Archivi per dicembre, 2010

CARO SAVIANO, QUANTE STUPIDAGGINI, di Alfredo Mantovano

Pubblicato il 17 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Le violenze di maredì scorso nel centro di Roma ad opera di forsennati delinquenti è il tema delle polemiche che infuocano il dopo fiducia a Berlusconi. Ad inasprire la polemica la decisione del Tribunale di Roma di liberare tutti i fermati, decisione che è stata aspramente criticata da Alemanno, sindaco di Roma, e dal ministro dell’Intenro, Maroni, cui si è aggiunto il ministro della Giustizia Alfano che ha mandato al Tribunale di Roma gli ispettori ministeriali per accertare la regolarità delle decisioni assunte da quel Tribunale che hanno fortemente scosso la opinione pubblica. Naturalmente la polemica tiene banco sui giornali e nella rete, dove si alternano da parte della sinistra formali espressioni di solidarietà alle eforze dell’ordine seguiti da distinguo che meravigliano solo chi non conosce la sinistra e la sua capacità di falsificare e distorcere la realtà, per cui i poliziotti diventano i cattivi e i deliquenti  le vittime della violenza dei poliziotti. E’ una storia che abbiamo visto miggliaia di volte! Ovviamente non mancano i sociologi dell’ultima ora, come lo scrittore (di un unico libro) RobertoSaviano che è sceso in campo per difendere le ragioni (quali?) degli studenti. Alle baggianate di Saviano, ormai vittima di una autoesaltazione permanente per cui si considera l’interprete unico della verità assoluta, ha replicato il sottosegretario all’interno on. Alfredo Mantovano con una lettera indirizzata a Saviano nelle quali Mantovano non lesina critiche, aspre, allo scrittore. ECCO LA LETTERA DI MANTOVANO.

Roberto Saviano C’era una volta uno scrittore attento, capace di descrivere la realtà di “Gomorra” oltre i confini del Casalese, contribuendo a farla diventare – come in effetti è diventata – una questione nazionale. Proprio perché quella denuncia civile è stata coraggiosa e importante, sono convinto che la sua “lettera ai ragazzi in movimento”, dedicata alle proteste e alle violenze degli ultimi giorni e pubblicata da la Repubblica, non venga dalla penna di Roberto Saviano, che pure formalmente la firma. Ne sono convinto perché quella lettera è un campionario di stupidaggini: …la protesta è completamente buona e mostra l’esistenza di “un’altra Italia”; i poliziotti sfogano rabbia e frustrazione su qualche bravo giovine per caso caduto in terra; è tutta colpa dei black block; ci sono gli infiltrati; la polizia fa come a Genova. Soprattutto: il governo è in difficoltà e minaccia i genitori che se permetteranno ai figli di andare in piazza, costoro torneranno pesti di sangue. Se, come ha fatto qualche anno fa nel Casertano, Saviano avesse raccolto informazioni sul campo, magari percorrendo qualche metro di via del Corso nel pomeriggio di martedì, avrebbe visto una realtà differente: giovanissimi, spesso minorenni (altro che suoi coetanei!) in cerca di pretesti per sfogare una violenza che già praticano – dentro e fuori la scuola – col bullismo e col teppismo, dopo essersi fatti di canna e di coca; incapacità di dire le ragioni della protesta; viltà nell’aggredire in venti chi indossa la divisa. Dove sono gli infiltrati? Faccia un solo nome; mostri le foto che li raffigurano.
Dove sono i black block? Li ha filmati? Attenzione: con schemi e categorie di dieci anni fa comprendiamo ancora meno ciò che accade. E poi, che interesse avrebbe Berlusconi a delegittimare chi scende in strada, se costui protesta pacificamente? Quante manifestazioni ci sono ogni mese a Roma, e in tutta Italia? Da anni la possibilità di svolgere migliaia di cortei e di pubbliche proteste è pienamente garantita – non ostacolata – dalle forze di polizia e da qualsiasi governo. L’ammonimento di Saviano a non farsi coinvolgere nella violenza annega, allora, nella descrizione di una realtà diversa da quella che è. Per una volta ha ragione il no global Francesco Caruso quando parla di una “marea di pischelli pieni di rabbia”: quasi rammaricandosi per lo scavalcamento, che mette da parte lui, e quelli come lui. Quell’ammonimento ha il suono di un irreale buonismo, contraddetto dal dato obiettivo della violenza generazionale, del nulla che cerca occasioni per armarsi, del disinteresse per la dialettica democratica. E su questo cede pure il Saviano in versione post gomorra: quando egli parla con disprezzo di “questo governo che…” (e giù il solito elenco), trascura che fa riferimento a uno schieramento che ha vinto le elezioni (elezioni, voti, schede… si è dimenticato che esistono?), che le ha vinte in base a un programma elettorale, e che sta cercando di applicare quest’ultimo non a colpi di mortaio, ma – come avviene per la riforma dell’università – con un serrato confronto in Parlamento, cioè nel luogo della democrazia. Certo, la piazza aiuta la democrazia a crescere.

Ma quando la piazza prova a violare le sedi istituzionali? Quando, non riuscendo a violarle, spacca quanto incontra sul suo cammino? Merita comprensione? Ma davvero Saviano vuole convincerci che le violenze sono arrivate tutte da black block, da infiltrati e magari anche – non l’ha scritto ma forse gli è sfuggito – da uomini dei “servizi”, mentre gli altri erano tutti poveri ragazzi innocenti? La realtà è che si fa presto a liquidare con sorriso di commiserazione chi da anni parla di “emergenza educativa”, e invita a usare la ragione, pur essendo Maestro di fede. Un brutto giorno ci si sveglia e ci si accorge che giovani selvaggi attraversano le strade di Atene, di Roma e di Londra (guarda un po’, le città sulle quali si è fondata la civiltà europea) e le mettono a ferro e fuoco. E si liquida tutto chiamando in causa governo in difficoltà e poliziotti frustrati? Via Saviano, torni a essere l’autore di “Gomorra”, e non un lettore di elenchi datati col timbro di una ideologia frantumata. Che – ne sono certo – non le appartiene. Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno

17/12/2010

L’APPELLO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ON. BERLUSCONI

Pubblicato il 17 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Pubblichiamo l’appello che il presidente del Consiglio ha indirizzato ai militanti e simpatizzanti del PDL  all’indomani del voto di fiducia del Senato e della Camera dei Deputati.

