascherate e i partiti delle tasse, e allora potrebbe nascere un soggetto politico comple­tamente nuovo nel nome di Silvio Berlusconi. Come andrà a finire lo sapremo nelle prossime ore. Non tan­te, perché adesso è concreta la probabilità che il go­verno Monti ( fischiato ieri da militari e studenti) ven­ga fatto cadere sulle imminenti nuove misure recessi­ve che ha proposto al Parlamento. Allora addio pri­marie e tatticismi. Si andrà a votare, finalmente. E Ber­lusconi, in qualche modo, ci sarà. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 28 ottobre 2012

TORNA BERLUSCONI E NE HA PER TUTTI: DA MONTI CHE E’ AGLI ORDINI DELLA MERKEL ALLA MAGISTRATURA

Pubblicato il 27 ottobre, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

Un Berlusconi combattivo che colpisce a 360 gradi. A partire da Monti. Il Cavaliere parla a villa Gernetto, davanti a una platea di giornalisti ed esponenti del Pdl. Giustizia, sentenza Mediaset, tasse, Monti e Merkel. L’ex premier ne ha per tutti. In Italia non c’è democrazia ma una “magistratocrazia”, attacca il Cavaliere commentando la sua condanna, ma citando anche i casi del direttore Alessandro Sallusti (“Solo in Italia può succedere”) e degli scienziati della commissione Grandi Rischi.

Poi si scaglia contro lo stato di polizia fiscale imposto dal governo Monti e contro una politica economica dettata dalla “signora Merkel”. Una bordata senza precedenti all’esecutivo che prelude a una dichiarazione che scuote la politica: “Valuteremo se togliere la fiducia a Monti”.

Silvio Berlusconi, il giorno dopo la sentenza sui diritti tv Mediaset che lo ha visto condannato a 4 anni per frode fiscale, torna a parlare. E lo fa con l’energia di chi non ha intenzione lasciare il campo. All’ora di pranzo, in un intervento telefonico con il Tg5, ha annunciato di “Sentirsi costretto a restare in campo per riformare il pianeta giustizia”. Una dichiarazione che è stata interpretata come una ridiscesca in politica. Da Villa Gernetto, torna sull’argomento ribadendo la decisione comunicata ufficialmente tre giorni fa: “Non mi presenterò come candidato alla presidenza del Consiglio in modo di facilitare l’unione di tutti i moderati” e, ancora una volta, ribadisce il via libera alle primarie (alle quali non parteciperà). Il Cavaliere, dunque, rinuncia a correre per palazzo Chigi, ma non intende dedicarsi a vita privata: “Intendo dedicare la massima parte del mio tempo al mio Paese e continuare l’opera di modernizzazione che ho iniziato nel ’94″. Poi scherza con i giornalisti che gli chiedono se si spenderà in prima persona durante la campagna elettorale: “Sì, riprenderò le dichiarazioni e le visite in Tv. Sono disponibile ad un invito di Vespa e anche dei Tg, diteglielo”.

E lancia un abboccamento al centro: “Credo che Casini e Montezemolo siano da considerarsi parte del centrodestra. È impossibile che le persone di buon senso non capiscano che un “rassemblement dei moderati” è necessario a evitare la vittoria della sinistra.

Ma oltre alla sentenza di ieri, ci sono altri bersagli contro cui si scaglia l’ex premier: “La Germania ha un comportamento egemonico ed egoistico in Ue. Ha forzato il Consiglio dei capi di Stato e di governo ed io non ho condiviso le sue decisioni.” Poi si toglie un macigno dalla scarpa e torna a parlare di quel siparietto internazionale che non ha mai digerito: “I sorrisi di Sarkozy e della Merkel sono stati un tentativo di assassinio della mia credibilità“.Ce n’è anche, e soprattutto, per Mario Monti e l’esecutivo dei tecnici: “Il governo ebbe per nostro preciso invito il compito di cambiare la Costituzione. Ma nessuno di questi cambiamenti è stato presentato. Senza cambiamenti questo paese non è governabile, serve una riforma della Costituzione”. Poi un’altra bordata al Professore: “Ha introdotto misure che portano l’economia in una spirale recessiva”. La politica del governo Monti – accusa Berlusconi – è quella dettata dalla cancelliera Angela Merkel. Una politica economica – affonda il Cav – che precipita l’Italia nella spirale della recessione. “Il governo ha adottato al 100 per 100 le indicazioni della Germania egemone, anche sul piano dell’economia”, ha tuonato.

