Ciascuno ha il destino che si merita. Evidentemente a Fini è toccato quello di finire a fare il duce di Mirabello, piccolo borgo in provincia di Ferrara, città  che ha dato i natali oltre che a Italo Blabo anche a Vittorio Sgarbi. E’ a Mirabello che  l’ex fascista investito da Almirante del compito di traghettare il neofascismo italiano  nel nuovo millennio, che è passato disinvoltamente  dal definire  Mussolini quale “maggior statista del novecento” ad accusare  il fascismo  di essere “il male assoluto”, che altrettanto disinvoltamente è passato dalla assicurazione che mai avrebbe mandato un  proprio figlio a scuola da un maestro gay a sostenere  la ufficializzazione del rapporto  delle coppie omosessuali, che dopo aver firmato la legge Bossi-Fini  contro la immigrazione clandestina auspica l’ingresso in massa degli immigrati ai quali  propone di concedere subito  la cittadinanza italiana, è a Mirabello che Fini, gonfiando il torace alla stregua del pur ricusato Benito, ha fatto l’ennesima capriola della sua vita, anzi ne ha fatte parecchie. Due soprattutto, una umana e l’altra politica. L’umana riguarda Silvio Berlusconi. Dopo sedici anni  si è accorto che Berlusconi è il “nuovo male assoluto”, illiberale e stalinista, che lo ha cacciato dal partito che lui, Fini, ha contribuito a creare, cioè il PDL, sorvolando, disinvoltamente, non è manco il caso di sottolinearlo, sul fatto che è lui ad esseri messo fuori con i suoi lamentosi attacchi al governo nell’ultimo anno. E nei  confronti di Berlusconi  si è  lanciato in una aggressione rancorosa e acida che nulla ha di politico e molto di velenosa gelosia per l’uomo che lui non saprà mai essere, essendo sempre stato lui, Fini, l’uomo che ha vissuto solo e soltanto di politica e di compromessi. La capriola politica è conseguente a quella umana. Per distinguersi da Berlusconi,  con inavvertita dabbenaggine,  si sposta sull’altro versante della politica, a sinistra,  e come i suoi “caporali” (avendo  i colonnelli da tempo, giustamente!,  preso le distanze da lui) si avventura con il linguaggio  tipico della sinistra ad aggredire la Destra di cui egli si dice però il vero ed unico depositario. Anzi, ripete ancora il ritornello della “destra nuova, europea, diversa” senza ancora una volta declinare i principi e i valori cui questa sua nuova destra dovrebbe ispirarsi. Insomma, il duce di Mirabello affoga nell’ovvio e nella rabbia. Forse anche per il flop del pur tanto propagandato appuntamento di Mirabello che ha  fatto registrare una affluenza di appena un quinto di quanto annunciato dal “caporale” Bocchino  (si chiedeva un lettore come si chiamino i seguaci di Bocchino….), circa duemila persone (rispetto alle diecimila attese, con i parcheggi e i maxi

la "compagna" di Fini

schermi desolatamente rimasti inutilizzati),  pochine in verità, anche perchè  a nulla sono serviti gli espedienti circa le presunte  contestazioni usate per accendere curiosità e stimolare la partecipazione: nessuna contestazione perchè l’ovvio non vale la pena di contestarlo. Anzi, una sola  v’è stata ed è venuta non da un “affarista” berlusconiano ma dal figlio di uno dei sette fratelli Govoni, uccisi dai partigiani alla fine della guerra, allontanato sgarbatamente dal servizio d’ordine perchè non disturbasse il dire di Fini. Che forse per questo, vistosi senza contestazioni, se ne è cercata una per conto suo. Così a proposito della campagna giornalistica di Feltri e Belpietro nei confronti degli affari della “sua” famiglia, i Tullianos, dalla casa di Montecarlo, su cui Fini ha tranquillamente sorvolato, ai contratti milionari in Rai per la suocera casalinga e il cognato gaudente,  su cui pure ha  taciuto in barba al codice etico che Fini vuole per gli altri meno che per se stesso,  l’ha definita una vera e propria “lapidazione”. Magari per farsi bello dinanzi alla sua compagna, la Elisabetta, ex di Gaucci,  rotondo anzichè no patron del Perugia,. Peccato però che ha ignorato vergognosamente che c’è chi  davvero rischia la lapidazione, Sakineh, la donna  iraniana  alla quale,  forse,  Fini, ex ministro degli esteri, doveva rivolgere il suio pensiero, prima di paragonare le miserabili vicende affaristiche della sua famiglia alla tragedia che rischia di  consumarsi in Iran. In ciò c’è tutta la miseria umana e politica di Fini, il duce di Mirabello. g.