Archivi per dicembre, 2010

TUTTI TIFANO PER BERLUSCONI. ECCO PERCHE’, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 22 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Berlusconi ha rotto un silenzio televisivo che du­rava da mesi. Lo ha fatto a Matrix , con una lun­­ga intervista concessa ad Alessio Vinci. Ha spie­gato come intende ripartire (e con chi) dopo il brusco stop della scissione e la grande paura del voto di fiducia. In poche settimane il vento è cambiato di 180 gradi. Se non fosse per un incredibile pasticcio bu­rocratico combinato in Senato dalla vice presidente Rosy Mauro, il governo avrebbe potuto portare a casa già ieri sera una riforma attesa da anni, quella dell’Uni­versità. Ma soprattutto, in pochi giorni, Berlusconi ha incassato il via libera da quasi tutto lo schieramento politico e istituzionale ad andare avanti con questo governo. Prima i vescovi, poi il presidente Napolitano, nelle ultime ore Casini e addirittura Gianfranco Fini. Per tutti questa legislatura ora deve e può continuare, non c’è alternativa percorribile alla maggioranza di centrodestra. Chi si era illuso, a partire dal Pd di Bersa­ni, di usare il grimaldello Fini per scardinare il berlu­sconismo si è dovuto ricredere e ora batte in ritirata. Non ci sono i numeri in Parlamento, non c’è aria nell’ elettorato sondato ogni ora in attesa di un segnale che non è arrivato. Anzi, le curve del gradimento del Pdl e quella personale di Berlusconi hanno in­­vertito la rotta e stanno cominciando a risalire. In compenso quella del Fli sta precipitando e quella del Pd non dà segni di vita. Siamo quindi al paradosso che Fini, Ca­sini e Bersani tifano Berlusconi. Sperano che ce la faccia a completare l’opera di rafforzamento della sua maggioranza e non scelga invece la strada delle elezioni anticipate, per le quali, a parte Pdl e Lega, nessuno appare pronto. Ovviamente non è amore ma una scelta imposta dai fatti. Fallito il piano Fini, ognuno cerca di riposizionarsi. Anche se non ci voleva molto a capirlo, gli uomini rimasti fedeli al presidente della Camera si rendono conto che spostarsi ancora un passo a si­nistra vorrebbe dire precipitare nel bara­tro. Casini ha lo stesso problema ma un vantaggio su Fini: per lui le porte del cen­trodestra sono aperte, se e come entrare ufficialmente nella maggioranza non è il problema centrale ma è ormai chiaro che almeno nell’immediato futuro l’Udc non farà mancare il suo aiuto. Se il controesodo dei moderati avverrà alla spicciolata o per blocchi ancora è da capire. In Parlamento si stanno attrez­zan­do gruppi cuscinetto per chi vorrà da­re il suo contributo in modo visibile al raf­forzamento della maggioranza. Il tabù che le gambe del governo potessero esse­re soltanto due ( Pdl e Lega) ormai è cadu­to. Pericolo quindi scampato? È presto per dirlo con assoluta certezza. Ma una cosa ora è chiara: o così o urne. Per que­sto il Pdl non ha spento i motori della macchina elettorale improvvisamente accesi due mesi fa. Ieri Berlusconi lo ha ribadito: stiamo per cambiare nome al partito. Il premier ha rassicurato la com­ponente ex An sul fatto che non si tornerà a Forza Italia, con tutte le implicazioni personali e politiche che questo avrebbe comportato. Il nuovo Pdl avrà un nome formato da una sola parola e resterà la casa comune così come pensata all’origi­ne. Gli strateghi da salotto e gli intellettuali illuminati che avevano già celebrato il fu­nerale del governo devono quindi rasse­gnarsi. Non è la prima volta che sbaglia­no analisi e conclusioni. Faranno finta di nulla, come al solito, ma continueranno a fare i maestrini. La loro attenzione ades­so si concentra sull’11 gennaio, giorno per il quale è attesa la sentenza della Con­sulta sul legittimo impedimento che sta bloccando i processi a Berlusconi. Ieri il premier ha detto che non teme l’appunta­mento, e che andrà avanti comunque, a costo di scendere nelle piazze, in caso di bocciatura, a spiegare agli italiani una ve­rità che farà vergognare i magistrati. C’è da credere che lo farà.Alessandro Sallusti, Il Giornale, 22 dicembre 2010

