I FURBETTI DEL MONTI BIS

Pubblicato il 1 ottobre, 2012 in Politica | Nessun commento »

Ci sono tre ombre che si aggirano sul palcosce­nico della politica italiana e tutte e tre sono in cerca di un corpo.

Non è difficile capire chi sia­no. Si chiamano Pierferdinando Casini, Gian­franco Fini e Luca Cordero di Montezemolo. I primi due fanno collezione di fallimenti. Sono entrati in Parlamen­to quando a Berlino sventolavano ancora le bandiere del­la Ddr e in Italia governava il pentapartito. Casini deve ringraziare Forlani, Fini Almirante. Eterni succhiaruote, tutti e due hanno poi avuto un posto al sole seguendo Ber­lusconi, il Cavaliere che ora odiano. Hanno trovato un la­voro grazie a lui, hanno governato con lui,poi l’hanno ri­pudiato e da allora non fanno altro che costruire scatole vuote con nomi improbabili nella speranza che qualcu­no ci clicchi sopra. Il risultato è sempre stato lo stesso: una manciata di voti. Adesso hanno capito che per spera­re in un minimo di successo devono prima di tutto can­cellare i loro nomi. Casini e Fini sono due prodotti scadu­ti. Il terzo,Montezemolo,è l’eterna promessa che non ha ancora deciso cosa fare da grande.

È invecchiato nell’in­decisione. Vuole entrare in politica da quando si sente or­fano dell’Avvocato, solo che ogni giorno fa un passo avanti e due indietro. Ha battezzato il suo movimento Ita­lia futura, nel senso che rimanda ogni scelta a domani. Cosa manca a queste tre ombre per diventare qualco­sa di meno effimero? L’identità e i voti.È la loro disgrazia, per quanto si affannino hanno sempre bisogno di qual­cuno che li illumini. Si sentono leader, ma sono solo due poltrone e una Ferrari. La loro ultima speranza si chiama Mario Monti. Ma se Montezemolo vuole dare un presen­te al proprio futuro politico deve evitare di essere acco­munato a Casini e Fini.

Loro due vogliono solo prolunga­re la loro onorevole inutilità imbucandosi sul carro del Monti bis. Parlano in suo nome, sperano per lui, tifano per lui, aspettano che Monti dia un senso alla loro esi­stenza politica. Per sopravvivere devono assolutamente incarnarsi nel loden del signore dei tecnici. Solo che Monti si è stancato di queste presenze e da un po’ di tem­po va pronunciando strani esorcismi. Ha capito che per tornare a Palazzo Chigi Mario non ha bisogno di ombre. Servono voti. Il Tempo, 1° ottobre 2012

LAZIO: ASSESSORI E CONSIGLIERI A CASA, MA CON LA PENSIONE IN TASCA

Pubblicato il 29 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Hanno avuto 14 milioni di euro da spendere in un anno per una non meglio precisata «attività politica». Alcuni di loro li hanno usati per comprare bottiglie di champagne, cravatte o macchine. Ci sono quelli, invece, che li hanno «investiti» in viaggi e lussuosi alberghi o per finanziare associazioni che con la politica non hanno niente a che fare. La presidente della Regione Renata Polverini ha deciso pochi giorni fa di «mandarli a casa». Ma loro, 71 consiglieri e 14 assessori, potranno comunque contare su una pensione da Win for life. Con poco più di 2 anni alla Regione Lazio, hanno ottenuto un assegno per la vita di 3.300 euro al mese. La legge prevede che debbano riscattare gli anni mancanti alla fine della legislatura (nel loro caso tre) ma non dovranno disperarsi. Provate a chiedere all’Inps quanto costa riscattare due anni di pensione per chi ha uno stipendio di 9 mila euro al mese. Centinaia di migliaia di euro. Ma non per i consiglieri e gli assessori del Lazio. Lo prevede la legge, quella che altri componenti dell’assemblea regionale hanno votato una ventina di anni fa e nessuno ha mai modificato. Gli 85 fortunati conquistatori del vitalizio dovranno pagare soltanto, euro più euro meno, 38 mila euro. Esattamente 1.594 euro per ogni mese da riscattare. Una norma a dir poco generosa. Infatti prevede che i singoli consiglieri versino il 27% dell’indennità di carica «diminuita della sua relativa Irpef». Non solo. Considerato che ogni eletto alla Pisana avrà una liquidazione di quasi 25 mila euro, si tratta di pagare una piccola differenza. Ma non è tutto. Consiglieri e assessori avranno la pensione a 50 anni. L’età minima sarebbe 55 ma con una riduzione del 10 per cento sull’assegno si può ottenere 5 anni prima. Insomma, dovranno pure andare «a casa» ma i parlamentari del Lazio non dimenticheranno mai questa loro, breve, esperienza politica. Avranno pure speso soldi pubblici per ostriche, champagne, book fotografici, feste ispirate all’Antica Grecia con ancelle e maiali ma saranno ricompensati lo stesso. Per tutta la vita. È la solita storia di orwelliana memoria: siamo tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Tra l’altro, la Pisana, su pressione della stessa governatrice, ha regalato il vitalizio anche agli assessori esterni, quelli che non sono stati eletti: 14 su 15 nella Giunta Polverini. Anche loro avranno 3.300 euro al mese per tutta la vita. Un affare. Ma in Consiglio regionale in questi ultimi giorni è scoppiato il caos. Ci sono infatti alcuni tecnici della Pisana che sostengono che i consiglieri non avrebbero diritto all’assegno in quanto la legislatura sarà presto interrotta. Alcuni componenti dell’assemblea avrebbero addirittura spronato i vertici della Pisana a presentare una richiesta di chiarimenti alla Corte dei conti. Eppure le norme sono abbastanza comprensibili. La legge che si occupa delle «Disposizioni in materia di indennità dei consiglieri regionali» è la numero 19 del 2 maggio 1995. L’articolo 8 è chiaro: «L’assegno vitalizio mensile compete ai consiglieri regionali cessati dal mandato che abbiano compiuto i cinquantacinque anni di età, che abbiano corrisposto i contributi di cui all’articolo 6 per un periodo di almeno cinque anni di mandato svolto nel Consiglio regionale o che abbiano esercitato la facoltà di cui all’articolo 10». Il comma 2 fa un bel regalo ai consiglieri: «La corresponsione dell’assegno può essere anticipata, su richiesta del Consigliere e dopo la cessazione del mandato fino al cinquantesimo anno di età, ma in tal caso la misura dell’assegno è proporzionalmente ridotta del 5% per ogni anno di anticipazione rispetto al cinquantacinquesimo anno di età fino al raggiungimento dell’età di cui al comma 1». Ovviamente, tanto per non svantaggiare i consiglieri che dopo la Regione vengono eletti in Parlamento, «qualora l’assegno vitalizio anticipato venga sospeso in ragione di sopravvenuta elezione dell’ex Consigliere a nuova carica, Regione, Parlamento nazionale, Parlamento europeo, la detrazione del 5 per cento è recuperata alla data di cessazione della carica stessa. L’assegno vitalizio, alla cessazione della carica, è pertanto reintegrato del 5 per cento annuo, frazionabile in dodicesimi, per ogni anno di sospensione del vitalizio stesso o frazione di anno». Infine il comma 3 metterà in imbarazzo i matematici: «Ai fini del computo del periodo di mandato di cui al comma 1, la frazione di anno si considera come anno intero purché sia di durata non inferiore a sei mesi e un giorno». Per ora soltanto un consigliere ha dichiarato che rinuncerà al vitalizio, Enzo Foschi (Pd). La stessa Polverini aveva annunciato che i suoi assessori avrebbero fatto lo stesso. Aspettiamo con fiducia. Il Tempo, 29 settembre 2012

