LE PRIMARIE DELLA CASTA LE HA GIA’ VINTE VENDOLA, IL PRESIDENTE DELLA REGIONE CAPITALE DEGLI SPRECHI

Pubblicato il 31 agosto, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Nichi Vendola vince le primarie: il Re della Casta e degli sprechi

Per tutti gli italiani andare in pensione è diventato un calvario. Qui no: puoi ancora ritirarti a 55 anni avendo versato contributi solo per cinque anni. E l’assegno mensile anche così supera i  tremila euro al mese, perché invece di essere tagliato come è avvenuto nel resto di Italia, viene periodicamente rivalutato. Dopo nemmeno un anno di lavoro puoi chiedere l’anticipo del Tfr, e fino a quando non hai raggiunto l’80% del dovuto puoi chiederlo anche l’anno dopo, e l’anno dopo ancora. Qui il numero uno può andare in giro su un’auto di lusso straniera tremila di cilindrata, e al suo vice è concessa una duemila di cilindrata con tutti i comfort, anche se c’è una legge che dice che sopra i 1.600 cc non si può salire.

Benevenuti in Puglia, nel regno di Nichi Vendola, nel cuore di quel consiglio regionale che oggi è il paese della cuccagna della Casta. Qui tutto è ancora possibile, e se non ci fossero delibere, timbri amministrativi, stanziamenti effettivi, ci sarebbe da non credere ai propri occhi. Accadono cose nel cuore della politica pugliese che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe immaginato esistere in Sicilia, la tradizionale patria di tutti i mali della spesa pubblica, del privilegio dei satrapi.

In Puglia qualsiasi cosa è concessa. Tutto – anche quello che non  pensavi possibile – diventa realtà. Grazie allo status di consigliere regionale possono rifarsi una vita politici che ne hanno combinata più di una e sono stati triturati dalle cronache. Prendiamo Sandro Frisullo, il luogotenente di Massimo D’Alema in zona, finito in carcere per l’inchiesta su soldi e donne elargiti da Giampaolo Tarantini. Per lui la carriera politica si è dovuta chiudere, ma la Regione gli ha consentito di ripartire grazie a bei mattoncini per rifarsi una seconda vita. Prima gli ha consegnato un assegno di fine mandato da 388.992,96 euro. Il 13 luglio 2010 ha chiesto e ottenuto di andare in pensione anticipata a 55 anni e gli è stato concesso. Da allora percepisce ogni mese dalla Regione un assegno da 10.071,80 euro lordi. Non sarebbe mai accaduto in un altro posto. Ma almeno Frisullo era stato consigliere regionale ininterrottamente dal 1995 al 2010: 15 anni. L’8 marzo di quest’anno la domanda di pensione anticipata appena compiuto il cinquantacinquesimo anno di età è giunta da un altro ex consigliere regionale: Cosimo Mele. Era deputato dell’Udc quando finì nei guai per una notte in albergo in via Veneto con due donne – una delle quali finì all’ospedale per overdose di cocaina. Mele fu mandato a processo, e il leader del suo partito gli impose le dimissioni da deputato. Fu però consigliere regionale per tutti i 5 anni della precedente legislatura (2000-2005). Solo quelli aveva alle spalle, così il suo assegno previdenziale è per forza ridotto: 3.403,82 euro lordi al mese che gli vengono corrisposti dal consiglio regionale dal primo aprile scorso. Non lo farà diventare ricco, certo. Bisogna però provare a raccontare agli italiani comuni che con il governo di Mario Monti e la stretta pensionistica di Elsa Fornero in vigore, c’è un Mele in Puglia che può andare in pensione a 55 anni, avendone lavorati solo cinque, con 3.403,82 euro lordi di pensione.

I due nomi citati sono i più noti alle cronache nere nazionali, ma in Puglia sono a decine gli ex consiglieri che negli ultimi due anni sono andati in pensione prima dei 60 anni con emolumenti mensili di tutto rispetto (il più basso è quello di Mele). Non è una eccezione: è la regola. Per altro mentre le leggi nazionali in piena crisi economica dicevano tutt’altro e perfino i deputati e senatori tiravano la cinghia si tagliavano gli stipendi e i rimborsi spese, nel regno di Vendola è accaduto l’esatto opposto. I vitalizi sono stati ritenuti esenti dai tagli, e il loro importo è stato periodicamente rivalutato.

Che le leggi in Puglia vadano in controtendenza, è evidente perfino dal ruolino delle cause davanti alla Corte Costituzionale. Due vedono contrapposti Vendola e il presidente del Consiglio, Mario Monti. La prima nasce dal fatto che quando la legge nazionale ha deciso di ridurre i consiglieri regionali, in Puglia si è fatto un taglietto, scendendo a 60, dieci in più del tetto imposto agli altri. E il governo ha fatto loro causa. La seconda diatriba nasce da una legge di Giulio Tremonti che riduceva la spesa per consulenze e collaboratori. Anche la Puglia si è adeguata, ma non per tutti. Vendola ha escluso dalla scure proprio i suoi collaboratori, e così è stato citato prima da Berlusconi e poi da Monti di fronte alla Corte costituzionale.

Per capire come l’andazzo da queste parti sia di tutto altro tenore, tanto da trasformarsi nel paradiso della Casta, basta dare un’occhiata agli stanziamenti amministrativi che riguardano il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, compagno di partito di Vendola in Sel. Quando si è insediato gli hanno messo a disposizione una Bmw. Lui ha voluto cambiare, preferendo una Audi A6 tremila di cilindrata. Siccome la Consip non ce l’aveva, ha costretto gli uffici della Regione a una trattativa privata con un noleggiatore del posto. Intanto che c’era, ha fatto prendere altre due Audi A6, però duemila di cilindrata, destinate al vicepresidente del consiglio regionale (Nicola Marmo, Pdl) e a un consigliere segretario. Non bastava l’auto di lusso. Quando Introna è nel suo bell’ufficio in Regione, che fa? Sicuramente scrive ad amici ed elettori. Perché ha chiesto e ottenuto una delibera amministrativa per la fornitura di carta intestata, buste e suppellettili a suo uso, indicandone anche i produttori prescelti: «500 buste shoppers della ditta Paperstore di Gravina di Puglia; n. 3mila fogli di carta intestata /Il Presidente/ e n. 3mila cartoncini formato americano intestati /Il Presidente/ della ditta Ragusa Tipografia di Bari; n. 70 cornici con riproduzione stemma Consiglio – lastra in argento – in vari formati, dalla ditta Braganti Antonio di Milano; n. 60 prodotti in terracotta artigianali /La nostra Terra/ dalla ditta Gallo Maria di Rutigliano (Ba)». Non si può dire che Introna non avesse idee sicure. Ma quando ha finito di scrivere? Nessun problema. Ha chiesto e ottenuto un abbonamento Sky che avesse dentro tutto, ma proprio tutto: partite di calcio, cinema, Hd, possibilità di registrare, perfino il pacchetto per le famiglie. Il primo anno valeva 65 euro al mese. Il secondo è lievitato a 1.800 euro anno, chissà perché. Visto che l’andazzo era quello, anche il vicepresidente Marmo non ha voluto esser da meno. Quando ha preso possesso del suo ufficio, ha deciso che i mobili erano «deteriorati e fatiscenti». E come il dirigente amministrativo ha voluto scrivere nella delibera di spesa, per coprirsi le spalle «considerato che lo stesso Vicepresidente ha fortemente insistito per la sostituzione degli arredi con quelli realizzati dalla ditta Fantoni», sono stati stanziati per la bisogna 9.513,60 euro.