Cari Amici,

con il voto sulla fiducia al Senato e alla Camera, ancora una volta il senso di responsabilità ha avuto la meglio.

Riprendiamo da oggi il cammino del buongoverno, proseguendo su tre linee fondamentali. Innanzi tutto il completamento dei cinque punti strategici sui quali avevamo avuto una fiducia ampia dal Parlamento il 29 settembre. Voglio sperare che su questi cinque provvedimenti tutti i parlamentari che li hanno votati poche settimane fa siano coerenti con l’impegno assunto allora. In particolare spero che il Senato approvi definitivamente entro l’anno il decreto sicurezza e, nel minor tempo possibile, la riforma dell’università.

Come ho detto nei miei interventi al Senato e alla Camera, intendo proseguire il cammino per riunificare i veri moderati in un unico grande movimento politico, ovviamente senza quei pasdaran che si schierano con Di Pietro e usano i toni, le calunnie e le false argomentazioni del Fatto quotidiano e di Repubblica e. Considero il consolidamento di una unica grande forza politica che sia la sezione italiana del Partito dei Popoli europei uno dei compiti fondamentali che devo assolvere nel mio impegno in politica.

A questo compito se ne accompagna un altro, altrettanto decisivo per il futuro del nostro Paese. Dare finalmente all’Italia istituzioni in grado di funzionare in modo adeguato ai tempi, superando il bicameralismo perfetto, riducendo il numero dei parlamentari, rinforzando i poteri del premier per garantire stabilità al governo e impedire ribaltoni e colpi di palazzo, una legge elettorale che garantisca bipolarismo e governabilità. Su questo punto faccio appello a tutte le forze responsabili presenti in Parlamento, con cui abbiamo proficuamente lavorato su questo tema nella prima metà della legislatura ed anche a  quelle con cui è cominciato il nostro cammino politico nel 1994: riprendiamo il lavoro dai punti che abbiamo condiviso. E’ un dovere che abbiamo nei confronti di tutti i cittadini.

Possiamo e dobbiamo realizzare questi tre grandi obiettivi nei due anni che mancano alla fine della legislatura. Io, come al solito, mi impegnerò con dedizione e passione. Oggi, come sedici anni fa, sento su di me il dovere di non deludere le attese e le speranze degli italiani, che qui in forzasilvio.it, nei gazebo e nelle numerose manifestazioni di queste ultime settimane mi hanno confermato il loro sostegno. Per loro e per tutti gli italiani lavorerò per completare queste grandi riforme, per consolidare e rafforzare la casa di tutti i moderati e per realizzare un nuovo assetto istituzionale. Questa è la risposta che daremo a chi, inutilmente, ha cercato di sconfiggerci con una congiura di palazzo.

Silvio Berlusconi

INTERVISTA ALL’ON. MOFFA: IL MIO VOTO E’ STATO SOFFERTO. ECCO PERCHE’

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Silvano Moffa, deputato oramai ex futurista che, all’ultimo, ha deciso di votare contro la sfiducia a Silvio Berlusconi il 14 dicembre. Della sua decisione ne ha parlato in una intervista  televisiva concessa al direttore di Libero,  Maurizio Belpietro,  all’interno di Mattino Cinque. Ecco il testo dell’intervista.


Lei era considerato uno dei fedelissimi di Fini, il suo voto di sfiducia era dato per scontato, ma all’ultimo minuto ha cambiato idea. Perché?

Dopo dei giorni intensi di trattative per cercare di uscire da quella che era una conta numerica che non risolveva la questione politica, dopo il tentativo estremo di riportare Fli in un ambito di centrodestra, dentro a quel perimetro da cui non doveva uscire per creare un terzo polo assolutamente velleitario, il discorso di Bocchino alla Camera ha chiaramente dettato la linea, indipendentemente da quanto era stato deciso il giorno prima, ovvero creare un’area di responsabilità politica nel tentativo di portare avanti la legislatura. Quando ho capito che quella era la linea dettata da Fini, ho deciso di non votare la sfiducia.

Lei parla del tentativo di riportare Fli nel centrodestra: quindi non appartiene più a quello schieramento politico?

Fli, nel momento stesso in cui imprime un’accelerazione sulla creazione del terzo polo, esce almeno da quella visione bipolarista alla base di una scelta di fondo fatta dalla destra nel passato. Non credo che l’Italia abbia bisogno di un sistema diverso dal bipolarismo. Ha bisogno piuttosto di rafforzare il bipolarismo, creando condizioni di maggiore attrattività coalizzante, cioè fare in modo che le due parti della mela possano aggregare di più in modo che si vada verso un bipolarismo definito e che metta l’elettore in grado di scegliere in maniera netta.

In Futuro e Libertà ci sono diversi esponenti che vengono dal Movimento Sociale, come lei del resto. Finiranno democristiani?

Questo bisognerà chiederlo a loro. Per quel che mi riguarda, la scelta l’ho fatta già da tempo, quando mi sono trovato in un percorso di destra molto lineare e molto coerente. In Fli c’è un’area moderata che ho cercato di rappresentare fino alla fine con tutte le mie forze, nel convincimento che Fli nascesse da una frattura nel Pdl, avvenuta per non aver condiviso come il partito si stava organizzando e stava sviluppando la sua politica. Fli nasceva per cercare di fare quel Partito Popolare europeo, liberale, democratico, moderno e plurale, se vogliamo, ma non certo per creare i presupposti della distruzione del centrodestra.

Secondo lei arriveranno altri esponenti di Fli nel gruppo misto?

Io credo che oggi non solo in Fli, ma anche dentro al Parlamento in generale, c’è un’area di persone che avvertono una certa sensibilità istituzionale e che hanno presente che il Paese in questo momento ha bisogno di messaggi di responsabilità. Il Paese non può essere esposto a una crisi finanziaria che rischierebbe di alimentare quegli avvoltoi speculativi che si muovono in attesa che arrivino segnali di instabilità dall’Italia. Questo è il tema principale. Se mi sono mosso in questa direzione è perché ho anteposto sempre gli interessi generali. La mia posizione di presidente della Commissione Lavoro costituisce un punto di ascolto molto attento alle dinamiche sociali, ai problemi delle imprese, delle famiglie e dei cassintegrati, che attendono da parte del Governo e del Parlamento dei segnali di grande responsabilità, non una conflittualità esasperata e un tatticismo che non porta da nessuna parte.

