BERLUSCONI SCENDE SUL CAMPO MINATO, di Mario Sechi

Pubblicato il 12 luglio, 2012 in Politica | Nessun commento »

Ha giurato di non ritornare a fare il candidato premier e in realtà ci sta lavorando. Silvio Berlusconi di professione continua a fare lo spiazzista. I suoi avversari se lo ritroveranno in mezzo al guado per Palazzo Chigi, ma stavolta anche il suo partito avrà il problema del leader che non vuol mollare la presa. Il tema ha precedenti storici illustri: il generale De Gaulle e i gollisti, la Thatcher e i tories, la saga dei Kennedy e i democratici, la famiglia Bush e i repubblicani. Con una differenza: in quei casi, il sistema democratico ha vinto le resistenze dei leader e prodotto la successione. Dalla nomina di Alfano ad oggi, si è sprecato un anno senza creare un’alternativa. I sondaggi del Pdl con Angelino candidato non sono buoni, per cui Berlusconi usa le vie brevi: ci riprova lui, nella speranza di mobilitare un blocco di elettori che sta alla finestra. Invece di scegliere la via logica e virtuosa delle elezioni primarie, invece di aprirsi all’imprevisto, cioè alla nascita di un nuovo leader «dal basso», il Cavaliere rilancia se stesso. Gli conviene? Ho i miei dubbi. E provo a spiegare perché. In realtà questa mossa moltiplica il fattore motivazione a sinistra: un Pd che non cresce nei sondaggi, ritroverà slancio perché riappare il suo avversario di sempre, la figura che fino a ieri ne aveva giustificato l’esistenza. Gli elettori di sinistra che si sentivano in libera uscita verso Grillo torneranno a casa per votare contro il «mostro». Altre conseguenze : la macchina giudiziaria – ora in standby – si rimetterà in moto a pieno regime, mentre i mercati cominceranno ad assestare colpi di spread sull’incerta governance dell’Italia, danneggiando Monti. Con Berlusconi di nuovo nell’arena, inoltre, la tentazione di votare con l’attuale legge elettorale per Bersani e soci diventerà un’opzione concreta: con l’alleanza di Vasto, infatti, gli anti- resuscitati dal ritorno del Cav hanno i numeri per governare sia la Camera che il Senato. Dulcis in fundo, Casini, avrà una formidabile motivazione per allearsi anche con una forza politica culturalmente distante. Può darsi che Berlusconi abbia valutato questi fattori, ma resta la domanda chiave: si candida per fare cosa? Vuole tornare in pista nel 2013 pensando di giocare la partita del governo di larghe intese con Monti che fa il bis? Vuole contaminare il “montismo” con una politica pragmatica e seria come quella proposta da Giuliano Ferrara? O con le proteste fiscali (flop) di Daniela Santanchè? E la classe dirigente del Pdl che fa? Sta a guardare cosa decide il capo o mette qualche idea sul tavolo della politica? Senza risposte chiare, il Pdl nel 2013 rischia di confinarsi nell’ombra di un’opposizione senza idee, confusa e senza numeri. Mario Sechi, Il Tempo, 12 luglio 2012

.……………Sopratutto senza numeri, come è accaduto un pò ovunque in Italia alle scorse amministrative, con l’  ex grande partito di centrodestra, il PDL,  costretto a fare il figurante sulla scena della politica dove la faceva da padrone un guitto come Grillo. Ma quel che è peggio è che questo ex grande partito è senza idee e  quelle poche che ha,  sono,  ome dice Sechi, abbastanza confuse. La prova è la Gazzetta del Mezzogiorno di questa mattina, che nelle pagine regionali pubblica la opinione dei big del PDL di Puglia sulla ridiscesa in campo di Berlusconi: ce ne fosse stato uno che abbia dissentito …tutti, ma proprio tutti a dirsi più che felici dell’annuncio, e a dichiararsi convinti che questa ridiscesa in campo è la mossa giusta per riprendere fiato e…voti. Eppure, pochi giorni fa, l’ex ministro Fitto, a cui si rifannotutti  i big pugliersi del PDL, salvo qualcuno,  intervistato (prima che Berlusconi  annunziasse il ritorno in campo) sulle primarie per scegliere il  candidato premier del PLD, si diceva più che convinto della opportunità di questo percorso, precisando che Berlusconi avrebbe dovuto svolgere nel futuro il ruolo del “padre nobile” , lasciando ad Alfano o a chiunque altro fosse stato scelto dalla base come leader,  il ruolo di primo attore. Ha cambiato idea Fitto? Non è dato sapere, ma nel frattempo i tanti suoi sottoposti   si sono affrettati a dirsi più che felici del nuovo (vecchio) corso del PDL. Magari in attesa di qualche nuovo colpo di scena, o, come avrebbe chiosato l’indimenticato Govannino Guareschi, : “contrordine compagni……”. g.

