GLI UOMINI CHE (NON) FECERO L’IMPRESA A 1 EURO, di Mario Sechi

Pubblicato il 23 agosto, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Aprire una società a responsabilità limitata con un euro di capitale. Bene. Bravi. Bis. E poi? Il governo prepara mirabolanti annunci sulla crescita. I tecnici sono passati dal peggiorismo (strumentale al loro arrivo) all’ottimismo senza realismo (anch’esso utile alla causa del provvisorio che in Italia diventa permanente). E dunque ecco improvvisamente che l’Italia esce dal tunnel e la crescita inizia a lievitare come la torta della nonna. Ho il sospetto che in consiglio dei ministri non sappiano come si costituisce e avvia un’azienda. Perché la domanda (e poi?) ha una risposta micidiale dalla realtà che tanti imprenditori vivono tutti i giorni.

E poi? i soci dell’impresa con un euro di capitale vanno in banca. Hanno sottobraccio un buon business plan, pensano di avere un mercato, il prodotto è interessante. Toc toc! Permesso? «Si accomodino, prego». Vorremmo chiedere un finanziamento e una linea di credito. «Siamo una banca, è il nostro mestiere. Che capitale ha la società?». Un euro. «Un euro?». Sa, c’è la nuova legge… «Ah, che sbadato. Avete beni personali da dare in garanzia?». No, siamo giovani, iniziamo adesso, abbiamo un’idea, crediamo nel futuro… «Il vostro progetto è ottimo, ma non concediamo credito a una società con un euro di capitale, nessuna garanzia e un mercato da scoprire. Mi dispiace, provate con qualche altra banca». Ne abbiamo già girate cinque…. «Arrivederci, e in bocca al lupo».

E poi? Nessuno finanzia l’idea. Oppure si parte, con i risparmi di famiglia, l’aiuto di un amico, ma la concorrenza è spietata, il mercato globale. E poi? Finisce il carburante, il denaro. E poi? Si chiude la baracca. Dove l’economia funziona, la selezione naturale la fa il mercato, in Italia ancor prima di aprire l’attività è la banca che ti sega le gambe. Sei povero? Resti povero perché ci sono i soldi per i ricchi ma non per i poveri con buone idee. E se ce la fai a tirar su la serranda, ci pensa il fisco a spegnere i sogni di gloria.

E poi? «Toc toc! Permesso?».

Sì, chi è?

«Siamo di Equitalia…». Mario Sechi, Il Tempo, 23 agosto 2012

……Il sarcasmo di Sechi nel deridere la burletta di Monti, quella dell’impresa costitita con un solo euro di capitale, è la fotografia della immensa str…ta fatta dai partiti allorchè si sono affidati a  Monti. Per dirla tutta, riprendendo una recetne battuta riportata dalla stampa, avrebbero fatto meglio ad afidarsi al mago Otelma. Di certo non avrebbe fatto peggio di Monti invocando gli spiriti e facendoci sorridere. Perchè il riso, almeno quello, fa buon sangue. g.

LE SOBRIE (SIC!) VACANZE DI MONTI IN SVIZZERA: AFFITTO DA 10 MILA EURO

Pubblicato il 23 agosto, 2012 in Costume, Cronaca | Nessun commento »

La famiglia Monti che passeggia, unita e serena, lungo il corso della ridente cittadina di montagna. I figli che giocano gioiosamente a palla coi nipoti.

La coppia presidenziale mano nella mano tra i campi. L’intero parentado riunito in un frugale pic nic. E nel prossimo numero, sono previste le foto della battaglia del grano, il Capo a torso nudo, mentre nuota, e sotto una gigantesca, autarchica M in marmo di Varese.

Mario, Mario, ti sorridono i Monti. E le gazzette ti fanno ciao. In una enfatica gara alla piaggeria che supera la stampa di regime di mussoliniana memoria, tutti i giornali italiani, con timidissime eccezioni, celebrano in ogni modo, ogni giorno, il nuovo premier, fin dalla sua (non) elezione. E ora, con un encomio inversamente proporzionale al calo del consenso, anche i rotocalchi più glamour e frou frou ambiscono a distinguersi per ossequio e adulazione. Riuscendoci benissimo, peraltro. Ultimi sobri scampoli di vacanza per il Caro Leader, nel suo buen retiro in Engadina con tutta la famiglia, e Vanity Fair – il corrispettivo cartaceo del Drive In di berlusconiana memoria – intona nel numero di questa settimana un’ode bucolica al divino Monti. E in un servizio a metà tra il cartone animato e le veline del Minculpop, regala al popolo italiano una inverosimile cartolina della operosa e frugale villeggiatura della esemplare famiglia presidenziale. Al tempo della democrazia vacante, le vacanze del democratico tecnocrate. Il Capo in sobria giacca da montagna in lana cotta, la first lady con sobrio maglioncino, immaginiamo non di cachemire, legato in vita, la figlia e il genero in sobrie letture impegnati, il secondo genito e la nuora con sobrio passeggino da campagna, i nipotini su sobrie biciclettine, immaginiamo di seconda mano.

Con un fiabesco reportage fotografico che tra vent’anni sarà studiato nelle facoltà di Comunicazione come esempio di propaganda giornalistica dell’era Monti, il settimanale più diffuso e popolare del Paese ci dimostra «come si può essere sobri anche nei luoghi più glamour», altro che bandane e barzellette piccanti: «Basta avere uno stile personale autentico». E con senso critico imparziale autentico, Vanity Fair racconta, a uso delle folle, l’immagine «più umana e meno cattedratica» del Professore in vacanza con tutta la famiglia. Dove? Ma in Engadina, la perla della Svizzera. Tanto amata dai filosofi, e dai banchieri.

Per dimostrare un forte attaccamento al Paese e alle sorti dell’economia nazionale, cosa di meglio che affittare una villa di due piani in Svizzera? E per la sobria somma di diecimila euro per pochi giorni? Del resto, si affretta a precisare il vanitoso, ma sobrio, foglio governativo, «da queste parti, dopotutto, un bilocale ne costa trentamila a settimana». Ah, beh… «In fondo, non si tratta di un castello… Nulla di esclusivo o riservato». Un vero affare, insomma, alla portata anche di un operaio dell’Ilva. È vero, Monti è un habitué, e – riferisce il settimanale – il padrone di casa gli ha fatto un bello sconto. Non si dice, però, se la Finanza svizzera, ammesso che esista, abbia effettuato un blitz per verificare l’emissione di regolare fattura.