.……………Per i lavoratori con 40 anni di lavoro sulle spalle il signor Monti e la sua degna ministra del lavoro hanno fatto un decreto per costringerli a lavorare per altri 6/7 anni, riducendogli comuqne la iserabile pensioone di fine lavoro, per i ladri di stato, cioè consiglieri e assessori del Lazio, invece Monti si limita  a studiare le carte e come la recente storia italiana ci insegna quando Monti si accinge a stuidare vuol dire che non farà nulla per evitare che i ladri percepiscano la pensione con soli due anni di lavoro(sic!). g.

CASO SALLUSTI: UN ALTRO PASTICCIO CHE PUO’ SISTEMARE SOLO IL QURINALE

Pubblicato il 28 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Alla faccia dell’«equilibrio» auspicato dal presidente del Consiglio alla vigilia del verdetto della Cassazione sul caso di Alessandro Sallusti, pur parlando di un possibile intervento legislativo sulla materia: equilibrio tra libertà di stampa e tutela della reputazione, indicato da Monti come “due beni della società“. Ma alla faccia anche dell’«interesse» alla vicenda, e quindi alle decisioni giudiziarie di ultima istanza, manifestato e lodevolmente confermato ieri sera dal presidente della Repubblica. Al quale, a questo punto, visto che la Cassazione ha confermato e reso definitiva la condanna di Sallusti a 14 mesi di carcere per un articolo, peraltro neppure suo, pubblicato cinque anni fa su «Libero» da lui allora diretto e considerato diffamatorio nei riguardi di un magistrato, non resterà forse che predisporsi ad un provvedimento di grazia. Che, ormai da qualche tempo, può essere per fortuna concessa dal capo dello Stato di propria iniziativa: per fortuna perchè il condannato, peraltro affrettatosi a dimettersi ieri stesso dalla direzione de «il Giornale», già prima che sopraggiungesse la «sospensione» della pena disposta dalla Procura di Milano, non sembra intenzionato a chiederla. Il rifiuto di Sallusti è un atto un po’ di orgoglio, sentendosi egli giustamente condannato ingiustamente -scusate il bisticcio degli avverbi- alla detenzione per un reato che è solo di opinione, e un po’ di sfida. Che trovo pienamente condivisibile. Sfida ad una magistratura arroccatasi su posizioni che saranno conformi, per carità, alle norme in vigore, e quindi legittime, ma contrarie al buon senso. Ed anche ad una concezione umana dei rapporti fra il cittadino e la legge: una concezione alla quale era in fondo sembrato ispirarsi il dissenso, non condiviso dai giudici, espresso dallo stesso magistrato dell’accusa per le attenuanti generiche negate all’imputato dalla Corte d’Appello. Alla quale pertanto il procuratore generale aveva inutilmente chiesto di rinviare il procedimento. Ma la sfida di Sallusti -ripeto, condivisibile- è anche ad una classe politica che, pur prodiga di parole di solidarietà per i giornalisti che di volta in volta si trovano a rischiare quello che gli è appena accaduto, non ha mai trovato il tempo, e la voglia, di modificare una legge che si presta a simili, aberranti interpretazioni e applicazioni. Tanto più aberranti quando a trarne praticamente vantaggio, in termini di dimostrazione di forza, a parte gli aspetti economici, è un magistrato. Cioè un collega dei giudici che hanno condannato Sallusti in primo, secondo e terzo grado. Ma cosa ci si può ormai aspettare -diciamoci la verità- da una classe politica che sembra avere perso il contatto con il Paese, che pure dovrebbe rappresentare? Lo dimostra il modo in cui, per esempio, essa reagisce a tutti i livelli, centrale e locale, al discredito che si è procurata da sola, prima finanziandosi a dismisura e poi sottraendosi con mille sotterfugi e rinvii ai risparmi e ai tagli che pure sa imporre ai cittadini già travolti dagli effetti della crisi economica. In attesa di un intervento legislativo, con i suoi tempi, peraltro ancora più incerti in una congiuntura politica come questa, quando mancano ormai pochi mesi alla scadenza delle Camere elette nel 2008, con il rischio quindi che bisognerà aspettare le nuove per venirne a capo; o in attesa di un provvedimento di grazia, non so neppure se e come praticabile di fronte ad una condanna definitiva sì, ma di cui per fortuna non è stata disposta la esecuzione, Sallusti si trova già menomato nell’esercizio della sua professione. Menomato o intimidito, nonostante l’orgoglio e la forza che ostenta, perché quella di cui gode oggi è solo una «sospensione» di pena. Una sospensione a fare saltare la quale basterebbe un’altra vicenda giudiziaria analoga a quella appena conclusa, possibile sino a quando le norme rimarranno quelle in vigore. La diffamazione nei riguardi di un giudice tutelare criticato dal giornale allora diretto da Sallusti per un aborto consentito ad una minorenne, è stata definita «aggravata» dalla condanna sospesa, in un sussulto di ragionevolezza, dalla Procura di Milano. Ma se è «aggravata» la diffamazione che per «omessa vigilanza» nelle sue funzioni di direttore di «Libero» Sallusti ha procurato cinque anni fa ad un giudice, come dovremmo chiamare la diffamazione che subiscono tanti cittadini che si trovano, per esempio, sputtanati spesso e volentieri con intercettazioni, dirette o indirette che siano, più o meno puntualmente sfuggite al segreto investigativo? Cittadini, comuni e non, che spesso sono o finiscono per risultare estranei alle indagini e ai procedimenti giudiziari nel cui ambito sono stati intercettati. Cittadini, ripeto, comuni e non. Fra i quali ha rischiato di finire recentemente persino il capo dello Stato. Il quale, trovatosi «casualmente» sotto intercettazione a colloquio con il suo amico ed ex ministro democristiano dell’Interno Nicola Mancino, nell’ambito delle indagini della Procura di Palermo sulle presunte trattative di una ventina d’anni fa fra lo Stato e la mafia impegnata nelle stragi, ha dovuto difendere la inviolabilità del suo ruolo tutelata dalla Costituzione presentando ricorso alla Corte Costituzionale. Ed esponendosi per questo ad una vera e propria campagna di denigrazione e delegittimazione da parte dei soliti tifosi della Procura palermitana. Che lo hanno accusato di tutto: di prevaricazione e di «manovre», come ha detto Antonio Di Pietro, per salvare Mancino e gli altri imputati o sottrarre le indagini a Palermo. E che ora temono, magari, che le intercettazioni subite da Napolitano risultino meno «casuali» del previsto o dell’annunciato ad una Corte molto curiosa, che ha legittimamente chiesto a Palermo atti e notizie dettagliate. Francesco Damato, Il Tempo, 28 settembre 2012

