Archivi per novembre, 2010

FAZIO-SAVIANO: ADDIO ARROGANTE, LA RAI E’ “COSA LORO”

Pubblicato il 30 novembre, 2010 in Costume, Cultura | No Comments »

Roberto Saviano e Fabio Fazio si sono giocati tutto nelle prime tre puntate di Vieni via con me. Ieri sera era l’ultima, volevano tirare fino a mezzanotte, ma la Rai li ha limitati entro il solito orario, e gli ha fatto un grosso piacere. Esaurite le frecce contro Berlusconi, la Lega e il Nord, alla nuova coppia d’oro di Raitre non sono rimaste che le spente guitterie di Dario Fo alle prese con Machiavelli e un dolente monologo dell’autore di Gomorra sui terremoti che hanno devastato il Meridione, dall’Irpinia all’Aquila. Le ultime energie erano state spese nelle interviste della vigilia. «Ora mi fermo un po’ per cercare di ricostruirmi una vita», ha detto Saviano. La vena creativa è un po’ esaurita.

Ne ha approfittato Fazio. Il quale era stato messo un po’ in ombra dall’astro nascente della «gauche tv». Ieri si è preso la rivincita recitando l’elenco delle cose che ha «imparato facendo questa trasmissione». Un bilancio delle fortunate polemiche che hanno decretato il successo di Vieni via con me, un catalogo piuttosto sorprendente per uno come Fazio, che nella tv di Stato ha esordito e per la quale lavora da anni. «Ho imparato che la Rai è ancora un pezzo importante di questo Paese, anche se spesso dimentica di esserlo; ho imparato che per molti televisione pubblica vuol dire che siccome è di tutti, allora non si può dire niente; ho imparato che per molti altri televisione di Stato vuol dire televisione dei partiti». Ma questo, il presentatore di Che tempo che fa lo conosce da tempo.
«Ho imparato che qualcuno si definisce pro-vita, come se qualcun altro potesse definirsi pro-morte». E poi la sferzata più arrogante, pronunciata con il sorrisino beffardo delle grandi occasioni e la sicumera di chi è consapevole che il servizio pubblico è «cosa sua»: «Chi non si è sentito rappresentato da questa trasmissione può farne un’altra: e noi la guarderemo volentieri». Frecciate anche ai commentatori che in questo mese non gli hanno risparmiato critiche: «Ho imparato che tutti quelli che vogliono spiegarti che cosa piace al pubblico per fortuna non lo sanno». Infine i riferimenti alle polemiche più accese: «Ho imparato che tutti sapevano che al Nord c’è la ’ndrangheta, ma se lo erano dimenticati; ho imparato che nessuno sapeva che la spazzatura del Sud arriva anche dal Nord; ho imparato che le facce della gente comune e le facce della gente famosa spesso sono le facce della stessa medaglia».

Saviano invece abbandona la strada di mettere in scena le inchieste giudiziarie per scegliere una via più drammaturgica: sceneggiare le piccole storie degli otto ragazzi sepolti dalle macerie della Casa dello studente dell’Aquila nel terremoto del 2009. Un altro racconto del Sud, dopo quelli sulla malavita e i rifiuti, mescolato alle memorie dell’Irpinia nel 1980: «Avevo un anno, fu mia mamma a raccontarmi le nottate passate in macchina a mangiare frullati». È l’epopea di una città medievale diventata la risposta ai campus anglosassoni, in cui il crollo dell’ostello universitario simboleggia la perdita di ogni speranza.

Vengono evocate le avvisaglie, i timori, l’incredulità degli studenti e la leggerezza di tanti fatalisti per i quali «L’Aquila trema sempre ma non crolla mai». E poi le denunce contenute nelle perizie ordinate dalla procura, un elenco letto dalla sorella dell’universitario più giovane morto nel disastro. «La Casa dello studente era una bomba a orologeria – dice Saviano -, costruita male, con carenze nella progettazione, nell’esecuzione dei lavori e nei successivi adeguamenti. Nell’ala crollata mancava un pilastro; l’edificio era fabbricato con sabbia e calcestruzzo scadente per dirottare altrove i soldi». «È una tragedia di tutti – sentenzia lo scrittore -. A trent’anni dall’Irpinia sembra di vedere sempre la stessa tragedia, di vedere le stesse cose, di sentire la stessa disperazione, le tangenti, la ricostruzione, le cose che non funzionano». Viva l’Italia, come ha cantato – più tristemente del solito – Francesco De Gregori.

IL GIORNALE, 30 NOVEMBRE 2010

L’ULTIMO CIAK DI MONICELLI, il ritratto del grande regista a cura di Gian Luigi Rondi

Pubblicato il 30 novembre, 2010 in Cinema, Cronaca | No Comments »