L’EREDITA’ DEGLI IGNAVI, di Mario Sechi

Pubblicato il 10 luglio, 2012 in Politica | Nessun commento »

Quando il passato metterà la giusta distanza con il presente, questa stagione italiana verrà raccontata dagli storici come l’era degli ignavi. Chi sono? Nel terzo canto della Divina Commedia Dante li piazza nell’Antinferno e sulla riva del fiume Acheronte, il luogo dove sono punite le anime «sanza ’nfamia e sanza lodo», quelli che in vita non hanno scelto né il bene né il male, scacciati dal Cielo perché ne offuscherebbero lo splendore, rifiutati dall’Inferno perché non hanno avuto neppure il coraggio di abbracciare il male: anime senza la speranza di morire. Il Parlamento corre sulla via degli ignavi, ma a differenza di Dante, che nel suo viaggio con Virgilio, udendo il loro lamento, si mise a piangere, noi non verseremo neppure una lacrima. Un Parlamento che dichiara in coro di voler fare la legge elettorale e dopo mesi non ha prodotto nient’altro che un fastidioso ronzìo di voci, merita di finire come gli ignavi. Mancano pochi mesi alla campagna elettorale e né a destra né a sinistra traspare la volontà di restituire lo scettro al popolo. Il Pdl ha ancorato – sbagliando – la riforma della legge elettorale a un’utopistica revisione della Costituzione in senso presidenziale, il Pd fa i suoi calcoli da partito con la vittoria in tasca ma il governo in forse. Il risultato è una palude su cui il Presidente della Repubblica ha lanciato ieri un sasso. L’ultima parte del settennato di Giorgio Napolitano somiglia sempre più a quella di Francesco Cossiga che aveva avvertito lo sfacelo del Palazzo prima che scoppiasse Tangentopoli e in un drammatico messaggio alle Camere chiese – inascoltato – le riforme. Vent’anni dopo, siamo punto e a capo. La lettera spedita dal Quirinale ai presidenti delle Camere è l’urlo di un uomo di Stato che vede il pericolo alle porte: la minaccia di un voto irrazionale e distruttivo, l’Armageddon della politica e l’apertura di una stagione di caos istituzionale. Invece di interrogarsi su «cosa ha in testa Napolitano» i partiti dovrebbero cogliere l’ultima possibilità che hanno per riprendere il cammino verso la democrazia. Senza una nuova legge elettorale che dia al cittadino la possibilità di scegliere i suoi candidati non ci sarà alcun futuro. I sondaggi parlano chiaro: c’è un partito anti-tutto (il Movimento 5Stelle) destinato a raccogliere vasti consensi e in mezzo l’incertezza e la confusione ideologica il cui risultato è la somma di due debolezze (il Pdl e il Pd) e un centro con qualche discreta idea ma poca forza (l’Udc di Casini) per reggere lo tsunami in arrivo. Quelli che teorizzano una larga coalizione prima del voto sbagliano, ma chi la ipotizza come soluzione per «il dopo» è vicino alla realtà. All’orizzonte c’è l’ingovernabilità. L’eredità degli ignavi. Mario Sechi, Il Tempo, 10 luglio 2012

…………Tutto giusto, meno l’accostamento di Napolitano a Cossiga. Quest’ultimo piconò il sistema senza avere nulla del  suo passato  di cui doversi dolere, anzi  fu l’unico che in un Paese di politici incollati alla  poltrona, diede prova di essere diverso: si dimise da ministro dell’Interno subito dopo l’assassinio di Aldo Moro, e di dimise da presidentre della Repubblica per tentare di dare uno scossone al sistema che stava crollando. Napolitano, che del suo passato ha tanto di cui doversi dolere, si è autoincaricato del ruolo di predicatore ma le prediche non servno a nulla, specie in materia elettroale quando si è commissariata la demiocrazia e si è  favorio l’insediamento di  un governo privo di legittimazione da parte del popolo che secondo la Csotituzione “è sovrano”.  Per il resto,  ci stupisce lo stupore di Sechi di fronte alla vacuità politica dei parlamentari, deputati e senatori, in carica  solo perchè nominati  dai capipartiti e privi del tutto di autonomia e sopratutto di fantasia. A dire il ver, e cio è ciò che maggiormente ci stupisce,  nessuno ha mai creduto che ci fosse un solo partito disponibile a modificare la legge porcata, varata dal governo Berlusconi e che reca ingiustamente il nome di Calderoli, avendola, di fatto, suggerita nel 2006 il duo Casini-Fini, perchè i capipartito di ciò che resta del sistema varato all’indomani della guerra l’ultima cosa che vogliono è rinunciare a gestire le nomine dei parlamentari per assicurarsene l’obbedienza. Naturalmente a discapito della democrazia.  Ma questa è un’altra storia. g.

ECCO I TAGLI CHE NESSUNO VUOL FARE: NIENTE TETTO ALLE “PENSIONI D’ORO”.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Costume, Economia, Politica | Nessun commento »

Ritirato l’emendamento che le riduceva a 6mila euro al mese, consentendo un risparmio di 2,3 miliardi di euro l’anno solo sulle pensioni pubbliche e se esteso al settore privato consentirebbe un risparmio di 15 miliardi l’anno. Conflitto di interessi dei ministri e sottosegretari “tecnici.”

Lungi da noi dire che, nel dire no al taglio delle pensioni d’oro, i membri dell’esecutivo Monti abbiano guardato in primis alle loro tasche, presenti o future. Ma, come si dice, i numeri non mentono. E in questo caso dicono che alcuni membri dell’esecutivo si troverebbero la pensione che già percepiscono severamente decurata dal proposto tetto di 6mila euro netti al mese. E altri, secondo quanto scrive Il Fatto quotidiano, se la troverebbero in futuro, visto quanto guadagnano oggi.