VITTORIO FELTRI LASCIA IL GIORNALE: ECCO IL SUO SALUTO AI LETTORI

Pubblicato il 22 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Caro Direttore,

un paio di mesi fa, in vista della so­spensione di tre mesi poi inflittami dall’Ordine dei giornalisti, ho ce­duto volentieri a te il posto di diret­tore responsabile del Giornale , ri­servandomi quello di direttore edi­toriale nella speranza di rendermi ancora utile. Il passaggio è avvenu­to in sordina, anche se qualcuno lo ha notato lo stesso. Ora che me ne vado del tutto, mi sembra opportu­n­o spiegare ai lettori perché ho pre­so simile decisione. Primo. Non lascio per la secon­da volta questa gloriosa testata per motivi polemici. Anzi. Sono grato a coloro che mi hanno seguito con entusiasmo, e a te, in particolare, per l’aiuto fondamentale che mi hai dato in sedici mesi di lavoro al­lo scopo di rilanciare il nostro quo­tidiano. Secondo. Il problema è che la sanzione disciplinare (a mio avvi­so ingiusta) mi vieta di esercitare la professione fino al 2 marzo 2011. Che faccio intanto? Poiché deside­ro non essere un peso per la reda­zione e per l’azienda, né mi piace stare con le mani in mano, cambio mestiere: mentre sconto la «pena» (il bavaglio) che mi impedisce di scrivere articoli, faccio l’editore. Poiché non posso farlo qui, dato che ce n’è già uno, e molto valido, mi trasferisco a Libero , di dove so­no venuto, che mi ha offerto la pos­sibilità di cimentarmi nel ruolo, ap­punto, di editore (oltre che di diret­tore editoriale) accanto a Mauri­zio Belpietro. Sono certo che i letto­ri e tu comprenderete le ragioni della scelta. Non si tratta di diser­zione né di disaffezione verso il Giornale . Semplicemente, nono­stante l’età, non amo il riposo: se non lavoro, mi sento morire. In­somma, cari amici, queste dimis­sioni mi sono state «prescritte» dal medico. La salute è la salute. A te, Alessandro Sallusti, l’augu­rio di proseguire sulla strada del successo, con il contributo di Gian­ni Di Giore, amministratore cui bi­sogna riconoscere il merito di aver sistemato i conti, e non era facile. A tutti i colleghi un abbraccio. E a Pa­olo Berlusconi un ringraziamento per avermi sopportato con una pa­zienza degna di Giobbe. Quanto ai lettori, se non ci fossero, non ci sa­rebbero i giornali e nemmeno i giornalisti. Quindi, teniamoceli buoni e cari. Con una promessa: la battaglia continua. Vittorio  Feltri

Caro Direttore,
non conosco il tuo dottore, avrei pre­ferito ti fossi curato con altre medici­ne. Ma non giudico e rispetto. Fac­cio mio il tuo prezioso consiglio sui lettori, ti auguro una pronta guari­gione e ti ringrazio di tutto quello che hai fatto per me e per noi. A. S

…….Anche noi rivolgiamo a Vittorio Feltri gli auguri di buon lavoro nel suo nuovo ruolo di editore. Non abbandoniamo il Giornale ma leggeremo anche Libero per continuare con Feltri, Belpietro e Sallusti,  la stessa battaglia. g

E ORA FINI SI DEVE DIMETTERE, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Giuliano Ferrara, direttore e fondatore de IL FOGLIO, quotidiano indipendente e assai apprezzato dagli intellettuali della politica, già Ministro di Berlusconi nel suo primo governo, era stato uno dei pochi, tra gli amici di Berlusconi, a tifare per una riconciliazione tra Berlusconi e Fini. Ed era stato il suo quotidiano ad ospitare la richiesta di “rassettamento senza rancori” avanzata da Fini a Berlusconi dopo la violenta scentata di Fini alla Direzione del PDL,  rifiutata da Berlusconi che la giudicò non solo fuori tempo ma sopratutto inficiata dalla polemica scatenata da Fini contro Berlusconi. Dopo le vicende degli ultimi giorni, l’avventata fuga in avanti di Fini, la disfatta da questi subita in Parlamento e il rafforzamento di Berlusconi, che ha riottenutio la fiducia di Senato e Camera, Ferrara rivede i suoi giudizi e spiega su Panorama le ragioni per cui Fini deve dimettersi dalla carica di presidente della Camera.Ecco l’articolo di Ferrara.