Moffa, lei resterà nel Gruppo misto o tornerà nel Pdl?

Io penso di poter rappresentare in tutta umiltà, ma con grande decisione, un punto di riferimento proprio per quell’area che in qualche misura poco fa ho definito con lei.

Quindi non ci dice cosa farà…

No. Credo che in questo momento molti stiano riflettendo. Dentro al Parlamento e anche in Fli.

Potrebbe dunque nascere un nuovo schieramento con lei e altri?

Non lo escludo.

E cosa dovrebbe fare Gianfranco Fini, presidente della Camera ma a capo di un partito di opposizione, come ha detto lui. Dovrebbe dimettersi oppure no?

Io ho sempre pensato che il ruolo di presidente della Camera, oltre a essere di alto livello istituzionale, sia anche quello di regolare e garantire i lavori dell’Assemblea. E’ chiaro che oggi c’è una questione politica, ma questo è un problema che appartiene soltanto alla coscienza e all’intelligenza di Fini. E’ un discorso che deve affrontare lui, certamente non sta a me giudicare.

Libero, 16/12/2010

DOPO IL VOTO DEL 14, IL BIPOLARISMO E’ PIU’ FORTE

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Silvio Berlusconi E così Berlusconi ce l’ha fatta ancora una volta. È una vittoria importante anche e soprattutto per il futuro. È una vittoria che porta chiarezza in un quadro politico che sembrava aver rinverdito l’antica prassi delle congiure e delle manovre di palazzo tipiche della prima repubblica. Ha ragione da vendere, insomma, il ministro Brunetta quando, con la sua solita franchezza e senza mezzi termini, ha sostenuto che il risultato delle votazioni sulla fiducia e/o sfiducia al governo ha sancito la fine definitiva della prima repubblica. In realtà, queste votazioni – contrariamente a quanto sottolineano alcuni interessati commentatori che pongono l’accento soprattutto sulla esiguità del margine di sicurezza del governo alla Camera – hanno contribuito al rafforzamento del bipolarismo.
Quel che conta, infatti, è la sostanza politica del risultato e non già la sua dimensione numerica. E la sostanza politica è molto semplice: è stata bloccata ogni ipotesi non solo di un eventuale governo tecnico, ma anche di ogni eventuale altro governo ribaltonista. Se dovesse verificarsi una crisi, non ci sarebbe davvero nessuno spazio per tentare strade diverse dal ricorso alle elezioni gestito dal governo in carica. Non solo. Le aperture di Berlusconi a Casini – fatte in nome della necessità di ricostituire l’unità dei moderati – sono, indipendentemente dall’esito che potranno sortire, una ulteriore indicazione dell’impraticabilità del sentiero che avrebbe dovuto portare alla creazione del cosiddetto terzo polo: un polo che, nelle speranze di chi lo caldeggiava, avrebbe dovuto mettere insieme, fra l’altro, l’Udc e il Fli. E paradossalmente proprio l’annuncio, in questo momento, di un coordinamento parlamentare per la creazione di un nuovo «Polo della Nazione» – in sostanza il famoso terzo polo – è il sintomo più evidente di una crisi profonda di quei settori dell’opposizione che fingono di creare una forza attraverso una somma di debolezze.
Dopo le votazioni di martedì scorso – diciamolo chiaramente – Futuro e Libertà non esiste più. È ormai soltanto una sigla che individua un raggruppamento destinato a dissolversi o a cercare collocazioni politiche improprie. È ormai, se vogliamo, un personaggio in cerca d’autore. Non esiste più non solo e non tanto perché Berlusconi rifiuta di riconoscerne l’esistenza e accetta di interloquire soltanto con alcuni «futuristi» (ma a titolo personale), quanto piuttosto perché non esiste più, di fatto, il progetto politico che si voleva far passare sotto quell’etichetta.
Le votazioni non hanno certificato, come pure è stato scritto, la frantumazione di quella che era stata per oltre un quindicennio l’ossatura del centro-destra, cioè l’alleanza Berlusconi-Fini. In realtà ne hanno confermato la compattezza, perché il centro-destra non è correttamente riducibile all’alleanza fra i due leader, ma a quella fra i «popoli» che questi due leader rappresentavano. Il Pdl è uscito dalla prova ancora come il partito del centrodestra. Fini e i suoi non esprimono che se stessi e idee lontane, lontanissime dalla tradizione e dai valori del mondo della destra politica e culturale italiana. E finanche dal mondo del moderatismo cattolico riconducibile all’Udc.

La sconfitta di Fini è stata una sconfitta pesante. Sotto tutti i profili. Ne ha minato la credibilità. Ne ha messo in discussione il futuro politico. E ha riportato, in maniera prepotente, di attualità il problema dell’uso politico della carica istituzionale ricoperta. Ormai la permanenza di Fini alla guida della Camera è una anomalia difficilmente tollerabile. Tanto più se egli non vorrà rinunciare a disseminare di la strada che dovrà percorrere il governo, nella speranza che esplodano o che lo costringano all’impotenza e all’immobilismo. Ma è una strategia suicida dettata dalla disperazione. E che appanna, sempre di più, l’immagine del presidente della Camera. Francesco Perfetti, Il Tempo,16/12/2010

CI RISIAMO: I DELINQUENTI IN LIBERTA’ E I POLIZIOTTI SOTTO INCHIESTA

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

I  primi 23 delinquenti che martedì hanno messo a ferro e fuoco il centro di Roma provocando danni materiali per  circa  15 milioni di euro secondo una prima stima del Comune e messo a repentaglio la vita degli agenti e dei cittadini, compreso gli stupefatti turisti, sono tornati oggi in libertà durante la prima udienza del processo per direttissima che è stato rinviato al 23 dicembre. Uno solo è stato messo agli arresti domiciliari. Ovviamente il 23, essendo tutti o quasi tutti incensurati, se la caveranno con qualche romanzina e ancora una volta la delinquenza che si nasconde dietro la scusa del diritto all’esercizio alla protesta l’avrà fatta franca. Non ci piace. Non piace e lo ha detto al sindaco di Roma Alemanno che ha duramente contestato questa decisione delle competenti sezioni penali del Tribunale di Roma, non piace a chi si attende che la Legge punisca senza remore di sorta i delinquenti, veri e propri terroristi che hanno preordinato il saccheggio della città, l’aggressione alla gente e alle cose, la violenza contro i poliziotti. Contro i poliziotti poi,  come al solito, al di là delle retoriche manifestaizoni di solidarietà, si appuntano gli strali di quelli  che fanno finta di dolersi delle violenze di cui i poliziotti sono stati vittime, ieri come sempre, e poi li fanno oggetto di sospetti e accuse indecenti (leggere al riguardo l’intervista al ministro della Gioventù, Giorgia Meloni).  E anche in questa occasione, mentre i delinquenti già stasera potranno festeggiare la “magnanimità” dei magistrati italiani capaci di non avere pietà per chi ruba una gallina e trovare giustificazioni per chi distrugge una città, i poliziotti dovranno subire inchieste miranti a stabilire se dovendosi difendere hanno dato qualche manganellata in più ai delinquenti che li aggredivano. Una ragione di più perchè al più presto si metta mano alla riforma della giustizia che stabilisca una volta per tutte che chi rompe paga  senza che  nessun magistrato possa o debba  sottrarsi a questo principio. Altrimenti l’anarchia si impadronirà delle nostre città. g.