L’emendamento taglia-pensioni d’oro, presentato dal parlamentare del Pdl Guido Crosetto e che consentirebbe un risparmio di 2,3 miliardi solo sulle pensioni pubbliche e di 15 se fosse applicato anche al settore privato, è stato ritirato dopo le insistenti “pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto. “Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione il sottosegratario all’economia Gianfranco Polillo. Proprio lui che è titolare di una pensione di 9.541,13 euro netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di servizio come funzionario della Camera. E che col tetto fissato a 6mila euro si troverebbe a perdere 3.541 euro al mese.

Tra i beneficiati dal mancato tetto ci sarebbe anche Elsa Fornero. Il ministro del Lavoro nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una pensione al limite della “soglia Crosetto”. Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti al mese, frutto di una lunga carriera nell’amministrazione statale con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972. Il ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria”, pari a circa 20mila euro mensili. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Massimo Vari percepisce 10.253,17 euro netti al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale. da Libero, 3 luglio 2012

PRENDELLI FINGE DI AVER VINTO: NON SI SCUSA, FA IL TROMBONE, ANZICHE’ IL TROMBATO.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Politica, Sport | Nessun commento »

Prandelli finge di aver vinto:  non si scusa e fa il trombone

Messaggio al commissario tecnico della nazionale di calcio, Cesare Prandelli:  all’indomani di uno 0-4 non si possono dare lezioni. Quella subita dai suoi azzurri è la più umiliante disfatta mai registrata nella storia delle finali degli Europei e dei Mondiali e senso del pudore imporrebbe di scendere dal piedistallo prima di commentarla. Così non è andata però ieri a Cracovia. Rinfrancato dagli applausi con cui i giornalisti lo hanno accolto, Cesare ha gonfiato il petto e dato fiato al trombone: «Grazie, avete capito il nostro sforzo. Sono orgoglioso. In un Paese vecchio come l’Italia, noi abbiamo avuto la forza di cambiare e di portare avanti le nostre idee senza farci condizionare dal risultato».

Eh no, questo è troppo. Intendiamoci, nessuno vuol criticare l’opera del ct: è arrivato alla finale contro ogni previsione e gli intenditori giurano che ha fatto un eccellente lavoro e pertanto merita di restare sulla panchina azzurra.  Però non è un eroe; non è ancora Pozzo, Bearzot, Lippi e neppure Valcareggi, che l’Europeo riuscì a vincerlo. Prandelli ha giocato due partite entusiasmanti contro l’Inghilterra (senza però fare neanche un gol e spuntandola a quella che vien detta «la lotteria dei rigori») e soprattutto la Germania, ma la figura di domenica sera è stata barbina e i toni del giorno dopo devono tenerne conto. Forse Cracovia è troppo lontana per avvertirlo, ma gli italiani si sentono più umiliati che «orgogliosi» di com’è andata con la Spagna. Non dico chiedere scusa; sarebbe, per usare un’espressione dello stesso Prandelli, «vecchio», eccessiva cortesia, ma almeno non parlare come se si fosse vinto, questo si poteva fare.

Anche sull’evocato «cambiamento» ci sarebbe poi da ridire. E non solo perché prima di elogiare i cambi, bisognerebbe almeno averne azzeccato uno sul campo, altrimenti si rischia il ridicolo. Ma anche perché se il cambiamento è giocare senza badare al risultato ma solo alla coerenza delle proprie idee, allora – e solo per questo – vien da chiedersi se in vista del Mondiale brasiliano del 2014 non sia il caso di ringraziare Cesare, rendergli l’onore delle armi e cambiare subito cavallo.

O forse no: basta non prender troppo sul serio quelle parole. O meglio, prenderle per quel che sono: l’autodifesa di un onesto lavoratore di talento portato su dalle sue molte qualità e da un pizzico di fortuna e schiantatosi rovinosamente contro qualcosa di più grande di lui, un avversario e un evento che l’hanno travolto e non gli hanno fatto capire più nulla. Da qui, il «vecchio» vizio italico di cercare di trasformare una sconfitta in una vittoria e di giustificare la debacle con la moralità delle idee. Uno spettacolo più da politici che da sportivi, anche quando Prandelli scarica le sue responsabilità sui giocatori e afferma: «Dovevo cambiare formazione ma avrei mancato di rispetto a chi mi aveva portato fin lì»;  come a dire «avrei saputo cosa fare ma son troppo gentiluomo…». Ma più che da gentiluomo sembrano parole da marpione navigato, che alla vigilia con il vento in poppa detta le condizioni e minaccia: «Non so se resto» ma quando il sogno è finito raccoglie i cocci e scivola sulla palta come nulla fosse: «Fatemi lavorare, ho rivoluzionato il calcio italiano». Un’incoerenza, un gioco di parole, una finzione, come quella della Nazionale etica che ci ha venduto per due anni ma che sul campo schierava uno scommettitore  in porta, un indagato in difesa e due svitati in attacco che prima di arrivare a Varsavia ne hanno combinate di ogni. Poco male, non è certo per questo che Prandelli è da cacciare; a patto che da domani smetta di pontificare e di voler rieducare l’Italia attraverso il calcio e inizi a inseguire il risultato almeno quanto le sue idee. Libero, Pietro Senaldi, 3 luglio 2012