Il regista Mario Monicelli Mi era capitato spesso di definire Mario Monicelli, insieme con Luigi Comencini e Dino Risi, uno dei padri della Commedia all’italiana, pur verificando nella sua carriera anche delle svolte nel drammatico che me lo rivelavano altrettanto grande e altrettanto creativo (persino tra le pieghe di racconti ameni, dove il dramma si poteva intuire quasi soltanto tra le righe). Un giorno, parlandomi di Amici miei, mi aveva detto: «Cosa c’è di più tragico di un quartetto di vecchi che si mascherano da giovani perché hanno capito che sono arrivati all’anticamera della morte?». Ecco la tragicità che, anche solo in modo implicito, Monicelli aveva sempre saputo esprimere con incisività e decisione pur non partecipandovi in nessun modo perché, anche negli ultimi anni, nonostante il suo Montgomery di lana chiara, i pullover colorati e, spesso, la calottina in testa con fiocco, non si poteva certo dire che si mascherasse da giovane. Era giovane davvero e la sua euforia, i suoi slanci, la vivacità del suo carattere dedito spesso, da buon toscano, ai sarcasmi più taglienti, lo immergevano costantemente in un’atmosfera sciolta e disinvolta, vivida e allegra, contro la quale andavano a frantumarsi i molti anni che passavano; lasciandogli solo dei segni esteriori come i capelli bianchi che aumentavano specie nei periodi in cui portava una barbetta corta quasi da moschettiere. Senza mai però che questa allegria, nella vita come nelle opere, sminuisse il tono serio che invece lo distingueva, non in contraddizione con se stesso e la sua attività, ma anzi con logiche precise. E questo addirittura fin dagli inizi, da quando, in sodalizio con Steno, aveva dato vita, appunto, al filone della Commedia all’italiana. Sembrava che ci fossero solo scherzi in quei suoi film con Totò, e poi con Fabrizi e con Sordi, e invece, pur tra un lazzo e l’altro, facevano già da allora, anche se molti non se ne accorgevano, critica attenta di costume. Con una serietà che, sempre più cosciente e matura, la si sarebbe poi trovata al centro di tutti i suoi «scherzi», compreso quello sui Picari, certamente diverso, per gusto, linguaggio e impostazione, da Totò cerca casa, dal delizioso Guardie e ladri, dal ghiottissimo Totò e Carolina, ma, a ben guardare sorretto dallo stesso impegno critico che quei film lontani anticipavano. Annunciando un autore che, conseguente con se stesso fin dal primo giorno – «la conseguenza è un difetto, lo so – mi disse una volta – ma io ce l’ho e me la tengo, tanto non fa male a nessuno» – non solo non si sarebbe più discostato da quella linea ma, anzi, con il passare degli anni, l’avrebbe via via sempre più approfondita. Con ricerche stilistiche all’insegna di un genere che dovevano poi in molti casi persino nobilitare. E non è stata «nobiltà», del resto, quel segno metà amaro metà gaio che dava forza ai Soliti ignoti, oggi considerato un classico, e che segnava, fra l’altro, proprio il momento della svolta della Commedia all’italiana verso la critica di costume? E non è stata nobiltà l’incontro dell’ironia con la storia – storia patria e storia sociale – nella Grande guerra e nei Compagni? La ricerca, qui, superava la cronaca, usciva dal quotidiano e, pur continuando a tenersi nella tradizione, si dava addirittura delle mete di osservazione dall’alto. Perché la critica diventasse saggio. Un saggio, nuovamente a livello di storia, ma questa volta tutta popolare, anche se implicitamente molto colta, che si era fatto poi avanti nell‘Armata Brancaleone e in Brancaleone alle crociate, con sapori e colori che si dovevano ritrovare più tardi, o con le stesse cifre, in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, o in cifre diverse ma con intenzioni analoghe, nei due «atti» di Amici miei: la somma degli scherzi di Monicelli anche nel perpetuarsi più convinto del loro incontro con una critica che si fasciava a un certo momento di dolore. Come, e questa volta senza più scherzi, in film da importanti testi letterari, quali Caro Michele, tratto, con serietà e severità ispirate, dal romanzo omonimo di Natalia Ginzburg, o Un borghese piccolo, piccolo, dal romanzo di Vincenzo Cerami, o Viaggio con Anita, da una storia di Federico Fellini. Film, anzi «opere», da collocare oggi, all’ora dei bilanci, tra le pagine più serie di Monicelli regista. Non diverse da quelle sapientemente in equilibrio fra la comicità e la critica su cui si costruiva Speriamo che sia femmina, tra i suoi film più fervidi, una grande commedia che avrebbe potuto essere anche un bellissimo romanzo. Scritto, del resto, insieme con Monicelli, da alcuni fra i più prestigiosi scrittori del nostro cinema, da Tullio Pinelli a Suso Cecchi d’Amico, a Leo Benvenuti, a Piero De Bernardi. Una storia di donne.

Come a volte anche in Bergman, come a volte anche in Strindberg, ma con quel «tocco» alla Monicelli che, con estrema sapienza, riusciva a tenere insieme, senza contrasto, il dramma e la commedia, con nostalgie e tenerezze, beffe (anche beffe) e giochi sottili d’amore. Tutto secondo i toni più giusti, i tempi studiati e soppesati con cura, gli effetti dosati con misurata attenzione. Perché tutto avesse un senso e un sapore. E con una narrazione così stretta attorno ai protagonisti e ai loro casi che sembrava di esservi in mezzo e di parteciparvi, con logica così ferrea nel disegno di ogni personaggio e di ogni reazione che tutto, anche come ritmi emotivi e drammatici, ci sfilava sempre davanti con naturalezza estrema, senza un intoppo. Tanto ogni gesto, ogni replica, ogni movimento corrispondevano esattamente a quello che lì, in quel luogo e in quel momento, dovevano essere; senza possibilità di alternative diverse. Messi ancor più in evidenza da una regia che preferiva non imporsi, che dava spazio soprattutto al racconto e, nel racconto, ai singoli caratteri, badando ancora una volta a graduare i passaggi dal sorridente al dolente e, come segno d’autore, rivelandosi soprattutto quando sfumava, specie se la leggerezza del tocco, conciliandosi con la severità di una osservazione spesso nascosta, ma presente, si esercitava nella direzione degli attori. Esattamente come nei lontani film con Totò e poi con Sordi, Gassman, Montesano, Mastroianni, Tognazzi, oltre, naturalmente, in quella Ragazza con la pistola che doveva rivelarci Monica Vitti attrice comica. Una dote, quella della direzione degli attori, che Monicelli, se gliela si riconosceva, accettava, sorvolando però su quasi tutte le altre perché rifiutava programmaticamente ogni indulgenza per l’effetto. «Man mano che vado avanti, infatti – tenne una volta a dichiararmi – io alla regia, nel senso della macchina da presa, credo sempre di meno. La regia, in realtà, è solo la ricerca del personaggio, è lo studio di una certa atmosfera, è la piccola cosa che si fa fare a un attore, è un taglio al momento giusto. Cosa faceva ai suoi tempi Chaplin? Come regia «tecnica», nei film di Chaplin non c’è niente. Ed è così che deve essere, perché bisogna rappresentare le cose come sono, facendo in modo che appaiano le più semplici possibili. Con uno scopo solo: far vedere al pubblico tutto quello che serve per capire, senza mettersi in mezzo con le tecniche. Perché allora c’è il rischio che non veda più niente». La sua firma. In calce però a una galleria di personaggi – e di storie – di cui doveva essere diventato uno degli autori cinematografici italiani più rappresentativi della seconda metà del Novecento. E non c’era bisogno che nel ‘91, per dimostrarlo, gli dessimo il Leone d’oro alla Mostra di Venezia. Gian Luigi Rondi, Il Termpo, 30/11/2010

ASPETTANDO LA FIDUCIA

Pubblicato il 30 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

Parlamento Il mondo attende di sapere se dalla falla apertasi negli archivi della segreteria di Stato Usa sono uscite solo riproduzioni di chiacchiericci o notizie precise su come si sono articolati. Il mondo attende di sapere se dalla falla apertasi negli archivi della segreteria di Stato statunitense sono uscite solo riproduzioni di chiacchiericci o notizie precise su come si sono articolati affari altrimenti a tutti noti. Noi italiani, nel frattempo, attendiamo di sapere se il governo otterrà la fiducia, dovendosi stabilire se muore subito o con la legislatura, qualche tempo appresso. L’Europa attende di sapere se il salvataggio dell’Irlanda fermerà la speculazione sui debiti sovrani, o se si sposterà verso qualche altro Paese, scontando la debolezza istituzionale alle spalle dell’euro.