Con un clima così, ognuno ha abbandonato qualsiasi ritegno. In pieno scandalo Luigi Lusi il 10 maggio scorso la Regione Puglia ha pagato alla società di riscossione crediti Credit Tech una fattura Telecom da 403,3 euro protestata al vecchio gruppo consiliare della Margherita. L’aveva girata alla amministrazione l’ex presidente del gruppo, Francesco Ognissanti, dopo avere controllato sul vecchio conto corrente locale del partito: «Ha ragione Telecom», ha spiegato Ognissanti agli uffici amministrativi della Regione, «ho controllato sul nostro conto del Banco di Napoli e noi quella bolletta non l’abbiamo mai pagata. Potete tranquillamente pagarla voi». E la Regione Puglia di Vendola, che quando si tratta della Casta ha un cuore grande come un melone, ha pagato il debito della Margherita senza battere ciglio. di Franco Bechis, Libero, 31 agosto 2012

.…Nessuna sorpresa. Vendola è un comunista non pentito. E tutti i comunisti predicano il bene per gli altri ma lo praticano solo per se stessi. Così la nomenklatura sovietica, così quella cubana, così quella cinese. Vendola, appunto,  è un mandarino cinese in salsa rossastra. g.

LO SCANDALO INTERCETTAZIONI: I VERTICI DELLO STATO SPIATI 10 VOLTE AL TELEFONO

Pubblicato il 31 agosto, 2012 in Giustizia, Politica | Nessun commento »

Tre giornali, Panorama , Il Fatto e Re­pubblica . Tre palazzi, il Quirinale, la Pro­cura di Palermo, la Corte costituzionale. E uno scontro istituzionale tra Colle e pm, probabilmente mai giunto a livelli così al­ti, che è riuscito a realizzare l’impossibile, spaccare il fronte giustizialista di sinistra: di qua, contro Napolitano, Idv, i grillini, il quotidiano di Antonio Padellaro e Marco Travaglio; di là, paladino del Colle senza se e senza ma, Eugenio Scalfari; e di là ­contro pm, Idv&Co – anche chi non ti aspetti, il Pd Luciano Violante, già icona del partito dei giudici, che grida al «popu­lismo giuridico» che strumentalizza le procure e punta ad abbattere Monti e Na­politano.

Per comprendere il pasticciaccio brutto culminato ieri nella nota del Quirinale a smentita dello scoop di Panorama sui col­loq­ui spiati tra il capo dello Stato e l’ex mi­nistro Nicola Mancino (indagato a Paler­mo nell’ambito dell’inchiesta sulla tratta­tiva Stato-mafia per fermare le stragi de­gli anni Novanta, con l’accusa di falsa te­stimonianza) bisogna fare un passo indie­tro. All’inizio dell’estate, quando il ping pong incrociato di rivelazioni, tra Il Fatto e Panorama , prende la via del Colle. A da­re il «la» è il quotidiano di Padellaro, il 16 giugno scorso, quando sotto il titolo «I mi­steri del Quirinale » racconta di una telefo­nata del dicembre 2011 fatta da Nicola Mancino, telefonata in cui l’ex ministro (all’epoca non ancora indagato ma già spiato) si lamentava dei pm di Palermo, esprimeva preoccupazioni per come sta­vano trattando l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e chiedeva aiuto al Quirina­le. Loris D’Ambrosio,consulente giuridi­co di Napolitano, conferma di aver parla­to con Mancino. I contenuti delle telefo­nate, otto, ça va sans dire , finiscono inve­ce sui giornali. Il 20 giugno è Panorama che rilancia: in due telefonate Mancino parla con Napolitano. E fanno dieci. Il Col­le si ribella. E si preoccupa quando in un’intervista a Repubblica , il 22 giugno, il pm Nino Di Matteo, titolare del fascicolo di cui è dominus l’aggiunto Antonio In­groia, si lascia scappare una smentita che è una conferma: «Negli atti depositati non c’è traccia di conversazioni del capo dello Stato e questo significa che non so­no minimamente rilevanti». Ergo, però, ci sono: «Quelle che dovranno essere di­strutte con l’instaurazione di un procedi­mento davanti al gip­aggiunge il pm –sa­ranno distrutte, quelle che riguardano al­tri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti». La linea della procu­ra di Palermo è segnata. Il procuratore Messineo minimizza: quelle intercetta­zioni saranno distrutte, non servono, ma a decidere sarà il gip Traduzione: rischia­no di diventare pubbliche. È l’esplosione del bubbone. Che diventa scontro il 16 lu­glio, quando il Quirinale annuncia l’aper­tura del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro i pm di Palermo. Na­politano non poteva essere intercettato, neanche indirettamente, e pertanto quel­le bobine vanno distrutte, è la tesi del ri­corso; non le useremo, ma si possono di­struggere solo se lo decide il gip, insiste la procura di Palermo.Il 26 luglio D’Ambro­sio muore: infarto, troppo stress. E men­tre i vari Lucifero e Nerone surriscaldano agosto, è a sinistra che si consuma lo scon­tro pro e contro Napolitano, pro e contro i pm di Palermo: Il Fatto , l’Idv di Di Pietro e Grillo contro il capo dello Stato; Repubbli­ca con Eugenio Scalfari pro Napolitano; il Pd Luciano Violante, che quasi grida al golpe contro Napolitano e denuncia: «Procure usate come clava».