POLIZIOTTI VIOLENTI? LA FINOCCHIARO DICE BALLE AFFERMA IL MINISTRO DELLA GIOVENTU’ GIORGIA MELONI IN UNA INTERVISTA AL GIORNALE

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

di Andrea Cuomo

Gli infiltrati nelle manifestazioni? Balle. I Black bloc? Leggende metropolitane. Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni sgombera il campo dai tanti equivoci alimentati, dopo i violenti scontri di martedì a Roma, da chi ha interesse a «buttarla in caciara» e a coprire i veri responsabili dei disordini.

Chi sono?
«Appartengono a una realtà che noi conosciamo bene e che ha vari nomi: No Tav, No G8, no a tutto quello che sappiamo. E sono sempre gli stessi, ovvero la rete dei centri sociali, Autonomia operaia eccetera. Sono loro che vanno in giro e che puntualmente pensano di dover organizzare una distruzione sistematica della città, di doversi scontrare con la polizia. Del resto quando uno va a manifestare con i caschi anche senza motorino, bardato per nascondere il volto…».

E gli infiltrati?
«Ma questa degli infiltrati è una balla vecchia, che va avanti con una certa scientificità almeno dal G8 di Genova e ogni volta si riaffaccia puntualmente. Dire che tra quelli che mettono a ferro e fuoco le città ci sarebbero poliziotti infiltrati equivale a dire che c’è la complicità se non la regìa del ministro dell’Interno, cioè del governo. E la cosa incredibile di questa tesi, sostenuta da giornali come Repubblica, è che viene energicamente smentita dai diretti interessati, cioè da quelli che hanno provocato gli incidenti alle manifestazioni, che protestano in rete: ma come, ci siamo presi le manganellate, ci hanno arrestato e ora il merito se lo prendono i poliziotti fascisti? Basta ascoltare le radio dei collettivi, o andare sul sito di Indymedia per capirlo».

Su Indymedia si dice anche chiaramente: il ragazzo con la pala e il giaccone beige fotografato in vari momenti con in mano delle manette «non è uno sbirro, ma uno di noi».
«Questa vicenda, sostenuta anche da Anna Finocchiaro, è geniale! Repubblica pubblica delle foto in cui si vede questo personaggio con delle manette in mano, quindi – concludono loro – un poliziotto. Poi sul Corriere della Sera si vede questo tipo che viene trascinato via dalle forze dell’ordine. Peraltro, cuor di leone rivoluzionario, avrebbe piagnucolato: non mi potete toccare, sono minorenne…».

Passiamo ai Black bloc.
«Altra leggenda metropolitana. Ne parliamo come se fossero una squadra specializzata che esce fuor dal nulla, si infiltra nelle manifestazioni e distrugge le città. Ma in Italia non c’è nulla di simile, è uno strumento inventato a uso e consumo di chi vuole nascondere i veri responsabili degli incidenti perfino contro la volontà di questi ultimi».

Ma perché la violenza è sempre fascista?
«Mi fa sorridere che tal Enzo Letizia, segretario nazionale dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, commentando gli scontri dica: bene la polizia contro la violenza fascista. Ma questa gente è tutt’altro che fascista! Il tentativo che si fa è di dire che chi è violento, anche se è di sinistra, assume atteggiamenti che sono di destra e quindi è di destra anch’egli. Ma non è così: questa gente si proclama antifascista».

La Finocchiaro chiede anche: chi paga questi distruttori?
«A questa domanda è facile rispondere: questi signori sono finanziati da tutte quelle amministrazioni che per decenni hanno permesso che occupassero stabili abusivi facendo poi sanatorie, fornendo loro luce e utenze, patrocinando o sponsorizzando le loro iniziative. E la Finocchiaro questo dovrebbe saperlo piuttosto bene come dovrebbe saperlo bene tutta Italia».

Si dovrà pur fare un distinguo, però, tra manifestanti pacifici e frange violente…
«Certo, anche perché i violenti sono i primi nemici di chi scende in strada per le sue idee, cancellano completamente slogan e concetti. Però chi ha un po’ di esperienza delle piazze sa che quando c’è un movimento ampio e forte che vuole escludere una minoranza violenta è in grado di farlo perfettamente. Soprattutto quando gli incidenti sono annunciati. Mi auguro di vedere in futuro quelli che manifestano pacificamente cacciare questa gente dai propri cortei e mi auguro che la stampa gli dia la giusta visibilità».

Pasolini diceva, a proposito degli scontri di Valle Giulia, nel 1968: io sto con i poliziotti, sono più proletari loro. È ancora così?
«Sì, questo fatto di giocare a fare la rivoluzione pretendendo di essere blanditi dalla intellighenzia più borghese e coperti dal potere politico è francamente patetico. Spesso questi signori sono figli di papà che distruggono la città, le auto, le edicole e i negozi della povera gente, fanno la guerra a gente che guadagna due lire per fare un lavoro pericolosissimo. Tra queste due facce dei giovani italiani non ho dubbi su chi scegliere».