Dalle nostre parti, invece, l’opposizione attende che sia approvata la legge di stabilità, in modo che ci si possa finalmente dedicare alle cose che più premono, ovvero la crisi del medesimo governo che ha scritto quella legge. Da più parti si guarda alle pubblicazioni di Wikileaks, domandandosi se c’entra qualche cosa il mai sopito conflitto interno all’amministrazione, fra il Presidente e il segretario di Stato, Hillary Clinton. Qui da noi si guarda al forsennato tafferuglio fra Berlusconi e Fini, chiedendoci se le sue cause siano più politiche (a scoppio ritardato) o freudiane. In tutto il mondo occidentale, almeno quello con la testa sulle spalle, ci si chiede se il mantenimento degli attuali livelli di welfare state sia compatibile con la globalizzazione, da noi si reclama che le università fra le più dequalificate del mondo assumano quanti più docenti possibile, magari congiunti degli attuali cattedratici e rettori, in modo da salvaguardare il sacro valore della famiglia.

Non elenco queste diverse condotte e attitudini per gusto di autoflagellazione nazionale, perché, al contrario, sono convinto che il nostro Paese abbia le carte in regola per eccellere. Lo faccio perché è in questa attitudine collettiva che risiedono le cause di 15 anni passati a perdere competitività. Da questa mattina mancano quindici giorni alla data fatidica del 14 dicembre, quando, oltre tutto, potrebbe non accadere nulla. Ci sono, difatti, tre possibilità. La prima è che il governo perda la maggioranza anche al Senato, distruggendosi. Non accadrà, credo, quindi si passerà alla Camera dei Deputati. La seconda ipotesi è che qui manchi la fiducia, per decisione dei finiani (che cosa desolante: i berlusconiani, i finiani, nell’oblio d’idee, programmi e proposte). In questo caso si va alle elezioni anticipate, perché ogni ipotesi alternativa, in un momento di così grave tensione sui mercati internazionali, comporterebbe l’incapacità di governare il sobbollimento sociale, e perché gli elettori hanno votato un governo e non se ne possono trovare uno mai votato.

La terza ipotesi è che il governo agguanti una maggioranza, ritrovandosi costituzionalmente nella pienezza dei suoi poteri. Ma a che servirebbe, posto che ogni passaggio parlamentare diverrebbe un paludoso procedere fra trappole e agguati? Arriveremo al 14 dicembre, quindi, e non saremo in condizioni diverse da quelle in cui ci troviamo già oggi, costretti a ballare da fermi nel mentre le economie dei Paesi concorrenti incrementano la ricchezza con più velocità. Nella più famosa commedia del teatro dell’assurdo, «Aspettando Godot», di Samuel Beckett, lo spettatore è coinvolto in un’attesa di ciò che non accade, di chi non arriva. Qui abbiamo fatto un salto ulteriormente surreale: arriva e non cambia nulla. Ma non siamo sul palcoscenico, non c’è rete di sicurezza e la faccenda non finisce con il sipario.Davide Giacalone, Il Tempo,30/11/2010

APPALTI IN SICILIA: BUFERA SULLA PD ANNA FINOCCHIARO

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

img

Anna Finocchiaro, capogruppo del PD al Senato, insieme al marito

Giuseppe Giustolisi per “il Fatto Quotidiano

Il sito di SudPress

Nessuno osi parlare di familismo perché lei minaccia sfracelli (e querele). Parliamo della capogruppo dei senatori Pd Anna Finocchiaro e della notizia dell’appalto per l’informatizzazione della Casa della salute di Giarre, in provincia di Catania, affidato dalla Regione al marito Melchiorre Fidelbo, di professione ginecologo, come stabilisce la convenzione firmata quattro mesi fa dal direttore generale della Asp 3 (l’azienda sanitaria) Giuseppe Calaciura.

La notizia sta facendo il giro delle redazioni e impazza sui siti internet e sui social network, coi relativi commenti tra il disilluso e l’arrabbiato dei navigatori. Trecentocinquanta mila euro tondi tondi, questa è la cifra tirata fuori dalle casse pubbliche, come compenso per il lavoro svolto dalla Solsamb, società di cui Fidelbo è amministratore delegato e che prima d’ora pare non brillasse per fatturati da capogiro.

Inaugurazione centro sanitario Giarre con Turco, Finocchiaro e Fidelbo

La presentazione del progetto (proposto dal Consorzio sanità digitale e ambiente di cui la Solsamb era una sorta di società collaterale) risale al 2007, ai tempi del governo Cuffaro, quando assessore alla Sanità era Roberto Lagalla, professore di diagnostica dell’Università di Palermo e da un paio d’anni rettore.

E di sicuro c’è che non c’è stata gara d’appalto. Anzi la pratica ha viaggiato su un binario veloce. Il progetto infatti nel giro di pochi giorni passò dal tavolo dell’allora direttore generale dell’Asp 3 di Catania a quello dell’assessorato retto da Lagalla (che diede parere favorevole), per poi varcare il portone del Ministero della Salute e ottenere il relativo finanziamento ministeriale. Poi l’iter viene bloccato dalla riforma sanitaria voluta dalla giunta Lombardo.

Le Case della salute, infatti, sono diventate presidi territoriali di assistenza e la Solsamb deve rifare il progetto (nel frattempo il Consorzio sanità digitale e ambiente riconosce la titolarità del progetto alla Solsamb che firma direttamente la convenzione con l’Asp 3 nel luglio 2010).

Una vicenda intricata e con più di un aspetto che non si comprende, come conferma, interpellato dal Fatto, l’assessore regionale alla sanità Massimo Russo, che parla di strumentalizzazioni politiche e abbozza una difesa d’ufficio della senatrice: “Che c’entra il familismo? Probabilmente la Finocchiaro nemmeno sapeva di questa storia”. È un po’ difficile da credere, visto che era pure presente all’inaugurazione del centro insieme al marito.

Ma “era lì per accompagnare Livia Turco che da ministro ha fortemente voluto questo tipo di sistema sanitario decentrato”, ribatte l’assessore. Poi annuncia un’indagine interna e dice: “In questa vicenda voglio vederci chiaro, non capisco perché, come pare, non ci sia stata gara e come mai l’assessorato abbia autorizzato la pratica in tempo record. Lunedì chiederò una verifica per accertare quello che è successo”.

UNA SPELDENTE ANNA FINOCCHIARO

Il direttore generale dell’Asp Giuseppe Calaciura si tira fuori da ogni responsabilità perché all’epoca in cui venne presentato il progetto per la prima volta non era direttore. Ma la convenzione l’ha firmata lui. Forse i funzionari che gli hanno istruito la pratica avrebbero potuto sbirciare un po’ meglio tra le righe e fargli presente la cosa. L’assessore Russo intanto garantisce che nessun servizio sarà affidato ai presìdi sanitari siciliani senza che ci sia una gara.