…………….Peggio di Prandelli solo un altro trombettiere, cioè il Presidente della Repubblica che prima ancora dellla partita aveva fissato per lunedì sera il ricevimento al Quirinale per i reduci da Kiev.  In cuor suo Napolitano,   che è ormai diventato un alfiere della retorica più bolsa, suggestionato dal risultato con la Germania, aveva di certo sognato di ricevere i campioni di Europa, invece ha ricevuto i birilli che nel campo di Kiev se le sono fatte dare di santa ragione senza neppure tentare di opporsi. E siccome la retorica, benchè, orrore!,  retaggio fascista,  è l’ultima a morire, Napolitano li ha ricevuto ugualmente, i birilli, al Qurinale per dir loro che “essi sono come l’Italia…. da rifare”, facendo il verso a Prandelli che a sua volta, ha accusato l’Italia di essere vecchia. Proprio come Napolitano che a 87 anni suonati  vuole apparire un ragazzino di primo pelo. g.

MONTI, MENAGRAMO, E’ ANDATO A KIEV PER NON CANTARE L’INNO NAZIONALE. PERCHE’ NON E’ RIMASTO A CASA?

Pubblicato il 2 luglio, 2012 in Politica, Sport | Nessun commento »

La gioia non si addice a Mario Monti. Il premier ha voluto essere a Kiev pur essendo notoriamente allergico al pallone, e qui giunto non ha dovuto nemmeno indossare il sorriso trionfale portato per l’occasione.

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei

Mario Monti a Kiev per la finale degli Europei
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Chi era curioso di conoscere la versione esultante del professore dovrà aspettare un’altra occasione. E per il poverino la sentenza sui social network è già scritta: porta sfiga. Una condanna che Monti si è anche andato un po’ a cercare senza ribellarsi al suo destino. Seduto vicino a Michel Platini, presidente dell’Uefa, il Prof ha ascoltato l’inno senza cantarlo, ma muovendo un po’ la bocca tanto per, poi ha assistito alla disfatta degli azzurri con l’aria cupa del prozio invitato al battesimo del nipotino che rimugina su chi glielo ha fatto fare e su quanto gli è costato il regalo.

Il medagliere di Euro 2012 è questo: alla Spagna l’oro,all’Italia l’argento, agli esponenti del governo italico il bronzo delle loro facce. Perché se avessero avuto mezzo etto della coerenza mostrata nei due anni da ct da Cesare Prandelli, Monti e il suo ministro Piero Gnudi allo stadio Olimpico di Kiev non avrebbero dovuto mettere piede. Monti è l’uomo che al termine del match con la Spagna ha accettato in dono la maglia di Balotelli, ma è lo stesso che il 29 maggio, dopo gli arresti di calciatori invischiati nel calcioscommesse, propose uno stop al calcio di due o tre anni, confessando di trovare «inammissibile che vengano usati soldi pubblici per ripianare i debiti delle società » e meritandosi la piccata replica del presidente della Figc Giancarlo Abete: «Il calcio professionistico non riceve un euro di fondi pubblici». Monti, che nel suo smunto curriculum di tifoso vanta solo una tiepida militanza milanista nella immaginiamo turbinosa giovinezza, è sempre quello che il 15 giugno, per dimostrare il suo sovrano disprezzo per le sorti azzurre, non si preoccupò di sovrapporre il vertice bilaterale con il presidente francese François Hollande alla partita Italia- Croazia e si infastidì non poco al sommesso boato dei giornalisti alla notizia del gol di Pirlo che interruppe per pochi secondi la successiva conferenza stampa, porgendo imbarazzate scuse all’inquilino dell’Eliseo. Monti è di nuovo quello di cui la ministra Elsa Fornero alla vigilia di Italia-Germania disse che non sapeva per chi avrebbe tifato. Una battuta. Forse.

E Gnudi? Anche il ministro del Turismo e dello Sport avrebbe fatto miglior figura a restare a Roma. L’11 giugno visitando il quartier generale degli azzurri a Cracovia, valutando l’improbabilità di una controprova, fece il duro e puro: «Chi offende la democrazia, offende i cittadini», disse a proposito del governo ucraino che tiene in galera l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. E quindi scolpì nel marmo delle agenzie queste improvvide parole: «Quanto alla partecipazione alle partite che l’Italia potrebbe giocare in Ucraina, io sono intenzionato a rinunciare». Ops. Del resto Gnudi avrebbe preferito evitare questa patata bollente. Lo si arguisce da una lettura psicanaliticamente piuttosto elementare di una sua dichiarazione-lapsus rilasciata alle televisioni alla vigilia della semifinale con la Germania: «Stiamo facendo un bellissimo europeo e sono sicuro che stasera lo concluderemo nel migliore dei modi». Concluderemo? Ariops. In attesa all’ultima fermata del carro dei vincitori poi soppresso, Monti e Gnudi hanno smentito loro stessi e sono saliti su quell’aereo per Kiev. Mal gliene incolse: hanno dovuto parlare di «magnifica avventura» e di un secondo posto «che all’inizio avremmo sottoscritto al buio». Poi certo, c’era da salvare un po’ la faccia.