Il Giornale, 16 dicembre 2010

DAL TENTATO RIBALTONE ALLA NASCITA DEL CENTRINO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Fini

Fini si  mangia le mani  dopo la  cocente sconfitta subita contro Berlusconi. Ora se ha dignità deve dimettersi da presidente della Camera dove ormai è un abusivo, anzi un portoghese.
Dal tentato, e fallito, ribaltone parlamentare a quello mediatico. Ribaltare la realtà è ormai il segno distintivo di Gianfranco Fini e dei suoi compagni di strada, da Casini a Bersani. A leggere la maggior parte dei commenti apparsi sui giornali di ieri sembrava che Berlusconi e la maggioranza avessero di fatto perso e che a vincere fossero stati loro. «Governo Scilipoti», hanno definito in molti l’esecutivo uscito indenne dalla conta ironizzando sul deputato transfuga dell’Idv che sarebbe stato decisivo nella votazione. Ovviamente non è vero. Semmai, decisiva è stata la crisi di coscienza di tre deputati finiani che non se la sono sentita di tradire elettori e ideali (da soli hanno spostato sei voti). Decisiva è stata la compattezza dell’asse Pdl-Lega. La verità viene ribaltata anche sul ruolo e sulla forza del Fli, partito che si è dimostrato inutile alla maggioranza quanto all’opposizione che aveva scommesso di abbattere Berlusconi usando Fini come Cavallo di Troia.
La verità è che i ribaltonisti sono usciti dal voto a pezzi (ieri, per la prima volta dall’inizio crisi, un emendamento del Fli non è passato in aula). Tanto che a poche ore dalla sconfitta, Fini, Casini e Rutelli hanno annunciato di voler unire i cocci. Costituiranno un unico gruppo parlamentare, prova generale di una coalizione da mettere in campo in caso di elezione. Un gruppo di centro che non guarda a sinistra, giurano. E mentono. Tutti e tre (Fli,Udc e Api) sono già alleati del Pd nel governo della Sicilia. Un gruppo unito come un sol uomo, giurano. E ri-mentono. La prova è che martedì, uno tra Fini e Casini dovrà rimangiarsi al Senato il voto già dato sulla riforma universitaria. Alla Camera, infatti, il Fli votò a favore e l’Udc contro. Prima prova, quindi, e primo rospo che uno dei centristi dovrà ingoiare. Ne seguiranno altri, perché i cattolici di Casini e i laicisti di Fini non saranno d’accordo (…)
(…) su nessun tema etico, su come e dove indirizzare le poche risorse economiche che ci sono, su dove tagliare. Per la verità, e siamo alle comiche, non c’è accordo neppure sul nome da dare a questo schieramento: Alleanza per la Nazione, propongono dal Fli evocando An; Unione dei Centristi, ribattono dall’Udc cercando di sdoganare la propria sigla.
Insomma, la grande novità della politica italiana nasce sotto i peggiori auspici e secondo i vecchi riti. Nasce per salvare il soldato Fini dalla sconfitta totale, dargli un po’ di ossigeno perché possa illudere i suoi, molti dei quali propensi al ritorno in casa Pdl, che ci sia un futuro politico dopo la batosta di martedì. In sostanza è Casini che sta cercando di inghiottire i traditori di Berlusconi per traghettarli, insieme all’ex candidato premier dell’Ulivo Rutelli, nella pancia della sinistra, senza la quale, fuori dal Pdl, è impossibile pensare di vincere non dico le elezioni politiche ma neppure quelle di un consiglio comunale.
Questa descritta non è un’ipotesi di fantapolitica ma il progetto neppure tanto segreto di Massimo D’Alema, l’eterno sconfitto che non sia rassegna a uscire di scena. Proprio D’Alema vede in Casini il nuovo Prodi, cioè il prestanome ideale per riportare gli ex comunisti alla vittoria elettorale e quindi a palazzo Chigi. Il centrino dovrebbe quindi essere l’embrione di un centrone fascio-catto-comunista da contrapporre all’asse Pdl-Lega. Che facciano. Quattro leader sconfitti non ne fanno uno vincente. Quattro idee sommate non ne fanno una buona. Lo si è visto in tutte le elezioni, così come nella votazione sulla sfiducia. Un’operazione di questo genere non farà che accelerare la fuga dei loro parlamentari (ed elettori) verso schieramenti con idee chiare e univoche. Berlusconi e Bossi aspettano a braccia aperte. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 16 dicembre 2010
……….Chissà se il ragionamento di Sallusti e le sue tesi troveranno conferma nei fatti. Quel che è certo è che ieri sera a Fini e ai suoi sodali, sia del FLI che dell’UDC, sarà venuto un colpo a leggere i sondaggi che i maggiori  istituti hanno realizzato tra la sera del 14 e la giornata del 15 dicembre: tutti hanno registrato una impennata all’insù del PDL che unito alla Lega e agli altri partiti minori del centrodestra veleggia tra il 42 e il 44%. Ovviamente tutti hanno sottolineato che il sondaggio risente dell’emozione creata dalla vittoria di Berlusconi al Senato e alla Camera contro i ribaltazionisti e che quindi va verificato nei prossimi giorni se il dato si conferma o meno. Vedremo. Ma importante è anche l’altro dato, quello che riguarda il partitino di Fini e Bocchino, quello con la bava alla bocca come è apparso a tutti gli italiani quando hanno sentito alla Camera Bocchino inveire contro Berlusconi quasi avesse a che fare con un guappo, dato che semmai l’unico guappo è lui. Ebbene il partititio di FLI, secondo questi sondaggi è precipitato nelle intenzioni di voto al 4,1%, cosicchè in una forbice che va tra il 3 e il 5%, quindi in tempo per fare la fine del partito di Bertinotti. E’ in questo clima da tragedia greca per uno come Fini che si crede un padreterno che nella serata di ieri è stato dato vita al centrino, come lo chiama Sallusti, al tentativo di creare un’amalgama tra opposti e divergenti quali sono sicuramente Fini e Casini, con Casini che essendo notoriamente più furbo di Fini e per nulla ossessionato personalmente dal Cavaliere, userà Fini per raggiungere i suoi scopi, che possono anche non essere quelli ipotizzati da Sallusti ma di certo non saranno quelli di Fini. Il quale si troverà così a non aver voluto essere il secondo di Berlusconi ma si dovrà accontentare di fare da usciere a Casini. E la parabola avrà la sua fine. All’ingiù. g.