Antonello Cracolici, presidente del gruppo Pd all’Assemblea regionale siciliana, commenta la vicenda nel suo blog e parla di “manganello mediatico contro chi nel Pd si è macchiato della colpa di sostenere il governo Lombardo”, dichiara guerra senza quartiere a chi riferisce la notizia senza discutere del merito.

Livio Gigliuto, segretario dei giovani democratici di Catania usa toni ben diversi: “In generale penso che fare chiarezza sia una cosa positiva, non so se sia il caso di questa vicenda di cui so solo quel che hanno scritto i giornali. Ci terrei però a dire che noi giovani democratici di Catania abbiamo sempre espresso la nostra totale contrarietà al sostegno della giunta Lombardo da parte del Pd. Un partito come il nostro deve sostenere solo persone limpide e non chi come Lombardo ha un modo clientelare di gestire potere e per di più è sospettato di aver frequentazioni con mafiosi”.

DA DAGOSPIA, 29 novembre 2010

BERLUSCONI: TUTTI CONTRO DI ME? UN’AMMUCCHIATA PERDENTE

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Politica | No Comments »

«Una Santa Alleanza contro di me? Un’ammucchiata destinata alla sconfitta». Chi ha sentito Berlusconi nelle ultime ore lo descrive più battagliero che mai. «Andiamo avanti così. Il disegno dei miei oppositori è chiaro ma fallirà». L’obiettivo degli anti-Cav è stato rivelato ieri in un’intervista di D’Alema: un governo di transizione appoggiato da forze di maggioranza e opposizione che il premier considera un vero e proprio «ribaltone». Ma se, come pensa il Cavaliere, Napolitano non dovesse prestarsi a benedire un esecutivo retto da chi ha perso le elezioni, la sinistra sarebbe pronta a mettere insieme Pd, Udc, Fli, Api e altre forze minori per dare battaglia in campagna elettorale. Una sorta di Ulivo del 2010 che, ragiona il Cavaliere, verrà sconfitta dagli italiani. Un tutti contro uno, più la Lega. «Sarebbe un’ammucchiata che sta insieme solo per battermi – è il ragionamento del Cavaliere coi suoi – ma la gente capirà e ancora una volta punirà i giochi di palazzo».

I principali responsabili di questa situazione, per il premier, restano i finiani verso cui Berlusconi non vuole concedere alcuna indulgenza. Non tutti, sia chiaro, visto che il Cavaliere è sempre persuaso che alla fine, alla prova del voto in Aula, «alcuni si sfileranno e non staccheranno la spina al mio governo». Berlusconi sa che in questo momento nel Fli sta prevalendo la linea dei falchi, tanto che ieri il sito di Generazione Italia anticipava con una lettera ironica il ritiro della fiducia all’esecutivo. «Si prendano la responsabilità in Aula» ripete da giorni il Cavaliere. E anche il portavoce vicario del Pdl Anna Maria Bernini chiosa: «La fiducia si dà o si toglie nelle sedi opportune, non attraverso papelli burla che non fanno bene alla politica». Che la proposta dell’ex presidente dei Ds sia qualcosa di più che una boutade lo dimostra la mano tesa di Bocchino e Briguglio secondo i quali «D’Alema ha ragione». Ma «l’ammucchiata», come viene definita anche dal portavoce del premier Paolo Bonaiuti, non fa che rinsaldare l’asse di ferro Pdl-Lega. «Il rischio di un governo tecnico per arginare Berlusconi e la Lega è sempre più all’orizzonte. Ma non staremo con le mani in mano e non faremo imbavagliare il nostro popolo», dice minaccioso il senatore del Carroccio Fabio Rizzi. Mentre Osvaldo Napoli (Pdl) sbeffeggia le opposizioni: «Fini, Bocchino, D’Alema e Bersani chiamano di responsabilità nazionale un governo che in realtà è di salvezza personale».

Quindi «avanti così», ripete Berlusconi a chi lo ha sentito, sempre più convinto di avere i numeri in Parlamento, alla conta di metà dicembre. Certo, il dopo resta un’incognita. Ma anche su questo fronte nel Pdl si cerca di essere ottimisti. I contatti con i centristi non si sono mai interrotti e non è detto che alla fine Casini, magari in gennaio, non ceda alla proposta di avere voce in capitolo in un eventuale rimpasto di governo. Sul leader Udc, infatti, continuano ad arrivare pressioni in questo senso anche da ambienti vaticani, timorosi di una sua virata verso forze troppo laiche. Ma per le trattative c’è ancora tempo e magari il senso di responsabilità, vista la situazione economica di Eurolandia, potrebbe aiutare. E a proposito di Europa, prima di una serie di impegni internazionali che lo porterà fuori dall’Italia per una settimana, Berlusconi ha ricevuto una telefonata dal cancelliere tedesco Angela Merkel per fare il punto sul piano di aiuti all’Irlanda e sulla prossima probabile crisi del Portogallo. Non è detto che i due capi di governo abbiano anche parlato della tempesta in arrivo, con le rivelazioni del sito Wikileaks.

…..E’ di ieri l’intervista del comunista di ferro Massimo D’Alema che ha auspicato una santa alleanza contro Berlusconi e il governo PDL-Lega che metterebbe insieme tutti, dal PD a Vendola, passando per Casini e Fini. Quest’ultimo, ormai in preda ai fumi della dissolvenza politica, non ha fiatato ma ha fatto parlare i soliti Bocchino e Briguglio ai quali non è parso vero poter dire di si a D’Alema, salvo incamminarsi in un percorso accidentato, quello della leadership per la quale Brigulgio “vede bene Fini”. Non si sa con quale canocchiale Briguglio vede tanto lontano…..ma Fini che un pò se ne intende oggi a Milano si è affrettato a dire che se si deve votare bisogna cambiare la legge elettorale,  ovviamente nel senso che vorrebbe lui, cioè non reintroducendo le preferenze o ritornando al maggioritario o al proporzionale, puro o alla tedesca  (ciascuno dei partecipanti alla santa alleanza antiBerlusconi ne ha uno che preferisce…) ma solo riducendo al 45% il premio di maggioranza alla coalizione vincente, in modo da renderla ricattabile dai tipi come lui che nell’arte del ricatto politico è particolarmente bravo. Ma per cambiare la legge elettorale ci vorrebbe un governo che abbia la fiducia e la maggioranza in Parlamento e in entrambi i rami dello stesso. Sempre che il presidente della Repubblica se la senta di ribaltare la volontà degli elettori e consenta che si vari un governo degli sconfitti contro il governo dei vincenti, cioè il contrario delle regole della democrazia in ogni parte del mondo, salvo che nei regimi totalitari, assolutisti, dittatoriali. Sarebbe un golpe che gli elettori non accetterebbero e d’altra parte se Fini vuol provarsi a contarsi dopo essersi alleato con la sinistra,   si chiami PD, o Vendola,o Di Pietro, lo faccia pure. Gli italiani lo attendono al varco. g.