Così Monti ha escogitato un viaggio lampo (come se le gaffe si misurassero con l’orologio) e soprattutto si è inventato con il collega spagnolo Mariano Rajoy una lettera al presidente ucraino, Viktor Yanukovich, per trasmettere«il continuo sostegno sia dell’Italia che della Spagna alle aspirazioni europee dell’Ucraina» con tanto di richiesta di «visitare la signora Tymoshenko».

Dopo la partita, il Prof ha spiegato che «non c’era ragione per non venire a Kiev: è stata l’occasione per richiamare l’Ucraina a doveri di civiltà». Per non sembrar troppo maleducati, Monti e Rajoy hanno ringraziato nella loro missiva «il popolo ucraino per la calorosa accoglienza riservata alle nazionali e ai tifosi». Il Giornale, 2 luglio 2012

Riceviamo da Toronto:

Chi e’ stato l’idiota che ha invitato Monti allo stadio. Appena l’hanno inquadrato subito dopo l’Inno Nazionale mi sono reso conto che avremmo perso. Infatti i nostri hanno giocato con una totale mancanza di riflessi. Pareva fossero stonati cosi come Monti pareva di esserlo.

Quando tutti applaudivano il nostro Inno,  lui e’ sembrato come un pesce fuori dall’acqua. Un becchino qualsiasi avrebbe fatto una piu’ bella figura.  Carissimi, la prossima volta tenetevelo a casa.

Indubbiamente gli Spagnoli hanno meritato di vincere anche se in campo, dall’altra parte,  non c’era nessuno!

Nick Pinto

BALOTELLI PREMIER

Pubblicato il 28 giugno, 2012 in Sport | Nessun commento »

Balotelli, il centravanti italiano ha distrutto la Germania con due super gol che hanno portato l’Italia alla finale degli Europei di calcio 2012. Dopo di chè, proponiamo  Balotelli come  miglior premier possibile per una Italia che voglia mettere a posto la Germania…altro che quello stoccafisso di Mario Monti, supermolle quanto Balotelli è superduro.

“IL LAVORO NON E’ UN DIRITTO”: L’ULTIMA STUPIDAGGINE USCITA DALLA BOCCA DEL MINISTRO FORNERO. INTANTO LA CAMERA DA’ IL VIA LIBERA ALLA RIFORMA CHE NON PIACE A NESSUNO.

Pubblicato il 27 giugno, 2012 in Il territorio | Nessun commento »

“Il posto di lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato”. Le dichiarazioni della Fornero al Wall Street Journal hanno scatenato un putiferio.

Elsa Fornero

Nello stesso giorno in cui il disegno di legge sul lavoro passa alla Camera, il ministro del Lavoro risponde al quotidiano, che aveva definito inconcludente la riforma in via di approvazione e in un’intervista specifica l’intento dell’esecutivo.

Le dichiarazioni del ministro si trovano contro un fronte compatto di critiche. Da Di Pietro, che lo mette sul suo blog, a Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista, fino alla Lega Nord, tutti fanno notare che i ministri giurano sulla costituzione. E che senza andare troppo avanti nella lettura del testo, è il primo articolo a parlare di una Repubblica fondata sul lavoro.

La badessa Fornero ha riscritto, tutta da sola e senza chiedere il permesso a nessuno, l’articolo 1 della Costituzione“, scrive Di Pietro. “Si rilegga gli articoli 1 e 4“, incalza Ferrero. E Gianvittore Vaccari, senatore del Carroccio, si chiede se il ministro del Lavoro abbia giurato “sulla Costituzione o su Topolino”.

Ma per la Fornero l’intera discussione è basata su un malinteso. Il ministro replica a quanti la criticano e tenta di correggere la rotta, sottolineando come  intendessi dire che bisogna “proteggere le persone, non i loro posti”, perché il lavoro “deve essere guadagnato”.

A difendere il suo punto di vista ci pensa il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, che rincara la dose e risponde alle critiche dell’opposizione: “Non c’è dubbio che la Costituzione riconosca il diritto al lavoro, ma questo diritto va sostanziato perchè ahimè in un’economia di mercato non basta fare appello alla Costituzione”.

Idv e Lega hanno presentato singolarmente due mozioni di sfiducia contro il ministro del Lavoro, che saranno esaminate nella settimana dal 2 al 6 luglio, con discussione il 3 e voto il 4.

Intanto la Camera ha dato il via libera definitivo alla riforma, con 393 voti favorevoli, 74 contrari e soltanto 46 astenuti.