.…………Mentre il Paese affonda nella melma, i politici di ogni colore continuano nei loro gochini e nelle loro disattenzioni ai problemi del Paese. Siamo alla canna del gas e c’è chi se ne impipa, compresa la casta dei magistrati che come sottolinea Damato da una parte restano indifferenti alla gogna mediatica cui spesso sono sottoposti cittadini del tutto innocenti che nessuno risarcisce (il caso Tortora, tornato alla ribalta per la imminente fiction su RAI 1, sta lì a dimostrarlo…)  e dall’altra usano una legge fascista vecchia di 82 anni, rimasta in piedi dopo 60 anni di cosiddetta democrazia, per “vendicarsi” di chi li critica e magari anche arricchirsi. Che dire….povera Italia! g.

LA REDAZIONE DEL GIORNALE: SIAMO TUTTI SALLUSTI

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

Vergogna. Vergogna. Ver­gogna. Soltanto nei regi­mi totalitari della Corea del Nord o della Repub­bl­ica islamica iraniana un diretto­re perché, come ha detto, «da uomo non libero non potrei più fare un Giornale libero». E così una legge liberticida ap­plicata di giornale può finire in carcere per aver scritto un articolo. Ma da ieri questa aberrazione giuridica è una realtà anche in Italia.

La sentenza della Corte di Cas­sazione che, applicando una leg­ge fascista, ha confermato la con­danna al carcere per il nostro di­rettore Alessandro Sallusti è scan­dalosa e indegna di un Paese civi­le. Non soltanto sono stati ignora­ti gli appelli per una volta unani­mi che si sono levati dal Paese a partire dalle maggiori cariche isti­tuzionali, ma nella sua assurda du­re­zza la Corte non ha accolto nep­pure le richieste del sostituto pro­curatore generale della Cassazio­ne, il quale aveva chiesto l’annul­lamento con rinvio della condan­na per rivalutare la possibilità di concedere a Sallusti le attenuanti negate dal giudice di secondo gra­do.

Noi giornalisti del Giornale ci sentiamo condannati come il no­stro direttore. E ci stringiamo a lui prendendo atto con rammarico delle sue dimissioni, rassegnate con integralismo taleba­no col­pisce il direttore del Giorna­le per un articolo non scritto da lui e pubblicato sul quotidiano Libe­ro . Il giudice di primo grado l’ave­va condannato a una pena pecu­niaria trasformata in appello, con una severità spropositata, in 14 mesi di reclusione senza atte­nuanti perché il nostro direttore è stato considerato «socialmente pericoloso». Volevano che fosse privato della libertà, e così è stato, come nelle tirannie che credeva­mo esistessero soltanto nei libri di storia o in un’altra parte del mondo.

Con la Federazione nazionale della stampa, la redazione del Giornale constata allibita che que­sta sentenza è sconvolgente, scon­figge e mortifica la libertà di espressione e priva ingiustamen­te un uomo della sua libertà perso­nale per delle norme aberranti e indegne di un Paese democrati­co.

Prendiamo atto delle tante atte­stazioni di solidarietà ricevute in queste ore. Al mondo politico, tut­tavia, all’Italia la maglia nera per la libertà di stampa tra i Paesi demo­cratici. Nemmeno la detenzione nel 2004 di Lino Jannuzzi, giorna­lista e senatore, ha smosso l’iner­zia dei suoi colleghi parlamenta­ri. La condanna di Sallusti deve spingere ora la classe politica a muoversi in fretta. Governo e Par­lamento devono cancellare in tempi rapidi il carcere per i reati di opinione, secondo quanto ha san­cito anche la giustizia europea, e riscrivere daccapo le norme sul rapporto tra libertà di stampa e tu­tela di chi si reputa diffamato.