LA FINE DELL’IMPERO AMERICANO, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Costume, Politica estera | No Comments »

Dopo la pubblicazione di migliaia di documenti provenienti dal dipartimento di stato americano, si apre una nuova stagione nei rapporti tra l’America e il resto del mondo. Ecco ne pensa il direttore de Il Tempo, Mario Sechi.

Washington, la Casa Bianca Benvenuti nel mondo reale. Cari lettori de Il Tempo, la pubblicazione dei report del Dipartimento di Stato da parte di Wikileaks è uno degli eventi che segnerà la storia delle relazioni internazionali e cambierà le regole del Grande Gioco. Quello che sta accadendo è preoccupante per la stabilità del sistema globale e della governance mondiale. Gli scricchiolii di questo apparato sono sotto gli occhi di tutti da molto tempo e non ci sono dubbi che siamo arrivati a un punto di svolta e servono leader dotati di mano ferma e fantasia per ridisegnare la mappa dei poteri. La politica estera statunitense messa a nudo, svelata nel suo crudo linguaggio, nella sua semplice e dura presa d’atto della situazione nei vari Paesi, è un trauma. Gli Stati Uniti sono la prima vittima di questo sconquasso e il Presidente Barack Obama è chiamato ad una sfida difficile: quest’uomo ha sulle sue spalle una responsabilità gigantesca. Con la sua presidenza finisce l’Impero Americano così come l’abbiamo conosciuto. Comincia un’altra era. E non sarà quella dell’oro.  Devo prima di tutto tornare a spiegare ai lettori che tipo di materiale è quello che pubblichiamo sulle nostre pagine. I report delle ambasciate americane nel mondo sono da considerare come una sorta di «materiale grezzo» della politica estera, sono la fase preliminare della lavorazione finale, sono «informazioni candide» – espressione usata ieri dalla Casa Bianca – prive delle sfumature proprie invece del minuetto diplomatico finale, il linguaggio felpato delle feluche in cui sembra che nessuno abbia perso la partita e vissero tutti felici e contenti. E invece la politica non è così. Da avido lettore di Machiavelli non ne sono sorpreso neanche un po’, ma dobbiamo immaginare l’effetto che quelle frasi provocano sulla politique politicienne, sulla politica politicante e sull’opinione pubblica. Viviamo in una società dove la politica è comunicazione allo stato puro e spesso poco altro. I report sono costruiti attraverso fonti dirette, l’analisi dell’intero spettro dei mezzi di comunicazione, contatti istituzionali al più alto livello. Sono per natura «confindenziali». Sono il più importante prodotto della diplomazia e per forza devono avere quel linguaggio.

Servono a preparare i politici, sono la bussola per prendere decisioni, sono il materiale che lo sherpa chiamato a trattare con i suoi corrispondenti esteri ha nella sua borsa di pelle, sono i dossier che si studiano prima di un duro round diplomatico. Finché questi documenti restano in valigetta, circolano nel ristrettissimo club dei professionisti della politica, tutto va secondo le regole del gioco. Ma se questi report finiscono nel dibattito pubblico, diventano materiale che scotta e possono cambiare la storia. Questi report girano su una rete internet dedicata, chiamata SIPRnet, utilizzata dal Dipartimento della Difesa e dal Dipartimento di Stato. Quella rete è stata bucata e i dati prelevati. Funzionari infedeli li hanno trafugati e sono finiti nelle mani di Wikileaks, un sito internet che ha come missione quella di pubblicare notizie e documenti coperti da segreto. Il patatrac globale nasce dalla violazione del sistema di sicurezza americano. E per gli Stati Uniti è davvero un altro 11 Settembre 2001. L’incendio è appena iniziato, siamo alle prime scosse. Le cancellerie degli Stati più responsabili sono già in movimento da giorni, i leader che hanno a cuore la pace e la cooperazione, si daranno da fare per mettere qua e là delle pezze su questa falla ciclopica. Ma siamo comunque a un turning point della storia americana e non solo, a un punto di svolta fino a qualche tempo fa incredibile persino da ipotizzare. E invece eccoci qua a raccontare e commentare la più grande fuga di notizie della storia.

I suoi contraccolpi li vedremo molto presto. L’informazione in tempo reale può essere più letale di qualsiasi arma, lo sviluppo della rete digitale l’ha resa potentissima, pervasiva, capace di raggiungere ogni singola istituzione e persona dotata di «connessione», online. Da molti anni seguo con passione e attenzione lo sviluppo di questo mondo parallelo, la sua capacità di cambiare le nostre vite e relazioni, la sua influenza sull’attività umana, la sua capacità di creare e distruggere lavoro, offrire opportunità, accrescere pericoli, diffondere sapere e nello stesso tempo rendere più forti e vulnerabili noi tutti. La sua «crescita esponenziale» è il dogma in cui gli Stati Uniti credono in maniera assoluta, è la forza dominante che permette a questo straordinario Paese di guidare il settore dell’innovazione tecnologica e dunque essere ancora la prima potenza mondiale. Ma gli Stati Uniti oggi sono stati traditi proprio dalla loro più grande invenzione: internet, la rete. La politica estera americana svelata in questa maniera è la fine di un mito e l’inizio di una nuova stagione. Gli antimericani in servizio permanente effettivo festeggeranno. Non sanno quello che fanno.

Gli Stati Uniti sono il baluardo della democrazia e perfino in questa vicenda sono stati un esempio. Avevano molti modi per impedire ad Assange e a Wikileaks di pubblicare quei file, ma alla fine tutto va in rete e i giornali americani e europei fanno il loro mestiere indisturbati. Altrettanto non sarebbe potuto accadere in Cina, in Russia, nei Paesi Arabi, tutti luoghi molto amati da chi sogna il crollo degli Stati Uniti. Anche gli antiberlusconiani esultano. I giudizi sul Cavaliere sono duri, la sua politica a Washington non è mai piaciuta, i suoi legami con la Russia e la Libia sono sempre stati visti come fumo negli occhi. Il linguaggio dei report è perfetto per gli speculatori – da oggi saranno in azione – e per chi sogna il regime change a Palazzo Chigi. Al loro posto non esulterei, lo sfascio sarà collettivo. E presto lo vedranno con i loro occhi. Siamo di fronte a qualcosa di ben più grande, le pietre rotolano a valle, la crescita esponenziale della tecnologia sta accelerando i processi storici, siamo all’inizio della fine dell’impero Americano. Mario Sechi, Il Tempo,29/11/2010