L’ultimo atto, per ora, è lo scoop di Pano­rama sui contenuti di quei colloqui tra Mancino e Napolitano. Parlerebbero da vecchi amici.E da amici,fuori dall’ufficia­lità, si lascerebbero scappare frasi un po’ sopra le righe: su Berlusconi, fresco di di­missioni all’epoca; su Di Pietro, che di at­taccare il Colle non perde occasione; sui pm di Palermo. Frasi innocenti, appunto tra amici. Frasi imbarazzanti, se uno dei due amici è il capo dello Stato. È questo il motivo del conflitto di attribuzione solle­vato dal Colle? Al pettine restano troppi nodi: quelle conversazioni potevano es­sere intercettate? I pm potevano conser­varle? E se non potevano perché l’hanno fatto, rischiando, come è avvenuto con Panorama , che il loro contenuto trapelas­se? Misteri su misteri. Che si aggiungono ai tanti misteri sulla trattativa, da quello sulla sua reale esistenza a quello sui silen­zi, anche a sinistra, conservati per anni. La guerra è in corso. E il verdetto della Consulta, quale che sia il risultato, non cancellerà i veleni. Il Giornale, 31 agosto 2012

IL COLLE (CIOE’ NAPOLITANO) HA UN SOLO MODO PER USCIRNE:PUBBLICHI LUI LE INTERCETTAZIONI, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 30 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

Se è vero anche solo un decimo di quanto scrive Panorama nel numero in edicola da oggi, scoppierà un pandemonio.

Il numero di “Panorama” che svela le intercettazioni su Napolitano

Chissà quante saette colpiranno il Qui­rinale, per altro da tempo coinvolto in polemiche velenose. Il lettore avrà capi­to a cosa alludiamo: alle famigerate in­tercettazioni telefoniche relative a fre­quenti conversazioni avvenute nell’ar­co di vari mesi tra Giorgio Napolitano e il suo amico Nicola Mancino. Delle qua­li­si occupa tenacemente il Fatto Quoti­diano ( diretto da Antonio Padellaro e vi­cediretto da Marco Travaglio) che in materia giudiziaria ne sa sempre un po’ di più di altri giornali, forse perché- si di­ce – ha buoni rapporti con la categoria dei magistrati.

Vabbè, questi sono dettagli, ma ser­vono a inquadrare la questione, che riassumiamo in poche righe per chi non l’avesse seguita con passione in ogni fase. La Procura di Palermo ha aperto un’indagine sulle presunte trat­tative Stato- mafia, cui avrebbero parte­cipato- ma è tutto da verificare – perso­naggi importanti, fra i quali Nicola Man­cino, già presidente del Senato e mini­stro dell’Interno.

Precisiamo: roba vecchia, inizio anni Novanta, quando la piovra compì nu­merosi attentati ( Milano e Firenze, sen­za contare gli omicidi Falcone e Borsel­lino). Su cosa verteva tale trattativa? Lo Stato chiedeva ai delinquenti una tre­gua ( dato che il Paese, tanto per cambia­re, viveva un momento difficile) e, in cambio, sarebbe stato disposto ad am­morbidire il cosiddetto 41bis, che pre­vede per i detenuti della criminalità or­ganizzata un regime severo, ai limiti del­la crudeltà. Come, e se, si sia concluso il negoziato non è stato accertato. Ma è una notizia che la Procura di Palermo si è impegnata nella scoperta della verità. Nell’ambito delle indagini, i Pm ave­vano ordinato di ascoltare le telefonate di Mancino, sospettato di falsa testimo­nianza. Ecco. Sono state ascoltate. Si dà il caso che il politico democristiano sen­tisse spesso il presidente della Repub­blica, oppure il consulente giuridico di questi, D’Ambrosio, mor­to alcune settimane orsono per infarto (soffriva di disturbi cardiocircolatori). Ovviamente, le registrazioni delle chiacchie­rate sono depositate in Procura. Saranno usate a fini processuali o no? Boh! Nel dub­bio il capo dello Stato ha fatto ricorso alla Corte costituzionale ricordando che lui, date le sue funzioni, non può essere inter­cettato. Giusto. Ma i magistrati rispondono: non abbiamo intercettato Napolita­no, bensì Mancino, il cui apparecchio era sotto controllo prima che questi parlasse con il Quirinale.

E allora? il problema è che uno non par­la da solo alla cornetta, ma si rivolge a qualcuno. E se questo qualcuno è il presi­dente, pace amen, peggio per lui. Ignoria­mo chi abbia ragione, ma sappiamo chi ha torto: tutti. Il Parlamento, che non ha mai disciplinato seriamente le intercetta­zioni; Napolitano, che si è accorto della gravità delle intercettazioni stesse solo quando è finito nel tritacarne; alcuni gior­nali che sono sempre stati favorevoli a «spiare» chiunque salvo indignarsi se ad essere spiato è l’Uomo del Colle,loro ami­co.

Infatti, quando era intercettato Silvio Berlusconi (indebitamente), e le sue con­versazioni venivano spiattellate (benché penalmente irrilevanti) su qualsiasi quo­tidiano, nessuno si stracciava le vesti. Al contrario, tutti gli avversari e detrattori del premier gongolavano. Adesso che in imbarazzo è Napolitano, i medesimi han­no alzato gli scudi in difesa dell’istituzio­ne. Questa è l’Italia alle vongole.

Noi abbiamo sempre sostenuto che il pasticcio delle intercettazioni meritasse un intervento del legislatore. Nulla è stato fatto in proposito perché i giustizialisti si sono opposti e si oppongono a ogni rego­la più rigida, considerandola un tentativo per bloccare l’iniziativa giudiziaria e per mettere il bavaglio alla libera informazio­ne. Cosicché, oggi siamo ancora qui a di­scutere. Ma assistiamo a un ribaltamento di posizioni: quelli che una volta erano fe­lici di pubblicare le porcate telefoniche dei politici «nemici», ora hanno cambia­to idea davanti all’ipotesi che la macchi­na del fango sporchi il doppiopetto di Na­politano. I loro timori, stando alle rivela­zioni di Panorama, sono fondati.

Perché? Le intercettazioni riguardanti il Quirinale, in teoria, non dovrebbero es­sere mai divulgate in quanto coperte da segreto. Però il nostro è il Paese di Pulci­nella, i cui segreti notoriamente non rimangono tali a lungo.

Quindi aspettiamoci di leggere, una bella mattina, la riproduzione integrale, su un sito internet o su un quotidiano, di tutte le riservate conversazioni di Manci­no con Napolitano. Nell’eventualità, pro­babile, verrebbe giù il mondo, forse no, forse sì.