…………………Insomma i tecnici chiamati a governare il nostro Paese non solo sono degli incapaci e stolidamente inetti, ma sono anche presuntuosamente a digiuno di una delle norme fondanti della Carta Costituzionale, quella che recita che ciascun cittadino italiano ha diritto al lavoro. Ci voleva la Fornero, sinora modesto anche se superfortunato barone della nomenclatura di sinistra nella Torino rosseggiante,  per spiegarci che quel che recita la Costituzione è una falsa norma, anzi una norma inesistente, e ci vuole uno dei più ridicoli oltre che balbettanti sottosegretari di questo govenro, cioè Polillo, quello che a proposito degli esodati in TV arrivò a dire che questi per far valere i loro diritti potevano rivolgersi alla Magistratura, ci voleva costui perchè ci fosse spiegato che l’enunciato costituzionale è, appunto, solo una enunciazione. Ma chi li ha messi lì dove sono questi sbracati ignoranti e questi pretenziosi incapaci? Intanto la Camera, con una striminzita maggioranza ha varato la riforma sul lavoro. Una riforma che non piace a nessuno, che non risolverà nessuno dei problemi che assillano il mondo e il mercato del lavoro e di cui c’è già l’impegno di Monti a cambiarla, subito dopo che l’avrà esibito come trofeo al vertice della UE domani a Bruxelles. Il che è, peraltro, la controprova che ci troviamo di fronte a nuovi prestigiatori, privi anche del senso del ridicolo. Se Monti pensava che il varo della riforma potesse costituire una sorta di vangelo per i mercati che tengono sotto tiro il nostro Paese, come può pensare che quello che ha promesso ai partiti che controvoglia hanno votato la riforma sfugga ai mercati e ai suoi protagonisti, cioè gli investitori? Se serviva la riforma a fornire assicurazioni a costoro, la promessa di modificarla a tambur battente finisce col rendere scarico il fuciletto che Monti pensava di poter agitare al tavolo delle trattive. Una prova di più che tutta la cosiddetta bravura di Monti evapora alla prova pratica. Sin qui il governo. Ma non meno grave è il comportamento dei partiti che hanno votato la riforma benchè la considerano una brutta legge, incapace di produrre risultati positivi. Lasciamo perdere l’UDC di Casini che ormai sembra un giocatore al tavolo della roulette, punta tutto sul 17 nella speranza di sbancare il banco. Ma il PD e il PDL  sono davvero alla frutta. Il Pd ha rinunciato alla tutela degli esodati e si è accontentato di una vaga promessa di futuri aggiustamenti  di un governo il cui ministro del lavoro mette in discussione in tema di lavoro la dichiarazione di principio della Costituzione per cui non è affidabile quando promette di risolvere un problema che da solo è sufficiente a far saltare la fragile impalcatura costruita con la sabbia e appiccicata con lo sputo. Peggio il PDL che per bocca di Alfano ha sollevato più di una perplessità sull’impianto complessivo della legge. Non solo. Ieri sera, alla trasmisisone televisiva Ballarò, una deputata del PDL, di cui ci sfugge il nome benchè giovane e carina, è arrivata a dire che lei non condivideva la legge, la riteneva una brutta legge, ma l’avrebbe votata per disciplina di partito. Una dichiarazione di questo tenore basta ed avanza perchè crolli totalmente la credibilità dell’istituto parlamentare. Se una legge è una brutta legge  non c’è ragion di partito che tenga: non la si vota e basta. Non c’è da meravigliarsi che i sondaggi danno in caduta libera il PDL che se si votasse oggi riporterebbe alla Camera appena 80 dei 270 parlamentari “nominati” nel 2008. Fra i quali di certo c’è la giovane e impudente oltre che imprudente deputata esibitasi a Ballarò.g.

RUTELLI SCRIVE A FELTRI: LUSI E’ UN LADRO. E FELTRI REPLICA: IO NON INVITO I LADRI IN CASA

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Costume, Politica | Nessun commento »

RUTELLI, IL BELLO GUAGLIONE DI PRODIANA MEMORIA, HA SCRITTO UNA LETTERA A VITTORIO FELTRI GRONDANTE INSIGNAZIONE E DISPERAZIONE PER LA VICENDA LUSI CHE SI E’ RIVELATO, SCRIVFE RUTELLI, UN TRADITORE E UN LADRO. LA REPLICA DI FELTRI CONCISA E IRONICA: IO NON HO MAI INVITAT I LADRI IN CASA. ECCO LA LETTERA DI RUTELLI E LA REPLICA DI FELTRI

Caro Feltri,
anche quando dissento da te – non capita di rado – ti leggo volentieri. La tua «Barzelletta dei vertici tenuti all’oscuro», pubblicata ieri, mi permette almeno di farti sorgere un dubbio.

Francesco Rutelli

Scrivi: «Il denaro è troppo importante per essere affidato a un furfante qualsiasi », a proposito dei milioni rubati dal tesoriere Lusi alla Margherita. Ma il punto è proprio questo: Lusi – dirigente scout, magistrato onorario, rompicoglioni ossessivo, capace di portare a casa dei bilanci del partito cospicuamente in attivo non si è dimostrato un furfante qualsiasi. Tutti gli atti giudiziari (si trovano anche su www. margheritaonline.com) attestano un’attività micidiale di artefazione e manomissione che ha tradito non solo tutti noi dirigenti politici, ma un illustre collegio di Revisori, il Comitato di tesoreria, la banca, il controllo successivo della Camera dei deputati. Controlli superficiali, dirai, a causa di norme permissive. È vero (mi batterò per rafforzarli ulteriormente, al Senato, quando approveremo la riforma del finanziamento dei partiti). Ma in un’inchiesta giudiziaria, ci sono gli imputati e ci sono le vittime. Noi siamo le vittime.
Grazie agli inquirenti, la Margherita è e sarà il primo partito politico a restituire allo Stato l’intero avanzo di bilancio (alla fine, circa 20 milioni di euro). Sappiamo che abbiamo sbagliato a scegliere Lusi, e che per questo ladrocinio subìto io per primo sto pagando un prezzo assai doloroso. So che subire tradimento, furto, diffamazione e dileggio può far parte del gioco. Eppure sono determinatissimo a uscirne con l’onore intatto: sono un politico che vive nella casa di famiglia, non si è arricchito, ed è tracciabile al centesimo.
Chi è Lusi? È un ladro.Confesso.Un traditore di chi ha avuto fiducia in lui. E il calunniatore delle sue stesse vittime. Almeno tu, caro Feltri, aiutaci perché non sia trasformato in una specie di giustiziere della politica. Grazie, con un saluto molto cordiale.
Francesco Rutelli