IL TRADIMENTO IN POLITICA

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Costume, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini Bene ha fatto Berlusconi, uso com’è a dir sempre pane al pane e vino al vino, a rilanciare, rivolgendosi a Fini e ai finiani, l’uso del concetto di “tradimento” in politica. Ha fatto bene non solo e non tanto perché quel concetto si confà perfettamente all’ultima (per il momento) capriola del camaleontesco fondatore del neo-futurismo libertario in salsa rosso-nera, ma anche e soprattutto perché il suo impiego è stato di recente contestato persino da qualche ammiratore del Cav. al di sopra di ogni sospetto di tradimento e slealtà. Vedi – per fare l’esempio più abbagliante – il mio vecchio amico Giuliano Ferrara, secondo il quale il concetto di “tradimento”, nelle moderne democrazie, non avrebbe più nessun senso. Come se la presente età democratica, per quanto possa considerarsi diversa da tutte le precedenti, non fosse pur sempre soltanto un capitoletto della storia universale dell’umanità, nella quale è manifesto che il “tradimento” – politico e non – costituisce, per così dire, un ingrediente eterno e inestirpabile. L’espunzione del concetto di tradimento dal racconto e dell’analisi dei fatti attinenti alla vita delle moderne democrazie sembra fra l’altro implicare l’idea che a nessun politico del nostro tempo possa essere riconosciuta la stoffa del traditore. Al tipo del politico moderno sarebbe dunque negata in radice la capacità di tradire. Ciò che distingue il politico di oggi da quello di una volta non sarebbe insomma soltanto un insieme di differenze storiche, ideologiche, culturali e simili, bensì una differenza propriamente antropologica, definita appunto della privazione della facoltà di tradire.

Ma allora alle moderne democrazie non dovremmo attribuire soltanto tutti i caratteri che vengono loro abitualmente riconosciuti dagli storici e dai politologi ma anche una sorta di potere salvifico e palingenetico, attestato da quel loro sommo prodotto che sarebbe appunto il politico privo per definizione della facoltà di tradire: un angioletto non molto diverso dal famoso Uomo Nuovo sognato da tutte le utopie basate sul miraggio della paradiso in terra. Fossi Fini, in questo proposito di privarmi della qualifica di “traditore”, vedrei un misconoscimento del mio vero rango. E sventolerei con vigore l’onore di appartenere alla stirpe dei Bruto e dei Cassio. Insomma rivendicherei il mio diritto di iscrivermi all’albo d’oro dei tanti eroi che proprio con un atto di squisito tradimento hanno potentemente contribuito all’avvento di qualche evento epocale. Vedi quel famoso fellone, di nome Giuda, che col suo tradimento rese possibile la stessa nascita del cristianesimo. Che, come certo sanno anche quei geniacci di Futuro e Libertà, è assolutamente inseparabile da un atto che consistendo nella denuncia di Cristo a un organismo insieme religioso, politico e giudiziario quale era il Sinedrio ebraico, e avendo così provocato una sentenza di morte emessa da un organismo anch’esso politico quale era la prefettura di Roma in Giudea, fu anche, anzi forse soprattutto, un atto politico. Ruggero Guarini, il Tempo, 29 novembre 2010

DOSSIER WIKILEAKS: ECCO COME GLI USA VEDONO IL MONDO SECONDO LE RIVELAZIONI DEI PRIMI FILE DIFFUSI DAL SITO DEL PIRATA INFORAMTICO ASSANGE

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Politica estera | No Comments »

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange Dei 251.287 file diffusi da Wikileaks 11mila sono classificati come “segreti” e 9mila sono considerati “noforn”, ossia materiale considerato troppo delicato per condividerlo con il governi stranieri. Molti non sono riservati ma nessuno è segnalato come “top secret”. I file del Dipartimento di Stato Usa targati Wikileaks non risparmiano nessuno: alleati e nemici di Washington sono finiti tutti sulla graticola, dopo la pubblicazione della documentazione selezionata da New York Times, El Pais, Guardian, Le Monde e Der Spiegel.
PUTIN-BERLUSCONI NEL MIRINO - Il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi è “incapace, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno”, scrive l’incaricata d’affari americana a Roma Elizabeth Dibble. “È fisicamente e politicamente debole, e le frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza”. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha chiesto all’inizio di quest’anno informazioni su eventuali “investimenti personali” del premier e di Vladimir Putin – di cui Berlusconi sembra essere “il portavoce europeo” – che “possano condizionare le politiche estere o economiche dei rispettivi paesi”. Gli Usa erano poi preoccupati per l’intesa tra Eni e Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue.
SPIATO ANCHE BAN KI MOON - Non meno scottanti per gli Usa i file che testimoniano come Washington abbia ordinato di spiare i vertici delle Nazioni Unite, a cominciare dal segretario generale Ban Ki-moon. La direttiva “classificata”, scrive il Guardian, fu spedita a 30 ambasciate a nome della segretaria di stato, Hillary Clinton, e chiedeva la raccolta di dati personali sui rappresentanti del Consiglio di sicurezza, anche quelli occidentali, ma anche sottosegretari, consiglieri e collaboratori. Informazioni a tutto campo, comprese le password usate, le chiavi in codice usate per comunicare e anche i dati biometrici. Altrettanto imbarazzanti i profili dei vari leader mondiali: Vladimir Putin è un “alpha dog”, il maschio dominante, il presidente afghano Hamid Karzai è “ispirato dalla paranoia” e il fratellastro Ahmed Wali Karzai un “corrotto e un trafficante di stupefacenti”. Il cancelliere tedesco Angela Merkel “evita i rischi ed è raramente creativa”, Nicolas Sarkozy è “un imperatore nudo”, mentre Muhammar Gheddafi, “il dittatore più longevo del mondo”, è un “ipocondriaco”, che non gira mai senza la sua infermiera, “una voluttuosa bionda” con cui ha “una relazione”, che non disdegna il flamenco, ma anche un “politico abile” in grado di mantenere il potere per 40 anni. E ancora: gli alleati arabi degli Stati Uniti, in particolare l’Arabia Saudita, spingevano per un attacco contro l’Iran per bloccarne il programma nucleare. Non solo: in Pakistan, fin dal 2007, gli Usa hanno avviato azioni segrete, finora senza successo, per rimuovere da un reattore nucleare di Islamabad uranio altamente arricchito che “funzionari americani temevano potesse essere utilizzato per un ordigno non lecito”. La Procura di Roma ha annunciato che valuterà se vi sono gli estremi di reato, se si tratta di carte sotto segreto di Stato o definite “riservate”.
PIÙ DI 3000 MESSAGGI INVIATI IN ITALIA - Intanto, Julian Assange, che è tornato al centro dell’attenzione mondiale è di fatto un fantasma: non si sa dove si trovi, né cosa progetti di fare. È “scomparso” dal 18 novembre scorso, quando la magistratura svedese ha spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto internazionale per stupro e molestie, dopo l’accusa di due donne. Oggi si è collegato in videoconferenza con la conferenza dei giornalisti investigativi ad Amman, in Giordania. “La Giordania non è il posto migliore dove stare se ti cerca la Cia”, ha detto Assange, spiegando di non poter rivelare dove sia in questo momento. Il sito web ha subito nel tardo pomeriggio un attacco informatico che lo ha di fatto oscurato per diverse ore. I responsabili hanno subito annunciato che i file sarebbero stati resi noti dai media che li avevano avuti in anticipo. E così è stato: la documentazione conta circa 260.000 file dal 1966 al 2010. Tra questi, sono “3.012″ – scrive El Pais – i file inviati dalle sedi diplomatiche americane in Italia. Non è escluso dunque che tra le centinaia di migliaia di pagine si celino ulteriori scottanti segreti. “È l’11 settembre della diplomazia”, aveva detto il ministro degli Esteri Franco Frattini a poche ore dalla pubblicazione, dando voce alla preoccupazione del mondo e del governo italiano. “La Cernobyl della politica internazionale”, aveva avvertito la stampa israeliana. Forse non hanno sbagliato.
DISPACCI COLORITI - La visione dei diplomatici di Washington riguardo ai politici internazionali è un caleidoscopio di immagini decisamente poco consone alle feluche. Nella selezione fatta dal Guardian, uno dei quotidiani che ha visionato il materiale in anticipo, le immagini colorite si sprecano. La relazione tra il presidente russo Dmitry Medvedev e il premier Vladimir Putin è descritta come se Medvedev “giochi a fare Robin con il Batman-Putin”. Kim Jong-il viene descritto come un “vecchio tizio flaccido” e qualcuno che comunque ha sofferto “traumi fisici e psicologici” a causa dell’icuts. L’ambasciata americana a Parigi ricorda lo stile “autoritario” del presidente Nicolas Sarkozy, abituato a bacchettare frequentemente la sua squadra e lo stesso premier. Né vengono risparmiati alleati-chiave: il presidente afghano Hamid Karzai è “un uomo estremamente debole che non ha ascoltato gli eventi e che invece si è lasciato influenzare da qualcuno venuto per raccontargli le storie più bizzarre e complotti contro di lui”. Nello Yemen, il presidente Ali Abdullah Saleh è stato “sprezzante, annoiato e impaziente” durante l’incontro con John Brennan, vice-consigliere di Barack Obama per la sicurezza nazionale. Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, è semplicemente bollato come “il vecchio pazzo” da Maite Nkoana-Mashabane, ministro sudafricano per la cooperazione internazionale, in un rapporto da Pretoria. E il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, è “elegante e affascinante”, ma non mantiene le promesse.