Dallo scontino allo scontrino. Meglio non chiamare «furbetto» chi evade le tasse. Meglio non chiamare «vacanze» quelle che sono un «meritato riposo». Il Professore non dorme mai. Già stupiti di non apprendere che Monti abbia scelto come luogo di relax l’Hotel de Bilderberg, a Oosterbeek, con commossa partecipazione veniamo a sapere che nei giorni precedenti Ferragosto il premier è stato a Messa, che «ha fatto cose molto semplici: ha passeggiato intorno al lago con le lenti scure appoggiate agli occhiali da studio» (facciamo notare al giornalista che la sua collega che raccontò solo dei calzini azzurri di un giudice è stata sospesa dall’Ordine), che «si è divertito a guardare i nipoti che giocavano a calcio», che la mattina del 15 agosto è rimasto in casa – «A letto a riposare? No, a lavorare» – che «il massimo del colpo di testa è stata una passeggiata con la moglie in Val di Fex. Mano nella mano, come ragazzi». E poi, con i suoi famigliari, scortati da nove agenti su sobrie berline Volkswagen – non a caso la «macchina del popolo» – è stato accolto «a braccia aperte a una festa campestre privata, con tanto di tendone e tavolini da picnic lungo il ruscello». Essendo in Svizzera, ipotizziamo ci fosse anche Heidi con Fiocco di Neve. Polenta, salsiccia («in punta di forchetta») e simpatia. Chez Giuseppe Faina, presidente della Fondazione Milano per la Scala, che annovera tra i sostenitori banche, assicurazioni e grandi industrie «oltre a molti milanesi appassionati di lirica, come Monti e Signora, appunto». Mica come quei cafoni che si interessano solo delle partite del Milan e delle canzoni da crociera.

Si dice che quando Silvio Berlusconi invitò in Sardegna i coniugi Blair, la signora Cherie supplicò il marito di non farsi fotografare accanto all’allora premier italiano con bandana balneare. Probabilmente la Merkel, a parità di ritorno mediatico, pur essendo qui di casa, ha declinato l’invito a farsi vedere con Monti con la camicia a scacchi, zuava e zainetto in spalla. Del resto, come riferisce Velinity Fair, questa settimana per il Professore – l’Insonne della Bocconi – «è solo una pausa, un quarto d’ora accademico». E domani tornerà a tenerci la sua lezione. Purtroppo. Il Giornale, 23 agosto 2012

.………….E purtroppo per noi tutti, italiani, il ritorno di Monti si accompagnerà ad un altro nugolo di aumenti vertiginosi dei prezzi,. dalle tasse alla benzina. Ma perchè non se ne sta in Svizzera per un prolungato quanto sobrio riposo?

AL CAPO DELLA POLIZIA DIMEZZANO LO STIPENDIO: DA 55 MILA A 24 MILA EURO MENSILI, E LUI FA RICORSO

Pubblicato il 22 agosto, 2012 in Costume, Cronaca | Nessun commento »

Tempi di tagli in Italia, ma non proprio per tutti. Il decreto del presidente del Consiglio Mario Monti, quello con cui è stato fissato per legge che chi lavora per l’amministrazione pubblica non possa guadagnare di più del primo presidente della Corte di Cassazione (294mila euro l’anno), non è stato digerito da tutti. A guidare la fila dei ribelli ci sarebbeAntonio Manganelli: il capo della polizia, il manager pubblico più pagato d’Italia, avrebbe infatti presentato ricorso contro quel decreto che, di fatto, gli dimezza lo stipendio che oggi lo vede percepire qualcosa come 621mila euro all’anno.
La polemica del capo della polizia sulla notevole decurtazione della sua busta paga è solo la prima ufficiale, e non è da escludere che possa essere presto seguita da altre. La lista degli amministratori pubblici scontenti per questo nuovo (e improvviso) taglio, infatti, risulta essere molto lunga.

ecco alcuni funzionari di stato che rischiano di vedersi tagliato il loro magro stipendiuccio

1. Antonio Manganelli, capo della polizia: 621.253,75
2. Mario Canzio, ragioniere generale dello Stato: 562.331,86
3. Franco Ionta, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: 543.954,42
4. Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto del ministero dell’Economia: 536.906,98
5. Biagio Ambrate Abate, capo di stato maggiore della Difesa: 482.019,26
6. Raffaele Ferrara, direttore monopoli di Stato: 481.214,86
7. Giuseppe Valotto, capo di Stato maggiore esercito: 481.021,78
8. Bruno Branciforte, capo di Stato maggiore marina: 481.006,65
9. Giovanni Pitruzzella, Antitrust: 475.643,38 (gli altri componenti 396.379.00)
10. Pier Paolo Borboni, presidente Energia e gas: 475.643,00 (gli altri membri 396.379,00)
11. Corrado Calabrò, presidente Agcom: 475.634,38 (gli altri membri 396.369,44)
12. Leonardo Gallitelli, comandante dei carabinieri: 462.642,56
13. Giuseppe Bernardis, capo di Stato maggiore aeronautica: 460.052,83
14. Claudio De Bertolis, segretario generale Difesa: 451.072,44
15. Giampiero Massolo, segretario generale Affari esteri: 412.560,00
16. Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto ministero dell’Interno: 395.368,40
17. Giuseppe Vegas, presidente Consob: 387.000,00 (gli altri componenti 322.000,00)
18. Mauro Nori, direttore generale Inps: 377.214,86
19. Franco Gabrielli, capo della Protezione civile: 364.196,00
20. Cesare Patrone, direttore generale del corpo forestale: 362.422,13
21. Giuliano Quattrone, direttore generale Inps: 333.416,97
22. Massimo Pianese, direttore generale Inps: 322.841,14
23. Maria Grazia Sampietro, direttore generale Inps: 314.371,92
24. Gabriella Alemanno, direttore agenzia del territorio: 307.211
25. Giuseppe Baldino, direttore generale Inps: 306.548,79
26. Marco Di Capua, vicedirettore Agenzia delle entrate: 305.558,00
27. Attilio Befera, direttore Agenzia delle entrate: 304 mila
28. Nino Di Paola, comandante guardia di finanza (in pensione): 302.939,25 euro
29. Giuseppe Serino, capo dipartimento ministero Politiche agricole: 300.753,00
30. Enrico Giovannini, presidente dell’Istat: 300 mila
31. Giuseppe Ambrosio, direttore generale ministero Politiche agricole: 297.500,00
32. Daniela Becchini, direttore generale Inps: 296.208,91
33. Bruno Brattoli, capo dipartimento giustizia minorile: 293.029,60
…………..Poveraccio Manganelli…..come farà a campare con soli 24 mila  euro mensili visto che sinora gliene servivano 55 mila…e neanche ce la faceva ad arrivare a fine mese…? Ma come non si vergogna questo signore a lamentarsi di un taglio che comunque gli consente di percepire uno stipendio che è pari a circa 24 pensioni  medie  mensili di 24 operai italiani che hanno lavorato per 40 anni buttando il sangue e cogliendo gli obiettivi produttivi, cosa che non può certo dirsi del corpo che comanda questo Manganelli. E come non si vergognano tutti gli altri che percepiscono stipendi favolosi mentre milioni di cittadini percepiscono pensioni di fame con cui non ce la fanno neppure a pagare bollette e ricette? Ma davvero a costoro saranno tagliati gli stipendi? Ci crediamo poco. Magari sostituiranno i tagli con omoljmenti aggintivi , gettoni e consulenze varie. Cose che come si sa non si negano a nessuno della casta e sopratutto si possono facilemente nascondere. Anche al fisco. g.

