SALLUSTI: LA VERITA’ SUL MIO ARRESTO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Eccomi. Sono quel sog­getto «socialmente pe­ricoloso », così è scrit­to nella sentenza, che mercoledì sarà arrestato se la Cassazione confermerà il ver­detto emesso contro di me da un giudice di Milano.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

Un anno e due mesi di carcere per aver pub­blicato, anni fa su Libero che al­lora dirigevo, un articolo critico nei confronti di un magistrato che aveva autorizzato una tredi­cenne ad abortire. Non ho prece­denti penali ( come tutti i diretto­ri, che in base a una assurda leg­ge rispondono personalmente di tutto ciò che è scritto, sono sta­to condannato più volte a risar­cimenti pecuniari), non ho mai fatto male volontariamente a una mosca né mai lo farei.

Combatto da oltre trent’anni su quel magnifico ed esaltante ring democratico che è l’infor­mazione. Ne ho più prese che da­te ma non mi lamento, mai ho ri­sposto con querele a insulti e mi­nacce. Ho lavorato al fianco di grandi giornalisti, da Indro Montanelli a Paolo Mieli, da Giu­lio Anselmi a Giuliano Ferrara. A ognuno ho rubato qualcosa. Uno di loro, Vittorio Feltri, da tredici anni è anche un fratello maggiore che mi aiuta e proteg­ge e di questo gli sarò per sem­pre grato. Ho combattuto anche con durezza le idee di tante per­sone potenti e famose, ma non ho alcun nemico personale.

A volte ho sbagliato? Certo che sì, e ho sempre pagato in tut­ti i sensi. Sono un liberale, amo e mi batto per la libertà mia e di tutti, e per questo sono orgoglio­so di dirigere oggi il quotidiano della famiglia di Paolo Berlusco­ni, famiglia che la libertà ce l’ha nel sangue, fin troppo direbbe­ro alcuni.

Potrei difendermi dalle accu­se sostenendo, come è vero, che quell’articolo non l’ho scritto io, o cose del genere. Non lo farò perché ho la profonda convin­zione che nessuno, dico nessu­no, debba andare in carcere per una opinione, neppure la più as­surda. Se danno c’è stato che venga quantificato e liquidato. Ma nulla di più è dovuto. L’erro­re ha un prezzo, un principio no. E il principio che non ha prezzo è che nessun giudice può mandare in carcere qualcu­no per le sue idee. Se accettassi­mo questo sarebbe la fine della democrazia, tutti noi saremmo in balia di pazzi, di uomini di Sta­to in malafede, di ricattatori. Io sono disposto a pagare un equo indennizzo, ma non baratto la mia libertà.

Per questo ho detto no a scorciatoie che i miei nuovi e bravissimi avvocati mi hanno proposto. La classe dei magistrati che ha partorito questo obbrobrio ab­bia il coraggio di correggersi o l’impudenza di andare fino in fondo. Non ho paura. Io sono un nulla rispetto al problema in questione. Vogliono fare con­cludere il settennato di Napoli­tano (l’ho aspramente criticato in passato, se sarà il caso lo rifa­rò ma lo rispetto e ringrazio per l’interessamento annunciato ie­ri) che dei magistrati è anche il capo, con una macchia indelebi­le per le libertà fondamentali? Vogliono mandare Monti in gi­ro per l’Europa come il premier del Paese più illiberale dell’Occi­dente? Lo facciano, se ne hanno il coraggio. Per questo, non per il mio destino personale, sareb­bero dei criminali alla pari di chi ha stilato la sentenza che vuole impedirmi di scrivere ciò che penso per il resto della mia vita. Rinuncio al salvacondotto per rispetto alle persone con le quali condivido la vita, ai letto­ri, ai miei tre vicedirettori che si fidano di me, dei cento giornali­sti che dirigo e che hanno il dirit­to di lavorare in un giornale se­condo i principi non negoziabi­li stabiliti dal suo fondatore In­dro Montanelli. Alessandro Sallusti, Direttore de Il Giornale, 23 settembre 2012

………..Ogni parola di commento sarebbe superflua. Chiunque ami la libertà e rivendichi il diritto di dire la propria opinione in un Paese che si ispira ai principi della democrazia liberale si individua oggi in Alessandro Sallusti. Se lo arresteranno, se la casta dei giudici andrà sino in fondo nella difesa corporativa dei propri privilegi, compreso quello della vendetta, e restringeranno Sallusti in una cella,  idealmente ci sentiremo ristretti tutti nel piccolo spazio di quella  cella insieme a Sallusti e alle libertà negate  di ciascuno di noi.g.


SALLUSTI: PER I GIUDICI E’ UN “PERICOLO SOCIALE”….IN GALERA, MENTRE I LADRI E GLI ASSASISNI RESTANO IN LIBERTA’…VIVA L’ITALIA

Pubblicato il 22 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

“Ho paura di vivere in un paese dove ci si permette di arrestare le idee, di metterle in carcere”.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti
Con queste parole il direttore del Giornale Alessandro Sallusti commenta ai microfoni del TgLa7 diretto da Enrico Mentana la condanna a quattordici mesi di carcere per un articolo che non ha scritto lui. “Mi preoccupa – spiega – il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”.