***

Caro Rutelli,
anche a me è capitato di essere vittima dei ladri, ma ti giuro che non li avevo invitati io a casa.Vittorio Feltri.

da Il Giornale del 26 giugno 2012

CASINI SI SCHIERA, UNA SALUTARE LEZIONE PER IL PDL, di Mario Sechi

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Politica | Nessun commento »

Il centro sbanda a sinistra. Questa potrebbe essere la brutale sintesi dell’annuncio di Pier Ferdinando Casini di allearsi con «i progressisti» (leggere alla voce Bersani e Vendola) in vista delle elezioni. Il fuoco incrociato è partito un secondo dopo. Ma non risolve il problema: cosa ne sarà dei conservatori italiani? Il futuro di un blocco sociale che è maggioranza nel Paese e più che mai in cerca di una rappresentanza credibile, è ancora tutto da scrivere. E la mossa di Casini in realtà potrebbe essere un’occasione da cogliere. Provo a spiegare perché. Casini è il leader di un partito che fino a poco tempo fa aveva coltivato l’idea di costruire un Terzo Polo, capace di attrarre i voti degli elettori delusi dal Pdl e dal Pd. Ma le prove tecniche con Fini e Rutelli sono state deludenti. I risultati delle elezioni amministrative hanno imposto a Pier un cambio di rotta. Una lieve correzione in realtà, perché questo è sempre stato il proiettile d’oro pronto all’uso nella cartucciera di Casini. E chi lo critica per la sua alleanza con il Partito Popolare in Europa e la sinistra hollandista di Bersani in Italia, purtroppo ha le polveri bagnate. Il Pdl ha offerto a Casini straordinari argomenti per giustificare la sua scelta: un percorso più che accidentato verso il postberlusconismo, una linea di stop and go sul sostegno al governo Monti, un progetto di scomposizione del Pdl che è una pietra tombale sull’idea di «riunire i moderati» e, dulcis in fundo, le esternazioni «no euro» del Cavaliere, un inseguimento del grillismo che allontana il Pdl dal centro della scena per scagliarlo verso l’ignoto. Con queste premesse, Casini ha ora gioco facile a presentare la sua scelta come quella della «responsabilità». Pier sarà un ottimo manovratore delle operazioni nel centrosinistra «devastizzato» (Di Pietro così è out), ma la sua scelta di campo libera uno spazio politico potenziale proprio dove lui ha navigato in questi anni: il centro. È lo spazio ideale per un partito conservatore forte, ben costruito, democratico, con una leadership rinnovata, aperto alla competizione che non ha paura di abbattere gli stereotipi della destra italiana. In questo momento quel partito non esiste, ma c’è un’esperienza, quella del Pdl, che deve essere salvata, rinnovata e rilanciata. Non è un’operazione-predellino, ma un progetto politico di medio periodo che prevede la sconfitta, la traversata nel deserto e la rinascita. I conservatori inglesi di David Cameron hanno dovuto aspettare più di un decennio prima di rimettersi in pista. Avevano la Thatcher, poi hanno sbagliato tutto con John Major e sono stati messi in quarantena nel 1997 dalla straordinaria leadership del laburista Tony Blair durata fino al 2007. Blair è uscito dalla scena politica a 54 anni. Il coraggio è quello di accettare la fine di un ciclo e farsi da parte. Mario Sechi, Il Tempo, 26 giugno 2012

………….Ma, purtroppoc’è un “ma” grande quanto un macigno. Il PDL, o quello che rimane di una idea che raccolse milioni di voti con una cospicua   maggioranza relativa appena 4 anni fa, non è il partiro conservatore iglese, anzi non è nemmeno un partito. Alla prova dei fatti e sopratutto delle traversie che l’hanno trafitto, il PDL ha mostrato tutti i suoi limiti, e tutta la sua fragilità di partito nato dall’alto che mai si è agamalgato in maniera tale da costituire un blocco che al momento opportuno e quando è necessario sa essere uno, unito e compatto. Proprio quando è sotto attacco mostra tutta la sua incapacità a reagire come fosse un unico corpo e una unica voce. Anzi, quanto più i suoi esponenti (da ultimo Formigoni..) sono sotto tiro, tanto più appare disordinatamente disperso rispetto agli avversari. Un partito,  anzi un non partito siffatto, non può essere lo strumento cui fa cenno e ripone fiducia il direttore Sechi. Se la manovra tutta  frutto di calcolata ingegneria personale di Casini andrà in port,  non basteranno dieci anni e non potranno essere gli attuali esponenti di centrodestra a guidare la dura attraversata del deserto, ma dovrà attendersi  l’arrivo di un nuovo condottiero che su un miracoloso cavallo bianco possa riportare alla vittoria il grande popolo di centrodestra, in un Paese che nel frattempo distruggerà ogni traccia  di  ciò che sembra destinato a rimanere  un grande sogno mai avverato. g.