Mentre gli sceneggiatori dell’establishment alla Barbara Spinelli delirano su Repubblica, ed eccitano al badoglismo militante la più brutta piazza mai vista a Roma, una piazza semiarmata, ultraminoritaria, che sfascia le carrozze all’insegna del qualunquismo antiparlamentare e dell’attacco ai simboli della democrazia, Gianfranco Fini si lecca le ferite dopo la battaglia di cui alla fine è risultato solo uno strumento, e per giunta disutile. Il bello è che ha perso, per i suoi avversari, ma se anche avesse vinto per uno o due voti, e questo è addirittura bellissimo per chi ama sul serio la democrazia del consenso e dei cittadini, e non quella delle lobby, saremmo da capo a dodici e non alla «fine del berlusconismo», perché le alternative a un governo si costruiscono con idee, leadership e programmi, non con chiacchiere velenose, finti scandali e aggressioni di strada.
Ezio Mauro, il direttore della tribuna neobadogliana, l’ha capito. Si è lasciato sfuggire un momento di consapevolezza che stride con il delirio ideologico dei suoi. E ha scritto a caldo che Fini deve dimettersi e preparare una alternativa politica nel Paese, non un golpicchio parlamentare, scegliendo una sua nuova identità, che non può essere, ma questo lo aggiungo io, quella di un presidente che non esercita il carisma della garanzia e che addirittura rappresenta una fazione aggressiva e d’assalto. Bisogna aggiungere, per la verità delle cose, che spetta al capo dello Stato esercitare la sua «moral suasion» nella direzione giusta. Giorgio Napolitano è giustamente interventista, cum grano salis perché ha esperienza politica, e prudenza. È ora che faccia capire quanto è anomala una situazione in cui l’esablishment delegittima in aula e in piazza il governo della maggioranza degli italiani e le istituzioni parlamentari, e la terza carica dello Stato si fa strumento ormai passivo di questa delegittimazione.
I miei due o tre lettori di Panorama sanno bene che non ho mai offeso Fini, non l’ho mai considerato altro che un fenomeno politico da maneggiare con cura e sensibilità, senza complessi ma senza rancori e spirito di rivalsa personale. Non è però umanamente possibile non chiedergli di prendere atto della situazione scabrosa in cui si è messo, aggregandosi con il suo gruppo, non proprio un nucleo d’acciaio, al carro degli sfiduciatori d’opposizione e centristi. Non c’è più un Fini solitario che si batte per una destra delle idee, non c’è più un Fini che cacciato dal suo partito manovra per una svolta politica nel rispetto della regola secondo cui governa chi ha vinto le elezioni: ora c’è un Fini che le signore e le commentatrici della buona società vogliono investire apertamente del ruolo di Pietro Badoglio, ma non contro un Duce che ha soppresso i partiti e le libertà, bensì contro un presidente del Consiglio liberamente eletto, che ha diritto di governare finché nuove elezioni non lo facciano cadere di sella. Questo Fini, se non ci saranno le sue dimissioni, rischia di diventare un pericoloso pretesto di antidemocrazia e di giochi lobbistici che dovrebbero essergli estranei, se non si sia del tutto bevuto il cervello, sperduta l’anima.

Giuliano Ferrara, Panorama, 21 dicembre 2010.

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FINI, IL COMPAGNO TRINARICIUTO DI GUARESCHI

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Ha cambiato idea. Un’altra volta.  Dopo aver constatato che Casini ha abbassato i toni della polemica e si è detto pronto a confrontarsi con il governo e Berlusconi, oggi Fini si è detto dell’idea che il governo può durare e che la legisaltura può andare avanti. Quante volte ha cambiato idea Fini nel corso degli ultimi mesi? Non se ne può tenere il conto, tante numerose  sono state. Tante, sino al punto che ormai Fini appare sempre più l’indimenticato personaggio di Giovanni Guareschi, quello della caricatura di un  compagno  trinariciuto che compariva nelle vignette  di Candido, il giornale fondato da Guareschi, al quale Guareschi faceva ripetere ad ogni mutamento di indirizzo di Botteghe Oscure (la sede storica del PCI) la frase: contrordine, compagni!. Ecco, il compagno Fini ha ricevuto l’imput – il contrordine – è ha mutato pensiero, ragion per cui dopo aver tentato di buttare all’aria il governo, si è convinto che il governo e la legislatura possono durare. Non per lui. Ma nonostante lui. Solo su una cosa il nostro compagno non cambia opinione: la poltrona di Montecitorio. Oggi ha ribadito che non lascia la poltrona perchè verrebbe meno al dovere verso chi lo ha eletto. Ma che dice Fini. Chi lo ha eletto sono solo  i deputati del PDL e della Lega i quali, depurati dai compagni di tradimento di Fini, ora non lo vogliono più. Per cui stia tranquillo che quelli che lo hanno eletto, ritenendolo allora degno della loro fiducia, sono proprio quelli che non lo rimpiangerebbero. Comunque, come ha ben detto oggi sul Giornale Alessandro Sallusti, si comprende perchè Fini non molla quella poltrona: è l’unica e, sopratutto, l’ultima che gli è rimasta. Dopo se la dovrà solo sognare. g.