Ci sono due fatti che insospettiscono il direttore del Giornale che adesso attende il verdetto della Cassazione previsto per mercoledì prossimo.“Il primo fatto è che queste idee sono di una parte di opinione – spiega Sallusti al TgLa7 – il secondo è che la querela è stata fatta da un magistrato ed è stata giudicata in modo così severa da un altro magistrato”. Poi, c’è una considerazione finale: “Mi preoccupa il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”. “Sono sempre molto bravi e molto pronti a enunciare dei principi nei convegni – continua il direttore del Giornale – ma quando devono far sentire la loro voce a difesa di tutti i cittadini, a prescindere dal loro pensiero, spesso battono in ritirata”.

Nonostante la situazione, Sallusti assicura che iI suo stato d’animo è “assolutamente sereno”. “Sono convinto della mia assoluta buona fede e di non aver commesso alcun reato”, continua commentando la vicenda giudiziaria che lo vede condannato, senza la condizionale, per il reato di diffamazione dopo la querela di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo. L’articolo in questione non è stato redatto da Sallusto, ma è stato pubblicato su Libero nel 2007, quando era direttore gerente del quotidiano e dunque considerato “responsabile oggettivo”. La vicenda sarà giudicata il 26 settembre dalla Corte di Cassazione, per la sentenza definitiva. “Una situazione che non esito a definire ’kafkianà e che non ha precedenti – conclude Sallusti – Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Per il momento, diciamo che resto in fiduciosa attesa”.

.………..Ciò che maggiormente ci lascia stupefatti è il silenzio della parte politica di Sallusti, a incominciare non tanto da Berlusconi che del Giornale è il referente politico, ma del capo di ciò che resta di un grande sogno svanito nel nulla, cioè del PDL. Ci riferiamo ad Alfano che nelle ultime 48 ore non ha fatto altro che parlare di ladri di galline da linciare e di donzelle indifese vittime dei ladri di galline da salvaguardare. A prescindere che , fermo restando che quanto è accaduto nel Lazio accade ovunque,   Alfano non può nascondere la polvere, anzi il fango, sotto il tappeto del solo Fiorito, indagato a Roma, per i soldi pubblici usati per scopi privati,  indicandolo  al pubblico ludibrio prima che i fatti siano accertati nella loro completezza alla faccia della presunzione di innocenza che vale per alcuni e per altri no, come per la stessa Polverini “assolta” da Alfano che , non dimentichiamolo, non ha sospeso dal PDL, ed ha fatto bene, il presidente Formigoni,  pur esso indagato per fatti forse più gravi di quelli di Fiorito al quale  però è stata già comminata la pena senza processo. Detto questo, stupisce che Alfano,  ancora dopo ben 24 ore dalla notizia del possibile arresto di Sallusti per una condanna che è tutto un programma, non abbia ancora detto una sola parola  di solidarietà a Sallusti che non è un ladro nè di galline nè di quattrini pubblici, che non ha ucciso nessuno, che non si è macchiato di nessun reato infamannte, tipo farsi trovare a fare sesso con un trans. Nei suoi confronti è stato applicata una legge che trova fondamenta nel Codice Rocco, il guardasigilli fascista che rielaborò il codice penale nel contesto di un regime autoritario che si difendeva con leggi liberticide  dalle critiche dei giornalisti. Dopo circa 70 anni una legge fatta su misura per un sistema politico autoritario continua ad esistere in un sistema politico compeltamente cambiato e dove il diritto di critica è sacrosanto, è anzi il primo inalienabile diritto di ciascuno, prima di tutti per un giornalista che ha il diritto-dovere di informare e di fornire elementi di giudizio sui fatti anche quando questi hanno per protagonisti i giudici che come tutti possono sbagliare e che se non hanno sbagliato e sono ingisutamente criticati possono e debbono rivalersi come tutti sul piano civile e non su quello penale. Alfano che è stato anch’egli Guardasigilli e che come tutti i suoi predecessori degli ultimi 70 anni si è dimenticato di  modificare le due riga che nell’attuale codice prevedono la galera per il direttore del giornale che pubblica senza controllo una notizia non vera, ora almeno intervenga per difendere Sallusti. Certo, sarà accusato di difendere un giornalista che è della sua parte e perchè mai non dovrebbe farlo? Deve farlo anche perchè gli elettori, pochi o molti che siano rimasti intenzionati a votare per il PDL, debbono sapere che votare per il PDL non può essere una aggravante e un rischio per la propria libertà personale. Si sbrighi a sollecitare l’intervento del governo, questo governo di azzeccagarbugli, fatto da pseudo esperti che una ne combinano e  cento ne pensano senza farne una, che sia una,  cosa buona e minacci, si minacci, se Sallusti dovesser essere arrestato di staccare la spina a Monti e allo steso Napolitano che a sua volta nulla ha da dire, forse in omaggio alla sua unica vera cultura che è quella dell’ex Unione Sovietica, dove i giornalisti non esistevano e se esistevano dovevano solo  elogiare il regime e se non lo facevano finivano nei gulag siberiani. E’ vero, qualcuno potrebbe tirar fuori il precedente di Giovanni Guareschi che alla fine degli anni 40 dovette farsi un anno di carcere per lo stesso reato di cui è accusato ora Sallusti. Ma Guareschi, incautamente e del tutto incosapevolmente, aveva accusato De Gasperi di aver chiesto,  verso la fine della gurrra, agli alleati di bombardare Roma. La notizia era falsa e suffragata da falsi documenti che indussero Guareschi a scrivere cose non vere e infamanti per il Capo del Governo e capo di un partito che si richiamava alla Chiesa che  a Roma aveva la sua centralità. In quel caso e sopratutto in quel contesto storico-politico, la condanna fu correttamente inflitta e lo stesso Guareschi che pure aveva contribuito fortemente alla vittoria della DC nel’epico scontro del 1948 contro il fronte popolare non protestò e anzi scrisse a De Gasperi una lettera di scuse senza però scriverne un’altra per chiedere la grazia, in ossequio al principio secondo cui chi sbaglia paga. Ma Sallusti in  cosa ha sbagliato e perchè mai deve andare in galera come un delinquente comune solo per aver diretto un giornale che ha criticato un magistrato? O dobbiamo sempre sperare che ci sia un giudice a Berlino? g.