SENZA DIGNITA’

Pubblicato il 15 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Sostiene Berlusconi che Fini è un buon tattico, ma un cattivo stratega, tant’è che vince qualche scaramuccia ma perde tutte le guerre. E successo ieri alla Camera dove tronfio sedeva sul trono che gli italiani gli hanno affidato perchè li difendesse dall’assalto della sinistra,  mentre proprio grazie a lui la sinistra tentava il colpaccio, mandare a casa il centrodestra grazie ad una congiura di palazzo il cui primo congiurato era proprio lui, Fini. Ma l’attesa è stata…disattesa, perchè il Parlamento, la Camera, oltre che il Senato, ha ridato fiducia a Berlusconi, anche se solo con tre voti di maggioranza. Pochi sostiene Fini che dietro le quinte, ingrugnito per la sconfitta, definisce solo numerica la vittoria di Berlusconi, ovviamente avendo in mente di colpire alle spalle, come da sempre lui solo sa fare. Ed infatti già oggi ha calenderizzato la mozione di sfiducia al ministro Bondi, uno dei tre coordnatori del PDL, uno degli uomini di punta di Berlusconi. Colpire Bondi, appena dopo la sconfitta di ieri, deve essere sembrata  a Fini  la maniera per esorcizzare la sconfitta, per rendere un pò amara la vittoria di Berlusconi verso il quale l’odio di mescola con la gelosia per quello che Berlusconi è e lui non sarà mai. Bondi ha scritto al Capo dello Stato per sottolineare la non terzietà di Fini, acclarata dall’uso che ha fatto in questi mesi, anche fisicamente, degli uffici della Presidenza della Camera e dall’uso che anche in questa occasione ha fatto dei suoi poteri discrezionali. Il suo portavoce si è affrettato a dichiarare che la mozione era calenderizzata da tempo, per cui Bindi avrebbe potuto chiedere notizie allo stesso Fini. Burocratico, come al solito, privo di qualsiasi emozione, tant’è che mai affronta il contradditorio e da mesi si sottrae a qualsiasi intervista che non siano quelle con stampa e TV amiche. Il problema, invece, è politico. Fini non asscura più la terzietà che la carica di presidente della Camera sottende e pretende, non garantisce sobrietà e distacco nellr decisioni, e ciò nulla ha a che vedere col fatto che quando presiede la Camera egli è imparziale. E anche questo, d’altra parte, è falso. Ieri un presidente che si fosse chiamato Pertini, l’antifascista Pertini, mai avrebbe consentito al deputato Di Pietro di rivolgersi al capo del governo con i toni scurrili che tutti hanno potuto ascoltare e se quel deputato non avesse desistito, l’antifascista pertini l’avrebbe espulso dall’Aula. Invece il fascista Fini, ancorchè convertitosi all’antifascismo di convenienza, si è guardato bene dal farlo, si è limitato a “richiamare” il deputato Di Pietro mentre il capo del governo si allontanava in segno di protesta. Il colmo. Il capo del governo si allontana mentre viene insultato e il presidente della Camera nulla ha da dire e da fare. E’ questa la ragione per la quale già da tempo Fini avrebbe dovuto dimettersi, a maggior ragione dopo la sconfitta di ieri che è anche e prima di tutto la  sua sconfessione, la sconfesisone dei suoi atti e delle sue scelte non già di deputato ma di presidente della Camera.  Ecco perchè deve dimettersi, ma dubitiamo che lo faccia o che lo farà, perchè a lui, che non è Pertini, manca la dignità della sofferenza subita per conquistare traguardi che si onorano anche con le rinunce. g.

…..E’ di pochi minuti fa la notizia che il trio Lescano della politica italiana, Casini, Fini e Rutelli, dopo aver speso alla ruolette della Camera tutte le loro speranze di soppiantare il Cavaliere, ci riprovrano, rilanciando, e formando il Polo della Nazione. Pinuccio Tatarella, maestro insuperabile nel coniare sigle, motti e slogans (indimenticabile quello: “contro il centro sinistra,  DDT – De Marzio, Di Crollalanza, Tatarella”) non sarebbe orgoglioso di un trio che nemmeno nei nomi sa essere innovatore. Da annotare però che in 24 ore sono passati da 80 di ieri ai 100 di oggi secondo Casini:  gli altri venti sono nati nel bosco come i funghi. Speriamo non siano velenosi. g.

BERLUSCONI ROTTAMA FINI, l’editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 15 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi Berlusconi ha vinto, Fini ha perso. È questo il risultato del voto di fiducia ed è bene scriverlo nella sua brutale semplicità perché in queste ore è già partita la surreale gara dei «ma, però…», della «vittoria numerica ma non politica», della «maggioranza che non c’è più» e altra varia umanità con la quale si fa un bel gioco di fumo e specchi ma nessun passo avanti nell’analisi politica, cioè in quella materia che serve a capire cosa sta accadendo nel Palazzo. Mentre nei giornaloni suonavano le campane a morto del governo e del Presidente del Consiglio, mentre nelle case degli intelligenti a prescindere si metteva in frigo lo champagne e si ordinavano le tartine per festeggiare la defenestrazione del Cav, qui su Il Tempo abbiamo cercato di spiegare nei giorni scorsi perché è molto pericoloso scambiare i propri desideri per fatti compiuti, perché le aspirazioni e gli incubi di un leader non sono la rappresentazione esatta del mondo che c’è là fuori, perché un’ossessione non sempre diventa la migliore azione. Cose semplici, dettate dalla logica, dal buonsenso, dalla frequentazione della realpolitik. Cose ritenute inutili da naviganti futuristi e non. Risultato: la flotta invincibile della nuova destra europea, moderata, raffinata, colta, europea, si è fracassata sugli scogli e ora è alla deriva, in balìa di una tempesta politica che è appena iniziata. Volevano affondare il perfido Silvio e ora sono loro che rischiano di colare a picco.

Gianfranco Fini ha giocato il tutto per tutto. Non è un lettore di Machiavelli e in fondo questo lo sapevamo. Non è uno stratega e ne abbiamo avuto la prova regina. Ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare e invece di assaporare la vittoria, è stato segnato dalla sconfitta. Bruciante. E beffarda perché la sua sfida agli occhi di chi osserva con un minimo di mestiere la politica è apparso da subito un suicidio non calcolato, l’opera tragicomica di un kamikaze per errore. Fini non ha perso soltanto l’epica sfida con Berlusconi. Ha perso anche un pezzo del gruppo parlamentare alla Camera. Ha perso credibilità. Dopo aver perso la testa in questo progetto senza capo né coda ha perso pure la faccia. E ora? Se avesse un po’ di coerenza e rispetto per la carica istituzionale che ricopre, dovrebbe dimettersi. Se cominci una guerra contro il presidente del Consiglio e la perdi, fai un dignitoso passo indietro e riprendi il tuo cammino sul viale dei perdenti. Invece no. Ancora ieri s’è premurato di informare gli italiani che assistevano alla sua Caporetto che mai e poi mai lascerà lo scranno di Montecitorio. Il 14 dicembre – come spiegavo nei giorni scorsi – così diventa uno spartiacque della politica italiana. Chi pensava di proiettare i propri disegni politici oltre questa data, sorvolando l’affermazione del Cavaliere, non ha capito un fico secco di quel che è accaduto ieri a Montecitorio. Da questo momento in poi comincia un altro film, il plot è dettato da un’altra sceneggiatura e i protagonisti cambiano scenario e obiettivi.