E’ MORTO ENZO BEARZOT

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Cronaca, Sport | No Comments »

E’ una foto storica. Sandro PERTINI, presidente della Repubblica, abbraccia euforico Enzo Bearzot dopo la trionfante vittoria dell’Italia contro la Germania Ovest ai campionati del mondo del 1982, vinti dall’Italia guidata appunto da Enzo Bearzot. Notte magica e indimenticabile per una vittoria sudata, conquistata e meritata dagli atleti,  in primo luogo, che non erano solo caricature di se stessi, come è accaduto di recente, e poi da quel grande allenatore, Enzo BEARZOT, appunto, un commissario tecnico che nei circa dieci anni in cui guidò la Nazionale italiana seppe conquistare il cuore dei suoi uomini e quello di tutti gli sportivi italiani. Che oggi si inchinano alla sua memoria, tributandogli l’omaggio che merita, che ha meritato, e  il suo ricordo rimarrà scolpito per sempre nella storia dello sport italiano. Addio, grande Enzo.

L’INFILTRATO ARMATO DI CASCO? UN PIZZAIOLO PRECARIO

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Non è uno studente. Non è un agente infiltrato. Non è un black bloc. È un pizzaiolo precario il responsabile del più grave atto di violenza dello scorso 14 dicembre a Roma: il brutale colpo di casco che ha messo ko il quindicenne Cristiano, ripreso da un manifestante in un video rimbalzato su siti e tv che appare a ogni visione più raccapricciante. Il minorenne si trova tuttora all’ospedale San Giovanni, dove oggi sarà operato per ridurre la frattura scomposta al naso. A procurargliela è stato, in quel delirante martedì, Manuel De Santis, 21 anni, che sabato scorso ha presentato alla Procura di Roma, a mezzo dei suoi avvocati, una dichiarazione nella quale si prendeva la responsabilità del gesto. Gesto peraltro probabilmente non isolato: ieri è spuntato un nuovo video in cui si vede una persona vestita come De Santis (cappello con visiera, giubbotto nero con cappuccio, jeans e la falda di un maglione scuro legato alla vita che spunta all’altezza del sedere) sferrare un altro colpo di casco a una persona probabilmente più fortunata di Cristiano.
Si tratta della dimostrazione che dal «Bloody Tuesday» non escono vincitori e vinti, ma solo sconfitti. E si tratta ancora dell’ennesima bufala smascherata a proposito delle ore in cui Roma è stata oltraggiata, in cui i poliziotti sono stati scambiati per sagome di un tirassegno, in cui il movimento studentesco ha visto annegare le sue idee in un mare di violenza. Assieme al pizzaiolo precario agiva infatti un altro teppista che era stato ripreso in un fermo immagine mentre faceva un gesto che poteva essere scambiato per un saluto romano. E questo aveva scatenato i soli romanzieri, a caccia di infiltrati e di provocatori fascisti. Perché la violenza non può che essere di destra. Invece De Santis è descritto come un uomo di sinistra, un «cane sciolto», dicono i suoi legali. Tesi, questa, che agevolerà lo scaricabarile tra le mille anime antagoniste. E già ieri su Indymedia, il sito di informazione alternativa, spuntavano «post» in cui il pizzaiolo veniva definito «infame». Tutto, pur di rifiutare «il becero tentativo di ricondurre la manifestazione a mera esplosione di violenza cieca e distruttiva, a cui far seguire l’approvazione di nuove norme repressive».
La verità è che il pizzaiolo si trovava in piazza come parte di quel magma di varia umanità antagonista che ha «sequestrato» la manifestazione, che ha legittimato la violenza contro poliziotti e manifestanti dissenzienti, che nella protesta studentesca ha visto l’occasione per sfogare la propria frustrazione e l’antiberlusconismo di maniera. Le immagini amatoriali dell’aggressione sono allucinanti, e non solo per il «tump» del casco che spacca il naso di Cristiano. Stupiscono perché nessuno ha fermato De Santis né prima dell’aggressione né – soprattutto – dopo. Le immagini lo inquadrano pochi secondi dopo l’aggressione indisturbato stringere ancora la sua arma impropria. Con tutta probabilità ore dopo vagava ancora, impunito, per le strade di Roma con la sua furia cieca, mina vagante tra mille altre mine vaganti.
Poi, molti giorni dopo, è arrivato il momento del rimorso e delle spiegazioni. Quello che De Santis dirà agli inquirenti, che lo ascolteranno nelle prossime ore, non lo sappiamo. Quello che ha fatto sapere ieri per bocca del suo legale è quanto meno sconcertante: avrebbe colpito con rabbia e di spalle Cristiano «per evitare che la manifestazione diventasse violenta». Per questo motivo «si è lanciato contro i manifestanti che attaccavano le camionette della polizia e che avrebbero voluto raggiungere il Senato». Quanto al rimorso, siamo in zona melodramma, con quel tocco familistico così tipicamente italiano. «Manuel è venuto da me con i suoi genitori – dice l’avvocato Mancini – erano tutti sconvolti e addolorati per quanto è successo. È un bravo ragazzo». Definizione, questa, che non si nega proprio a nessuno, evidentemente. L’aggressore e la sua famiglia hanno manifestato l’intenzione di risarcire i danni riportati da Cristiano e di poterlo incontrare. Una deriva perdonista che non incanta il papà di Cristiano: «Penso sia un momento ancora delicato e riflessioni su eventuali perdoni sono ancora premature». Anzi l’uomo, che è avvocato e che sul ferimento del figlio ha presentato una denuncia contro ignoti, senta puzza di stratagemma: «Da legale posso dire che si tratta di un atteggiamento strategico che può premiare». Comunque il papà di Cristiano da ieri ha ritrovato un po’ di serenità, se non altro per il sollievo di sapere «che una persona pericolosa e irresponsabile è stata tolta dalla strada».
.….La stampa di sinistra e le truppe armate del sinistrume italiano,  dopo aver fatto finta di esprimere solidarietà alla polizia aggredita martedì 14 dicembre dai violenti che hanno usato la riforma universitaria come grimaldello per scatenare una vera e propria guerriglia per le strade del centro storico della Capitale, hanno dato via libera al solito copione: tra i contestatori c’erano degli “infiltrati2, cioè dei provocatori il cui compito sarebbe stato quello di far degenerare la protesta pacifica per scatenare la reazione della polizia. E’, lo abbiamo detto, il copione di un film già visto nel passato, recente,m e anche in quello più lontano, durante gli anni di piombo e della protesta giovanile del 1968. Ma ora, come allora, nulla di cutto ciò è vero, anzi non v’è nulla di più falso. Ed infatti, anche questa volta la trama è stata svelata. Il teppista con un casco indicato dalla stampa di sinistra come l’infiltrato numero uno, è risultato essere un vero contestatore che di mestiere fa il piazzaiolo precario. E per questa volta, come per le precedenti, la stampa di sinistra è stata sputtanata. Come sempre. g.