VOGLIONO METTERE IN GALERA IL DIRETTORE ALESSANDRO SALLUSTI PER REATI DI STAMPA: COME IN COREA E NELL’EX UNIONE SOVIETICA.

Pubblicato il 21 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Un giornalista in carcere per motivi professionali è la negazione della democrazia. Infatti l’Italia non è un Paese democratico né liberale: l’unico in Occidente a non esserlo.

Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale

Noi siamo uguali alla Corea del Nord, simili alla fallita Unione Sovietica. Tutto dalla vita mi sarei aspettato, tranne che di scrivere questo articolo. Mi tremano le mani sulla tastiera della Olivetti.

Vi racconto ciò che sta per accadere: il nostro direttore responsabile, Alessandro Sallusti, è sul punto di essere arrestato. Ha ucciso un persona, premeditando il delitto? Ha rapinato una banca? Ha violentato una bambina? Ha scritto un articolo contro Gesù o contro Maometto? Nossignori. Nel 2007, in quanto gerente di Libero, aveva la responsabilità oggettiva di quanto quel quotidiano pubblicava. Poiché un dì vennero stampati sul medesimo foglio un pezzo e un commento su una vicenda giudiziaria, nei quali era citato un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo, questi, ritenendosi diffamato, sporse querela.

Il commento in questione non era stato vergato da Sallusti, ma da un altro autore che lo aveva firmato con uno pseudonimo. Non importa. La legge considera responsabile di ogni riga storta (uscita sul giornale) il direttore. Il quale pertanto è stato processato a sua insaputa. Perché a sua insaputa? L’avvocato dell’azienda editoriale si era distratto e non aveva tutelato l’imputato. Che, in primo grado, fu condannato a una pena pecuniaria: 5mila euro. Routine. Si paga, di solito, e buona notte. Incidenti di percorso.La sentenza però fu appellata dalla parte lesa. Trascorre un po’ di tempo, e si celebra il processo di secondo grado, ancora senza l’avvocato di fiducia, assente ingiustificato: ha disertato l’aula per smemoratezza o altro, non si sa; lui non è più rintracciabile. Automaticamente, gli subentra un legale d’ufficio che forse non si prende molto a cuore la storia, cosicché il verdetto è micidiale. La pena pecuniaria di 5mila euro, e sottolineo 5mila euro, viene trasformata in pena detentiva: un anno e due mesi di prigione. Uno pensa: vabbè, c’è la condizionale. Col cavolo. Niente condizionale, perché i direttori di giornale – tutti – sono pieni di cause, ne perdono molte, quindi accumulano precedenti su precedenti, e addio sospensione della pena.

Mercoledì sera, a Sallusti – che cade dalle nuvole – comunicano che il 26 settembre, cioè mercoledì venturo, la Cassazione esaminerà il caso; non entrerà nel merito, ma controllerà la regolarità formale del giudizio di secondo grado. Se non avrà nulla da eccepire, la sentenza sarà immediatamente esecutiva. E il nostro direttore verrà arrestato e chiuso in una cella come un delinquente e dovrà scontare il castigo. Inammissibile, assurdo.

Segnalo ai lettori che l’Italia è l’unico Paese europeo – che dico? occidentale – in cui i reati a mezzo stampa sono valutati dalla giustizia penale anziché da quella civile. Solo le dittature più efferate usano sistemi di questo tipo: un modo violento allo scopo di reprimere ogni tentativo di criticare il regime. Nelle democrazie appena appena decenti, la persona offesa da un giornale si rivolge al tribunale civile e chiede un congruo risarcimento, poi, eventualmente, accordato dal giudice. D’altronde – esemplifico – se qualcuno mi dà gratuitamente del cretino, o mi attribuisce un’azione cattiva che non ho commesso, non ho interesse che chi mi ha insultato o diffamato vada in galera; mi preme piuttosto che egli paghi in soldoni il suo errore.