……Il colorito e non piacevole ritratto del presidente Berlusconi come emerge dai documenti diffusi da Wikileaks ha provocato, secondo quanto riferito da che ci ha parlato, una gran risata da parte di Berlusconi. Infatti il giudizio di una modesta fiunzionaria dell’ambasciata americana a Roma non può che provocare un sorriso, tanto appare superficiale e per lo più ripreso da qualche quotidiano di sinistra. e questo la dice lunga sulla diplomazia americana.

ASSAGE, L’INVENTORE DEL SITO CHE STA PROVOCANDO CAOS NELLA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Mentre attraverso alcuni quotidiani che li hanno ricevuti in anticipo già si conoscono alcuni delle centinaia di migliaia di documenti del Dipartimento di Stato amerciano messi in rete dal sito Wikileaks, ecco un ritratto del suo inventore, Julian Paul Assange,  ricercato dall’Interpol per violenze sessuali in Svezia.

Julian Paul Assange, il pifferaio magico della trasparenza a oltranza, il campione delle rivelazioni scottanti su internet, soprattutto anti-occidentali, è l’uomo meno trasparente del pianeta. Il suo vero motto potrebbe essere: «Pubblico i segreti degli altri, ma non certo i miei».

L’algido visionario fa impazzire il mondo con la crociata di Wikileaks. Il sito che sta inguaiando gli americani dall’Irak all’Afghanistan, in attesa dell’annunciata valanga di documenti che scuoterà più di un alleato degli Stati Uniti compresa l’Italia. Non soltanto: Assange si presenta come paladino anti-cattivoni (Pentagono, Cia, ecc.) ma allo stesso tempo vive e raccoglie informazione come una spia, con la differenza che alla fine le pubblica in rete. Un gioco degli specchi che deve far comodo a qualche servizio segreto, mai sfiorato da una sola rivelazione, come quello russo o cinese.

Capelli bianchi, smilzo, mezzo ascetico e spesso vestito di nero, Assange è nato nel 1971 in Australia. A 17 anni fa il suo esordio nel mondo della pirateria informatica con gli «International subversives», che penetrano i computer della Nasa. Nel 1999 registra il dominio leaks.org, che vuol dire letteralmente «trapelare». Otto anni dopo ci aggiungerà davanti Wiki, per trasformare il suo sito nell’enciclopedia in rete delle rivelazioni planetarie. «I nostri principali bersagli – dichiara al momento del lancio di Wikileaks – sono i regimi oppressivi come la Cina, la Russia, e quelli dell’Asia centrale. Ma ci aspettiamo di essere d’aiuto anche per chi in Occidente vorrebbe che fossero denunciati comportamenti illegali e immorali dei governi e delle grandi società».

In realtà le rivelazioni di Assange si sono concentrate soprattutto contro l’Occidente. Amnesty International lo premia nel 2009 per una fuga di notizie sugli omicidi di stato in Kenya. Tutta robetta, rispetto a oggi, ma il visionario predicatore della trasparenza, a senso unico, comincia a crearsi un’immagine. Vagabonda facendo tappa in Islanda, ma qualcuno giura che ha soggiornato pure in Russia e Georgia. Il sito anti segreti diventa molto famoso quando rende noto un video di elicotteri americani a Bagdad, che uccidono giornalisti locali. Guarda caso Assange conquista il premio Sam Adams, organizzato da ex agenti della Cia, in nome di un’etica nei servizi segreti. I sostenitori del complotto dietro l’11 settembre sono convinti che il guru di internet sia al soldo della Cia. L’unico dato certo è che fino a oggi ha pubblicato migliaia di documenti riservati del Pentagono e sono in arrivo quelli del Dipartimento di Stato, ma dalla sede dell’agenzia a Langley non salta fuori nulla. I colpi grossi arrivano con le rivelazioni sulla guerra in Irak e Afghanistan. La tv americana Fox news chiede a gran voce che Assange sia incriminato per spionaggio. «Queste cosiddette fughe di notizie sono chirurgiche e riguardano sempre l’Occidente. Wikileaks è diventato uno strumento di potere amplificato dai media. Sono tutti sintomi che dimostrano come il sito non sia più in mano a un paladino della verità, ma sotto l’influenza di uno o più apparati di intelligence di grandi potenze», spiega Fabio Ghioni, l’hacker più famoso d’Italia.