ADDIO PDL, TORNA FORZA ITALIA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Il territorio, Politica | No Comments »

Napolitano ha fatto gli auguri a Berlusconi. Di Natale, ma non soltanto. L’auspicio è che questo governo vada avanti. È una sorta di via libera al premier a procedere con la sua maggioranza risicata alla Camera e un altolà a chi ancora trama per tentare improbabili e pasticciati ribaltoni. Governare con pochi voti di margine, quindi, oltre che legittimo è lecito. Del resto in molte democrazie europee già avviene, lo stesso Obama guida l’America con dalla sua un solo ramo parlamentare. Da ieri, quindi, l’ipotesi di elezioni anticipate perde ancora un po’ di quota e la maggioranza respira. Al punto che si ricomincia a guardare al futuro non sotto l’incalzare delle emergenze, ma con piani a lungo termine. Come quello – la notizia è trapelata da un incontro tra Berlusconi e alcuni europarlamentari – di cambiare nome al Pdl. E tra le ipotesi, la più accarezzata è quella di tornare alla vecchia Forza Italia. Se così sarà, non si tratta di banale operazione di facciata ma la presa d’atto che la fusione con An non ha dato i risultati sperati. E non soltanto per la scissione di Fini.

È evidente che un’operazione del genere implica non soltanto ribadire con forza la centralità assoluta e indiscutibile di Berlusconi, ma anche di tutta la classe dirigente proveniente da Forza Italia. Al centro come in periferia. Il che aprirebbe un nuovo, grande dibattito dentro l’attuale partito di maggioranza. Accetteranno gli ex colonnelli rimasti fedeli al premier di stare in una struttura di nome e di fatto diversa da quella del Pdl? Se sì, a che condizione? E se no, cosa potrebbe accadere? Non per forza le risposte a queste domande devono portare a una situazione traumatica simile a quella vissuta con Gianfranco Fini. Anzi, potrebbe essere il contrario. La chiarezza, in politica, aiuta sia nella gestione del potere che nella comprensione da parte degli elettori. Non dimentichiamo che la prima ipotesi sul partito unico del centrodestra non era la nascita del Pdl ma una federazione, che è più di una alleanza ma meno di una fusione.