In effetti, ripeto, succede così in tutto il mondo civile, o quasi, tranne che nella nostra piangente penisola. Ma non per colpa dei magistrati, che si limitano ad applicare la legge. A volte la applicano con mano lieve, altre con mano pesante. Ma non si inventano nulla. Applicano il codice e basta. La legge fornisce loro dei mezzi e delle armi, che vanno dal temperino al mitra. In alcune circostanze adoperano il primo, in altre il secondo. Ma non si tratta di abusi. Essi rimangono nell’ambito del consentito. Non è con loro che noi (io) polemizziamo. Ma con i dementi che, dopo 60 e passa anni di finta democrazia, mantengono in vita, per accidia e menefreghismo, alcune pagine del codice fascista.

Sì, fascista. Non vanno linciati i giudici «esagerati», che agiscono comunque in base alle regole, ma chi quelle regole non ha mai avuto il coraggio, e la sensibilità civile, di modificare, adeguandole ai canoni della democrazia liberale. Tra costoro metto anche Silvio Berlusconi che, incoscientemente, non ha provveduto quando avrebbe potuto farlo, imponendosi sui fetenti da cui era circondato, a revisionare il succitato codice. Giuro: a me aveva promesso che avrebbe depenalizzato i reati di opinione. Invece non è riuscito a combinare niente perché la lobby degli avvocati, potente e massiccia in Parlamento, si è opposta. Già: cause che pendono, cause che rendono.

Risultato. I giornalisti vanno in galera perché i rischi del mestiere sono questi in Italia: non di pagare con i risarcimenti, come sarebbe giusto, ma di pagare con la detenzione. Vergognatevi tutti, politici dei miei stivali. Si vergognino Berlusconi, Prodi, D’Alema, Amato, Ciampi, Fanfani (anche se è morto), Andreotti, Emilio Colombo, Craxi (anche se è morto), De Mita. Tutti i governi, di destra, di centro e di sinistra. Non solo hanno mandato in malora il Paese: hanno anche ucciso la libertà di stampa nella culla. Io me ne frego. Mi ribello a questa gente che ha pensato solo ai fatti propri, e ha abbandonato i giornalisti, lasciandoli alla mercé di una legge iniqua, fascista e tirannica, pur pretendendo che continuino a fare il loro mestiere.

Ma quale mestiere? Come si fa a lavorare serenamente se uno di noi, Alessandro Sallusti, per un articolo che neppure ha scritto, è in procinto di finire dietro le sbarre per un anno e due mesi? Qui non c’entrano le posizioni politiche di ciascuno di noi. Possiamo essere nel giusto o no, possiamo essere simpatici o antipatici, ben retribuiti o ridotti alla fame: non è questo che conta. Conta piuttosto che si distingua fra criminali e gente che nella propria attività, pur sbagliando, non merita il carcere.Cari politici del menga, svegliatevi. Date un segnale che non siete lì a difendere l’indifendibile, e se non potete salvare l’Italia dalla crisi, salvatela almeno da certi obbrobri. Cambiare una legge odiosa non costa niente: due righe da depennare comportano sì e no l’investimento di 20 euro. Non c’è più un centesimo perché avete già raschiato il fondo della cassa? Ve li do io. Attenzione: se Sallusti sarà associato alle carceri, non la passerete liscia. Oltre a non fare bella figura, rischierete gli sputi di tutti noi. Vittorio Feltri, 21 settembre 2012

P.S.: caro Alessandro, siamo solidali con te, e come te ci sentiamo vittime di una classe politica capace di tutto e buona a nulla (Leo Longanesi).

.…………..Insieme a Feltri esprimiamo tutta   la nostra solidarietà al Direttore Sallusti,  e insieme a Feltri saremo in prima fila a sputare in faccia la casta dei politici,  da destra a sinistra passando per il centro, senza dimenticare grillini e valoristi,   che trovano il modo e  il coraggio di difendere i ladri e gli approfittatori e non trovano  il tempo di tutelare la più preziosa delle libertà: la libertà di dire quel che si pensa, anche di certa giustizia che spesso fa strame dei diritti dei singoli per tutelare se stessa. g.