Non è comprensibile né accetta­bile che nel nostro Paese ci siano delinquenti a piede libero e che in carcere finisca chi commette un reato di opinione. Non è compren­sibile né accettabile che la magi­stratura influenzi non solo il cor­so della politica ma anche quello della stampa. Anche noi giornali­sti, come il nostro direttore, non ci presteremo al gioco della giusti­zia politicizzata e saremo al suo fianco con i nostri lettori. Noi sia­mo tutti Sallusti.

I giornalisti del Giornale:

Daniele Abbiati, Andrea Acquarone, Manila Alfano, Angelo Allegri, Francesca Angeli, Luciana Baldrighi, Gabriele Barberis Vignola, Eleonora Barbieri, Cristina Bassi, Andrea Bianchini, Giacomo Bonessa, Roberto Bonizzi, Pierluigi Bonora, Enrico Bonzio, Pier Francesco Borgia, Fabrizio Boschi, Monica Bottino, Paolo Bracalini, Valeria Braghieri, Marta Bravi, Maddalena Camera, Chiara Campo, Federico Casabella, Beniamino Casadei Lucchi, Giuseppe Castellaneta, Maurizio Caverzan, Mario Celi, Gaia Cesare, Laura Cesaretti, Gian Marco Chiocci, Mariateresa Conti, Serena Coppetti, Andrea Cortellari, Sabrina Cottone, Francesco Cramer, Andrea Cuomo, Giuseppe De Bellis, Claudio De Carli, Fabrizio De Feo, Gianmaria De Francesco, Giannino Della Frattina, Francesco Maria Del Vigo, Marcello Di Dio, Giandomenico Di Marzio, Roberto Fabbri, Luca Fazzo, Daniela Fedi, Laura Feltre, Domenico Ferrara, Stefano Filippi, Emanuela Fontana, Paola Fucilieri, Elena Gaiardoni, Cristiano Gatti, Stefano Giani, Alberto Giannoni, Clarissa Gigante, Paolo Giordano, Alessandro Gnocchi, Fabrizio Graffione, Jacopo Granzotto, Anna Maria Greco, Giulia Guerri, Andrea Indini, Enrico Lagattolla, Gioia Locati, Marco Lombardo Giassetti, Stefano Lorenzetto, Massimiliano Lussana, Vittorio Macioce, Massimo Malpica, Felice Fausto Manti, Monica Marcenaro, Giuseppe Marino, Luigi Mascheroni, Antonio Materi, Giorgio Morelli, Elia Pagnoni, Tiziana Paolocci, Rodolfo Parietti, Roberta Pasero, Luca Pavanel, Riccardo Pelliccetti, Michele Perla, Marco Pirola, Diego Pistacchi, Nicola Porro, Vincenzo Pricolo, Fabrizio Ravoni, Ferruccio Repetti, Massimo Restelli, Laura Rio, Alessandro Rocchi, Cinzia Romani, Antonio Ruzzo, Orlando Sacchelli, Matteo Sacchi, Massimiliano Scafi, Roberto Scafuri, Paolo Scotti, Paola Setti, Adalberto Signore, Riccardo Signori, Antonio Signorini, Enrico Silvestri, Maria Sorbi, Carmine Spadafora, Giacomo Susca, Patricia Tagliaferri, Salvatore Tramontano, Marcello Veneziani, Laura Verlicchi, Massimo Veronese, Gabriele Villa, Stefano Vladovich, Marcello Zacché, Marco Zucchetti, Stefano Zurlo, i poligrafici del “Giornale”

………….Mentre si moltiplicano le solidarietà a Sallusti, qualcosa si sta muovendo. Stamattina il ministro Severino è stato convocato al Qurinale da Napolitano ed al termine del colloquio il Quirinale ha diramato un comunicato nel quale si dà atto che entrambi hanno concordato sulla assoluta necessità di porre fine all’obbrobrio giuridico che ha consentito la sentenza contro Sallusti. Si ipotizza un provvedimento che abbia carattere retroattivo così da essere applicato ad Alessandro Sallusti. E’ il minimo che si possa fare per rstituire decoro e dignità al nostro Paese in materia di civiltà giuridica del quuale un tempo eravamo, a giusta ragione, culla. g.

IL SALUTO DI ALESSANDRO SALLUSTI AI LETTORI (MA L’EDITORE HA RESPINTO LE SUE DIMISSIONI)

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Fa un certo effetto sapere di dover andare in carcere.

Ma non è questo il problema, non il mio. In un Paese dove più che gli euro mancano le palle, non voglio concedere nessuna via d’uscita a chi ha partecipato a questa porcata. Non ho accettato trattative private con un magistrato (il querelante) che era disponibile a lasciarmi libero in cambio di un pugno di euro, prassi squallida e umiliante più per lui, custode di giustizia, che per me. Non accetto ora di evitare la cella chiedendo la pena alternativa dell’affidamento ai servizi sociali per sottopormi a un piano di rieducazione. Perché sono certo che mio padre e mia madre, gli unici titolati a educarmi, abbiano fatto un lavoro più che discreto e oggi, che purtroppo non ci sono più, sarebbero orgogliosi di me e di loro.

E ancora. Non chiederò la grazia a Napolitano perché, detto con rispetto, nel suo settennato nulla ha fatto di serio e concreto per arginare quella magistratura politicizzata che con odio e bava alla bocca si è scagliata contro chiunque passasse dalle parti del centrodestra e che ora, dopo avere ripassato i politici, vuole fare pulizia anche nei giornali non allineati alle loro tesi. Non voglio poi risolvere io il problema di Mario Monti, accademico di quella Bocconi che dovrebbe essere tempio e fucina delle libertà, che si trova al collo, complice il suo sostanziale silenzio e il suo immobilismo sul caso, la medaglia della sentenza più illiberale dell’Occidente. Così come il ministro della giustizia Paola Severino, definita da tutti come la più illuminata tra gli avvocati illuminati, dovrà ora chiedersi se per caso non è colma la misura della giustizia spettacolo degli Ingroia e dei suoi piccoli imitatori in cerca di fama.