Del resto, chiarire definitivamente i rapporti tra le due componenti del Pdl ormai è una necessità non più rinviabile. Che toglierebbe ulteriore terra da sotto i piedi di Gianfranco Fini e renderebbe più agevole il ritorno a casa di non pochi suoi deputati. Il più spaventato da una simile ipotesi è proprio il presidente della Camera, amico dei magistrati antiberlusconiani (coi quali avrebbe fatto un patto), che ieri ha annunciato di non voler abbandonare la poltrona sulla quale è seduto. Forse già sa che è l’unica e l’ultima che gli resta. Il Giornale, 21 dicembre 2010

……Secondo un primo risultato del sondaggio lanciato online dal Giornale, un buon 78% dei partecipanti  al sindaggio sino a poco fa, sarebbe d’accordoalla proposta di tornare  alla sigla  di Forza Italia, in luogo dell’attuale Popolo della Libertà, ridotto dai giornali alla sigla PDL.  Forse il sondaggio è destinato più in là a cambiare. In attesa di ulteriori approfondimenti,  pensiamo che, a prescindere delle minacce legali profferite dal vicario di Fini, Bocchino,  circa l’uso della sigla PDL in campagna elettorale,  il ritorno a Forza Italia potrrebbe risultare una azzeccata scelta propagandistica come pare ritenere lo stesso Berlusconi che in materia pubblicitaria non è mai stato secondo a nessuno. Certo sarebbe da verificare cosa ne pensino gli ex AN lealmente  rimasti nel PDL ma una soluzione che accontenti tutti la si può trovare. g.

DEMOCRATICI O NO, ADESSO BISOGNA DIRE AGLI SBIRRI: CI FIDIAMO DI VOI

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Alla vigilia del voto finale al Senato sulla ricforma universitaria e delle manifestazioni annunciate dai contestatori della riforma, il Fioglio di Giuliano Ferrara pubblica un articolo-appello che condividiamo. Noi ci fidiamo dei poliziotti e vorremmo che l’ordine pubblico fosse tutelato da loro e da loro soltanto. Ci sembra una cosa giusta e opportuna, anzi del tutto ovvia. g.

E se lasciassero fare agli sbirri, una volta tanto? Se la piantassero di mettersi, pateticamente, a fare loro gli sbirri in sedicesimo? Può un celerino, diciamo, ragionare meglio di un senatore o di un sottosegretario? Eh, hai voglia, se può… E quasi sempre lo fa. Ci sono tanti bravi studenti, in piazza, e un po’ di stronzetti. Ci sono tantissimi bravi sbirri in piazza, e magari qualcuno di mano (o di piede, come si è visto) più pesante. I primi sono inevitabili, i secondi utili. Non è una bella situazione, ma non ce n’è una migliore. Nessuno ha intenzione di farsi troppo male, lì in piazza: lo sbirro costretto a far barriera, per mille e duecento miserabili euro al mese; lo studente che tiene alla sua testolina – fosse di genio, fosse di segatura gonfia, fosse da furore teppistico devastata – e paventa il rischio che un’eccessiva manganellata possa compromettere l’imminente settimana bianca. E’ tutta una teatralità, a volte un dramma ma sempre da una messa in scena preceduto, dove ognuno prende le misure all’altro, avendo ognuno le proprie perdite e le proprie convenienze.

La gente si gioca persino la vita, a volte – anche se non tutti la giocano allo stesso modo: ci sono gli aggressori e gli aggrediti, e (quasi) sempre sono gli sbirri a prendere il primo colpo, il primo insulto, la prima rabbia. Perciò loro sanno benissimo cosa fare; così come benissimo cosa sono lo ha spiegato quel poliziotto che domenica scorsa ha scritto una lettera (anche scritta parecchio meglio di tanti articoli di giornalisti) al Corriere della Sera. Mi sembra molto più affidabile quello sbirro, “io sbaglio… sono un uomo come tanti… e faccio il poliziotto…” – pur con le sue paure e i suoi dubbi e i suoi giustificati rancori (c’è del sangue che molto si vede, c’è del sangue che poco si vede) – dei politici che gli urlano nelle orecchie, che mostrano il petto che mai dovranno mostrare in piazza, che fanno la voce grossa che non dovranno alzare per fronteggiare un sampietrino. C’è sempre qualcosa di retoricamente insopportabile, nelle dichiarazioni di certi politici di sinistra sul tema.