Panorama asserisce che girano parec­chie indiscrezioni sapide: i due signori di cui stiamo discettando, convinti di non es­sere intercettati, si sarebbero lasciati an­dare un po’ nella valutazione di certi protagonisti della politica, tra i quali non po­trebbero mancare Berlusconi e Antonio Di Pietro. È chiaro. Due amici che blateri­no al telefono, a prescindere dai loro inca­richi istituzionali, sono portati a dire una parola in più del consentito. Normale. Ma se questa parola in più viene rilancia­ta «urbi et orbi», ti saluto autorevolezza delle autorità parlanti. Le nostre sono in­terpretazioni maliziose o, peggio, male­vole? C’è solo un modo per sgomberare il campo: tirare fuori le carte. Le intercetta­zioni sono pulite e innocenti? Sia Napoli­tano a mostrarle al popolo. Perché non lo fa? Vittorio Feltri, Il Giornale, 30 agosto 2012

NEANCHE UNO SHOCK SALVERA’ I PARTITI, di Gennaro Malgieri

Pubblicato il 28 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

No, neppure uno shock, caro direttore, li sveglierà. Tu sei animato da un apprezzabile ottimismo della volontà, insegnatoci dal tuo grande conterraneo Antonio Gramsci. Io coltivo invece il pessimismo della ragione giustificato dal vedere i partiti politici ricoverati in rianimazione, dopo aver abbandonato più confortevoli spa nelle quali credevano di rigenerarsi dopo il traumatico cambio della guardia a Palazzo Chigi nel novembre scorso. Ma davvero c’è qualcuno che immagina un’energica ripresa d’iniziativa da parte di coloro che chiamando al capezzale della Repubblica Monti e sui tecnici ritenevano che in pochi mesi avrebbero fatto il “lavoro sporco” e per di più avrebbero trascinato il Paese in una logorante guerra di posizione contro la Germania e gli euroburocrati di Bruxelles e di Francoforte che oggi stanno affamando la Grecia e domani proveranno a fare altrettanto con l’Italia, la Spagna, il Portogallo? Ci vuole tanta ingenuità per crederlo, e tu e io tutto siamo tranne che ingenui: forse un po’ troppo idealisti, ma certo non iscritti al consistente club degli apoti, per dirla con Prezzolini, di quelli, cioè, che se le bevono tutte o quasi. E proprio perché astemi di fronte all’assenzio delle dabbenaggini politiche, sappiamo bene che i nostri prodi (si fa per dire), momentaneamente attaccati alla cannula dell’ossigeno, si dedicano ad altro, nei rari momenti di lucidità. Il leader del Pdl sta studiando un corposo fascicolo nel quale dovrebbe trovare il talismano della felicità, ovvero il nome che dovrebbe fargli vincere le elezioni. I bene informati sussurrano che la scelta dovrebbe ricadere su “Grand’Italia”: non sembra geniale e assomiglia tanto al nome delle molte pizzerie che popolano il Belpaese. Quanto ai contenuti, da Villa Certosa nulla perviene e Berlusconi, fedele alla sua idea monarchica, neppure ritiene, al momento almeno, né di sciogliere definitivamente la riserva sulla sua candidatura a premier né di convocare gli organismi dirigenti del partito al fine di elaborare una strategia in vista delle ormai imminenti elezioni. Quel che i pidiellini sanno lo apprendono dai giornali, ricchi di indiscrezioni, ma – poveretti – vuoti di informazioni a meno di non voler considerare tali le rituali interviste nelle prossimità di un qualche ombrellone a questo o a quell’esponente berlusconiano che pur di non lasciare desolatamente vuoto il taccuino dell’inviato sotto il sole, ripete quel che tutti sanno e cioè che non si sa appunto niente della fine che farà il Pdl. Tutto, come sempre, è nelle mani del Cavaliere, compresa la riforma elettorale spacciata per imminente, ma della quale non si conoscono neppure i contorni, mentre lo scopo è chiaro: verrà varato un provvedimento che garantirà il pareggio sostanziale, cioè a dire la dissoluzione perfetta della politica in modo da poter conferire a Monti, senza ambasce, un altro incarico tanto per vedere l’effetto che fa. Il suo incarico, questa volta, potrebbe perfino essere facilitato dalla possibile sconfitta elettorale della signora Merkel la quale, nonostante lo spread alto dei Paesi “amici”, non è riuscita nell’ultimo anno a far drizzare i consensi del suo partito, la Cdu, sceso ai minimi storici nelle roccaforti tradizionali. E mentre l’Europa affonda e noi ci preoccupiamo per i nostri precari destini, a Berlusconi che gioca al piccolo chimico della politica fa da contrappunto Bersani che ritenendosi probabilmente la reincarnazione di Togliatti, Longo e Berlinguer, s’industria come può per mettere in piedi uno straccio di coalizione perdendo però ogni giorno qualche pezzo. Lui dovrebbe guidare una sorta di invincibile armata (visto come è ridotto il centrodestra), ma è difficile che riesca nell’impresa, soprattutto se si dovesse votare tra febbraio e aprile: i suoi sodali stanno organizzando per benino le primarie e non è detto che non riescano a lasciarlo a smacchiare i giaguari. Tra tanto contendere nel Pd qualcuno forse pensa ai problemi evocati dal nostro direttore nel suo editoriale di ieri? Ma ci facciano il piacere. E, giacché ci ci siamo, ce lo facciano pure Casini, Fini, Passera, Montezemolo, le “cose” bianche, bianconere o rosee. Non ne possiamo più di alchimie elettoralistiche vuote, insignificanti, gonfie di aria malsana. Ci piacerebbe ascoltare qualcuno che proponesse qualcosa per uscire se non dalla crisi quantomeno dal pantano. Ma nelle cliniche partitocratiche dove tutti sembrano aver trovato ricovero, il massimo che riescono a produrre sono vascelli di carta galleggianti nell’afa agostana. L’autunno è alle porte. Si annunciano i primi temporali che dovrebbero segnare la fine dell’insopportabile estate. Cadranno le foglie e con esse anche molte illusioni. Gli statisti dediti all’inciucio troveranno ancora una volta sulla loro strada Monti e Napolitano. Non cambierà lo scenario. O forse sì. Marchionne lo vedremo sempre di meno in Italia, di acciaio se ne produrrà pochino, il mercato edilizio ristagnerà e l’agricoltura boccheggerà complice la siccità di quest’anno. Neppure la cultura potrà dirsi al riparo: altre devastazioni visiteranno la nostra memoria storica, mentre i ricercatori cercheranno di fuggire all’estero e parte dell’immenso patrimonio librario marcirà in qualche magazzino. Come accadrà a quello raccolto in una vita dall’avvocato Marotta per il cui Istituto di studi filosofici di Napoli nessuno ha trovato una sistemazione più adeguata di anonimi capannoni di Casoria dove trecentomila volumi diventeranno, con ogni probabilità (pur facendo gli scongiuri) cibo per topi o forse ghiotta merce per ladri che poi a caro prezzo venderanno agli antiquari le prime edizioni delle opere di Croce o quelle più preziose di Giordano Bruno. Non è detto che tu ed io, caro direttore, frequentatori di custodi delle memorie librarie che contribuiamo a sostenere, non c’imbatteremo in qualcuna di quelle preziose icone della nostra memoria. La politica può attendere. Gennaro Malgieri, Il Tempo, 28 agosto 2012

Malgieri è deputato del PDL, ex An ed ex Msi,ed ex direttore de Il Secolo d’Italia: questa analisi  è stata già argomento di pubblicazione sul Borghese diretto ora dal figlio del mitico direttore Mario Tedeschi che fu parlamentare misisno e poi di Democrazia Nazionale. Analisi che fa il paio con quello che ha scritto ieri sul Tempo Mario Sechi. Purtroppo entrambi, come tanti, scrivono e dicono cose ovvie e per questo inascoltate da coloro cui sono destinate. Questi fanno orecchio da mercante e si preparano a fare ciò che Malgieri e Sechi pronosticano. Senza curarsi di quel che accadrà. Povera Italia! g.