Stamane scriverò al Prefetto di Milano, per annunciargli che rinuncio alla scorta (ragazzi meravigliosi e sottopagati che non finirò mai di ammirare) che da due anni mi protegge notte e giorno da concrete e reiterate minacce. Non posso accettare che una parte dello Stato, il ministero degli Interni, spenda soldi pubblici per tutelare una persona che un’altra parte dello Stato, la magistratura, considera in sentenza definitiva soggetto socialmente pericoloso.

E ultimo, ma primo in ordine di importanza, oggi mi dimetto, questo sì con enorme sofferenza, da direttore responsabile del Giornale, per rispetto ai lettori e ai colleghi. Il foglio delle libertà non può essere guidato da una persona non più libera di esprimere ogni giorno e fino in fondo il proprio pensiero perché fisicamente in carcere o sotto schiaffo da parte di persone intellettualmente disoneste che possono in ogni momento fare scattare le manette a loro piacimento.

Ringrazio tutti voi per la pazienza e l’affetto che mi avete dimostrato e vi chiedo scusa per i non pochi errori commessi. Ma non mi arrendo, questo mai. La battaglia per cambiare in meglio il Paese continua, e questo sopruso, sono convinto, può essere trasformato in una opportunità in più per tutti noi. Alessandro Sallusti.

.………..Fa un certo effetto anche a noi  che un giudice quantifichi il proprio onore in qualche migliaio di euro, pare sessantamila. Per noi l’onore non ha prezzo e mai lo quantificheremmo, specie se indossassimo la toga che fu ed è bandiera di coraggio e e di servizio al popolo. Ma alle tasche talvolta e taluno è disposto a sacrificare  il proprio onore. E ciò non gli fa onore. g.

LADRI LIBERI, GIORNALISTI IN CELLA. LA LEZIONE DI SALLUSTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

I giudici applicano la legge e la legge prevede che il direttore di un giornale possa andare in carcere da uno a cinque anni quando commette il reato di omesso controllo e diffamazione aggravata. Nel caso di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il formalismo giuridico è rispettato, ma la democrazia subisce un duro colpo in un Paese che in un tempo ormai remoto fu la culla del diritto e che ieri ha confermato di esserne solo la discarica a cielo aperto, in una giornata triste per la libertà di stampa e la giustizia. Dirigere un giornale è un mestiere duro e faticoso, ma in Italia è anche molto pericoloso. Provo a spiegare perché. Le norme prevedono che il direttore abbia il controllo assoluto di quel che viene pubblicato e a lui si estende una responsabilità oggettiva che lo chiama automaticamente in giudizio insieme all’autore dell’articolo. Questa norma poteva funzionare finché i giornali erano fatti di pochi fogli e le notizie non piovevano in real time. Secondo la legge il sottoscritto dovrebbe essere in grado di leggere tutti gli articoli, titoli e foto de Il Tempo, cioè la bellezza di due edizioni, un’ottantina di pagine al giorno, una media quotidiana di circa trecento articoli, più migliaia di lanci d’agenzia che sono potenzialmente impaginabili. Il controllo è esteso alla pubblicità, agli annunci economici e agli inserti. È un lavoro che non riuscirebbe a fare neppure Mandrake. E il risultato è che a dirigere un giornale alla fine ci si guadagna una fedina penale da Al Capone. Ogni volta che ricevo una notifica giudiziaria, incrocio lo sguardo imbarazzato degli amici carabinieri che sanno bene di dover svolgere un compito umiliante per chi ne è oggetto. È una delle tante porcherie giuridiche dell’ordinamento e stride con quel che accade in questi giorni: per un giornalista che rischia la galera e molti altri ridotti sul lastrico e impoveriti, abbiamo a piede libero un manipolo di ladri di polli con patente politica che fanno le star in televisione e promettono di ricandidarsi. Che schifo. È un insopportabile sottosopra che si svolge grazie all’immobilismo della politica. Di destra e di sinistra. Sallusti rischia il carcere non perché la magistratura applichi la legge – con un sinistro rigore, a mio avviso, visto che anche le attenuanti richieste dal procuratore generale gli sono state negate – ma perché il Parlamento se ne infischia di quel bene chiamato libertà di stampa, quello che fa la differenza tra una democrazia e una Repubblica delle Banane. I giornali pubblicano notizie. E possono dar fastidio. Ma sono anche l’unico presidio plurale di un Paese che tende pericolosamente ad essere monocorde. Da molti anni chiediamo una riforma dal volto umano, ma è sempre stato come predicare nel deserto. Nessuno è perfetto, questo è un mestiere delicato, si può sbagliare. Ma se l’errore viene punito con la cella e risarcimenti mostruosi, il risultato è quello di intimidire i giornalisti e mettere sul lastrico le aziende editrici. È esattamente quello che sta avvenendo. E ha dell’incredibile perché una riforma equilibrata, che rispetti tutte le parti in campo, non uccida il diritto di cronaca, dia all’offeso la giusta e doverosa riparazione se c’è un errore e non costringa gli editori a chiudere i giornali, è possibile. Tutto il mondo della stampa italiana deve favorire un’inversione di rotta, riunire editori e giornalisti, mettere nero su bianco una proposta e chiedere a questo Parlamento di discuterla, migliorarla e votarla. Senza manfrine, giochetti e ritardi. Questo è il momento di mettere insieme le forze, ora o mai più. Confido nella saggezza del Presidente Napolitano. Il caso del direttore de Il Giornale richiede il suo intervento e il suo senso dello Stato. Perché la libertà di Sallusti è anche la nostra. Mario Sechi, Il Tempo, 27 settembre 2012