C’è lo stesso qualcosa di retoricamente insopportabile
nell’urlo di alcuni politici di destra sul tema. E’ come se “il ministro della Paura”, geniale e terrificante invenzione di Antonio Albanese, si fosse di colpo incarnato, reso vivo, presente. Come se quelle fiamme e quelle paure fossero davvero e solo una messa in scena. Ma qualcosa brucia davvero; davvero qualcuno, anche dentro la divisa, di paura trema; ma qualcuno sanguina davvero. Bisognerebbe fare un passo indietro – fatti, politicamente, i passi sbagliati che si potevano evitare. E dire agli sbirri: ci fidiamo di voi. Una volta, a un democratico, questo sarebbe apparso pericoloso; adesso, a un democratico, potrebbe apparire rassicurante. Ché forse davvero gli sbirri sanno cosa fare. Lì in piazza, di sicuro. O persino davanti ad Arcore. Stefano Di Michele, Il Foglio, 21 dicembre 2010

LA FACCIA TOSTA DI FINI

Pubblicato il 20 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Tranquillizzo tutti: fino a quando dura la legislatura continueremo a vederci per gli auguri di Natale.Le istituzioni restano, gli uomini passano, sono tutti pro tempore. E tutti dovrebbero ricordarsi che le istituzioni restano e gli uomini passano”.

Indovinate chi è l’autore di cotanta, sfacciata faccia tosta. E’ l’on. Fini e queste parole le ha pronunciate questa mattina rivolgendosi ai dipendenti della Camera, la cui maggioranza, secondo i sondaggi, come tutti gli italiani,  non lo vogliono più come presidente della Camera, percentuale che diventa bulgara se a rispondere sono gli elettori di centro destra. Ma il povero Fini, sconfitto nella sua disperata aggressione al governo liberamente eletto dagli italiani, e oscurato dalle manovre di Casini, resta attaccato con l’attax alla poltrona che gli fu data dal centrodestra perchè di centrodestra. Ora che dal centro destra se ne è andato e le sue truppe si vanno assottigliando di giorno in giorno, se avesse un minimo di dignità politica dovrebbe lasciare una poltorna su cui siede abusivamente. E andarsene a Montecarlo ospite del cognato a cui ha regalalato a prezzo stracciato l’appartamento donato da una militante missina per la “buona causa” e non ci sembra proprio che il cognato di Fini sia una buona causa. A meno che, parafrasando l’indimenticato Ennio Flaiano, Fini non abbia scritto sulla bandiera della sua causa “tengo famiglia”. g.

LA PEGGIO GIOVENTU’

Pubblicato il 20 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Mercoledì 22 dicembre è in calendario al Senato l’approvazione definitiva della riforma dell’Università.  La riforma voluta dal ministro Gelmini è stata  valutata favorevolmente dal mondo accademico e non solo, sinanche il politologo Giovanni SARTORI, storico antiberlusconiano, ha espresso parere positivo, giudicandola come strumento idoneo a cambiare in meglio l’Università italiana. Contro la riforma si è invece scatenata l’azione dei centri sociali  che nei giorni scorsi hanno messo a soqquadro le città italiane e in primo luogo Roma. Era in verità, come poi è stato ammesso da più parti, una protesta strumentale che aveva come obiettivo il Governo Berlusconi. Gli stessi terroristi che hanno messo a soqquadro Roma, si apprestano a farlo anche mercoledì. La scusa è la riforma univesitaria, l’obiettivo vero è tentare di sovvertire le decisioni del Parlamento che martedì 14 dicembre hanno ridato la fiducia al Governo di Berlusconi. E’ insorto il centrodestra, e ha provocato le reazioni scomposte della sinistra la proposta di Gasparri, capo dei senatori pdiellini, che ha chiesto l’arresto preventivo dei facinorosi di professione. L’accusa a Gasparri è stata quella di essere fascista. Come al solito chi difende le istituzioni e vuole preservarle dalla violenza dei terroristi viene accusato di…fascismo. Ecco cosa ne pensa Mario Sechi, direttore de Il Tempo, con l’editoriale di questa mattina.