INGROIA E I GUAPPI DELL’ANTIMAFIA-SHOW

Pubblicato il 26 agosto, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | Nessun commento »

Che tipi che sono, che guappi di cartone. Bisognerebbe lasciarli al loro destino di altezzosa ipocrisia, ha ragione Alessandro Sallusti.

Ma non si può. Lavorano sodo al peggio, e da tanti anni. Inquinano senza remore una democrazia impazzita. Rieducano menti e sentimenti dei ragazzi a una specie di Rivoluzione culturale di cui il web è tra i principali campi di correzione. Poi nascondono la mano, si rifugiano dalla mammina, e prolungano il grande inganno. Gustavo Zagrebelsky, giurista di regime e di lotta, raduna al Palasharp di Milano folle osannanti con Eco, Saviano e un tredicenne che dà dello schifoso al presidente del Consiglio dal basso della sua innocenza talebana, infine accusa Napolitano di essere «il perno» di un’azione di intimidazione della Procura di Palermo che vuole la verità sulla mafia. Rimbrottato dai suoi, per una volta, replica imbarazzato e imbarazzante che lui non fa politica, che il consenso del Palasharp non è la sua materia, lui è un tecnico «ingenuo» che cerca il diritto e lo storto nelle cose, risparmiategli la responsabilità personale di quello che dice e la lotta politica.

E il dottore Antonio Ingroia? È violento, come spesso succede ai fanatici, querela chi dissente da lui, pluriquerele «per una serena vecchiaia» con risarcimenti decisi dai colleghi in corporazione. Fa comizi con le mani in tasca e la toga sotto i piedi, illustra alle masse la retorica del partigiano, partigiano della Costituzione che l’immonda maggioranza parlamentare forse voleva riformare, come la Costituzione stessa prevede a maggioranza semplice, naturalmente per motivi criminali dietro lo schermo della politica. Vive di conferenze, di talk show e di libri mal scritti, mielosi, vanitosi, in cui ricorda la stima che gli portava un magistrato martire, perché c’è sempre un morto che afferra il vivo e lo mette sul piedistallo del vero, del giusto e del buono. Ingroia dovrebbe essere da tempo fuori dalla magistratura, consegnato alla politica partitante dei suoi compagni sindaci e capipopolo da un Consiglio superiore, se ce ne fosse uno non democristiano, non doroteo, non mellifluo e sulfureo come lo sono da tempo tutti i consessi togati che dovrebbero vigilare sul prestigio del giudiziario.

Il dottor Ingroia si comporta in modo nocivo e fazioso. Alimenta un mito mediatico-giudiziario-politico, un’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia «che non si regge in piedi», come ha detto in tv perfino un Enrico Deaglio, che sull’antimafia cingolata ha scritto intere biblioteche di plauso e ammirazione. Decreta con l’aiuto di Santoro e compagnia, davanti a milioni di sprovveduti spettatori della Rai, che c’è un’icona dell’antimafia, il pataccaro figliolo di Vito Ciancimino, e pluricalunniatore, e che lui è in grado di rivelare la verità sulle stragi e sull’omicidio di Borsellino e della sua scorta. Indovinate chi sono gli utilizzatori finali delle stragi, chi c’è al culmine della ricostruzione fantasiosa e sghemba, capace di travolgere anche i carabinieri che hanno arrestato Riina? Berlusconi e Dell’Utri, ovvio. Il metodo, riassunto nell’eternizzato fascicolo «sistemi criminali», è quello di tenere sempre aperta la porta all’indagine che non finisce mai, che deve nutrire le ambizioni di riscrittura della storia patria di un pugno di magistrati incaricati di applicare la legge, e per chiari motivi politici. L’agenda rossa di Borsellino, agitata in piazza con disgusto sommo e tardivo perfino del direttore di Repubblica Ezio Mauro, vale la villa di Como di un senatore e amico dell’ex premier. L’accusa di concorso esterno in mafia, distrutta dalla Cassazione con una relazione Jacoviello in cui si dice con smarrimento che in quel processo tutto c’è tranne la definizione del reato, è il suggello, naturalmente destinato a fallire, dell’attività di giustizia alla Ingroia. Potrei continuare con la tecnica delle interviste del suo ufficio, del suo sodale, a Repubblica e al Fatto, in cui si rivela che la voce del capo dello Stato è lì a disposizione degli happy few in toga, dunque attenti tutti a quel che fate e che dite. Ma ora debbo fermarmi.

Infatti il procuratore aggiunto, che non convince a firmare le sue carte nemmeno il procuratore capo e i membri tutti del suo ufficio, sente la pressione di un’Italia che alla fine gli resiste, e anche lui, come Zagrebelsky, si ritrova alla Fracchia con i diti tutti intrecciati, chiede venia in un’intervista al Corriere e in un articolo sull’Unità, per carità lui è sereno, e tutti giù a ridere, per carità anche lui è un ingenuo che applica il diritto come giudica sensato, mica ce l’ha con alcuno, da Napolitano agli altri, no, lui fa il suo mestiere e basta, la sua carriera internazionale fino all’Onu e al Guatemala, la sua partita la gioca non grazie ma nonostante le strumentalizzazioni non sollecitate del povero giornale tribuna dei manettari, scaricato con tante scuse alla prima curva. Un racconto di Leonardo Sciascia diceva che bisognerebbe essere uomini e invece spesso ci si ritrova ominicchi se non quaquaraquà. Giuliano Ferrara, 26 agosto 2012

…………Nulla da aggungere! g.

I PROFESSORI DEL GOVERNO CI FANNO FARE LA FINE DELLAGRECIA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 26 agosto, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Continuano a dirci che non siamo la Grecia, ma ci comportiamo come se lo fossimo.

La quale Grecia, un paio di mesi orsono, circa, nel pieno della buriana finanziaria che l’aveva stroncata, invece di abbassare la spesa pubblica, assunse 70mila statali, condannandosi a morte. Ecco, noi venerdì, grazie al governo Monti, abbiamo fatto la stessa identica cosa. Tagliare? Risparmiare? Non se ne parla neanche. Il Consiglio dei ministri, mescolando (per non dire imbrogliando) le carte, è riuscito nell’impresa di porre le basi per caricare sul groppone della pubblica amministrazione 50mila persone, cui sarà elargito regolare stipendio finché saranno in vita.