……………Tra i tanti commenti al caso Sallusti che oggi vengono pubblicati su tutti iquotidiani italiani, tutti, nessuno escluso di solidarietà a Sallusti e di incredulità – a dir poco – di fronte ad una sentenza liberticida, abbiamo scelto quello di Sechi, direttore de Il Tempo, che ci è sembrato il più equilibrato e il più francamente coretto rispetto a tutte le questioni che la sentenza pone, ad iniziare dal vero e proprio bavaglio che questra sentenza di fatto impone alla stampa italiana, intimidita dalla paura di finire in cella solo per avr espresso una opinione o solo, nel caso dei direttori,  per non aver effettuato il controllo su ogni riga che il proprio giornale pubblica. Intanto Sallusti conferma che non intende chiedere la grazia e per lui la chiede al presidente Napolitano Renato Farina, giornalista oggi deputato, che alzatosi questa mattina alla Camera,  ha formalmente ammesso di essere l’autore del “pezzo” incriminato, il proprietaro del giornale rifiuta le dimisisoni rassengate da Sallusti e la politica quella che ormai si può scrivere solo la p minuscola annuncia di voler mettere una toppa a 60 anni di ritardi con una leggina o un  decreto legge che modifichi la legge Rocco (il giurista di Mussolini  che riscrisse nel 1923 il codice penale italiano, ovviamente calandolo nel contesto di un regime autoriario…) che prevede il casrcere per i direttori che omettino il controllo, il partito di Berlusconi del quale Sallusti è stato uno dei pochi giornalisti,pur con molti dubbi,  a sostenrne le tesi, non ha fatto sapere a Monti che se non impedisce che Sallusti finisca nelle celle, lì dove non finiscono più da tempo i delinquenti e i ladri, a incominciare dai politici di ogni schieramento, cesserà il sostengo ad un governo che a sua volta decreta d’urgenza sull’impoverimento degli italiani ma non lo fa quando si tratta di difendere il bene più importanre dell’uomo, la libertà personale. g

LA CASSAZIONE CONFERMA LA CONDANNA DI SALLUSTI: IN ITALIA E’ PROIBITO ESPRIMERE LIBERAMENTE LE PROPRIE OPINIONI, SPECIE SE RIGUARDANO I GIUDICI. E SIAMO RITORNATI AL MEDIO EVO, ALTRO CHE EUROPA.

Pubblicato il 26 settembre, 2012 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

VERGOGNA

COME NELLE DITTATURE: LA CASSAZIONE CONFERMA LA CONDANNA AL NOSTRO DIRETTORE. PENA AUTOMATICAMENTE SOSPESA, MA RESTA UNA VERGOGNA PER TUTTO IL PAESE. SALLUSTI: “MI DIMETTO”

(Il video è visionable sul sito del Giornale)

La Federazione Nazionale  della Stampa, subito dopo la scandalosa sentenza della Cassazione che ha condannato un giornalista per una opinine tra l’altro non espressa da lui, ha diramato un comunicato violentissimo contro la sentenza definita barbara e assurda. Domani, raccogliendo l’invito della Federazione d ella Stampa, e  in attesa di ulteriori azioni di protesta, i giornali italiani usciranno con spazi bianchi accanto agli editoriali dei direttori, molti dei quali hanno già espresso la loro piena solidarietà al direttore Sallusti e fatto propria la condanna senza mezzi termini di una sentenza che ricaccia il nostro Paese nel Medio Evo e lo avvicina agli ultimi  paesi  al mondo dove regna la dittatura che mette il bavaglio alle opinioni. Da parte nostra, da sempre estimatori del Direttore Sallusti, gli esprimiamo la nostra solidarietà e l’apprezzamento per la decisione annunciata ai giornalisti del Giornale  che non intende chiedere l’affidamento ai Servizi Sociali (perchè non ho fatto nulla per cui debba redimirsi, ha dichiarato Sallusti) nè chiedere la grazia a Napolitano considerato da Sallusti corresponsabile della deriva dittatoriale della magistratura italiana. Sempre da parte nostra riteniamo che a questo punto il centro destra nei cui confronti è stato consumata l’ennesima aggressione sotto forma di condanna del suo maggior e più brillante esponente giornalistico la smetta di ciurlare nel manico e si decida , ora, subito, a staccare la spina a Monti e al suo ministro della Giustizia, il peggiore e sopratutto il più don Abbondio dei ministri della Giustizia che si sono susseguiti nel nostro Paese dopo la seconda guerra mondiale. Infine una amara constatazione. In Italia i giudici fanno a gara per trovare codicilli che consentano a ladri, assassini, magnacci, delinquenti, compreso quelli di marca politica,  di rimanere in libertà, non ne hanno trovato uno per evitare che l’onta del disprezzo internazionale calasse sul nostro Paese che ora, lo sappia il signor Monti, può finalmente  portare una bandiera in giro per il mondo, quella dell’oscurantismo. g.