I PARTITI SONO LE IDROVERE SUCCHIASOLDI DEGLI ITALIANI

Pubblicato il 22 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

Zero spese, superincassi. Se l’azienda Italia funzionasse come le tesorerie dei partiti, sarebbe imbattibile. I movimenti politici sono ricchi, sono passati attraverso varie crisi, hanno superato la bolla di internet, l’11 settembre 2001, lo sboom dei mutui subprime nel 2008, e continuano come idrovore a succhiare i soldi dei contribuenti in maniera diretta – con rimborsi elettorali che in realtà sono un finanziamento – e indiretta moltiplicando i centri di spesa e zavorrando i già agonizzanti conti pubblici. Con le leggi che si sono votati, hanno blindato il passato, il presente e anche il futuro. Se un cittadino fa un errore formale nella dichiarazione dei redditi, becca la multa, la perdita di tempo e rogne anche per il futuro dal Fisco. Ma i partiti questi problemi non li hanno. Come documenta la Corte dei Conti, possono tranquillamente infischiarsene delle proverbiali «pezze d’appoggio» per le loro spese. Non le presentano. Tanto il «rimborso» arriva lo stesso. Non mi piace l’antipolitica e ho sempre scritto che i partiti sono uno strumento necessario per la democrazia, ma è difficile non avere la tentazione di far tabula rasa di tutto questo di fronte a tanta arroganza e disprezzo per le regole. Funziona così e per ora non c’è niente da fare. Un paio di miliardi di euro se ne sono andati in fumo dal 1994 a oggi tra attività fatte e non fatte, documenti veri e falsi, emissioni di fatture ed omissioni di contabilità. Un fiume di denaro (oltre due miliardi di euro) che si riversava nelle casse dei partiti senza accurati controlli, ha prodotto tesorieri con il tesoro a spese nostre (Luigi Lusi), leader politici che si facevano sfilare la cassa sotto il naso (il gruppo dirigente de La Margherita), clan familiari che per pagarsi le spesucce di famiglia usavano il denaro del partito (casa Bossi docet) e via così. È un horror show della politica che non avrà fine finchè i soldi ce li metterà lo Stato. Se non devi faticare per ottenere i tuoi fondi dai cittadini, se non devi dimostrare di averli usati bene, il minimo che può capitare è che qualcuno arraffi il bottino e si dia a una vita allo champagne. Prendi i soldi e stappa. Mario Sechi, Il Tempo, 22 agosto 2012

.………..Queste considerazioni di Sechi sono state provocate dalle notizie che tutta la stampa ha diffuso intorno ai quattrini che i partiti incassano dallo Stato a man bassa, specie nelle Regioni che dovevano essere luoghi di decentramento politico e amministrativo e si sono trasformate in vere e prprie casseforti da cui i partiti attingono a più non posso. Tutte, di destra, di centtro e di sinistra, in questo antesignane rispetto al governo tecnico di Monti, il peggior professore di economia che si sia visto dai tempi di Adamo ed Eva, il quale, come è noto, è sostenuto da una grande coalizione che in verità è una banda di malviventi pronta a sostenere qulsiasi baggianata di Monti pur di salvare la propria parte di bottino. A proposito di Monti, quello che si è autoincensato come erede di De Gasperi a cui non può pulire neppure il sottotacco delle scarpe, invece di fare l’illusionista vedendo in fondio al tunnel una luce che non c’è, perchè non interviene con un bel decreto legge per porre fine alla grande abbufdfata dei partiti? Il perchè è semplice: se si permettesse di dire una sola parola,o,  peggio,  di fare un solo atto concreto, si troverebbe con due bei calcioni lì dove non batte il sole e in un lampo rispedito a fare lo scaldaseggio a Palzzo Madama. Ovviamente con 25 mila euro mensili sotto il cuscino. Giusto epr essere in linea con i ladri di cui non vede le ruberie.Ma per questo lo hanno messo lì. g.

IL PAESE DI MACHIAVELLI, NON QUELLO DI LUTERO, di Salvatore Merlo

Pubblicato il 10 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

In superficie tutto sembra andare per il meglio. Mario Monti flirta con Angelino Alfano e si complimenta con lui per il piano antidebito da 400 miliardi, mentre il Cavaliere tira le redini dei suoi troppi cavalli impetuosi, immagina una campagna elettorale quasi montiana e a Palazzo Grazioli fa risuonare una nuova musica, un nuovo nome e pure un nuovo simbolo per il vecchio Pdl: “Avanti Italia”, che significa una cosa sola cioè che la riscossa nazionale si conquista prima di tutto salvando i risparmi degli italiani. Anche Pier Luigi Bersani asseconda la stessa calma agostana, si fa intervistare dal Sole 24 Ore, rassicura Monti e il lord protettore Giorgio Napolitano: il Pd è per la continuità con l’agenda europea del governo tecnico, e la riforma della legge elettorale il Partito democratico la vuole fare per davvero. D’altra parte anche Bersani, almeno in pubblico, come Berlusconi, frena l’impeto dei suoi più giovani collaboratori e consiglieri come Stefano Fassina e Matteo Orfini che di “agenda Monti”, invece, non vorrebbero proprio più sentirne parlare. Dunque niente elezioni anticipate (a meno che non le voglia il Quirinale), niente porcellum, nessuna tentazione populista, addio Masaniello, nemmeno una scossetta, nessun tramestio. Tutti per Monti, tutti contro il debito, tutti per l’Italia. Forse.