Bell’affare. Non proprio bello come quello greco, ma poco ci manca. Ne abbiamo dato notizia ieri con grande stupore nostro e, immaginiamo, del lettore che da anni sente predicare: purtroppo gli organici statali sono pletorici e andrebbero ridimensionati. Ora, anche uno sciocco sa che si può ridimensionare aggiungendo o togliendo. Dato che il governo italiano è costituito da professori coltissimi e intelligentissimi, ha pensato di annettere grasso al corpaccione già obeso della scuola e dell’università. Anziché ridurre il numero esorbitante dei docenti (e dei dirigenti) che campano di cattiva istruzione (tra le più scalcinate d’Europa), lo ha aumentato di (ripetiamo) 50mila soggetti.Se vi pare una buona idea… Confessiamo: siamo basiti e anche leggermente disgustati. È assurdo pensare che l’Italia sia in grado di salvarsi imitando (nel peggio) la Grecia. Ma tant’è. Ci tocca anche questa. Le statistiche dimostrano, comparando i nostri organici con quelli di altri Paesi più efficienti, che abbiamo più insegnanti rispetto agli altri europei e allora, non volendo rinunciare a questo deprimente primato, non ci lasciamo sfuggire l’occasione per reclutare nuovi maestri e nuovi professori, visto che qui, nella Penisola, nascono più docenti che discenti.

Da notare che scuola e università da noi costano più che altrove anche per altri motivi: nei vari istituti nazionali vi è un numero pazzesco di bidelli (superiore a quello dei carabinieri), i quali però da tempo non fanno i bidelli come una volta, cioè pulendo le aule, perché ciò non è dignitoso. Quindi che fanno? Guardano, sorvegliano, osservano che tutto sia in ordine. Alle pulizie provvedono aziende esterne ovviamente non gratis. Capito l’antifona? I tecnici della spending review, quelli che abbiamo messo lì affinché i conti pubblici venissero risanati, rilanciassero l’economia e favorissero la crescita, non trovano nulla di più intelligente che immettere personale in un settore dove ce n’è già troppo.E chi paga? Inutile dirlo: noi, attraverso il versamento delle tasse più alte del mondo, altro record di cui non c’è mica tanto da menar vanto. Ci si domanda: perché? E la risposta è una sola: è cominciata la campagna elettorale (che si basa sull’intramontabile principio del do ut des) e, probabilmente, i signori bocconiani e affini sperano che i neoassunti, per gratitudine, ricambieranno la cortesia di aver ricevuto un posto votando coloro che glielo hanno dato. Serve del pelo; il vizio non si è mai perso. Vittorio Feltri, Il Giornale, 26 agosto 2012

IN AUTUNNO CADRANNO LE FOGLIE E IL MITO TEDESCO, di Mario Sechi

Pubblicato il 26 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

Mi ha impressionato vedere l’espressione del viso del premier greco Antonin Samaras mentre Angela Merkel diceva che «Atene deve restare nell’Euro». Gli occhi di Samaras erano liquidi. Guardavano un orizzonte inesistente: quello della Grecia. Berlino non concede tempo. E quel cuor di leone di Hollande da Parigi si adegua. Il risultato lo vedremo presto: i greci non staranno a guardare la loro distruzione via panzer. Ripeto: quando il popolo ha fame, brucia la casa di chi lo affama. I tedeschi hanno già fatto i loro conti sull’uscita della Grecia dall’Eurozona, pensano di cavarsela bene lo stesso. Tengono sotto scacco l’Italia e la Spagna, possono far colare a picco il Partenone. E veniamo all’Italia, un Paese sovrano sulla carta, ma in realtà sotto il pieno controllo di Berlino. In autunno la crisi sarà più dura. I segnali ci sono tutti. La Fiat ha deciso di far slittare la produzione della nuova Punto, il settore dell’acciaio subirà ulteriori perdite dal rallentamento dell’Ilva, l’edilizia ha frenato bruscamente (occhio ai mutui), i tre grandi comparti (agricoltura, servizi e industria) boccheggiano. Dal primo trimestre del 2008 ad oggi l’Italia è impantanata. Il massimo risultato del Pil è stato un +1% nel maggio del 2010, poi è partita la musica di Profondo Rosso. E l’ascensore sì è portato giù il Paese. L’Italia ha un disperato bisogno di ritornare a produrre. E se è vero che è l’economia a fare l’economia, è altrettanto vero che il governo può fare alcune cose. Dovrebbe subito metter mano al Fisco, vero cuore del problema, ma in consiglio dei ministri sono diventati tutti blu dalla paura. Hanno guardato il bilancio e poi: «Cosa dirà l’Europa?». Così da Palazzo Chigi è venuto fuori un comunicato con l’immancabile parola: «rigore». E basta. Francamente, al posto del governo, io mi preoccuperei di cosa pensano gli italiani e non i tedeschi. Il Paese di questo passo finirà in una spirale depressiva. I numeri sono là, a disposizione di chiunque sappia metterli in fila senza costruirci sopra bischerate filosofiche. Dov’è il Pil? Punto. Stiamo sbagliando la cura. Così ammazziamo il paziente. E la colpa non è solo del governo senza visione politica. Ma dei partiti che se ne sono furbescamente lavati le mani. Hanno votato tutto quello che ha portato in Parlamento Monti, ma senza proporre niente di seriamente alternativo. D’altronde, il quadro è questo. Berlusconi è in Costa Smeralda a studiare una novità: il suo ritorno. Mentre Bersani è a Reggio Emilia, impegnato anima e cuore a dare del «fascista» a Grillo e ai suoi sostenitori. Servirà uno shock per svegliare tutti. E sta arrivando. Solo allora molleremo la Germania. In autunno cadranno le foglie. E il mito tedesco. E riprenderemo il nostro cammino, da italiani. Mario Sechi, Il Tempo, 26 agosto 2012

…………….Parole forti, quelle di Sechi, e dure, anzi durissime. Che condividiamo, prednendo atto che la  inziale cotta di Sechi per Monti s’è sciolta come neve al sole. Ci stupiva la tesi di Sechi secondo la quale quella di Monti era l’unica alternativa possibile. Ci fa piacere che abbia preso atto che quella di Monti non è stata mai una alertrnativa, ma solo una viua di fuga per i partiti dalle prooprie responsbailità e della politica in generale dal suo compito. Ora che il danno è stato fatto, con un  governo di tecnici che sempre più appaiono per quel che sono, cioè tanti dilettanti alla sbaraglio capaggiati da un lanzichenecco borioso quanto inconcludente, non sanno far di megli che arrovellarsi il cervello pervarare una legge elettorale che li costringa anche nell’immediato futuro, cioè dopo le elezioni, a riaffidarsi ai tecnici, cui imputare la colpa dell’affondamento della barchetta in cui si è trasformata la Nave Italia. In attesa di tempi migliori? No, in attesa che Dio faccia la sua parte. g.