Eccolo qua, il nuovo nemico pubblico, Maurizio Gasparri. Il capogruppo del Pdl ha detto che al posto della pacca sulla spalla e delle scarcerazioni automatiche per i teppisti, ci vuole legge e ordine. Bisogna isolare i violenti e metterli in sicurezza prima delle manifestazioni. Al netto del modo un po’ ruspante con il quale Gasparri mette giù le sue proposte politiche, credo che il capogruppo del Pdl abbia ragione. Siamo circondati da un’aria torbida, cattiva e sinistra e i miei cronisti in questi giorni mi hanno riferito cose che spero non si realizzino. Il tam tam dell’antagonismo e dello sfascismo parla chiaro: mercoledì la Peggio Gioventù vuole mettere a soqquadro Roma e già da oggi promette un antipasto di quel che sarà. Agli studenti pacifici e in buona fede il diritto di manifestare deve essere garantito, ma più osservo i fatti e più sono convinto che sia arrivato il momento della linea dura. Guardate la foto che pubblichiamo qui a fianco. Per i redattori del mio giornale non ci sono dubbi: è un volantino distribuito in piazza nei giorni degli scontri e la giovinetta sorridente sotto l’ascella cela una pistola. Forse qui a Il Tempo ci vediamo tutti male, ma sfido i lettori a vedere qualcos’altro. Mi auguro che almeno sia caricata ad acqua e che sia una goliardata, ma in ogni caso, il segnale è inquietante.

Quando i cronisti Fabio di Chio e Augusto Parboni mi hanno mostrato il volantino e informato delle intenzioni dei descamisados fuori corso, ho realizzato che tutti i discorsi degli intelligentoni sono fuori tempo massimo. C’è un treno carico di materiale che scotta in corsa. Bisogna fermarlo. I disordini, gli incidenti, gli scontri drammatici di qualche giorno fa sono solo il primo piatto di un pranzo indigesto. Ho letto in questi giorni articoli pieni di comprensione per «i ragazzi», editoriali colmi di buonismo e sociologia da quattro soldi. Sono pericolosi. Innescano una reazione di solidarietà, danno ai violenti la giustificazione per colpire e sentirsi parte di un progetto per un radioso avvenire. Attenti, cari chierici in servizio permanente effettivo, questo non è il Sessantotto, siamo di fronte a qualcosa che non ha progetto politico e rispetto al passato ha a disposizione strumenti ancor più letali.

C’è la Rete, con la sua comunicazione in tempo reale, i suoi slogan, le sue parole d’ordine e la sua capacità di mobilitazione. Muovere masse di violenti, di ingenui pronti a immolarsi per una causa sbagliata, è facile. Non siamo nell’era della clandestinità, ma dello scambio di informazioni in chiaro, in real time, della sfida aperta, della violenza dichiarata, cercata e sbattuta in faccia al mondo, possibilmente in diretta. Quel che sta accadendo nelle università e nelle fabbriche dovrebbe preoccupare tutti e invece stiamo assistendo a una folle gara alla giustificazione del peggio e alla mistificazione della realtà contemporanea. Il fallimento del nostro sistema educativo è totale, è plasticamente rappresentato dalla piazza sbavante di giovani che imbracciano spranghe e tirano sanpietrini. Una parte di loro ha la testa completamente vuota, ma le mani sono armate. Sono là perché vogliono pestare lo sbirro, odiano lo Stato, desiderano lo scontro fisico. Questo fallimento è, prima di tutto, delle famiglie e poi della scuola che ha dimenticato una materia fondamentale: l’educazione civica. Invece di alzare il sopracciglio e impartire lezioni dal salotto, l’intellighentsia di questo Paese dovrebbe fare lo sforzo di ascoltare e leggere cosa si dice nelle università. Scoprirebbero un mondo intriso di fanatismo e una nuova ideologia che sogna il rovesciamento del governo con la piazza.

Sono «contro» tutto», perfino contro Roberto Saviano. Parte di questo movimento estremista viene da sinistra, ma si salda con il magma del mondo degli ultras da stadio, con gli sbandati delle aree metropolitane, con la pura delinquenza il cui unico fine è il caos. Gasparri è il nuovo nemico pubblico e una massa di sfascisti è l’emblema della democrazia. Questo è il risultato del dibattito politico italiano. Fa orrore. Dei fatti, quelli che Il Tempo pubblica da giorni non gliene importa niente a nessuno. Un ragazzo ha rischiato di essere ammazzato con un colpo di casco in faccia e sapete perché? Secondo le direttive dei compagni non doveva lanciare arance ma pietre contro i poliziotti. É stato «punito» da un suo compagno di lotta. Sono sballati che ballano la danza della morte. Mario Sechi, Il Tempo, 20 dicembre 2010