“C’è un gioco di specchi che nasconde l’abisso”, dice spesso Pier Ferdinando Casini, che sulla continuità con Monti ha investito tutto fino a stracciare il Terzo polo. E si capisce bene che del Pd e del Pdl, dei suoi alleati nella strana maggioranza, questo scaltro leader democristiano e montista non si fida fino in fondo; così come nemmeno Bersani e Berlusconi in verità si fidano della sua furbizia. Casini è un esperto della materia, e dunque sa bene che quanto più il momento sembra politico, tanto più si avvicina invece al puro gioco di scommessa: i giocatori si osservano attraverso il tavolo italiano, gli occhi iniettati di potere. Così, sotto una distesa di calma apparente e balneare, tutto invece un po’ si muove, niente è definito, nulla è sedimentato né certo. Anzi si alimentano voci, si rincorrono pettegolezzi, si intrecciano i troppi fili di trame vere e verosimili, di rovesciamenti di fronte, di colpi di mano minacciati o solo temuti, persino immaginati, scatti improvvisi e febbrili, fantasia e verità.

Negli angoli bui del Nazareno, il loro quartier generale, i solidi socialdemocratici della segreteria di Bersani si danno di gomito e si fanno l’occhiolino quando il loro capo parla in pubblico della riforma elettorale, quando promette di cancellare l’odioso porcellum e forse dice esattamente il contrario di quello che pensa. Si danno di gomito, come dire: la gestiamo noi la riforma elettorale e potremmo anche non farla, se ci conviene. E lo stesso Casini, quando parlotta con Beppe Pisanu nello studio di Gianfranco Fini, quando telefona in segreto ai gerarchi in disarmo del berlusconismo, e quando dice che “sono io il partito di Monti” o quando spiega che “il vero partito dei moderati è il mio”, anche lui agita e spaventa il centrodestra non meno di quanto non faccia Bersani: e non c’è niente di più pericoloso per la stabilità come l’aggressione ai confini di un altro partito, la minaccia di “svuotare” il Pdl di Silvio Berlusconi. Tutto alimenta quelle secrezioni irrazionali che in queste ore trasudano dalla calma apparente del Palazzo e ne inquinano l’aria. Così la fiction politica, la fantascienza, si confonde con la realtà persino nella testa dei protagonisti, e quasi non si distingue più la vita dal sogno. Il solo sospetto che il mormorio possa celare anche una mezza verità o che si prepari una trappola nell’ombra, alimenta l’agitazione del Pdl già squinternato, che immagina contromisure, che teme di poter essere escluso dal prossimo governo, e che dunque si arrovella su quali leve possano essere azionate per respingere le oscure macchinazioni degli avversari.

“Se Monti dovesse dimettersi per andare alle elezioni anticipate, io andrei da Napolitano chiedendogli di essere reincaricato presidente del Consiglio. Gli direi che ho ancora la maggioranza”, ripete spesso Berlusconi ai suoi uomini più fidati, lasciandoli – talvolta – persino un po’ interdetti. E anche lui pratica lo stesso genere letterario, contorto e fantasioso, dei suoi avversari. Ma è l’effetto del pissi pissi di Palazzo, delle trame, degli imbrogli e dei bidoni che i leader temono, ma che pure vorrebbero scambiarsi reciprocamente: dietro ogni riforma offerta e dietro ogni trattativa si nasconde il sospetto di una patacca. E il sospetto è l’anticamera del disastro. Patacca chiama patacca. “Per il Pd il negoziato sulla legge elettorale si pone in questi termini: o noi del Pdl accettiamo la riforma che vogliono loro o ci teniamo il porcellum che per noi significa una débâcle elettorale”, dice il senatore Andrea Augello. Ed è un po’ vero, come sanno benissimo Denis Verdini e Maurizio Migliavacca e come sanno pure Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, i legati, gli ambasciatori di queste fragili trattative che per Casini si sono trasformate in “una sceneggiata napoletana”. Casini sa che tutto è possibile, l’irrazionalità non è cifra esclusiva dei soli mercati che si avvitano sulla crisi del debito, la teoria dei giochi non appartiene alla sola scienza economica: anche in politica le decisioni (o le intenzioni remote) di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte del rivale. E dunque mentre Bersani si lascia volentieri sospettare dai suoi alleati-avversari, mentre il segretario del Pd lascia che intorno a lui gravitino ogni genere di retropensieri, Berlusconi invece si attrezza per correre ai ripari; così Alfano corteggia la Lega, dice che un’alleanza è possibile, ma finisce pure incastrato da Roberto Maroni in una contraddizione matematica irrisolvibile: “Chi sta con noi non sta con Monti”, ha detto il leader della Lega. E il Pdl allora dove vuole stare?

“Monti è sereno. Io non so se ci saranno le elezioni anticipate, ma di sicuro questo è l’ultimo governo della legislatura”, dice Casini, che pure così allude con evidenza a prospettive vertiginose. Perché intanto a Palazzo Grazioli, a casa del Cavaliere, è cominciata un’operazione sotto copertura: recuperare la vecchia maggioranza. Pdl e Lega hanno ancora più senatori di tutti gli altri a Palazzo Madama, mentre alla Camera il vecchio asse del governo Berlusconi ha perso molti deputati. Ma ne basterebbero altri sette, gli uomini di Gianfranco Micciché (cui è stata promessa la Sicilia) e gli scontenti di Fli (in cerca di ricandidature), per garantirsi i numeri anche a Montecitorio. E la strategia di recupero, che si intreccia confusa con le patacche che il Pd vorrebbe rifilare al Pdl, ha un senso pur in questo illogico e pericoloso labirinto di specchi, in questo mercatino crepuscolare: riprendere la maggioranza alla Camera è un’arma deterrente, significa recuperare anche capacità negoziale, significa – pensano – “poter costringere il Pd ha trattare sul serio sulla riforma elettorale”. A brigante, brigante e mezzo.