NEIL ARMSTRONG, IL PRIMO UOMO SULLA LUNA, E’ MORTO A 82 ANNI.

Pubblicato il 26 agosto, 2012 in Cronaca | Nessun commento »

Neil Armstrong fotografato da Buzz Aldrin nell’Apollo 11 (fonte: NASA)

di Ugo Caltagirone

“Un vero eroe americano”. Così é stato definito Neil Armstrong, timido e tranquillo ingegnere dell’Ohio destinato però a diventare un eroe globale: il primo uomo a posare piede sulla luna, nell’ormai lontano 20 luglio 1969. Oggi Armstrong ha lasciato questa Terra, quella che commosso riuscì a contemplare dalla superficie lunare. Si è spento ad 82 anni per complicazioni cardiovascolari, in seguito ad una delicatissima operazione al cuore subita all’inizio di agosto. “Neil è stato uno dei più grandi eroi di tutti i tempi e ci ha insegnato l’enorme potere di un piccolo passo”, sono state le parole del presidente statunitense, Barack Obama, che insieme alla First Lady Michelle si è detto “profondamente colpito”.

La costernazione per la scomparsa del primo ‘moonwalker’ della storia coinvolge ogni angolo del mondo. Insieme a Edwin ‘Buzz’ Aldrin e Michael Collins quel giorno di 43 anni fa emozionò un’intera generazione. E le sue prime parole, appena toccato il suolo lunare, sono rimaste impresse nella memoria e nei libri di storia: “That’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind”, un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità. Si coronava il sogno del presidente americano John Fitzgerald Kennedy a cui, in piena guerra fredda, l’Unione Sovietica aveva lanciato il guanto di sfida anche sul fronte della corsa allo spazio, lanciando in orbita nel 1957 il satellite Sputnik.

Ora l’America aveva vinto. Il simbolo di questa vittoria era proprio Armstrong che, in quelle ore passate sulla Luna, insieme ad Aldrin raccolse reperti, scattò fotografie, fece esperimenti, gettando le basi per la futura esplorazione dello spazio. Dopo di loro altri dieci astronauti americani lasciarono le loro impronte sulla luna tra il 1969 e il 1972. Armstrong mostrò anche un enorme coraggio, lui che alcuni amici di infanzia ricordano come un giovane un po’ ‘nerdy’, imbranato: quando il computer del modulo lunare Eagle in fase di atterraggio fece le bizze, prese i comandi manuali e si rese protagonista di un atterraggio mozzafiato: “Houston, qui Base della Tranquillità. L’Aquila è atterrata”, disse alla fine della spericolata ma decisiva manovra, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo.

Anche ai milioni di telespettatori che in tutto il mondo seguirono – in bianco e nero – l’evento. Forse il primo grande evento mediatico globale della storia della televisione. Armstrong, nato in Ohio da genitori di origine tedesca, è rimasto schivo e poco avvezzo alle luci della ribalta anche dopo essere andato in pensione. Ha continuato a insegnare all’università e le sue apparizioni negli anni sono state sporadiche. Solo nel 2010 fece parlare di sé per essere per la prima volta intervenuto nel dibattito politico, criticando la politica spaziale dell’amministrazione Obama che, in tempi di crisi economica, aveva secondo lui indebolito il ruolo della Nasa promuovendo la corsa allo spazio da parte delle compagnie private. I problemi al cuore lo avevano costretto ai primi di agosto ad un delicato intervento per installare un bypass. Sembrava tutto fosse andato per il verso giusto, come la stessa moglie Carol aveva confermato. “Lo spirito pioneristico di Neil gli è stato utile in questo momento difficile”, erano state le parole del numero uno della Nasa, Charles Bolden. Ma stavolta Neil non ce l’ha fatta. E ora l’America, ma non solo, piange il suo eroe. Fonte Ansa, 26 agosto 2012

……………………Indimenticabile, per chi l’ha vissuta, incollato al piccolo monitor dei TV dell’epoca, rigorsamntne in bianco e nero, la notte tra il 20 e il 21 luglio del 1969, quando Neil Armstrong, comandante dell’astronave che “atterrò″  sulla Luna, tra i commenti del conduttore televisivo in studio a Roma,  Tito Stagno,  che litigava  con l’inviato della Rai ad Houston, Ruggero Orlando, che si contesero l’annuncio: l’uomo ha posato i piedi sulla luna. Ma le voci di entrambi furono sopraffatte da quella di Neil Armstrong che nitida e forte raggiunse tutto il mondo: un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità. L’emozione di allora, vissuta l’alba di jna nuova era, è uguale a quella che ci coglie tutti alla notizia della scomparsa del protagonista di qualla impareggiabile avventura. g.

DOPO NOVE ORE DI CONSIGLIO DEI MINISTRI, TANTE CHIACCHIERE E NESSUNA COSA SERIA: CHE FINE HA FATTO LA RIDUZIONE DELLE TASSE, PROMESSA DA PASSERA E DALLA FORNERO?

Pubblicato il 25 agosto, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Quando se ne è uscito da Palazzo Chigi e i giornalisti l’hanno preso d’assalto, il ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera si è subito affrettato a rassicurare le telecamere: “Con Vittorio Grilli abbiamo sempre trovato soluzioni per investimenti e spese che potevano creare crescita”.

Il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera

Perché Passera si sia preso il disturbo di smentire le voci sullo scontro col numero due del tesoro, è sin troppo chiaro. Le tensioni, durante il Consiglio dei ministri fiume di ieri, non sono certo mancate. A vincere – ancora una volta – è stato il premier Mario Monti che ha fatto piazza pulita delle proposte, lanciate in settimana al Meeting di Comunione e Liberazione, sia dal titolare dello Sviluppo economico sia dal ministro del Welfare Elsa Fornero. Nelle misure del governo non c’è infatti alcuna traccia della riduzione delle tasse.

Basta dare un’occhiata ai fiumi di inchiostro vergati dall’esecutivo al termine del vertice che apre la “fase due” per il rilancio del sistema Italia. O meglio, come fa notare una fonte governativa a Repubblica (leggi l’articolo), basta dare un’occhiata a quello che manca: “Forse sono politicamente più importanti le cose che non sono state scritte rispetto a quelle che ci sono”. Che fine ha fatto la promessa di ridurre le tasse? Il capitolo è pressocché assente. Eppure prima Passera, poi la Fornero avevavo assicurato, davanti alla platea ciellina di Rimini, che si sarebbero impegnati in tal senso. Se infatti il ministro del Welfare aveva anticipato che, in occasione del Consiglio dei ministri, avrebbe chiesto di “abbassare le tasse sul lavoro a parità di gettito”, Passera aveva proposto di utilizzare i proventi della lotta all’evasione per abbattere le tasse dei redditi più bassi. Abbiamo uno dei livelli di tassazione più alti del mondo – diceva Passera al Meeting – è una zavorra che dobbiamo correggere, bisogna trovare le risorse per il welfare e per ridurre le tasse ai cittadini onesti e alle imprese”. Che dire, poi, della proposta del viceministro alle Infrastrutture Mario Ciaccia di “sterilizzare l’Iva per i cantieri delle opere pubbliche”? Niente da fare.