Al centro delle critiche di Berlusconi l’aumento delle imposizioni fiscali: le misure messe in atto dal governo Monti sono quasi una “estorsione fiscale tipico di uno Stato di polizia tributaria”. Una condizione che uccide l’economia: “Si sta tutti male, gli italiani sono spaventati dalle tasse elevate, dai blitz della Guardia di finanza, da questo sistema violento di trattamento dei contribuenti. Hanno paura a spendere, non consumano quanto consumavano prima“, ha proseguito.

Il Professore è bocciato senza appello e se volesse tentare un bis a palazzo Chigi, questa volta dovrebbe passare dalla urne. “Se Monti crederà di voler partecipare alle elezioni e farsi eleggere con l’attuale legge a candidato premier potrà farsi eleggere – ha risposto il Cav ai giornalisti che gli chiedevano di un eventuale Monti bis -,ma non credo che dopo questa sospensione della democrazia ci sia ancora lo spazio per una indicazione per chiamata e non per elezione”.

Poi torna a bomba sulla condanna. Nelle motivazioni della sentenza c’è un’accusa odiosa, quella capacità naturale di delinquere, che il Cavaliere non accetta: “Ieri il tribunale di Milano ha presentato una sentenza che ho già definito non solo inaspettata ma incredibile e intollerabile nella quale vengo presentato come un individuio, nonostante la mia storia, dotato di naturale capacità a delinquere. Non credo di poter accettare una cosa del genere, credo si sia passato il limite”. Mediaset ma anche il caso Ruby, l’altro procedimento che tiene ancora sulla graticola l’ex premier: “E’ scandaloso. Si basa su stupidaggini. L’accusa di concussione è per una telefonata sola ad un funzionario della questura di Milano che ha confermato di non aver subito nessuna pressione”. La giustizia è sempre in cima all’agenda, ribadisce Berlusconi appoggiato da Ghedini. “La giustizia non può andare avanti così. Questa non è più una emocrazia. È una dittatura dei magistrati. È una magistratocrazia”.

.…………Se la sentenza di ieri è servita a far rinsavire Berlusconi inducendolo a ritornare al passato e alla tradizione liberalconservatrice in un Paese libero e democratico, ebbene benvenuta sentenza. Ciò che ha detto nel pomeriggio di oggi durante la conferenza stampa è un programma politico condivisibile nel nome del quale si può ritornare in prima linea al combattimento per impedire che il goverrno delle tasse succeda a se stesso per finire lo strangolamento degli italiani, per impedire che lo Stato liberale sia defintivamente seppellito da uno stato di polizia giudiziaria e fiscale, per impedire che la “magistrotocrazia2, felice neologismo introdotto oggi da Berlusconi, si sostituisca definitivamente alla castocrazia che sinora ha governato e sgovernato questo Paese. Attendiamo gli eventi. g.