TRE DOMANDE FACILI FACILI, di Mario Sechi

Pubblicato il 26 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

A che punto è la notte? È sempre buio pesto e di luce per ora non se ne vede. I partiti sono avvolti dall’oscurità, non brilla alcuna idea e il sistema di finanziamento nelle Regioni si sta rivelando un pozzo nero di spesa pubblica a fini privati. La reazione a questo scenario è da stato confusionale: si annunciano grandi epurazioni (di pesci piccoli) e maquillage di vertice che non tengono alla prova di tre quesiti facili facili. Domanda numero uno: quanti politici si sono dimessi dal ruolo di parlamentare e quanti hanno lasciato il consiglio regionale del Lazio? Diamo noi la risposta: nessuno. Domanda numero due: quanti partiti hanno votato l’aumento di quattordici volte dei fondi ai gruppi consiliari del Lazio? Diamo ancora noi la soluzione: tutti. Domanda numero tre: che fine hanno fatto i milioni di euro aggiunti dalle Regioni ai già stratosferici rimborsi elettorali? Facile: non si sa. Mal di testa? Allora preparate l’aspirina, perché al danno si aggiunge la beffa: i consiglieri quando l’assemblea del Lazio si scioglierà avranno anche la liquidazione. Applausi. Cari partitanti, se non si risolvono questi nodi e si rifonda la politica, nessuno crederà alle vostre parole. Non si possono tagliare le pensioni, lasciare che le retribuzioni medie dei dipendenti italiani vengono falcidiate, prosciugare con il fisco famiglie e imprese e contemporaneamente foraggiare la politica a getto continuo. Questa è antipolitica? No, è buonsenso. Nessuno può far finta di niente, ma il così fan tutti non assolve nessuno. Il Pdl deve prepararsi alla traversata nel deserto. Ma c’è modo e modo di farla. Questo è il peggiore. Mentre a sinistra mettono i sacchi di sabbia e cercano di rinforzare gli argini con una coalizione che non ha alcun futuro di governo, a destra si cerca il Santo Graal e non si fa l’unica cosa seria: riaprire il partito alla competizione e chiudere la stagione delle nomine e della cooptazione senza merito. La politica si fa con i voti nell’urna, non con il pallottoliere delle alleanze interne e delle coalizioni destinate allo sfascio. Che senso ha fare accordi di nomenklatura se poi là fuori ci sono milioni di voti in uscita? Rispondiamo ancora noi: nessuno. Ma che glielo scriviamo a fare… Mario Sechi, Il Tempo, 26 settembre 2012

.…………Giusto! Perche scriverlo? Dovrebbe essere ovvio e naturale, e non solo ora che l’ennesimo scandalo ha detto sino a che punto la politica sia infognata e per quanto riguarda il centrodestra sino a che punto la notte è fonda, avrebbe dovuto esserlo da sempre, o almeno da quando una valanga di voti diede al centro destra la maggioranza assoluta nel Parlamento non solo per riformare la Repubblica e gli organi costituzionali, dalla Presidenza a tutti gli altri, ma anche per riformare e ricostruire la società italiana rasa al suolo dai decenni di malgoverno precedente. Invece il centrodestra dopo la vittoria pensò che tanto bastasse e che per il resto c’era tenmpo, anzi di tempo non c’era e questi sono i risultati. Non solo ha subito la scissione di Fini ed ha perduto il governo ma ora si trova in una situazione che definire caotica è poco e definire irreversibilmente destinata al peggio è assai probabile,. E’ vero, in in queste ore si sprecano dichiarazioni ed impegni, compreso l’anatema di Alfano contro Fiorito come se cacciando Fiorito si risolve il problema. Che invece è di ben altra natura e dimensione, riguarda tutto il centrodestra e in primo luogo il PDL che è ormai ridotto ovunque, dove di più dove di neo, come nel Lazio, a bande armate che si contendono i quattrini pubblici. E non consola, non può consolare che il male riguardi tutta la politica, nessuno escluso, compreso i moralizzatori dell’ultim’ora, per esempio gli udiccini il cui capo, Cesa, oggi viene tirato in ballo per essere a sua volta destinatario di favori e prebende da parte della Polverini che l’ha ricoperto, tramite la società che gestisce l’Auditorium di Roma,  di palate di quattrini pubblici. Nè consola che dalle parti del PD si sta più o meno allo stesso punto. E’ tutta la politica che va rifondata, ma vivaddio perchè non deve incominciare la destra a rifondaral,  il centrodestra, che da sempre ha inalberato il vessillo del buon govenro e quello del governo onesto? Davvero non si può? Se è così ci cascano le braccia e ci rifugiamo nei ricordi, quelli almeno non ci tradiranno. g.

MA LA MIA LIBERTA’ NON E’ IN VENDITA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 25 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l’ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere.

Il signore voleva altri soldi, oltre i trentamila euro già ottenuti, in cambio del ritiro della querela e quindi della mia libertà. Io penso, l’ho già scritto, che le libertà fondamentali non si scambino tra privati come fossero figurine ma debbano essere tutelate dallo Stato attraverso i suoi organi legislativi e giudiziari.

Anche perché nel caso specifico c’è un’aggravante, e cioè che a essere disposto a trarre beneficio personale dal baratto è un magistrato.

Vi svelo un particolare inedito della vicenda. In primo grado sono stato condannato a cinquemila euro di multa più diecimila di risarcimento, nonostante l’accusa avesse chiesto per me due anni di carcere. Al momento di stendere le motivazioni della sentenza, il pm si pente: ho sbagliato a non dare a Sallusti anche una pena detentiva, scrive nero su bianco, ma ormai è fatta. Che cosa è intervenuto tra la sentenza e la stesura delle motivazioni? Non è che per caso qualcuno ha privatamente protestato per la mitezza della condanna, che a mio avviso era invece più che equa, non avendo io diffamato nessuno? La risposta arriva in appello: due anni forse sono troppi, ma quattordici mesi ci stanno.

Giudici che ammettano di sbagliare, giudici che cambiano idea, giudici che se la fanno e disfano tra di loro? Ma che giustizia è questa? Una persona, per di più magistrato, in buona fede avrebbe dovuto prendere l’iniziativa una volta appreso il verdetto: mi rifiuto di essere la causa di una carcerazione ingiusta, tengo il risarcimento e ritiro la querela. Non è avvenuto, peccato. Adesso, vi assicuro, il problema non è più mio ma loro. Trovino il modo di uscirne con percorsi trasparenti e legali, altrimenti vadano al quel Paese. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 25 settembre 2012

.………….Caro Direttore, la schiena dritta o uno ce l’ha o non ce l’ha. Tu ce l’hai e meriti la solidarietà  di quanti non si piegano come fanno le canne allorchè tira il vento contrario. E’ quello che consiglia un proverbio cinese ma da noi ha un altro nome : adattamento. Si,  adattarsi e magari piegarsi in attesa che cambi il vento. E’ quello che ha prodotto nel tempo l’involuzione della nostra società, la perdita dei Valori e dei sentimenti, il trionfo della mediocrità. Noi non ci stiamo, per questo stiamo con Te. In bocca al lupo per domani. g.