UNA CRISI TRAGICOMICA, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Raramente ho assistito – eppure ne ho viste tante – a una crisi politica che si trasforma in avanspettacolo. Riepiloghiamo: Renata Polverini l’altro ieri va in aula, parte lancia in resta e infilza tutto il consiglio: «O cambiate rotta, o andiamo a casa». Nel frattempo Franco Fiorito, detto «Er Batman», sparisce dal radar del palazzo della Regione. Lo spendaccione del Pdl, detentore dell’invidiabile record di bignè ingurgitati a ripetizione e dell’acquisto di pizza a metri, sembrava fosse in ritiro spirituale. Ieri i magistrati della procura di Roma lo hanno sottratto alle sue meditazioni per confessarlo. Mentre l’uomo-pipistrello del Pdl parlava con i pm, colpo di scena: la Polverini ha intenzione di dimettersi. Anzi no. Immaginate la scena in redazione: arriva il capocronista, entra nella stanza del direttore (senza bussare) ed esclama: «Aho’, Porverini molla!». Vabbè, facciamo una riunione per aggiornare il quotidiano. Ci sediamo intorno al tavolo e uno dei colleghi che segue la Regione esclama: «Nun se dimette più, s’è sentita male». In ogni caso, il giornale è da rifare.
Mai visto uno psicodramma del genere. Nemmeno il tempo di preoccuparsi che in rete spuntano le foto di una festa organizzata da un altro consigliere regionale del Pdl. Sia chiaro, ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole, ma vestirsi da suini e mettere in piedi un baraccone con qualche migliaio di persone in stile basso impero romano, non è certo il massimo in quest’epoca. Altro che sobrietà. «Er Batman» non è solo nell’universo. Al di là dell’uso dei fondi per i partiti, delle piccole e grandi ruberie, la realtà è che la politica è piena di Trimalcioni, è scosciata, scollacciata, sguaiata e improduttiva. Non sono un moralista, non fa per me, ma diamine, si diano una regolata. Altrimenti faranno tutti la fine di Fra’ Lusi, l’ex tesoriere della Margherita, che ieri si è svegliato all’alba per le orazioni del mattino. In convento. Visto che in casa a scontare i domiciliari c’è anche la moglie e insieme non possono stare. Lusi dopo aver colto il meglio della Margherita (i soldi in cassa) si ritrova alle prese con le erbe officinali. Che politica. Dalle maschere di maiale al saio.
Giunti a questo punto, che la Polverini resti o meno, ha poca importanza. Il danno irreparabile è fatto. E per loro è sempre carnevale. Mario Sechi, Il Tempo, 20 settembre 2012

.…………..Oggi è l’anniversario della presa di Porta Pia che restituì Roma all’Italia grazie ai bersaglieri di La Marmora e a qualche decina di morti e di feriti. Avrebbero fatto meglio a risparmiarli  quei poveri cristi – liberatori e liberati – e a lasciare Roma ai papalini che, almeno quelli, i festini vestiti da antichi romani non li avrebbero fatti. Quanto alla Polverini non è di certo l’Angelina di Anna Magnani, la sagace e integerrima popolana che sapeva difendere con le unghie e con i denti il popolo; la Polverini  è solo e invece una che non sa nemmeno lei perchè s’è ritrovata da centralinista a presidente del Lazio e che ora recita sul palcoscenico di un ritrovato Ambra Iovinelli, celebre ritrovo romano  di  soubrette  a mezzo servizio, una farsa che offende più delle ruberie. Ma che se ne ritorni lì da dove è venuta  e ci lasci in pace. Anzi, per dirla con i romani delusi e affranti  all’indomani della “liberazione”: annatevene tutti, lasciatece piangere da soli. g.

220 MILA PENSIONATI INPS DOVRANNO RESTITUIRE LA 14ESIMA

Pubblicato il 20 settembre, 2012 in Costume, Cronaca | Nessun commento »

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Roma, 20 set. (TMNews) – Sono 200mila i pensionati Inps  che dovranno restituire la quattordicesima indebitamente percepita nel 2009. Tanti sono gli errori riscontrati nelle autodichiarazioni presentate in quel periodo. A confermare le indiscrezioni dei giorni scorsi è stato il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, a Rai Radio 1.

“La quattordicesima è una bella iniziativa – ha detto Mastrapasqua – ma non può percepirla chi non ne ha diritto. Duecentomila persone hanno presentato dichiarazioni sbagliate, noi possiamo verificarle solo quando l’agenzia delle entrate rende disponibili i loro redditi per poi poter incrociare i dati. Per questo l’accertamento viene fatto quando questa somma è già stata versata. I pensionati che hanno indebitamente percepito la 14 esima – ha concluso – dovranno restituirla. L’Inps si incontrerà con i rappresentanti delle categorie per trovare il modo migliore di effettuare le trattenute cercando di salvaguardare le fasce più deboli”. Da Virgilio, 20 settmbre 2012

..………..Si tratta di pensionati che riscuotono pensioni minime, e che nel maggior numero di casi hanno superato di qualche decina di euro la soglia (circa 8 mila euro) sotto la quale si ha diritto a percepire la 14esima che aiuta chi la percepisce ad affrotnare le crescenti difficoltà economiche che affliggono i pensionati italiani. Di certo con qualche centinaia  di euro in più all’anno non solo non si arricchisconi ma neppure possono pensare di andarea ristoranti superlusso a mangiare aragoste e bere champagne, privilegi questi riservati alla casta, l’ingorda e famelica classe politica, manageriale (di cui fa parte  lo stesso presidente dell’Inps) e burocratica di cui ogni giorno leggiamo sulla stampa le “imprese” a spese dei contribuenti, compreso i pensionati a cui ora la inflessibile ragione di stato imporrà di restituire i pochi soldi percpeiti in più, non certo rubandoli ma solo per errori di calcolo non imputabili a loro. Ci sarà qualche ilustre parolaio, per esempio il superpresidente, che spednerà quyalche parola per chiedere che si faccia una sanatoria a favore di questi pensionati, disgraziati e sfortunati? Attendiamo notizie. g.