Berlusconi ha vinto la seconda battaglia (la prima era quella del 29 settembre) sul voto di fiducia e in due mesi ha incassato il semaforo verde per il suo governo. Sono fatti che pesano come macigni sulla vita politica. Ieri sera di fronte al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non si è presentato un Cavaliere disarcianato da un indiano cresciuto in via della Scrofa che ne brandiva lo scalpo, ma un leader che ha superato per due volte la prova dell’aula e può sostenere di fronte al Quirinale un paio di cosette interessanti che riassumo qui a beneficio dei lettori: 1. ho la maggioranza, risicata, ma ce l’ho e fino a prova contraria vale per continuare a stare in sella; 2. ho la possibilità di provare ad allargare questa maggioranza ad altri partiti; 3. proverò a governare ma se mi accorgo che non è possibile, con questo risultato non può esserci un altro governo, un altro presidente del Consiglio, un’altra maggioranza; 4. ergo, le elezioni anticipate sono l’unica alternativa al mio governo. Sono fatti che Giorgio Napolitano, un uomo che è cresciuto nei partiti, ha ben presenti e intorno a questi dati della realtà ruoteranno tutti i ragionamenti e le prossime mosse ed esternazioni del Presidente della Repubblica.

Ben diversa è la situazione di Fini e del suo gruppo politico. Il leader di Fli da oggi fa parte dell’opposizione, non è più il centrodestra di Berlusconi e neppure un altro centrodestra come s’affannano a teorizzare i suoi cervelloni. È vero che gli elettori lo percepivano già come un alieno, ma la sua uscita dall’orbita dei conservatori italiani ora è totale e irrimediabile. Idealmente Fini è stato attratto dalla forza gravitazionale di una galassia che comincia con Di Pietro, passa per Bersani e finisce con Vendola. La sua traiettoria e rivoluzione intorno a questo sistema di pianeti non è né quella di Pierferdinando Casini né quella di Francesco Rutelli. Bastava ascoltare con attenzione l’intervento alla Camera di Italo Bocchino (un disastro totale, degno del guinness dei fiaschi politici) e confrontarlo con quello dal tono ben diverso dei leader dell’Udc e dell’Api per capire che i futuristi sono più in sintonia con il trattorista Tonino da Montenero di Bisaccia che con il cosiddetto Terzo Polo dei moderati. Quelli che la vedono lunga nel Palazzo prevedono un ulteriore smottamento di una parte della collinetta finiana verso la pianura del Pdl e dunque una imminente riorganizzazione di un governo più che autosufficiente. Vedremo. In ogni caso, Fini si è autoscaraventato nel cono d’ombra dell’opposizione dura e pura e da questo momento è in un pollaio pieno di galli gelosissimi l’uno dell’altro. Il suo bacino di voti, infatti, è quello dell’antiberlusconismo non del centrodestra come qualcuno s’affanna a dire in queste ore.

Basta una lettura attenta dei sondaggi d’opinione e una proiezione dei potenziali flussi elettorali per capire che Fini può dare più fastidio a Bersani e Di Pietro che a Berlusconi. Ma c’è di più: in caso di elezioni, la presenza di Fini e dei terzopolisti potrebbe avere un effetto boomerang sui rapporti di forza in Senato. Per effetto della sottrazione di voti, infatti, Fli darebbe a Pdl e Lega molti più senatori nelle regioni dove i due partiti sono forti, al punto che anche Palazzo Madama sarebbe in pugno al Cavaliere. Del controllo della Camera neppure si discute, sarebbe di fatto un fortino azzurro-verde. Non so quanti esponenti della Comitato di Liberazione Nazionale da Silvio, abbiano dato un’occhiata ai numeri – a giudicare dai proclami fatti in questi giorni, nessuno – al loro posto ci farei due o tre pensierini e mi metterei con il pallottoliere a contare i seggi. Chi invece quei numeri sembra già averli masticati è Silvio Berlusconi che ieri ha ribadito il concetto: «Se non si può governare, si va alle elezioni». Ecco, il voto continua ad essere una delle opzioni sul tavolo. La fiducia del Cavaliere alla Camera non l’ha smaterializzato, ma solo rinviato. Se Berlusconi fosse caduto, la Santa Barbara del voto anticipato sarebbe con le polveri bagnate e impossibile da usare. Ma così non è stato e quell’arsenale oggi è non solo intatto, ma addirittura irrobustito perché le armi a disposizione del nemico si sono nel frattempo ridotte a ben poca cosa. Possono sperare solo nell’appoggio della magistratura (in gennaio la Consulta deciderà sul legittimo impedimento e ne vedremo delle belle), ma da sedici anni le toghe sono non solo un ostacolo ma anche un formidabile fornitore di carburante per i carri elettorali del Cavaliere. In termini militari, Berlusconi e Bossi in questo momento sono una superpotenza in grado di controllare gli spazi di cielo, terra e mare. Gli altri? Hanno perso una battaglia fondamentale, se provano ancora a manovrare, rischiano di perdere la guerra. Mario Sechi, Il Tempo, 15 DICEMBRE 2010

E ADESSO FINI DEVE ANDARE A CASA

Pubblicato il 15 dicembre, 2010 in Politica | No Comments »

Fini, sulla poltrona di presidente della Camera con accanto il fido Bocchino, l’uomo con la bava alla bocca che ieri con il suo discorso rabbioso contro Berlusconi ha mandato all’aria il progetto finiano.