SCENARIO DI UN SISTEMA IN CRISI, di Mario Sechi

Pubblicato il 25 settembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La politica non è una scienza esatta, ma alla fine i conti tornano sempre, perché al di là delle singole vicende, dei grandi e piccoli caratteri che la animano, esiste un plot, una trama, una storia che si fa (e disfa) sotto gli occhi dei protagonisti inconsapevoli di questa commedia umana. Per questo ciò che sfugge agli attori, i politici, appare invece chiaro a chi osserva con professionale distacco quel che accade. Quando nel botta e risposta di qualche giorno fa tra il sottoscritto e Renata Polverini ho sottolineato che eravamo di fronte a «una storia Giunta al termine», qualcuno mi ha detto che giocavo ad anticipare i tempi e che, per quanto difficile, la situazione alla Regione Lazio potesse essere ricomposta. È la classica reazione di chi non prende atto che la politica crea dinamiche che a un certo punto sfuggono alla volontà degli uomini. Così è stato per la crisi aperta dentro il gruppo del Pdl alla Pisana, la sua tracimazione sulla Giunta e l’epilogo drammatico con l’uscita di scena della presidente con la clava in mano. Renata Polverini ha fatto quello che in Italia non fa nessuno: si è dimessa. E così ha riconquistato l’onore che rischiava, seriamente, di perdere in una sanguinosa e inutile guerra d’attrito tra le fazioni del Pdl. Berlusconi e Alfano le hanno chiesto di portare la croce, ma senza mettere sul tavolo un rilancio politico alternativo alla trincea. Nessuno, nemmeno un carattere forte come quello della Polverini, poteva resistere in quelle condizioni. Quando si apre una faida, entra in vigore la legge della giungla. E un politico ha due sole strade possibili: o accetta la legge della giungla o lascia che siano gli altri a scannarsi. Polverini ha scelto la seconda opzione. E ha fatto bene. Perché non c’era alcun disegno politico per cui valesse la pena combattere, ferirsi e rischiare di perire. La crisi della Regione Lazio è il picco sismografico – e non sarà l’ultimo, potete starne certi – di un terremoto che scatenerà il suo massimo di energia alle elezioni del 2013. Nella faglia ci sono tutti i partiti che escono dalla Seconda Repubblica. Compreso il Pd, che si illude di stare al sicuro, ma che in realtà i soldi della Regione li ha anch’esso incassati e spesi e ha (ri)cominciato a dilaniarsi nelle sue irrisolte contraddizioni. Al centro della bufera, c’è il partito di Berlusconi, sparito dai radar della politica e incapace di risollevarsi perché è un aereo con un pilota e un equipaggio che hanno piani di volo vecchi. La reazione allo scandalo dei fondi della Regione Lazio è stata quella di una formazione che pensa e ragiona ancora come se il berlusconismo fosse un trionfante fenomeno di massa e non invece una storia che sta emettendo i suoi ultimi bagliori e ha bisogno di una nuova trama e altri protagonisti. Un partito politico è come il campo di un buon contadino: va dissodato, arato, concimato, innaffiato e seminato. Quel che non si fa in un Pdl che rischia di diventare un deserto. È un’entità chiusa che sta allontanando le energie positive, compresse e umiliate. La ricetta è una sola: primarie, partecipazione, merito. Nell’attesa di un cuoco, in cucina preparano un pasto rancido. La situazione politica sta prendendo esattamente la traiettoria che descriviamo da mesi: è in picchiata. Il governo tecnico per i partiti era la straordinaria e irripetibile occasione per rinnovarsi, fare le riforme e presentarsi alle elezioni in maniera dignitosa. Tutto tempo perso. A quasi un anno dall’ingresso di Monti a Palazzo Chigi, niente è cambiato. Continuano ad essere dei club dove si coopta e nomina, luoghi dove la parola competizione fa paura. Faranno una traversata nel deserto. Senz’acqua. Mario Sechi, Il Tempo, 25 settembre 2012

.…………….La Polverini ha fatto bene a dimettersi? Lo ha fatto perchè era l’unica cosa decente che potesse fare, visto che non poteva non sapere quanti soldi costasse il Consiglio Regionale del Lazio ora definito indecente ma fino a qualche settimana fa supporto e sostegno alle decisioni della Giunta Regionale che, tra l’altro, predispone il bilancio tra le cui voci c’era, ovviamente, lo stanziamento per il funzionamento del Consiglio e le elargizioni ai singoli consiglieri comunali che assumono aspetto di vera e propria “tangente” pagata dalla Giunta per tenersi buoni quelli che il cui voto  è necessario perchè la Giunta governi. Il Pdl è nella bufera? Non era necessario che scoppiasse la bufera del caso Lazio per accorgesene. Sono anni che lo è,  e sono anni che il PDL è  già solo un deserto sul quale oltre che sfidarsi a duello le bande che se ne sparticoscono i profitti – in tutti i sensi – ,   non cresce un filo d’erba perchè non è “dissodato, arato, concimato, inaffiato, e seminato” come fa il contadino con la buona terra,   e anche con la cattiva terra per trasformarla in buona, e come un tempo facevano, fuor da metafora, i partiti politici sino alla Prima Repubblica, giorno dopo giorno, con infinita pazienza per conquistarsi la fiducia non solo degli elettori ma anche dei militanti. Si potrà dire che quel che è la storia del PDL è la storia di tutti i partiti dopo Tangentopoli e per cui “mal comune mezzo gaudio” ma ciò non ci consola e non riduce lo svilimento, la delusione, la rabbia, lo sconforto di quanti hanno creduto e sofferto e che ora constatano che il loro credere e le loro sofferenze non sono stato il lievito per una buona politica ma solo il terreno sul quale malfattori e avventurieri hanno costruito le proprie  personali e  miserabili fortune.  g