L’ULTIMA DI MONTI: ABBASSARE LE BUSTE PAGA

Pubblicato il 19 settembre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

L'ultima mazzata di Monti: abbassare le buste paga

Buste paga più leggere se il professor Monti dovesse decidere di mettere in pratica l’invito dell’ex numero uno della Bce, Jean Claude Trichet, che nel 2008 invitava i governi nazionali a «evitare» di ancorare i salari all’inflazione per il rischio di «innescare una spirale salari-prezzi con ricadute negative sull’occupazione e sulla competitività».  Prima il «Corriere», poi altre testate hanno cominciato a ventilare l’ipotesi che il governo italiano si stia muovendo in tale direzione. Monti sa bene che sganciare i salari dagli adeguamenti vorrebbe dire tagliare di colpo una fetta di busta paga. Se non si trovasse il modo di legare le retribuzioni alla produttività lo stipendio di un operaio o di un dipendente pubblico perderebbe tra il 5 e il 9% del suo valore. Da Roma fanno sapere che sul tavolo del presidente del Consiglio non c’è alcun fascicolo che prevede il disancoramento dei salari dall’aumento del costo della vita. C’è però un fascicolo intitolato «produttività». Per la prima settimana di ottobre il premier Monti attende una proposta congiunta sindacati-aziende che miri a invertire il trend del differenziale costo del lavoro-produzione. da Libero, 19 settembre 2012

…………Se fosse vero, sarebbe l’ultima canagliata di un governo di incapaci, un atto di vera e propria  delinquenza allo stato puro. g.

ALLA FINE TUTTI I FURBI SI SONO MACCHIATI CON IL PESCE

Pubblicato il 19 settembre, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

In fondo anche questo va interpretato come un indizio del decadimento della classe politica italiana. Con tutti i soldi incassati – lecitamente o meno – dallo Stato, non c’è solo uno tra i novelli rappresentanti della casta cha abbia comprano un quadro di Picasso, un reperto storico o un libro per i propri figli. Tutti, o quasi, si sono sporcati le mani col pesce. Ovviamente pregiato – aragoste, caviale, spigole, cozze pelose – ma pur sempre un alimento, per soddisfare gli istinti primari più bassi piuttosto che cibare l’anima.
Sono lontani, insomma, i tempi dei ladri gentiluomini che ispiravano i feuilleton ottocenteschi, appassionati d’arte e di buone maniere. Dalle parti del Parlamento – ma anche delle Regioni, dei Comuni o della Guardia di Finanza; dovunque, in sostanza, girino soldi pubblici – il modello da prendere in esempio è quello di Franco Fiorito e dei suoi sodali del Pdl laziale. Che delle cene a base di pesce avevano fatto una vera e propria abitudine a spese dei contribuenti. Sono ormai famose le due fatture presentate al gruppo dal consigliere Andrea Bernaudo, protagonista di notevoli maratone gastronomiche da «Ottavio», a Santa Croce in Gerusalemme a Roma, con le ordinazioni che registravano ostriche francesi, crudi di pesce, moscardini, fragolino al sale, olio e pepe e vino Chardonnay: conti da 170 e 140 euro. A spese nostre.
Una volta il primo pensiero per il politico di turno era la casa. Ne sanno qualcosa i vari D’Alema, coinvolto in «Affittopoli»; Fini, inguaiato dall’appartamento monegasco del cognato; e Scajola, cui fu pagata, «a sua insaputa», una casa con vista sul Colosseo. Ora le priorità sono cambiate. Forse perché il ritorno dell’Ici sotto forma di Imu ha reso meno conveniente l’affare. Oppure perché sono stati proprio i traffici sulle case a scatenare i peggiori istinti di vendetta degli elettori, spesso alle prese con pesantissime rate del mutuo, e a costringere talvolta alle dimissioni chi è stato beccato con le mani nella marmellata.
Quindi si è passati al pesce. Con la speranza di cavarsela a miglior prezzo. «Di fronte alla corruzione che c’è, non me la vorranno mica far pagare per cinquanta cozze pelose?». In questi pensieri si macerava il sindaco Michele Emiliano quando si scoprì che aveva accettato in regalo diversi chili di pesce pregiato dalla famiglia di imprenditori baresi dei De Gennaro, titolari di diversi appalti in città.
Il primo cittadino non è mai stato indagato. Sorte diversa è toccata all’ex generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, oggi deputato del Pdl, condannato in secondo grado a 18 mesi per peculato ma con successivo annullamento della Cassazione che, di fatto, spinge la sua posizione verso la prescrizione. Speciale finì sotto accusa per un carico di spigole trasportato con un aereo militare fino a Predazzo, a Trento, perché «i finanzieri, quassù, il pesce non possono mangiarlo mai».
Perlomeno Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, il suo spaghetto al caviale da 180 euro – tutti soldi sottratti dai rimborsi elettorali – non se l’è fatto portare a domicilio, ma lo ha consumato nell’elegante «La Rosetta» al Pantheon. Mentre Francesco Belsito, «taroccatore» dei conti della Lega, per i pranzi a base di aragosta dei parlamentari del «Cerchio magico» preferiva prenotare da «Tuna», a via Veneto.
Caso ha voluto che l’ex tesoriere del Carroccio venisse scoperto anche a causa delle paghette elargite a Renzo Bossi, che ha in un pesce, il Trota, il suo soprannome. Di questi tempi, un appellativo del genere significa la quasi certezza di finire nei guai. da Il Tempo, 19 settembre 2012