Fini? Fini è solo. Questo dice il 14 dicembre. Non lo vede Casini, non lo vede Bersani, non lo ha mai visto Di Pietro. Non vuole più vederlo Berlusconi. E anche tra i suoi si sussurra che molte colombe vogliano tornare a casa. Quello che vede Gianfranco dal suo posto a Montecitorio è uno spettacolo desolante. Ma presto potrebbe tornare giù, ad altezza d’uomo. Tutti, a destra e sinistra, si aspettano che Fini si dimetta da presidente della Camera. Lo chiede la maggioranza con insolita chiarezza. E diversi ministri sono intervenuti perché faccia un passo indietro. C’è imbarazzo anche nell’opposizione. Follini con cortesia gli fa notare che quando lui lasciò la maggioranza si dimise da tutte le cariche: «Ma sono scelte personali». Niente da fare. Fini non è Follini. Ha scelto che lo scranno più alto di Montecitorio sarà il suo fortino. E ci si aggrappa come un naufrago, disperato.

Fini è la fotografia di una sconfitta. Legge con voce impersonale i numeri del suo fallimento. La delusione è tanta, il volto teso, con gli occhi sgranati. Davanti alla processione dei si alla fiducia mostra che forse non se lo aspettava. Era ancora sicuro di farcela. Eppure qualcosa non ha funzionato. Quando ha visto che Moffa non era lì a votare ci è rimasto davvero male. «Non me lo aspettavo. Non me lo aspettavo proprio», ha sussurrato con gli occhi bassi. Sconfitto da se stesso: se il Fli avesse retto ora saremmo qui a raccontare un’altra storia. Invece tocca a Fini masticare la delusione trasformandola in odio. Basta ascoltare cosa dice Bocchino dietro le quinte e Granata a destra e manca: «Berlusconi? Gli renderemo la vita impossibile».

La spallata non è riuscita. Ancora una volta non è stato all’altezza delle sue aspettative. Nelle scommesse politiche del presidente della Camera c’è sempre qualcosa che balla, una cifra che non torna, un azzardo che all’improvviso diventa troppo alto. Questa doveva essere la sua giornata. Questo 14 dicembre se lo era costruito a tavolino, sicuro che il suo avversario fosse alle corde, con le mani basse e senza via d’uscita. Il guaio di Fini è che sottovaluta sempre Berlusconi. È per questo che al momento di mostrare le carte i suoi bluff vengono scoperti.

Quello che ci lascia in eredità questa giornata fredda e con le strade ammaccate è l’inconsistenza del Fli. Il suo partito è depresso e diviso. La dittatura dei suoi nuovi colonnelli, Bocchino, Granata, Briguglio, ha umiliato chi lo ha seguito per una scelta di cuore. Non immaginando che il capo anche questa volta si sarebbe dimostrato freddo e distante. Non è facile innamorarsi di Fini. È uno che ti fa sentire in debito con la vita. L’unica cosa concreta che è riuscito ad ottenere da questa vicenda è il clima da guerra civile che si respira nel centrodestra. Il resto è un muro.

La chiarezza di schierarsi all’opposizione non cambia i suoi progetti. Si va avanti con la strategia della guerriglia: sabotare, disfare, preparare agguati, contrastare. «D’ora in poi – sintetizza un finiano – saremo una falange macedone. Saremo un esercito compatto, perché dobbiamo difenderci…». Ma tutto questo ha un valore solo negativo. Non ha un futuro. È lo sfogo rancoroso di un antiberlusconismo privato e viscerale. È l’unica merce politica che riescono a mettere sul mercato. Solo che accanto al loro negozio ci sono concorrenti molto più ricchi e antichi.

Lo strappo dalla maggioranza non ha costruito nulla. La diaspora dell’altra destra non è un’alternativa. Fini ha deluso i suoi nuovi compagni di strada. Non è lui l’antidoto a Berlusconi. Ed è un uomo che ormai odora di insuccesso. L’alleanza con Casini non è mai decollata. Fini si è infilato in un vicolo cieco. Non può tornare da Berlusconi, ma non c’è nessun altro che è pronto a scommettere sulla sua fortuna. Non gli resta che correre da solo, con una squadra a pezzi e senza il favore degli elettori. È da qui che deve ripartire, ma ci vorrebbe un colpo d’ala.

Invece no. Quello che si vede è lo sforzo di un uomo che resta abbarbicato all’ultima poltrona della sua vita.

Salvatore TRAMONTANO PER IL GIORNALE, 15 DICEMBRE 2010

……L’ultima poltrona della sua vita, perchè la congiura fallita di ieri ha messo a nudo il re. Il re Fini, re solo di se stesso e delle sue smodate ambizioni e delle sue altrettanto furiose frustrazioni, ha finito di concionare e l’ultima cosa che può fare è di rimanere sulla poltrona di cui ha fatto squallido mercimonio per tentare di disarcionare il Cavaliere. Per farlo ha ridicolizzato se stesso con la tesi secondo cui quella di Berlusconi è una vittoria solo….numerica. Ma lo sa Fini che in democrazia sono i numeri a contare e a fare la differenza? E se per caso avesse prevalso la sfiducia per tre voti cosa avrebbe detto? Fini sa bene che sta arrampicandosi sugli specchi di una sconfitta che prima ancora che numerica è politica, politica senza appello, perchè da oggi in poi, nulla sarà più come prima. Certo, i suoi uomini ( e chissà quanti in verità!) si trasformeranno alla Camera (di certo non al Senato) in forsennati dipietristi, veri e propri terroristi, ma il terrorismo può fare qualche danno, può conseguire qualche vittoria momentanea, ma alla fine vince sempore lo Stato, vincono gli interessi nazionali, quelli dei quali da sempre Fini se ne impipa. D’altra parte è proprio da uno dei suoi randellatori che gli dovrebbe venire l’esempio. Briguglio, secondo solo a Bocchino in materia di killeraggio di Berlusconi, ieri sera si è dimesso da componente del COPASIR, l’organo parlamentare di controllo dei servizi segreti, con una lettera indirizzata al presidente dell’organo, D’Alema e allo stesso Fini. Ha scritto Briguglio nella lettera che essendo stato nominato in rappresentaza della maggioranza, non può rimanere nell’incarico essendo ormai passato all’opposizione, come stabilito da Fini, solo da lui, domenica scorsa durante la chiacchierata con la signora Annunziata. Ha fatto bene Briguglio. Fini lo imiti, al più presto. Anch’egli fu eletto dalla maggioranza e in rappresentanza della maggioranza. Ora che ufficialmente è passato all’opposizione dimettersi dalla carica di presidente della Camera non è solo un dovere morale, ma un obbligo istituzionale. Se ci rimane è un abusivo, anzi un portoghese. g.