Nulla in realtà ancora si muove davvero, ma nel Palazzo tutti sospettano di tutti, e tutti si esercitano nel disegnare scenari e nell’attribuire le più machiavelliche intenzioni all’avversario (che però – paradosso – è anche l’alleato). Persino le elezioni siciliane di ottobre sono un elemento di destabilizzazione possibile. Il centrodestra teme una sconfitta sonora, e dalle parti di Angelino Alfano sanno bene che qualora arrivasse una mazzata suonerebbe come un pericoloso liberi tutti. Ma c’è il Quirinale a fare da arbitro e c’è pur sempre una logica internazionale che precipita inesorabile: il prossimo governo ha già un suo programma obbligato e una sua composizione, la più larga possibile. Nessuno a Roma studia con rigore luterano il manuale dello sfascio totale, “how to break up the euro”. Forse si sentirà ancora sottotraccia il frastuono caotico degli orchestrali che provano gli strumenti ciascuno per conto suo, in assoluta e virulenta disarmonia. Ma alla fine – e lo si dice così, per istinto musicale più che per fondato ragionamento – tutto si ricomporrà in una coerente ouverture o sinfonia. Un dies irae è sempre possibile, ma sotto sotto nessuno in Italia lo cerca davvero. Salvatore Merlo, Il Foglio, 10 agosto 2012

RIPRENDIAMOCI LA SOVRANITA’: SOLO COSI’ SI PUO’ BATTERE LA CRISI, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 10 agosto, 2012 in Cultura, Politica | Nessun commento »

È possibile in questo fran­gente sospendere per un momento le cifre e gli indici, e tirar fuori un’idea politica?È possibile riporta­re al centro del discorso pubblico un linguaggio sconosciuto ai tecni­ci e agli eurocrati? Lo riassumo in una parola chiave che è cultura e prassi politica: sovranità.

Una paro­lacheèaffermazionediprincipio, ri­vendicazione di competenza e di re­sponsabilità, assegnazione di com­piti e azione conseguente. Non è un concetto astratto ma si esprime in vari ambiti reali dove si esercita il po­tere e il consenso, la vita e lo spazio pubblico. La sovranità non è solo il potere sugli uomini e sulle cose, è il riconoscimento, o l’invocazione, di un principio e di un atto che non si inscrive dentro il fluire ordinario delle cose, ma che lo sovrasta, s’in­nalza sopra l’accadere e dunque lo modifica. Sovrano non è chi segue la realtà ma chi la cambia, decide un altro corso. Il male principale della nostra epoca è la riduzione dei processistoricieumaniapuroauto­matismo: ovvero non si può fare che in questo modo, la tecnica o i bi­lanci hanno delle esigenze indero­gabili, matematiche, da cui non si può prescindere e tantomeno mo­dificare. Sovrano è colui che libera l’uomo dall’automa e lo restituisce alla responsabilità di decidere. Ca­liamo queste considerazioni nel­l’emergenza dei nostri giorni e nel­la convinzione ineluttabile che non si possa fare altro rispetto agli impe­rativi della finanza e della tecnica. La sovranità in questa fase si ribella al fatalismo della tecnica e della fi­nanza, non sottosta al suo diktat ma si pone appunto sopra e restituisce facoltà di decidere non solo le azio­ni ma anche le norme su cui fonda­re l’autonomia. Applichiamo così la sovranità ai diversi ambiti. Sovranità politica rispetto all’eco­nomia e ai mercati perché la politi­ca resta, nonostante tutto, il luogo in cui si rappresentano e si tutelano gli interessi generali e i principi con­divisi, il luogo in cui l’identità di un popolo si fa volontà di destino. La tecnica espleta le procedure, alla politicatoccaperòdeciderel’orien­tamento, la direzione, le priorità.

Sovranità nazionale per afferma­re l’importanza decisiva dell’unità, della sua tradizione e della sua di­gnità che non può essere umiliata e svendutadapoterianonimiesovra­nazionali, che rispondono solo ai propri obbiettivi privati. Anche nel­la prospettiva europea non si può saltare, per esempio col fiscal com­pact, il gradino della sovranità na­zionale. È possibile integrare nel contesto europeo le sovranità nai­zonale, nondis-integrarle. Sovrani­tà pop­olare perché non si può calpe­starelavolontàdiunpopoloespres­sa dalla sua maggioranza subordi­nando un paese alle oligarchie fi­nanziarieetecnocratiche, burocra­tiche e giudiziarie, ideologiche e mediatiche. Nessuna deificazione della democrazia e delle maggio­ranze, conosciamo bene i suoi limi­ti e le sue storture, ma resta prima­rio l’ancoraggio al sentire comune. Sovranità monetaria perché un paese resta sovrano se dispone del­lasuamoneta, seèingradodigover­narla e non di esserne succube, se non è strozzato dagli imperativi fi­nanziari o dalle ingiunzioni delle agenzie di rating.La moneta dev’es­sere al servizio dei cittadini, e non il contrario. Sovranità linguistica, nel senso che in Italia la lingua sovrana resta l’italiano. Va incoraggiato il bilin­guismo, ammiratiipoliglotti, vadif­fuso l’inglese, tutelati i dialetti, ma l’italiano va difeso e promosso per­ché è il segno vivente e parlante del­la nostra identità e insieme è una delle lingue più nobili e gloriose al mondo.

Infine sovranità statuale perché uno Stato non può fallire ed elemo­sinare aiuti dalle banche, la nostra economia reale è solida, le nostre ri­serve aure­e sono rilevanti e le fami­glie italiane dispongono di beni rea­li come le case.

Non può lo Stato ab­dicare in favore dei mercati, delle banche o di poteri per definizione ir­responsabili nel senso che non ri­spondono a nessuno.