Insomma, l’esecutivo che ha contribuito pesantemente a portare la pressione fiscale a livelli record (secondo la Confcommercio ha, infatti, toccato il 55%) non ha alcuna intenzione di mettere mano alle tasse. “La congiuntura economica internazionale sta peggiorando”, ha spiegato Grilli snocciolando i dati macro economici dei Paesi extra Ue. D’altra parte, persino la Germania è costretta a tirare i remi in barca. Per il momento il governo è al lavoro per riuscire a “cancellare definitivamente l’aumento dell’Iva” che, inizialmente, era previsto per ottobre. Secondo fonti vicine al dicastero di via XX Settembre, infatti, Grilli vorrebbe muoversi azionando due leve: da una parte la spending review per abbattere la spesa pubblica, dall’altra la lotta all’evasione per “aumentare la base imponibile”. Ma di ridurre le tasse ancora non se ne parla. Andrea Indini, Il Giornale, 25 agosto 2012

..…………….Lo “statista” Monti, così promosso da Buffalo Bill, cioè Bonanni, ancora una volta ha preso per i  fondelli tutti quanti. Aveva convocato il Consiglio dei Ministri per “passare” alla fase 2 (ma la fase uno chi l’ha vista, ad eccezione delle tasse?) ma dopo nove ore (un record, strillano i giornali allineati al regime9 di chiacchiere di fatti c0oncreti ne sono usciti pochi, forse nessuno. Del resto è la caratteristica di Monti che  10 mesi fa si proclamò salvatore della Patria e sopratutto dello spread e che dieci mesi dopo ha strangolato gli italiani con una valanga di tasse, vecchi e nuove, mentre lo spread viaggia costantemente a livelli di guardia (oggi, mentre scriviamo, è a quaota 436…), annunicare un giorno una cosa e il giorno dopo farne un’altra. Questa volta aveva annunciato di “vedere una luce in fondo al tunnel” e ieri, forse ancora intontito dal buio del tunnel che collega l’Italia alla sua amata Svizzera, della luce s’è persa traccia e di conseguenza di riduzione delle tasse non se parla più. Più che uno statista questo Mponti ci sembra uno strillone di giornali che annuncia i titoli imparati a memoria senza conoscere i dettagli. g.

L’ERRORE DEL PD: PRENOTARE PALAZZO CHIGI, di Mario Sechi

Pubblicato il 25 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

Il Pd vuol liquidare Monti. Bersani ha già prenotato Palazzo Chigi. I democratici sono convinti di vincere le elezioni. E si sbagliano. Al posto loro sarei stato molto cauto e non avrei mai sparato la pallottola d’argento per levare di mezzo qualsiasi ipotesi diversa da quella di un governo di centrosinistra. Il 2008, anno in cui Pdl e Pd si spartirono il 70 per cento della torta elettorale, appartiene al triassico, è pura archeologia politica. Sanno tutti che le percentuali di oggi sono lontanissime da quelle di ieri. I due partiti principali sono destinati a dimagrire di molti punti: inarrivabile il 38 per cento del Pdl, meta altrettanto impossibile il 33 per cento del Pd veltroniano. Ci sono almeno venti percentuali di voti in «libera uscita». Dove andranno? Una parte andrà a Grillo (che però porterà alle urne anche nuovi elettori, specialmente giovani), gli altri saranno letteralmente «polverizzati» tra il centro di Casini & Co. e liste di minimo taglio: il prossimo Parlamento sarà «balcanizzato». E non sarà un bello spettacolo. Certo, una legge elettorale con un alto sbarramento e un premio di maggioranza limiterebbe questo scenario, ma in ogni caso il voto di protesta avrà un impatto forte e, inoltre, i partiti devono ben considerare l’effetto che potrebbe avere sull’opinione pubblica una legge scritta solo ai fini dell’autoconservazione. Sappiamo che Bersani (non il suo alleato Casini) di Monti non ne vuole sapere. Ma il Pdl che fa? L’unica cosa che fa bene da un bel po’ di tempo: fa casino. Non essendo un partito, al suo interno ed esterno, sopra e sotto, davanti e dietro, la confusione regna senza essere neppure sovrana. Non riassumo il quadro delle acrobatiche posizioni espresse in queste settimane, alcune sono frutto di allucinazioni o,visto il clima, dei colpi di caldo. Di fronte a un futuro Parlamento-Arlecchino, Berlusconi può fare un ballo in maschera, esporre e nascondere la sua candidatura, ma è chiaro che ha una buona carta in mano, l’unica che può tenere in gioco un centrodestra che si è autorottamato pur avendo di fronte una sinistra di imbarazzante nullità. Un bis di Monti li salverà. I partiti, l’Italia no. Mario Sechi, Il Tempo, 25 agosto 2012

.………………Che peccato per il centrodestra. Appena 4 anni fa, era il 2008, riusciva lì dove a nessuno era mai stato possibile arrivare: realizzare un grande e unico contenitore di centrodestra (meno Casini, è vero, ma Casini di destra non è stato mai) e otteneva un risultto elettorale da prima repubblica, conquistando la maggioranza assoluta nel Parlamento, una maggioranza bulgarain entrambi rami del Parlamento,  con cui si sarebbe potuto e dovuto fare le riforme istituzionali e costituzionali, creare le premesse per trasformare il Paese la cui “vecchiaia” non è tanto o solo quella anagrafica, ad incominciare, per quest’ultima,  da quella della classe dirigente. Il sogno è durato poco, le promesse sono rimaste tali, il grande contenitore si è rivelato un secchio pieno di buchi da cui fuoriusciva tutto e io contrario di tutto. A quattro anni di distanza, un secolo per la politica italiana, il centrodestra non esiste più, una parte, addirittura, ci riferiamo a quella dell’ex postfascista Fini, è pronta ad allearsi, pur di soporavvivere, con la sinistra estrema che peraltro non la vuole, un’altra, l’erede del postfascimo, se ne va per proprio conto, l’ultima, quella apparentemente più consistente, come dice Sechi, fa solo casino, in preda a confusione e balbettii che hanno una sola cosa in comune: ciascuno pensa a se stesso  e  a salvarsi il sedere dalla più che probabile catastrofe elettorale che l’attende da qui a qualche mese. Che peccato! Per l’Italia! g.