LE TASSE NON SVANISCONO CON MANDRAKE, di Mario Sechi

Pubblicato il 17 settembre, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

La campagna elettorale è cominciata nel peggiore dei modi. A Reggio Emilia Bersani ha proposto una ricetta economica archeologica, confusa tra attacchi alla finanza e proposte il cui risultato è una maggiore spesa pubblica. Il Cavaliere in crociera invece è tornato a scodellare la solita minestra: abbassiamo le tasse. Lo dice dal 1994, l’esito finale è che il suo ultimo governo aveva una pressione fiscale più alta di quella di due tassatori come Prodi e Visco. Abolire l’Imu? Bello. E poi? Sarebbe interessante capire come Berlusconi intende coprire il minor gettito di 21 miliardi di euro e il mancato incasso ai Comuni, alla canna del gas, che devono erogare servizi per i cittadini.
La questione fiscale in Italia è il tema centrale, ma per proporre soluzioni occorre essere credibili. La storia dei governi precedenti ci racconta una campagna elettorale piena di promesse non mantenute e premesse tradite. Raccontare agli italiani che si vogliono abbassare le tasse è più che legittimo, è giusto, ma significa anche proporre non lo slogan di un minuto ma una riforma fiscale dove si sposta il peso delle tasse dal lavoro alla ricchezza improduttiva e si dichiara una lotta senza quartiere all’evasione, avendo però prima ridotto le aliquote. Cioè s’introducono gradualmente nel sistema tributario elementi che fanno parte della politica anglosassone. Vorrei ricordare agli smemorati del centrodestra che l’Imu era un progetto leghista, che la sua anticipazione è stata votata dal Pdl, che tutti i provvedimenti del governo Monti sono stati condivisi dal partito di Berlusconi. Uso le stesse parole del Cav di qualche settimana fa: non si rigira la frittata.
Occorre serietà, la delega in bianco è finita. L’Italia continua ad avere duemila miliardi di debito: non l’hanno tagliato né Berlusconi né Prodi e non poteva certo farlo Monti in un anno. Ai Mandrake della sinistra e della destra vorrei ricordare che il Prof. è stato chiamato al capezzale di una Repubblica sull’orlo del crac. Nell’autunno scorso si è rischiato di non pagare gli stipendi alla pubblica amministrazione. Un paio di numeri: siamo in recessione per quest’anno e anche per il 2013, il Pil è in picchiata, la produzione industriale è la peggiore d’Europa, il tasso di disoccupazione è vicino a sfondare l’11% e l’inflazione ha cominciato a salire per effetto del rialzo dei prezzi dei carburanti. Siamo un Paese privo di materie prime, importiamo energia, la politica industriale è inesistente, rischiamo di perdere la produzione d’acciaio e quella automobilistica per scarsa competitività e follia dei tribunali, la nostra giustizia civile è la più lenta del mondo, kafkiana. Agli elettori bisogna illustrare tagli, spese e coperture. Tutto il resto è propaganda. E alla fine la paghiamo noi. Mario Sechi, Il Tempo, 17 settembre 2012

…………A parte qualche difesa d’ufficio del Mandrake di turno, cioè Monti, il resto è tutto giusto. La promessa che dovrebbe essere fatta e mantenuta è quella di una immediata ed efficace riforma fiscale che consenta ad un tempo la riduzione delle tasse e la reale lotta all’evasione fiscale. g