La sovranità infine ha bisogno di simboli di continuità e di identifica­zione. Per rendere vivente e non so­lo vigente la tradizione di un popo­lo, sorse la monarchia che dà un no­me, un volto e una storia regale alla sovranità. Incarnando la sovranità in una persona e non in un potere impersonale, si umanizza il potere e si stabilisce il principio che la so­vranità debba essere esercitata e fi­nalizzata all’umano e non ad altri paradigmi tecnici, normativi o fi­nanziari. Nella storia, la monarchia si espresse nella duplice versione di assoluta o costituzionale; oggi nelle due versioni di ereditaria ed eletti­va, ovvero dinastica o presidenzia­le. L’investitura ereditaria viene temperatadalruolo, percuiilsovra­no regna ma non governa; la regali­tà elettiva, invece, è a tempo, ma vie­ne rafforzata dalla possibilità di esercitarelasuasovranitàpurbilan­ciata e vigilata da altri poteri. La decisione sovrana spetta a chi rappresenta la costellazione delle sovranità prima indicate, e ne ha la piena responsabilità di cosa fa e di come lo fa. La crisi si fronteggia con la sovranità, che implica la parteci­pazione del popolo sovrano e la de­cisione di chi è stato eletto per gui­darlo. Rispetto a questa domanda di sovranità, il governo dei tecnici è estraneo e la politica presente è ina­deguata. Sono buone ragioni per nutrire sfiducia ma non sono ragio­ni­sufficientiperrimuoverel’urgen­za di ripristinare la sovranità. La ri­fondazione della polis riparte dalla sovranità. Marcello Veneziani, 10 agosto 2012

.………..Un saggio breve, questo di Marcello Veneziani, intellettuale di Destra, uno dei pochi che non ha mai provato vergogna a definirsi di Destra, ma lucido ed estremamente chiaro nella sua concisa sintesi della realtà che sta vivendo l’Italia e insieme all’Italia la gran parte delle Nazioni dell’Eurozona. Costretti da una folle scelta di promuovere la unità monetaria senza la necessaria e preventiva unità politica, i popoli dell’Eurozona sono ora vittime delo strapotere da una parte della Germania, irriconoscente (ma la gratitudine in politica, sotto ogni latitutide, è merce assai rara se non del tutto latitante!) verso i popoli e le Nazioni che poco più di 20 anni fa parteciaprono, commossi ed entusiasti, alla ricostruzione della Germania finalmente riunificata, e dall’altra  dei cosiddetti mercati, dei cosiddetit poteri forti, e, sopratutto, come rileva lucidamente Veneziani, dalla mancanza di sovranità. Occorre che L’Italia e ciascun Paese dell’Eurozona riconquistino ciascuno la propria sovranità, politica, economica, sociale,  perchè possano contrapporre alla crisi e allo strapotere dei mercati, che se ne infischiano delle regole, la volontà di battere l’una e gli altri. E, rileva Veneziani, per far questo occorre restituire alla politica il primato che le compete nelle scelte e nelle decisioni, supportate dalla volontà del popolo che  nelle democrazie è sovrano. Condividiamo l’analisi lucida e crretta di Veneziani, dubitiamo che coloro ai quali il messaggio è rivolto abbiano voglia e soprattuto capacità di coglierlo. g.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI PARTITI, di Giuseppe Sanzotta

Pubblicato il 7 agosto, 2012 in Politica | Nessun commento »

Fra otto mesi gli italiani saranno chiamati a scegliere il nuovo Parlamento. Ma ancora non sanno tra quali coalizioni dovranno scegliere, quali programmi e con che sistema elettorale. Parlare di incertezza è quasi il minimo. Se ne sono accorte le agenzie di rating che evidenziano proprio questa come una delle debolezze del Paese. Stabili rimangono la rissosità, le polemiche, la difesa corporativa dei privilegi. Ma soprattutto l’assoluta inconsistenza e incapacità di affrontare i problemi che dovrebbero essere di competenza dei partiti. Verrebbe voglia di dire che grazie al cielo c’è un governo che, bene o male, i provvedimenti li prende, li porta in Parlamento, in qualche modo costringe a votarli. A guidare l’Italia c’è l’anomalia di un governo tecnico. Ci sono i professori non eletti da nessuno, capaci di misure impopolari, molte indispensabili, alcune giuste, altre meno. Se non ci fossero stati loro? Per ritornare alla normalità nel 2013 saranno i cittadini a scegliere da chi farsi governare. E qui arrivano i problemi. Dopo mesi di discussione non sappiamo nemmeno con quale legge elettorale andremo alle urne. Il Porcellum apparentemente non piace a nessuno. Si discute da mesi su come cambiarlo, ma ognuno resta fermo alle posizioni di partenza. C’è chi vorrebbe le preferenze, chi un ritorno al maggioritario, chi un proporzionale puro, chi uno sbarramento più alto. Poi ci sono i fan del doppio turno alla francese. In molti guardano anche al sistema tedesco, a quello spagnolo. Per non parlare delle riforme costituzionali; le commissioni che se ne occupano sono peggio dei cantieri della Salerno-Reggio Calabria, perennemente al lavoro ma senza risultati importanti. Sono 30 anni che si parla di riforme, ed è stato fatto pochissimo. Torniamo alla legge elettorale. A otto mesi dalle urne non sarebbe opportuno sapere, almeno a grandi linee, con quale sistema andremo a votare? Sarebbe opportuno anche perché può aiutare a definire le coalizioni, le aggregazioni. Invece è tutto in alto mare. Con il sospetto che il Porcellum non dispiaccia poi tanto alle segreterie che possono decidere gli eletti, o meglio dire i nominati perché non scelti dagli elettori. Alla fine, tanto per salvare la faccia, si farà qualche aggiustamento rinviando alla prossima legislatura un esame più approfondito, in coincidenza con una stagione di riforme. Parole, promesse. Tutto per prendere tempo, come è stato in passato. E così è in atto di fatto una campagna elettorale, piccola piccola, basata su polemiche personali, su ripicche, su battaglie di principio. Si litiga e ci insulta sui matrimoni gay, ma nessuno che discuta e magari litighi anche su come rilanciare l’economia, abbattere il debito, creare lavoro, confrontarsi con l’Europa, facilitare le aziende, sburocratizzare il nostro sistema, ridurre gli sprechi. E tra otto mesi che faranno? Chi lo sa. Partiamo dalla sinistra. Il Pd, dimenticata Vasto, ha abbandonato Di Pietro che si è trasformato in giovane esploratore per seguire le tracce di Grillo. Vendola, il sognatore, temendo un brusco risveglio è andato a Canossa (Bersani). Si è convertitò a metà temendo che il Pd guardi a Casini. E se, per miracolo, Bersani, Vendola e Casini dovessero trovare un’intesa potrebbero vincere. Ma chi governa? E come? Il Centro non esiste più, Casini è come una bella dama corteggiata. Guarda alla Sinistra, ma vorrebbe che non fosse tanto di Sinistra. Fini e Rutelli, sono come i brutti anatroccoli. Nessuno li cerca più. E da soli non vanno da nessuna parte. A Destra c’è il grande cantiere del Pdl. Sarà Berlusconi il candidato premier? E il rinnovamento? E le primarie sbandierate e poi abbandonate? Pensare a un nuovo miracolo del Cavaliere è troppo anche per i suoi fedelissimi. I sondaggi dovrebbero mettere in allarme. Inoltre con chi fare alleanze? Con la Lega? A parte che non basterebbe per vincere le elezioni, poi i lumbard cosa sono? Cosa rappresentano? Dopo aver predicato Roma ladrona si è scoperto che avrebbero dovuto guardare in casa propria. La realtà è che siamo in campagna elettorale, ma in ordine sparso. C’è solo la rissa, non le aggregazioni, non i programmi. Così, forse, si capisce, se, nonostante le stangate e le proteste, questo governo mantiene ancora un discreto consenso. Ora c’è Monti, gli italiani hanno imparato a conoscerlo sia nel bene che nel male. Ma dopo? Sicuramente non potremo permetterci di essere guidati da partiti rissosi e inconcludenti. Hanno poco tempo per dimostrare di non essere tali. Il Tempo, 7 agosto 2012