LA PARTITA DELLE TOGHE NON FINISCE MAI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 ottobre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Proviamo a fare il punto della settimana: Berlusconi ha fatto il passo indietro e non si candida più a Palazzo Chigi, il tribunale di Milano ha fatto un altro passo avanti e lo condanna per Mediaset; il terremoto all’Aquila poteva essere previsto e le toghe condannano gli scienziati, il sisma del Pollino era previsto ma diventa imprevisto e nessun giudice però ha parlato, l’Ilva di Taranto è pronta a partire, ma i giudici continuano a frenare; si incoraggiano la paternità e la maternità sine die, ma con le sentenze poi si levano i figli ai genitori troppo anziani. Sono solo alcuni campi dello scibile di cui ultimamente si è occupata la nostra brillante magistratura. La situazione è sotto gli occhi di tutti: la classe politica sta cedendo il passo all’innovazione, resiste, ma la voce del barbiere è rivelatoria: «Dotto’, se ne stanno a annà. Tutti». Lo stesso non può dirsi di una casta che ci sta sopra le teste e non ha intenzione di schiodarsi: la magistratura. Ha svolto ruolo di supplenza in alcuni momenti, non necessario, poi ha scambiato la supplenza per un posto fisso. Così la magistratura è diventata il centro di gravità permanente di un Paese che di gravità ne ha poca. I magistrati, inquirenti, giudicanti, civili, penali, tutti, sono diventati nell’ordine: potere legislativo, esecutivo, costituzionale, incostituzionale, manageriale, sindacale, spettacolare, deprimente, utile, inutile, salutare, nocivo. Non esiste Paese nel quale la magistratura abbia questa dimensione abnorme. O meglio, Stati dove i magistrati sono onnipotenti esistono: sono le dittature. La giustizia amministrata dalla magistratura coincide perfettamente con i pensieri del satrapo di turno. Non c’è alcuna differenza tra la democrazia italiana e la dittatura di Bananas perché il tiranno cade, il politico viene mandato a casa, ma la magistratura in entrambi i regimi resta. I Torquemada sono utili a qualsiasi sistema politico. Il problema è che nel Belpaese è stato fatto un ulteriore salto di qualità: i procuratori da soprassalto sono legibus solutus, al di sopra della legge al di sotto di qualsiasi possibilità di applicazione delle regole democratiche al loro gioco. Il Csm, il cosiddetto organo di autogoverno delle toghe, non governa niente, ma fa da terza camera del Parlamento. Mentre tutti gli altri dipendenti pubblici hanno subìto decurtazioni di ogni sorta dello stipendio e i pensionati il cambio in corsa delle regole per il meritato riposo, magistrati che giudicano sui magistrati hanno stabilito che gli stipendi delle toghe non si toccano. Siccome devono essere «sereni nel giudicare» la Consulta altrettanto serenamente ha deciso che il loro portafogli deve essere intoccabile. Se la terza Repubblica nasce sotto l’insegna di questa casta, verrà strozzata nella culla. Serenamente. Mario Sechi, Il Tempo, 27 ottobre 2012

..…………………Bravo Sechi, ha centrato il problema. Lo stesso che questa mattina ha evidenziato il presidente Berlusconi che al TG di Canale 5 ha annunciato che “resterà in campo” dopo la sentenza di ieri perchè così non si può andare avanti ed occorre la riforma del pianeta giustizia perchè non capiti ai cittadini italiani quel che capita a lui. Il fatto è che quello che è capitato a lui è già capitato a centinaia, megliaia di persone, solo che non ne ha parlato nessuno perchè quelle persone sono “nessuno”  e di loro nessuno si occupa, nè giornali, nè opinionisti, nè politici che in vita loro non hanno mai lavorato. Come la Bindi che non ha pewrso l’occasione per insukltare Berlusconi, o Di Pietro che dimentico delle sue “colpe” ha sproloquiato sulla “verità venuta a galla” o Fini, esperto nel ratto delle Sabine (in gioventù approfittò del carcere dove era rinchiuso il segretario del fronte della gioventù di Roma per prendersi la di lui moglie, e in vecchiaiai non sa saputo far di meglio che congiungersi carbnalmente all’amante del rotondo e anzianotto Gauccci…) il quale ha da par suo, sulle parole di Berlusconi, scimmiottato su una possibile retromarcia di Berlusconi sulle decisioni politiche dell’altro ieri. Fini, che in vita sua non ha lavorato un sol giorno che sia uno, è l’ultimo a poter deridere Berusconi senza del quale egli sarebbe rimasto ancora a definire Mussolini lo statista del secolo e relegato in un angolino del retrobottega della politica senza futuro. Però..però va ribadito che Berlusconi non aveva bisogno di questa dura prova personale per capire che così non si va avanti nè da nessuna parte e che la partita con le toghe, una casta tanto forte quanto spesso cattiva, andava combattatua da tempo, a viso aperto, modificando le regole in Parlamento, eliminando il CSM perchè in nessuna parte del mondo i giudici hanno per giudici i loro colleghi. Certo non è mai troppo tardi ma non deve egli e non devono gli altri fermarsi alle parole senza far seguire i fatti. Ne va di mezzo, lo dice bene Sechi, la sopravvivenza stessa della democrazia nel nostro Paese. g.