SI E’ APERTO UNO SCONTRO GENERAZIONALE, di Mario Sechi

Pubblicato il 16 settembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La politica italiana è sempre più incapace di cogliere la sfida della contemporaneità. Composta da una classe dirigente vecchia, non ha gli strumenti culturali per leggere che cosa sta accadendo e, soprattutto, non coglie l’emergere di uno scontro sociale: quello dei giovani contro i vecchi. Quando una nazione è in mano alla gerontocrazia, quando il mercato delle opportunità è bloccato dagli «inamovibili», quando chi comanda scrive regole che chiudono il gioco democratico e servono la logica della nomina e della cooptazione, il risultato è che un’ampia fascia di popolazione – tra i trenta e i cinquant’anni – viene esclusa dalle scelte per il futuro. Vale per la politica, l’alta dirigenza pubblica e l’impresa privata. Il Paese ha un disperato bisogno di rinnovamento, ma sul ricambio generazionale è stato piazzato un tappo a prova di tritolo. Essere considerati giovani a 40 anni, francamente, fa sorridere. Perché nel nostro Paese è diventato un espediente lessicale per dirti: «Aspetta il tuo turno, ora ci siamo noi». Ovviamente il turno lo decidono i capibastone. E non arriva mai perché non c’è alcun meccanismo di competizione sociale. Numero chiuso. Regime. Mandarinato. Così invecchi, mentre i tuoi figli crescono. Il tempo passa. Ma aspetti il tuo turno.
Mai sentito parlare di «Generazione Y»? Sono i nati tra gli anni Novanta e i primi anni del Duemila. Hanno davanti un futuro ancora più difficile e incerto rispetto alle generazioni precedenti. Sono «nativi digitali», internet per loro è un ambiente naturale, ma vivono in una società che per loro sarà, paradossalmente, sempre più chiusa. La prima ondata trova lavoro con difficoltà, i vecchi costituiscono un ostacolo e non un’opportunità di formazione e conoscenza. Non c’è alcun «passaggio di testimone». Questo fenomeno in Italia ha raggiunto dimensioni croniche. E quando la «Generazione Touch» – quella dei bambini che naturalmente «sfogliano» un iPad o lo schermo di un telefono – avrà raggiunto la maturità, che cosa accadrà? Gli esclusi di oggi saranno i nonni di domani. Questi ultimi andranno in pensione più tardi dei loro padri, con un assegno più basso, in un mondo più complesso. Nel frattempo la classifica delle potenze economiche si sarà rimescolata. L’Italia sarà fuori dai primi dieci posti. I bambini di oggi a un certo punto cominceranno a fare domande «da grandi», prima in maniera vaga poi, anno dopo anno, con la precisione di un cecchino. Alla fine, preso atto dello scenario, si presenteranno come uomini e donne in cerca di un futuro, e chiederanno bruscamente ai genitori: «Ma cosa avete combinato?». E la risposta non potrà che essere una sola: «Non abbiamo fatto niente. Non ce l’hanno permesso e non abbiamo avuto il coraggio di ribellarci». Mario Sechi, Il Tempo, 16 settembre 2012

..………….Tanto vecchia che al vertice dello Stato c’è un 86enne che” pensa come se non dovesse morire mai” e al vettice del governo è stato insediato un 69enne che a sua volta pensa di averne 29…..quale sfida  del futuro si può vincere se si offrono come cambiamento vecchi arnesi del passato? Peccato, comunque, che Monti, come altri analisti della politica italiana  non l’abbiano rilevato anche solo una decina di mesi fa. g.

SPARITI I GIGANTI, RESTANO I NANI DELLA POLITICA, di Mario Sechi

Pubblicato il 15 settembre, 2012 in Politica | Nessun commento »

La campagna elettorale è di fatto aperta, ma se giudichiamo la qualità del dibattito finora espresso possiamo tranquillamente dire che le elezioni sono inutili. Il mondo è in fiamme, in Medio Oriente il fanatismo islamico usa la violenza a fini pseudo-religiosi; in Cina è in corso un regolamento di conti tra i mandarini del capitalismo, la Russia approfitta delle distrazioni di tutti per ristabilire l’influenza sull’ex impero, l’Africa continua ad essere un continente abbandonato, ma colonizzato sempre più da Pechino, le primavere arabe sono diventate inverni, gli Stati Uniti in mezzo a questo caos sono al rush finale della campagna presidenziale, mentre l’Europa cerca di tamponare la recessione economica. Questa è l’agenda globale, sfido chiunque a trovarne traccia nel dibattito pubblico dei partiti che si contenderanno la guida della terza economia d’Europa, l’Italia. Ancor più desolante è constatare l’inadeguatezza dell’offerta dei due poli: 1. Bersani propone una ricetta la cui traduzione è facile: tassa e spendi. Basta mettere in fila i suoi ragionamenti per capire che l’equilibrio dei conti salterebbe dopo cinque minuti e la pressione fiscale salirebbe di qualche altro punto al grido gioioso di «anche i ricchi piangono»; 2. Berlusconi fa sapere di essere in un momento di riflessione. Sarebbe il primo che si concede in vent’anni sulla scena politica, una notizia. In realtà Berlusconi non ha le idee chiare, prende tempo, e dimostra di giocare una partita di rimessa, lui che è sempre stato un attaccante. A pochi mesi dal voto gli elettori liberali non sanno letteralmente quale sarà la rotta di quello che fu il primo partito del 2008. Il resto dello scenario politico è un magma, avanza, brucia tutto quello che incontra, ma non costruisce nulla. Un sistema senza alleanze e coalizioni – pure con il proporzionale – non va da nessuna parte. Anche nella Prima Repubblica servivano almeno due partiti grandi per costruire un sistema. Oltre mezzo secolo di democrazia italiana è stato un confronto serrato tra Dc e Pci, i prossimi anni rischiano di essere un film muto fra partiti-puffi. Spariti i giganti, restano i nani. Mario Sechi, Il Tempo, 15 settembre 2012

…………….Dalle nostre parti si dice: le spade appese e i foderi a fare la guerra. E’ proprio così, ovunque, ad ogni livello. Il fatto è che i giganti, ovunque, non nascono tali, si formano piano piano. E’ così sopratutto in politica, così è stato nella tanto vituperata e ogni giorno di più rimpjanta prima repubblica. I giganti della politica della prima repubblica, ad ogni livello,prima di diventarlo facevano la gavetta per crescere ogni giorno. Peccato che qualcuno lo abbia dimenticato. g.