.………….Non hanno alcuna voglia, i partiti, di dimostrare di essere diversi da quel che sono. Perchè dovrebbero? Sanno, nella loro arroganza e nella loro brutale supponenza, che l’Italia non ha nè colonnelli, nè caporali, in grado di fare o anche solo pensare di fare una bella rivoluzione. E sanno anche che gli italiani, quelli ai quali il signor Monti vorrebbe cambiare la mentalità, la propria non la cambieranno mai. Mugugano, protestano, si arrabbiano,  e infine……. si arrangiano, alla faccia di Monti e anche di Befera. Per cui quel che teme l’autore del sopra riportato articolo apparso oggi sul Tempo, puntualmente si avvererà. Cioè, dopo tanto parlare a far finta di litigare, tutti proclamandosi fieri avversari del porcellum, si voterà proprio con il porcellum che fa comodo a tutti. Ai probabili vincitori per assicurarsi che i propri ascari di complemento  (con tutto il rispetto  per gli ascari veri, quelli che durante l’effimero impero italiano in Africa, servirono con onore e fedeltà la bandiera italiana) in Parlamento saranno, appunto, fedeli e, sopratutto, silenti, e ai probabili sconfitti i quali nominado in Parlamento l’elitè impedirà che la sconfitta coniugata al tempo dia l’occaisione per un reale rinnovamento nel Paese di una Destra nuova e coesa. g.

P.S. Se pure alla fine di questa squallida giostra di parole si desse luogo ad una qualche rivisitazione del porcellum questa sarebbe peggio del porcellum stesso. Infatti la proposta su cui si dice che PDL e PD si troverebbeor d’accordo prevederebbe la elezione di un terzo dei parlamentari con liste bloccate (quindi con un porcellum in forma ridotta) e gli altri due terzi eletti in mini collegi nei quali i candidati dei diversi schieramenti li sceglierebbero i partiti…quindi se non è zuppa è pan bagnato! g.

I PALLONI GONFIATI DEL 1929 E QUELLI DI OGGI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 luglio, 2012 in Economia, Politica | Nessun commento »

Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: “Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929″. Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati.

Quelli che abitano il Palazzo mi sembrano sempre più dei marziani. La crisi galoppa, la finanza sta spolpando quel che resta della sovranità degli Stati, l’economia reale dell’Europa dà segni lampanti di crac ma i partitanti sono concentrati sulle elezioni anticipate, cioè sul come far finta di staccare la spina a Monti sapendo che non ci sono alternative al professore. Si possono usare tutte le formule alchemiche, ma i fatti sono più forti di qualsiasi visione: l’Italia ha votato un Patto di bilancio europeo che prevede l’abbattimento del rapporto debito/pil al 60%, ha vincolato per l’eternità i governi al pareggio di bilancio e ha la pressione fiscale più alta del mondo. Un sistema dei partiti in caduta libera, in grave crisi di credibilità, senza leader che abbiano l’autorevolezza per convincere gli italiani che la vita a debito è finita, in queste condizioni dovrebbe fare altro. Per esempio pensare alla Fiat che potrebbe decidere di spostare all’estero la sua produzione e chiudere i conti con un Paese che non ha una politica industriale, come ha spiegato bene sul Sole 24Ore l’altro ieri l’ingegner Carlo De Benedetti. Oppure potrebbe dare una mano al ministro dello Sviluppo Passera che è molto loquace, ci parla del futuro ma è a corto di idee sul presente in cui vive. Invece no, l’agenda parlamentare è satura di imperdibili discussioni sul voto anticipato e improbabilissime riforme presidenzialiste. Avanti così, l’iceberg è all’orizzonte. Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: «Nell’autunno del 1929 gli americani più potenti si rivelarono, per un attimo, esseri umani. Come la maggioranza degli uomini il più delle volte, fecero cose molto stupide. In genere, quanto maggiore era la fame di onniscienza prima goduta, quanto più serena la precedente idiozia, tanto più grande fu la stupidità ora messa in luce. Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929». Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati. Sono quelli che si perdono in polemiche da quattro soldi (solitamente i loro) mentre nel mondo accadono cose che scombinano le nostre vite. Mi ha colpito il presidente onorario di Citigroup, Sandy Weill, che ieri ha detto chiaramente che bisogna separare l’ investment banking dal banking. Chi specula con la finanza fa un mestiere diverso da chi prende i depositi e poi li impiega per le imprese e le famiglie. Sono attività inconciliabili. E anche in Italia sono confuse e pericolose, intrecciate e tossiche. Servono la speculazione, non l’economia reale. Le mega banche vanno smontate. Se ne occupa qualcuno in Parlamento? O vogliamo andare avanti sognando le elezioni anticipate con l’orchestrina che suona sul ponte del Titanic? Mario Sechi, Il Tempo, 27 luglio 2012

ROSSELLA URRU, OVVERO UN ALTRO “SPRECO” ALL’ITALIANA

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Cronaca | Nessun commento »

la sig.na urru, come tanti suoi coetanei, vive un senso di colpa esistenziale verso i poveri e ce l’ha col mondo intero perche’ lei sta bene e altri no. e cosi’ decide di salvare il mondo e cosa fa? se ne va in un campo profughi del sud algeria, posto infestato da bande criminali e malfattori di ogni risma. per questo suo capriccio, l’italia ha dovuto pagare 10 milioni di euro a terroristi di al-quaeda, oltre ad impiegare altri svariati milioni per sostenere l’operazione e l’apparato di intelligence. cara rossella, bastava che voltavi l’angolo di casa tua, stesso nel tuo paese, e avresti trovato migliaia di poveri da assistere e aiutare e avresti comunque “salvato” il mondo, senza combinare tutto questo casino.