BERLUSCONI: LA SENTENZA? UN AVVERTIMENTO MAFIOSO

Pubblicato il 27 ottobre, 2012 in Cronaca, Giustizia, Politica | Nessun commento »

I toni sono concitati, a volte perfino accesi nell’improvvisata riunione di famiglia che si tiene in quel di Arcore. Alla fine di una delle giornate più difficili, Berlusconi ha sì in parte metabolizzato quella che considera una vera e propria «barbarie», ma l’irritazione – termine ovviamente niente affatto appropriato e di molto edulcorato – resta tutta.

Una sentenza «incredibile», «vergognosa», «politica». Soprattutto «scontata».Ed è questo il punto. Perché – al di là di quel che racconta l’ufficialità – sono giorni che l’ex premier va dicendo in privato che «l’assedio delle procure non si è fermato» e che «andranno avanti finché non mi vedranno morto».

In una telefonata di qualche giorno fa con un ex ministro il Cavaliere è stato piuttosto chiaro: «Sono pronti a condannarmi per Mediaset, poi mi terranno sulle spine fino a gennaio con Ruby dove arriverà ovviamente un’altra condanna. Tutto già scritto, tutto secondo copione. E siccome non si accontentano mai ci sono già altre tre procure che stanno indagando su varie ed eventuali…».Con chi ha occasione di sentirlo al telefono il Cavaliere è un fiume in piena, niente a che fare con lo sfogo – comunque duro – ai microfoni di Studio Aperto. Si aspettava la condanna, certo. Ma forse non le pene accessorie (l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici) né i dieci milioni di euro da risarcire all’Agenzia delle Entrate. «Vogliono vedermi morto e neanche così sarebbero contenti», si sfoga Berlusconi in privato. «Viene voglia di andarsene, mollare tutto e lasciare un Paese così», arriva a confidare. Ma «non gli darò questa soddisfazione», aggiunge in una delle tante telefonate della giornata. Anzi, «bisogna reagire a questa barbarie», bisogna «fare qualcosa» perché «non si può rimanere inermi».

Il punto è che il Cavaliere resta convinto che si tratti di una «sentenza mafiosa», una sorta di «avvertimento». A fare due conti, infatti, l’interdizione dai pubblici uffici potrebbe diventare una vera e propria bomba ad orologeria nella prossima legislatura. La prescrizione per il processo in questione dovrebbe scattare a fine 2013 (c’è chi dice nel 2014) ed è possibile che entro quella data si riesca ad arrivare a sentenza definitiva. Definitiva e dunque esecutiva. Il che significa che se il prossimo anno Berlusconi tornerà ad essere eletto in Parlamento, nel 2014 calerà sulla sua testa la spada di Damocle dell’interdizione dai pubblici uffici nel caso in cui appello e Cassazione dovessero confermare la sentenza.

A quel punto, infatti, alla Giunta per le elezioni della Camera (o del Senato a seconda di dove siederà il Cavaliere nella prossima legislatura) verrebbe notificata la sentenza definitiva per verificare se Berlusconi ha titolo o no a sedere in Parlamento. E il tutto dovrebbe essere rimesso al voto della giunta prima e dell’aula poi. Nel 2014, insomma, il Parlamento potrebbe trovarsi a votare sulla legittimità di Berlusconi a sedere alla Camera o al Senato. Definirla una bomba ad orologeria è un eufemismo. Non solo per il Cavaliere, ma per la politica tutta perché è chiaro che difficilmente si arriverà alla cosiddetta Terza Repubblica continuando a tenere Berlusconi sulla graticola e mettendolo all’angolo sotto il profilo giudiziario.Anzi.

Esattamente il contrario. «Ho subito più di 60 procedimenti, più di mille magistrati si sono occupati di me e il mio gruppo ha avuto 188 visite della Polizia giudiziaria e della Guardia di finanza. Ci sono state 2.666 udienze in questi 18 anni e ho dovuto spendere più di 400 milioni in parcelle di avvocati e consulenti», ripete Berlusconi ai suoi interlocutori. Ed è con loro che torna ad ipotizzare di restare in prima linea, perché «se l’accerchiamento continua bisogna difendersi in qualche modo». Difficile dire come finirà. Il Giornale, 27 ottobre 2012