Mosca e Pechino, per ora, sono uscite indenni dalle soffiate di Wikileaks, che prima degli scoop mondiali sulle guerre degli americani stava per chiudere i battenti per mancanza di fondi. Proprio sulle finanze del sito anti segreti si addensano i dubbi più pesanti. Assange sostiene di aver incassato nell’ultimo anno un milione di dollari in donazioni via internet. Ufficialmente i collaboratori di Wikileaks lavorano gratis. In realtà mantenere in piedi un’operazione del genere costa molto, a cominciare dai server dispersi per il mondo. Per non parlare dei soldi per tirar fuori le notizie e delle spese di Assange che vive, come dice lui, «in aeroporto, sempre in movimento». Oltre alle parcelle legali per le cause e l’ultima grana sulla presunta violenza sessuale del fondatore in Svezia. Assange ha incaricato della difesa il miglior avvocato del Paese, ma la storia puzza di trappola sessuale, come ai tempi del Kgb. Le due presunte vittime sono strane fan di guru di internet. Lui ha ammesso di esserci andato a letto perché consenzienti. Sull’uomo meno trasparente del mondo è piombato il mandato di cattura di un procuratore svedese. Assange, che voleva chiedere asilo politico in Svizzera, è da pochi giorni un latitante ricercato dall’Interpol. Non si capisce dove sia e chi lo protegga, ma proprio in rete c’è chi ha lanciato un appello alla Cina per concedergli rifugio.

RAI: ASPETTANDO SGARBI CHE DICE “SARO’ L’ANTISAVIANO DELLA TV”

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cronaca, Spettacolo | No Comments »

Eccolo, l’anti-Saviano: Vittorio Sgarbi. Chi, se non lui, può raccogliere la sfida di inventarsi una trasmissione di forte impatto che possa raccogliere un pensiero diverso da quello ecologista-pacifista-buonista di sinistra che si è raccolto intorno allo show Vieni via con me? E così il critico, dopo l’ultima vicenda delle associazioni pro-life che non hanno ottenuto diritto di parola nello show di Fazio (per replicare ai sostenitori dell’eutanasia), ha deciso di scoprire le carte.
Da tempo il bellicoso intellettuale stava progettando insieme ai vertici Rai di organizzare una trasmissione alternativa, in cui parlare soprattutto di cultura, di valori, dei temi alti della vita, insomma da Michelangelo a Dio. E da anni l’area culturale e politica più vicina alla destra e al pensiero liberale cerca un campione che possa reggere il confronto televisivo, anche se Sgarbi è ben lungi dall’essere inquadrato in qualsiasi categoria politica o ideologica. Comunque sia, ieri, Sgarbi ha confermato l’avvio del progetto e gli incontri avvenuti con il direttore generale della tv di Stato, Mauro Masi. Lo show dovrebbe avere una vetrina importante: le prime indiscrezioni parlavano di sei puntate in prima serata su Raiuno, anche perché Sgarbi o gioca in grande oppure non comincia nemmeno. «In realtà – spiega il sindaco di Salemi – ora cominciamo con realizzare un numero zero, poi studieremo la rete e la collocazione giusta. Potremmo partire già da gennaio. L’importante è che vada in onda in prima serata per avere una risonanza tale da rispondere ai dibattiti suscitati da Fazio». Tanto che nel primo giorno di messa in onda verrà dato spazio ai movimenti che si battono contro l’eutanasia e che avrebbero voluto parlare a Vieni via con me. «L’idea che una persona che assiste un malato non possa parlare in tv è assurda – aggiunge -. Queste persone avranno lo spazio che serve per affrontare problemi profondi e parlare del bello, di spiritualità, grazia, miracolo, mistero e vita. Una trasmissione così l’avevo già in mente vent’anni fa, la stavo progettando con Gugliemi, si doveva chiamare Forza Italia!».

Ma il critico non ha intenzione di realizzare un ennesimo talk show dove litigano esponenti pro e contro qualcosa (come, del resto, non è neanche quello di Fazio), ripartirà invece da Sgarbi-quotidiani, la sua famosa rubrica in onda su Canale 5. In sostanza, i temi saranno decisi dal conduttore, ma si darà possibilità di replica, a chi ovviamente ha titolo e testa per parlare. «Se ha avuto un merito Saviano – continua il critico – è stato quello di dimostrare che il pubblico non si annoia quando si articola un discorso più lungo di tre minuti, al contrario di quello che sosteneva Bernabei (lo storico direttore della Rai), indicazione che ha condizionato tutta la nostra tv. Invece milioni di persone sono rimaste inchiodate ad ascoltare monologhi di venti minuti, come facevo io a Sgarbi Quotidiani e come farò nella prossima trasmissione». Il titolo non è stato ancora deciso. «Potrebbe essere, ma dico così per dire, Vieni via con noi o Il bene e il male, l’importante sono i temi: nella prima puntata vorrei parlare di Dio, nella seconda del falso e del vero, nella terza dell’onore». Un esempio: si annuncia che si parla di Andreotti, in realtà non si tratta del personaggio politico, ma di Libero Andreotti, artista toscano; oppure si lancia un dibattito su Gelli, non il capo della P2, ma Lelio Gelli, scultore fiorentino.

Ora vedremo se i dirigenti Rai, che pure hanno sollecitato Sgarbi a realizzare una trasmissione di questo tipo, avranno il coraggio e la forza di mandarla in onda in prima serata. Intanto gli stessi dirigenti domani dovranno vedersela con l’ultima puntata di Vieni via con me: oltre alle proteste dei movimenti pro-life esclusi dallo show, ci saranno sicuramente polemiche per l’argomento che affronterà Saviano nel suo monologo: il terremoto dell’Aquila e tutti i problemi legati alla ricostruzione con le conseguenti critiche all’operato del Governo.

.……Ci auguriamo che il progetto vada in porto. Sgarbi è l’unico,  tra gli intellettuali e uomini di cultura di destra,  che sia in grado di inventare e condurre una trasmisisone di cui si ha grande bisogno, una trasmissione che riesca ad essere per la destra ciò che lo sono per la sinistra quelle condotte dai Fazio, dai Santoro, dai Floris,  e compagnia cantando.