CASINI VUOLE L’AMMUCCHIATA

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Politica | Nessun commento »

Tira aria di grande ammucchiata. Da Vendola a Casini, passando per Bersani e forse Di Pietro. Ma non solo. Una sorta di balena rossa è pronta a ergersi a salvatrice del Paese.

Vendola, Bersani, Casini, Di Pietro

Con l’ambiziosa convinzione di poter garantire stabilità a un eventuale governo del dopo Monti.

Casini ha gettato la maschera: vuol salire sull’arca di Bersani. E il segretario democratico non ha atteso un attimo ad accettare gongolante e a siglare un “patto” tra progressisti e moderati. Che non sembra altro che l’aggiornamento linguistico e temporale del vecchio compromesso storico tra comunisti e cattolici.

Qui nessuno deve fare la plastica facciale: Massimo D’Alema è Massimo D’Alema, è la sua storia, la sua presenza nel partito comunista, io sono un democratico cristiano che nella prima repubblica è stato alternativo al Partito comunista, ma arrivano momenti nella storia dei Paesi in cui è necessario mettere da parte l’orgogliosa rivendicazione delle proprie identità, dei propri passati e delle proprie radici e c’è la necessità di collaborare per il bene del Paese“, ha cercato di giustificare la sua scelta il leader dell’Udc.

Che ha subito raccolto anche il sostegno di D’Alema che, in un’intervista all’Unità, ha detto “sì al patto con i moderati, perché va sconfitto chi vuole impedire che si esca dalla crisi con uno spostamento a sinistra“.

Insomma, anche per l’ex diessino è necessario “un asse forte per il dopo Monti per dare stabilità all’unica prospettiva realistica per il Paese”. Difficile scommettere sulle garanzie di stabilità assicurate da una ammucchiata che vedrebbe ultracattolici e ultralaici scontrarsi su temi scottanti come l’aborto, l’eutanasia, le coppie di fatto, i matrimoni tra omosessuali, per non parlare poi di politica estera, sicurezza e via dicendo. Ma al momento né a Casini né a diversi esponenti del Pd questo rischio pare dar pensiero.

Quello che conta è stare insieme. Almeno sulla carta e assicurarsi un posto in Parlamento. La pensa così anche il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che in una intervista al Mattino si dice fautore di “un grande patto costituente tra progressisti e moderati che escluda dal governo i populismi di Grillo, Berlusconi e Di Pietro“.

A giudizio di Letta, l’alleanza con Nichi Vendolaè nella logica delle cose ma dipende dal progetto, non si possono proporre alleanze prescindendo dai programmi, occorre una chiara coesione sulle cose da fare“.

Insomma, Vendola sì, Di Pietro ni. Pare essere questa l’idea di Letta. Idea suffragata anche da Dario Franceschini, secondo il quale Vendola è “imprescindibile, è una persona responsabile, conosce bene la situazione del Paese e sa che potrebbe avere grande spazio per far sentire le proprie ragioni“, mentre Di Pietro “si è costruito un suo percorso con altri criteri. O tira le cannonate e insegue Grillo e il vento dell’antipolitica per incassare qualcosa; o si colloca nella prospettiva di governo”. O l’ex pm si allinea o rimarrà fuori dai giochi: sembra essere il messaggio indiretto del capogruppo Pd alla Camera.

Che poi spiega che “da molto tempo lavoriamo all’ipotesi di una asse tra progressisti e moderati perché serve un consenso sociale il più largo possibile, serve avere dietro sindacati e imprenditori, laici e cattolici, pensionati e giovani delle partite Iva“. E già questa dichiarazione sembra la certificazione del calderone priva di una valutazione dei rischi di tenuta e di scontro che si manifesterebbero.

Se c’erano ancora dubbi, adesso vengono fugati: la foto di Vasto va definitivamente in cantina. O se volete, si allarga. Con Casini che siede alla destra di Bersani e Vendola alla sua sinistra. Di Pietro rischia di essere tagliato fuori. E Fini?

Ripudiato, emarginato e non menzionato. Nella sua apertura al patto con i progressisti, Casini infatti non lo ha nemmeno nominato per sbaglio. Tanto che Carmelo Briguglio si è sfogato su Twitter così: “A Palermo Fli si prese i fulmini di Casini perché scaricammo Costa che accettò il Pdl con cui poi l’Udc si alleò contro di noi. Ora Casini scarica il Pdl e annuncia il patto col Pd. Ok e Fini?”. Non menzionato, appunto. Il Giornale, 26 giugno 2012

.………..Povero Fini, da principe ereditario o delfino designato di Berlusconi, a capo di u grande partito di centrodestra, a miserabile mendicante di un posto in Parlamento. Con il rischio, assai concreto, di fare la fine di Bertinotti, suo immediato predecessore sullo scranno più alto di Montecitoiro. Pure lui passò dallo scranno più alto alla più clamorosa trombatura. g.