..un capriccio costato allo stato italiano tra i 15 e i 20 milioni di euro….soldi che potevano essere impiegati per aiutare i poveri e gli affamati qui in italia. rossella urru, poi, ha dichiarato: <<ringrazio tutti quelli che hanno sostenuto la mia famiglia e la liberazione. ora voglio continuare il mio lavoro.>> vuoi continuare il tuo lavoro!? eh gia’…se ti rapiscono di nuovo, pagano i contribuenti italiani il tuo riscatto.
ma cara rossella, non possiamo sostenere con i nostri soldi i tuoi capricci…
liberateci dalla urru!!!

….Da www.dagospia.it

.……..ed ha anche il coraggio di dire che non vede l’ora di tornare laggiù…ma se ne stia a casa e aiuti i poveri, i derelitti, gli strangolati dalle tasse che sono servite per pagare i suoi capricci. A proposito, Monti invece di fare il cascamorto all’rrivo della urru, avrebbe fatto meglio ad occuparsi dello spread che cavalca come un cavallo al gran premio di tordivalle. g.

LA FINE INGLORIOSA DI FINI, SERIAL KILLER DELLA DESTRA CHE HA AFFOSSATO TRE PARTITI

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

Missione compiuta, o quasi. John Francis Ends, il noto serial killer della Destra italiana, come ha scritto il Corriere della Sera del 1° luglio, è “pronto a sciogliere il Fli” dopo aver constatato, aggiustandosi la cravatta, che “alle amministrative abbiamo dimostrato la nostra marginalità e in certi casi ininfluenza”. E quindi dopo il Msi e dopo An, nel terzo episodio di questo film dell’orrore lungo diciassette anni, ecco ormai il terzo cadavere lasciato alle spalle, il Fli.
Per la verità, Mr. Ends, al secolo Gianfranco Fini, avrebbe detto: “Alle amministrative avete dimostrato marginalità e ininfluenza”, perché io, da presidente della Camera e quindi super partes, non ho partecipato alla campagna elettorale, quindi, va sottinteso, colpe non ne ho. Così riferisce chi ha partecipato alla riunione. Che si è svolta in un luogo quanto mai opportuno per gente di buon gusto come i finistei: all’appena inaugurato Eataly, “neotempio dei gourmet romani” dove, relaziona sempre l’autorevole Corriere, “all’ultimo piano del megacentro, dopo aver superato fritti e mozzarelle di bufala, culatelli di Zibello e piadine, ecco l’Assemblea nazionale” dei futuristi in libertà, dove il presidente del partito ha detto la sua. Insomma, l’ultima bufala doc.

Tra un “in un certo qual modo” e un appuntarsi a spuntarsi i bottoni della giacchetta, Fini ha per la verità anche detto che “non siamo un partito in liquidazione”, ma nessuno gli ha creduto anche perché molti dei suoi sono occupati a dilaniarsi fra loro (per esempio Filippo Rossi ha chiesto che Fabio Granata sia espulso dal partito “per indegnità”). L’avventura politica di questo sessantenne è dunque giunta al Finis? Non lo si può sapere, ma di certo vi è giunto tutto un mondo umano e culturale che egli ha purtroppo rappresentato e trascinato nelle sue sciagurate performance. Guardandosi alle spalle ha lasciato soltanto macerie.
Macerie e tabula rasa di un mondo che bene o male aveva retto per mezzo secolo. Perché il risultato, dall’epoca dello scontro con Rutelli per Roma (1993), all’ingresso nel primo governo Berlusconi (1994) e il lavacro di Fiuggi (1995), con il progressivo abbandono delle posizioni che avevano caratterizzato la Destra italiana da sempre, è stata la sua pressoché totale rottamazione. Perché a forza di aver paura del passato e dei suo simboli (qualcuno ricorda la mitica “coccinella”?!), ripudiandolo nella maniera più rozza, a forza di voler entrare nei cosiddetti “salotti buoni”, a forza di adeguarsi nel modo più piatto al “politicamente corretto”, a forza di “strappi” su tutti i piani senza proporre altra alternativa se non posizioni assolutamente ridicole per voler puntare al Centro, oggi la Destra non c’è più.
Addirittura il tentativo del cosiddetto Terzo polo, nell’assemblea del 30 giugno, è stato clamorosamente sconfessato e anche con parole dure. Esso, ha detto con parole oracolari Fini, gesticolando secondo suo costume, “è stato concepito come una somma di entità, uno stare insieme per disperazione”. Perdinci, una somma di disperati! Anch’esso dunque nella polvere. Un record assoluto: dove il presidente della Camera pone mano compie disastri. Un Re Mida alla rovescia.

Il peggiore, il maggiore, è di aver distrutto la Destra, senza aver costruito assolutamente nulla. Un sessantenne con un grande avvenire alle spalle. E tutti quelli che avevano creduto nelle sue parole? In questi vent’anni, quelli che non vi avevano creduto sono stati emarginati, grazie anche a coloro i quali a livello locale e soprattutto negli assessorati alla Cultura di paesi, città, province e regioni, hanno pensato bene di nascondere e dimenticare cosa era una cultura non conforme e non di sinistra. Vent’anni di semi-oblio hanno prodotto il risultato attuale: il Nulla. Sicché, in mano ai Tecnocrati cosa è possibile fare? Se non si riesce a fare qualcosa, di un mondo umano e culturale, oltre che politico, non resterà nemmeno il ricordo. di Gianfranco de Turris, 21 LUGLIO 2012