Fini non perde solo parlamentari, ma anche la te­sta. Non si è mai visto un presidente della Camera che sbraita in questo modo contro il capo del governo. Quelli che non mi seguono? Tutti venduti. E chi li compra naturalmente è Berlusconi. Due offese in un colpo solo: al premier e agli uomini che avevano scommesso su di lui. Davvero pensa che uno come Pontone si venda per una lusinga? Fini di super partes ormai non ha neppure l’ombra. Una volta disse: «Dimostratemi che non sono super partes e mi dimetto».

Dopo quello che ha scritto sul Secolo dovrebbe accorgersene da solo e agire di conseguenza. O almeno gli suggerisca qualcosa Napolitano. Ma il presidente della Camera non è un uomo che si mette in discussione. La frase «ho sbagliato» non esiste nel suo vocabolario. Non riconosce la sconfitta. Non capisce i dubbi e la delusione di chi lo ha seguito nella sua avventura. Non comprende l’amarezza di Urso, la rabbia di Viespoli, le ferite sul volto di Pontone. Fini non si fa domande. Non si chiede come mai gli intellettuali della svolta, Alessandro Campi e Sofia Ventura, lo vedono ora solo come un uomo ambizioso con una sola fissa in testa: prendere il posto del Cavaliere. Loro parlavano di politica, lui di congiura. Non si sono capiti. Una cosa è certa. I nemici di Berlusconi pensavano di avere la partita in mano. Bene.

Si stanno sucidando. Quelli che hanno già scritto il finale rischiano di restare delusi. Il romanzo di queste lunghe settimane racconta che la corsa del Cavaliere è al capolinea. È la versione dei suoi nemici e la ripetono ossessivi in ogni piazza, fisica o virtuale. È un modo per darsi ragione. Se lo gridiamo sempre più forte diventa vero. Non immaginano neppure che in questo modo mistificano la realtà. Più Berlusconi viene raccontato debole, più si rivela forte. Qualcosa di imprevedibile in effetti sta accadendo. Il Cavaliere sta subendo da tempo una batteria di attacchi finali. Il caso Ruby sembrava averlo messo alle corde. I suoi avversari già litigavano su chi dovesse essere il prossimo premier. Eppure i conti non tornano.

La maggioranza non è sfilacciata e in Parlamento si allarga, diventa più forte, costruisce colonne e pilastri. Quello che abbiamo davanti non è un governo in disarmo. I numeri sono in crescita. A Montecitorio la quota 330 che serve a tranquillizzare la Lega non è più un miraggio. L’imponderabile è che l’opposizione, soprattutto quella centrista, è colpita da uno smottamento che non riesce ad arrestare. Non è bastata la riunione psico-dramma di martedì a Palazzo Madama, con le dimissioni e la rielezione di Pasquale Viespoli nel giro di un quarto d’ora, per rassicurare i senatori sul futuro del Fli. Avevano giurato di non lasciare il partito a patto che Futuro e Libertà restasse nel centrodestra. La secca risposta di Fini non ha di certo rasserenato gli animi: «La linea politica è inequivocabile, trovino motivi meno pretestuosi».

I senatori si sono visti arrivare il solito gelido schiaffo. Hanno capito che cosa sia il Fli: un partito nato per una vendetta personale. A questo punto sta partendo l’esodo. Si parla di sette senatori su dieci, oltre a Giuseppe Menardi che ha già fatto le valigie, pronti a traslocare. Movimenti anche alla Camera, un altro pezzetto di quasi ex finiani che viaggia in direzione ostinata e contraria. Strani movimenti si notano anche intorno a Casini. Il centro sembra una stazione balneare. Questo significa che stanno per cambiare anche i rapporti di forza nelle commissioni, sbilanciate a sinistra dal tradimento finiano. L’esodo ritara le percentuali e spinge la Lega a non fare passi affrettati. Non c’è bisogno di rottamare il governo. È il segnale che nei palazzi della politica nessuno è pronto a scommettere sulla caduta di Berlusconi. Anzi, sta avvenendo l’esatto contrario.

Fini liquida il tutto appellandosi «all’Italia diversa», quella che sta fuori dai palazzi. Peccato che i sondaggi lo smentiscano. Il Fli galleggia sul tre per cento. La destra che doveva colpire alle spalle il premier si sta sbriciolando. Fini è un bluff. Hanno scritto un romanzo in cui il Cavaliere è il male assoluto. Tutti a caccia del mostro. Non hanno il coraggio di battere l’uomo. Fonte: Il Giornale, 18 febbraio 2011